L’ibridismo è una caratteristica dell’interferenza dell’inglese che non si registra nel caso di altre lingue. E la consistenza del fenomeno appare rilevante non solo numericamente, ma anche per la frequenza d’uso di molte parole.
Antonio Zoppetti, “L’inglese nell’italiano: espansione per ibridazione”, Treccani
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Dobbiamo prendere atto di una triste verità: la lingua italiana sta diventando sempre più una lingua ibrida, in cui le nostre belle e facilmente pronunciabili parole si mescolano con quelle meno belle e spesso difficilmente pronunciabili e comprensibili della lingua inglese.
“Belle” alle nostre orecchie, ovviamente, nel senso di familiari, appartenenti alla nostra cultura, al nostro passato, proprie di un’identità in cui ci riconosciamo.
Quello che sta avvenendo in Italia negli ultimi anni – sopratutto nel XXI secolo – è un fenomeno unico nella nostra storia, perché mai si era verificato prima. Io ho ormai qualche decennio sulle spalle e non ricordo che negli anni ’70, ’80 e ’90 ci fosse questo insensato e frequente ricorso all’inglese, che ora si riscontra in qualsiasi contesto.
Se prima il motivo stava nel “darsi un tono” – i forestierismi danno ai parlanti l’impressione di essere più acculturati della media – adesso, con il proliferare degli anglicismi, degli incoscienti adattamenti (downloadare, screenshottare, photoshoppare, e via dicendo) e dei composti ibridi si tratta di vera mania.
Ciò che lascia perplessi è che tutto questo avvenga senza che nessuno vi ponga un freno. Chi dovrebbe frenare la corsa agli anglicismi? Le istituzioni, come minimo. Purtroppo in Italia abbiamo istituzioni nel campo sociale, religioso, politico, culturale ma non linguistico.
La lingua ufficiale di una Nazione rappresenta il simbolo di un’identità sociale comune e condivisa, nonché il veicolo del suo patrimonio storico e culturale.
Celeste Chiariello, “Ufficialità della lingua italiana”, Treccani
Se pensiamo che l’italiano ancora non è presente come lingua ufficiale nella Costituzione – la prima proposta risale addirittura al 1998, un quarto di secolo fa – non deve meravigliarci che ci sia questo totale menefreghismo nei confronti della nostra lingua. E anche disprezzo, se vogliamo essere più duri con il fenomeno degli anglicismi.
La questione degli ibridi
Cercando il termine “ibrido” sul dizionario (scomodo ancora il Treccani), uno dei significati è: “Di cosa formata di elementi eterogenei che non legano bene tra loro”.
Sia chiaro: la nostra lingua ha subito da tempo il processo di ibridazione, anche se in passato le interferenze di altre lingue (specie quella inglese) non erano invasive come si registrano oggi.
Da una parte esistono i composti ibridi, e il Treccani fa l’esempio di automobile, formata da un elemento greco e uno latino. A molti, me compreso, sarà sfuggito. Ricordo che anni fa avevo contestato paninoteca per questo motivo: un elemento italiano e uno greco, non facendo caso ad automobile.
Possiamo “giustificare” – e accettare, quindi – questi composti ibridi nella nostra lingua perché limitati alle lingue di due grandi culture, latina e greca, che ci riguardano da vicino e cui l’italiano e la cultura stessa italiana devono molto, se non tutto.
Purtroppo oggi dobbiamo fare i conti con un altro tipo di composti ibridi, di cui possiamo fare benissimo a meno, come per esempio moda baby (moda per bambini), zanzara killer (zanzara assassina), libro-game (libro-gioco) e parecchi altri.
Ma non è finita qui, perché il Treccani fa anche l’esempio di un fenomeno forse ancor più preoccupante, quello del linguaggio ibrido «in cui siano mescolati vocaboli e locuzioni appartenenti a lingue o parlate o ad ambienti sociali diversi».
LinkedIn è una “miniera”, in questo senso: io sono costretto a smettere di leggere molti articoli (pardon, molti post) che trovo perché pieni di anglicismi. Nella risposta a un commento che avevo lasciato il tipo scrisse che l’azienda avrebbe dovuto fare un survey (non un sondaggio, per carità) e che non era la prima volta che quella industry (non industria o settore, non sia mai)…
Chiaro esempio di linguaggio ibrido. Ma ho trovato anche chicche come pratica del list cleaning e il job to be done della newsletter. Caliamo un velo pietoso. Ma cosa dovrei capire in quest’accozzaglia di parole?
La favola delle parole inglesi intraducibili
Non esistono parole intraducibili, ma parole che non si vogliono tradurre.
Per come la vedo io, è sempre una questione di volontà. Oggi stiamo importando in modo scriteriato espressioni su espressioni inglesi, dal green washing al social washing, dal body shaming al catcalling, dal catfight al fact-checking e a chi più ne ha più ne metta.
Davvero sono necessarie espressioni insignificanti come queste? Per quale motivo dobbiamo adottare il modo di esprimersi degli anglofoni? Perché quello è il loro modo di esprimersi, non il nostro. Fa parte della loro cultura e della loro identità, non delle nostre.
Quando contestai questo brutto vizio, mi fu risposto che è dal mondo inglese che arrivano queste espressioni. A parte che non sono sicuro che sia così, ma se anche fosse? Dobbiamo fare i pappagalli e ripeterle senza fare un piccolo sforzo di tradurle? Dal momento che sono atteggiamenti/modi di fare/abitudini (confesso di ignorarne i significati) esistenti anche in Italia, dunque possiamo chiamarli a modo nostro.
Anche competitor, brand, keyword, food, travel, automotive, tax, influencer, engagement, sold-out (e centinaia di altre che ometto) provengono dal mondo inglese: in Italia non abbiamo mai avuto concorrenti, marchi, parole chiave, cibo, viaggi, auto e motori, tasse, persone influenti, coinvolgimento, tutto esaurito?
Anglicismi e inclusività: 2 pesi e 2 misure
In una mia chiacchierata virtuale con Antonio Zoppetti è emerso un controsenso che da tempo avevo notato. Il linguaggio inclusivo prevede due grandi modifiche al modo di parlare e scrivere:
- la declinazione al femminile di alcune professioni e cariche istituzionali (ingegnera, ministra, sindaca, ecc.);
- la reduplicazione di maschile e femminile (care lettrici e cari lettori, gli infermieri e le infermiere, ecc.).
Dunque, esiste una volontà di esprimere alcune parole in modo più appropriato, non escludendo la categoria femminile, in questo caso.
La domanda, ora, sorge spontanea: per quale misteriosa ragione manca la volontà di esprimere le tantissime parole inglesi in italiano? Perché questo totale disinteresse che sia esclusa la enorme categoria dei non-aglofoni?
Non tutti comprendono l’inglese, ma sopratutto nessuno di noi italiani è tenuto a conoscere l’inglese per comunicare coi propri connazionali o, peggio, per leggere i testi dei siti istituzionali.
Alcuni sostengono che simili parole o espressioni siano più evocative (cosa assolutamente non vera, visto che si tratta di una lingua diversa dall’italiano) o ne difendono la brevità. Anche in questo caso dobbiamo parlare di 2 pesi e 2 misure: quando si pretende di scrivere “i professionisti e le professioniste” la brevità non conta, ma per catfight e fact-checking sì.
L’italiano viaggia verso l’incomprensibilità
Se oggi la situazione non è ancora disastrosa – si stimano circa 9.000 anglicismi nella lingua italiana, non certo pochi – fra qualche anno a che punto saremo?
E fra 20 anni? Fra 30?
La lingua italiana diverrà sempre più incomprensibile, quando la soglia degli anglicismi passerà dall’1% di oggi magari al 20%.
Si potrà ancora parlare di una lingua italiana?
Corrado S. Magro
“Se la mia mail è un post fatto ap-posta per non viaggiare con la posta ecco che trovo un posto fuori la posta. Cos’è l’apostasia? Che “l’a-posta-sia e la posta fu”. 😎! Scherzi a parte, l’italiano è una delle lingue “essenziali “, pulite, riferita ai suoni emessi dalle corde vocali (le parole). Permetteva fine anni 80 del secolo scorso ai primi computer IBM di trascriverlo sufficientemente bene (vedi anche finlandese, russo, eccetera). L’inglese, schiamazzo da pollaio, era e resta una sfida, moderata in qualche modo dall’italo o siculo-brooklin 🤣. Il cinese, p.e., è ben peggio dell’inglese.Provare per credere! L’ibridazione è un fenomeno economico, sociale, politico che, nel periodo storico attuale, interessa tutte le società con un qualche rapporto con il mondo occidentale, specialmente “gringo” (considerato all’est per matrice). Quel gringo che alla colt ha sostituito l’arsenale atomico e il dominio tecnologico grazie agli oriundi dei barbari (il mondo nostro europeo) o di chi naviga volente o nolente nella rotta USA/anglosassone. Anche i francesi, sciovinisti per antonomasia, lentamente si lasciano contagiare.
Daniele Imperi
Sono d’accordo: l’ibridazione è un fenomeno economico, sociale e politico. Se prima era confinata a pochi settori, ora li ha invasi tutti.
Franco Battaglia
A me già “ibridazione” sembra un azzardo linguistico, tipo “resilienza” ormai, e purtroppo, di uso comune, mentre l’inglese ormai tracima irrefrenabile. Credo siamo in caduta libera, anzi in free fall per essere più chiari.. ahah
Daniele Imperi
Ibrido però viene dal latino, quindi non c’entra l’inglese qui. Ma anche resilienza.
Sulla caduta libera concordo: ormai gli anglicismi entrano nell’italiano a velocità pazzesca.
Orsa
Mi sa proprio di no, e io sono contenta di non esserci quando sarà
Ho notato che queste intrusioni restano confinate nel linguaggio scritto (raggiungono l’apoteosi nel linguaggio a uso social). In quello parlato non sono poi così pervasive. Forse ci si vergogna? Io infatti lo trovo un modo parecchio ridicolo di esprimersi.
Ah l’italiano scandito e il linguaggio forbito di persone come Zavoli o Notari. Poi dice che uno è nostalgico…
Daniele Imperi
Le intrusioni dell’inglese sono più numerose in forma scritta, e sui social, è vero, ma si sentono anche in TV. Nel parlato, almeno nella mia cerchia, le sento di rado.
Trovo anche io ridicolo esprimersi in quel modo.