La lingua italiana è la più bella del mondo

Perché è urgente proteggere l’italiano

La lingua italiana è la più bella del mondo

Ho ripreso il titolo da uno dei punti del decalogo che scrisse F.T. Marinetti quando fondò a Milano, nel 1925, l’Associazione per la Guardia al Brennero. Il decalogo è presente nella sua antologia Scatole d’amore in conserva (Edizioni d’arte Fauno, 1927).

La lingua italiana è la più bella del mondo? Sì, oggettivamente. Risposta pretenziosa, ma per gli italiani non dovrebbero esistere risposte differenti.

Eppure per moltissimi nostri connazionali pare che oggi sia l’inglese la lingua più bella del mondo, visto lo smodato uso che ne fanno.

L’inglese è una lingua stringata, asettica, che si presta a una veloce e immediata comprensione… per gli anglofoni, vista anche la semplicità con cui si possono creare parole nuove accostandone due o più – caratteristica comune ad altre lingue nordiche.

Se in inglese è possibile creare street food, noi abbiamo bisogno di più parole per esprimere lo stesso concetto: “cibo venduto in strada” o anche “cibo da strada”. I francesi non si fanno problemi a usare più parole: cuisine de rue.

In Italia da street food a food truck il passo è stato breve, a cui si aggiungono lo street food festival, lo street food village e chissà che altro. Tutto per creare un nuovo e più immediato italiano.

L’autarchia della lingua è possibile?

“Il Primo problema autarchico è l’italianità della lingua”, sosteneva Marinetti nella prefazione, anzi nel “collaudo” al saggio Autarchia della lingua, contributo ideale e pratico alla santa battaglia e prontuario delle parole straniere da sostituire con le corrispondenti italiane esistenti di Adelmo Cicogna (Edizione dell’autore, 1940).

Possiamo ancora considerare l’italianità della lingua un problema autarchico? Se già a quell’epoca, oltre 80 anni fa, qualcuno aveva sentito l’urgenza di questa problematica – di questa “santa battaglia”, anzi – ancor più oggi, con la deriva linguistica cui assistiamo continuamente, questa urgenza diviene di primaria importanza.

E è davvero da considerare una battaglia quella da combattere contro gli anglicismi, perché stanno sempre più invadendo la nostra lingua, infiltrandosi in ogni contesto e contagiando via via più persone. Colpa, in primis, lo ripeto, di politici, giornalisti e professionisti vari. Ma anche delle grandi aziende, che per i loro prodotti di consumo scelgono nomi inglesi.

Le parole corrispondenti ai barbari termini inglesi in Italia esistono, e chi parla l’incomprensibile e ridicolo itanglese ne è consapevole. Ma il narcisismo è così forte che fare sfoggio di inglesismi è una pratica irresistibile.

Per rispondere alla domanda, no, forse l’autarchia linguistica non è possibile, altrimenti dovremmo eliminare dall’italiano le tantissime parole derivate dal greco antico (vedi siringa, paradiso, ippica, mnemonico, ecc.) o costruite grazie a parole greche (democrazia, geologia, ecc.).

È però possibile – e doveroso – limitare questi “prestiti”, che prestiti non sono più, perché ciò che si prende in prestito va poi restituito in tempi brevi.

Sarebbe bello, e anche divertente, creare un elenco di questi inutili anglicismi e poi spedirlo al governo inglese, con sentiti ringraziamenti per il prestito ricevuto. Chissà come la prenderanno.

Gli anglicismi sono un sinonimo di pigrizia mentale

Quando a Marinetti serviva una parola che non esisteva nel dizionario, se la inventava. Non ricorreva all’inglese. L’unica parola inglese che ho trovato nei suoi scritti è dreadnought, nome di un tipo di corazzata britannica dell’inizio del Novecento. E giustamente la rendeva in corsivo.

Usava però spesso il francese, sua seconda lingua, essendo nato ad Alessandria d’Egitto. Lingua comunque neolatina, a differenza dell’inglese che non ci appartiene né linguisticamente né culturalmente.

Gli anglofili tirano spesso in ballo le tante parole che abbiamo importato nel corso dei secoli da altre lingue, inglese incluso. Nessuno lo mette in dubbio, ma quando non è per niente necessario a che serve quest’importazione?

Si importa ciò che non si produce: questa dovrebbe essere la norma.

Chissà se gli anglofili sanno che il termine francese menu, che usiamo da tantissimo tempo, proviene dal latino minutus?

La questione dell’italianità della lingua

Marinetti parlava di “integrità assoluta della lingua italiana”. Un’integrità che purtroppo nessuna lingua al mondo, probabilmente, possiede. Neanche l’inglese, e nel mio articolo sulle 60 parole inglesi che possiamo rendere in italiano ho fatto alcuni esempi.

“Intransigenza senza la minima concessione: questo ci vuole”, continuava Marinetti. E qui gli do ragione. È ora di dire basta agli anglicismi e di porre definitivamente e irreversibilmente un freno a questa devianza linguistica e culturale.

Una lingua è anche espressione della cultura di un Paese e di un popolo, ne rappresenta l’identità. Se continuiamo a collezionare inglesismi, e conseguentemente a far estinguere le nostre parole, quale identità avremo in futuro?

“La questione dell’italianità della lingua nostra è di grande importanza per noi tutti”: tutti, non solo di pochi che se ne stanno interessando, come il sottoscritto, il blog Diciamolo in italiano (Per un’ecologia linguistica di fronte agli anglicismi) di Antonio Zoppetti e Italofonia (Portale indipendente sulla lingua italiana).

La lingua italiana, che è la più bella del mondo, va rispettata e protetta. Da tutti.

13 Commenti

  1. Orsa
    giovedì, 29 Settembre 2022 alle 10:33 Rispondi

    Oltre che mortificante per la lingua italiana, l’itanglese è anche discriminante perché esclude un bel segmento di popolazione che non ha confidenza con la lingua inglese.
    Questa storia che il modello angloamericano sia vincente ha proprio stufato, stiamo pagando ancora quella sciagurata cambiale della liberazione con continui condizionamenti sulla vita, sull’ideologia e sulla lingua.
    Mi piace tantissimo l’idea di restituire il prestito, sai le facce! 😂
    Hai ragione, pratichiamo il Paroliberismo, ma facciamolo in italiano! :)

    • Daniele Imperi
      giovedì, 29 Settembre 2022 alle 13:28 Rispondi

      Infatti mia madre, che ha studiato il francese, non capisce mai quando sente l’itanglese e spesso non posso aiutarla neanche io…
      Quasi quasi lo faccio davvero l’elenco e poi lo spedisco per posta ordinaria al governo britannico :D

    • vonMoltke
      domenica, 2 Ottobre 2022 alle 14:25 Rispondi

      Da una parte è vero che il “modello angloamericano” sia vincente: ha vinto e stravinto, dalle guerre mondiali, davvero ovunque, schiacciando chiunque e qualsiasi cosa gli fosse di intralcio. Tanto che parlare di “liberazione” mi sembra sempre più surreale, almeno riguardo agli effetti di lungo corso.
      Sarebbe molto bello “liberarsi” della sudditanza psicologica anche in campo linguistico, ma qui entra in gioco l’educazione, e non voglio addentrarmi anche nel discorso dello stato della pubblica istruzione nell’ex Belpaese.

      • Daniele Imperi
        lunedì, 3 Ottobre 2022 alle 8:18 Rispondi

        Ma infatti per loro l’Italia era uno dei territori occupati, non liberati.
        “Liberarsi” della sudditanza psicologica in campo linguistico sarebbe un grandissimo passo avanti, se ci fosse la volontà nazionale per attuare questo progetto.

      • Orsa
        martedì, 4 Ottobre 2022 alle 19:21 Rispondi

        Mi piace ex Belpaese, la trovo una sintesi perfetta. E sulla “liberazione” hai ragione, avrei dovuto virgolettare anch’io. Comunque quando la pronuncio lo faccio sempre con tono sprezzante :D

  2. Antonio Zoppetti
    giovedì, 29 Settembre 2022 alle 10:41 Rispondi

    “Quando a Marinetti serviva una parola che non esisteva nel dizionario, se la inventava.”
    La tua citazione tocca un punto chiave. Il punto è che i neologismi del nuovo Millennio – stando alle analisi di Zingarelli e Devoto Oli – sono per la metà in inglese crudo e, come ha osservato Luca Serianni, se si analizzano le neologie italiane mancano le parole primitive, sono perlopiù derivati (es. africaneria), composti (es. anarco-insurrezionalista) o risemantizzazioni di parole vecchie (es. tamponare).
    L’italiano sta perdendo la capacità di evolversi per via endogena e non fa che importare dall’inglese parole che si accumulano e ne snaturano il suono e l’identità. Le numerose interferenze dell’inglese che coinvolgono le parole italiane (visionario = lungimirante invece di allucinato; intrigante = coinvolgente invece di chi compie intrighi…) possono infastidire i puristi, eppure rimangono parole italiane, formalmente, che non rappresentano un pericolo per la nostra identità linguistica, e cioè i suoni e le regole ortografiche che caratterizzano la nostra lingua, che non so se sia la più bella (ogni scarraffone è bello a mamma sua), ma di sicuro ha una sonorità e una potenza evocativa ammirata in tutto il mondo, di cui dovremmo andare orgogliosi e su cui dovremmo fare leva.
    La cosa è grave è che, vergognandoci dell’italiano, lo stiamo infarcendo di suoni inglesi che non adattiamo più; sono ormai così tanti che si ibridano in una neolingua che si può definire itanglese.
    L’inglese è ricchissimo di parole che arrivano da fuori, ma sono quasi tutte adattate nei suoni (dall’italiano: manager da maneggio, sketch da schizzo, novel da novella, mascara da maschera…).
    Il nodo non sta nell’autarchia linguistica – un concetto assurdo – ma nell’ecologia linguistica: le lingue sono ecosistemi da tutelare quando sono minacciate dalle lingue dominanti che le schiacciano e ne mettono a rischio l’esistenza. Accecati dal fascino del suono inglese non sappiamo più inventare le nostre parole seguendo le nostre regole. La tutela e la promozione dell’italiano passa a mio avviso attraverso una rivoluzione culturale che ci spinga a non vergognarci dei nostri suoni e a non abbandonarli in favore dell’inglese, che non è una lingua superiore, è una lingua cannibale.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 29 Settembre 2022 alle 13:40 Rispondi

      Hai ragione, mancano le parole primitive, tutti i neologismi non provengono dalle origini della nostra lingua.
      E concordo che viene snaturato anche il suono: solo a sentir parlare alla tv in quel modo mi viene una rabbia che non immagini. Non è più italiano, quello.
      Molti termini hanno esteso il proprio significato (e questo credo avvenisse anche in passato) ma, come dici giustamente, restano termini nostrani.
      Il problema dell’itanglese è la sua totale inutilità. L’altro, più grande, è il pericolo che rappresenta per l’italiano e l’identità dell’Italia.

  3. Corrado S. Magro
    giovedì, 29 Settembre 2022 alle 11:44 Rispondi

    Perdonate se pongo la problematica in un’ottica diversa:
    a) In primo luogo l’inglese è la lingua anglosassone, la più impregnata di termini latini. Da dove li hanno presi e perché? Che non ci stia anche un certo Cesare alla base?
    b) La lingua è una questione socio-economica. Il malessere considerato, sentito, tra queste righe lo sentivano i popoli che venivano colonizzati (meglio assoggettati) dalla potenza romana dilagante. Fenomeno che ieri come oggi si ripete a tutte le latitudini con più frequenza per una struttura intercomunicante differenziata e facilmente adottata grazie a una comunicazione più stereotipata.
    Il rimedio? Facciamo dell’Italia un paese in grado di essere preso in considerazione sotto tutti i punti di vista ma in particolare economico, sociale e tecnico e saremo noi a introdurre l’italiano nei “salotti” oltre confine.
    Attila, parlava correntemente latino. Era ambasciatore a Roma se non erro!

    • Daniele Imperi
      giovedì, 29 Settembre 2022 alle 14:09 Rispondi

      Anche secondo me i termini inglese derivati dal latino sono dovuti alla pax romana di Cesare.
      Questo abuso di inglese suona un po’ come un assoggettamento della nostra lingua a quella anglosassone e, dunque, alla sua cultura.
      Dobbiamo tornare una potenza mondiale, concordo in pieno.

  4. vonMoltke
    domenica, 2 Ottobre 2022 alle 14:20 Rispondi

    Buongiorno Daniele, con me qui sfondi una porta aperta (l’ennesima).
    Oltre a tutto ciò che hai detto, e che sottoscrivo, io ormai trovo fastidiosissimo l’uso a sproposito di termini inglesi a scapito di parole che non solo in italiano esistevano, ma che sono state usate sino a pochissimo tempo fa, per lunga pezza e senza che abbiano mai dato il sospetto di una propria intrinseca pesantezza o inadeguatezza. In casi del genere (non chiedermi esempi, il loro nome è già legione) si tratta non di prestiti linguistici (ci si fa prestare ciò che non abbiamo e ci serve urgentemente) ma di puro vandalismo linguistico.
    Altro punto appena sollevato: l’inglese è pieno di termini derivati dal latino, e passi. Ma tu stesso hai sottolineato in più punti che una purezza linguistica totale è qualcosa a cui non punti perché chiaramente impossibile. Totale dev’essere l’intolleranza per il vandalismo linguistico proprio perché la smodata tolleranza, mutatasi ormai in servilismo, ha aperto la porta al disastro attuale: siamo un Paese abitato da milioni di giovani e giovanissimi che già usano termini inglesi senza neppure saper parlare decentemente la propria lingua madre. In secundis, vorrei far notare che l’inglese ha importato un buon numero di termini neolatini più che da Roma, dalla presenza normanna, che ha re-importato termini derivati dal latino tramite il francese (che era già di suo un ibrido nato dalla fusione del franco e del celtico su di una robusta base latina). Giusto, ma non vorrei che questo serva da giustificazione per l’abbandono dell’italiano: intanto perché non siamo ridotti come i sassoni dopo la conquista normanna, che, poveri loro, non potevano farci granché. E poi perché all’epoca non esisteva ancora una questione linguistica, dato che neppure si erano formate le lingue nazionali. Noi, a differenza degli anglo-sassoni del XII secolo, abbiamo sia una lingua nostra che un patrimonio letterario e culturale legato alla stessa fra i primi al mondo. E lo stiamo facendo cadere in obsolescenza senza neppure esserci chiesti se davvero non ci serva più. Fra le altre cose, ricordo che negli ultimi anni ho dovuto avere a che fare con delle Literary Agency con sede a sud delle Alpi senza che nessuno mi abbia mai spiegato cosa avessero in più delle solite agenzie letterarie. E mi fermo qui, perché la discussione mi porterebbe (inevitabilmente) molto, troppo lontano.

    • vonMoltke
      domenica, 2 Ottobre 2022 alle 14:30 Rispondi

      Un’ultima aggiunta, spero me la perdonerete: hai parlato del greco e della miriade (altro termine ellenico) di termini che ci ha donato. Ma là c’era un rapporto di arricchimento culturale che creò letteralmente la civiltà di Roma su base ellenizzante. Dalla Grecia ci arrivarono una marea di cose che prima gli italici non avevano o avevano in maniera rudimentale: teatro, filosofia, geometria, architettura, estetica, et caetera… Ovvio che ci servissero anche le parole (e l’elite romana parlava anche molto bene il greco). Cosa ci danno gli americani che non avevamo? Un modello economico che ci sta portando in miseria. Per il resto, se siamo senza parole non è certo per questo che abbiamo necessità di importarle da oltreatlantico.

      • Daniele Imperi
        lunedì, 3 Ottobre 2022 alle 8:17 Rispondi

        Arricchimento culturale: verissimo, cosa che non abbiamo dagli inglesismi né dalla loro cultura.

    • Daniele Imperi
      lunedì, 3 Ottobre 2022 alle 8:15 Rispondi

      La sensazione è che i nostri termini siano diventati inadeguati, e quindi vanno sostituiti con quelli inglesi.
      “Vandalismo linguistico” è la definizione giusta di quanto avviene.
      Altra giusta osservazione: ci sono neolaureati che scrivono coi piedi, però i loro testi sono infarciti di anglicismi.
      In norvegese infatti ci sono diversi termini provenienti dal francese, come informasjon, bil (automobile, da automobil), ecc.
      Gli anglicismi, infatti, stanno snaturando il nostro patrimonio linguistico e culturale, ma pare certi parlanti non se ne rendano conto o, peggio, non se ne curino.

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