Oggi voglio svelare qualche segreto dell’editing. Anzi, lo farà un amico editor conosciuto tempo fa su un forum letterario e poi di persona a una cena qui a Roma. Parlo di Raffaele Serafini, in arte Gelo Stellato. Ho voluto proporre a Raffaele dieci domande sul lavoro dell’editor. Leggiamo insieme quest’intervista.
Qual è il valore dell’editing?
Che cosa rappresenta, secondo te, l’editing in un romanzo?
Confronto, soprattutto confronto. Spesso, soprattutto quando si parla di esordienti, di self-publishing e di editori a pagamento, temo quasi che si dimentichi il ruolo primario dell’editing. Non è (solo) correggere e limare, piuttosto che modificare o spostare un testo. Un editor è un lettore, e anche l’autore, lo è. Sono i primi due lettori di un’opera letteraria e sono per questo coloro che maggiormente ne hanno a cuore e sono responsabili della sua onestà e qualità.
Editing o riscrittura?
Molti editor riscrivono frasi o interi brani dell’autore. Altri danno consigli e segnalazioni su come migliorare frasi e brani o interi capitoli. Che cosa è veramente l’editing: una riscrittura del manoscritto, o di una sua parte, o un insieme di consigli che ne rendano più efficace la comunicazione?
“Riscrivere” è una brutta parola. Inganna… direi più un “modificare in maniera forte”, quando quest’atto viene da parte dell’editor. Ci sono, certo, momenti in cui una riscrittura è necessaria, per esempio quando è la struttura di un enunciato – o di un intero paragrafo – a necessitare di una rivoluzione. Ma non bisogna cadere nella sindrome del Lenny Kravitz dei primi dischi, che leggenda vuole suonasse tutti gli strumenti perché si stava meno che insegnare ad altri come dovevano suonarli. A volte far riscrivere l’autore partendo da altri presupposti strutturali può portare a risultati inattesi anche per lo stesso editor. E poi, alla fine, c’è sempre l’ipotesi finale del “Senti, questa frase proprio non mi viene, provi tu?”
Perché alcuni aspiranti scrittori non comprendono l’editing?
Molti nuovi autori snobbano l’editing. Sono convinti che nessuno debba toccare il loro testo, che perfino sia inutile questo processo. C’è ignoranza in materia di editing, secondo te, o piuttosto si deve parlare di immaturità degli autori?
È una fisiologica ingenuità dovuta all’inesperienza. Potrei paragonartela al trovare qualcosa “originale” o meno. Più leggi cose, più è difficile incontrare plot originali, e questo è ovvio. Non vedo perché non deve valere lo stesso sullo scrivere: l’inesperienza impedisce di vedere miglioramenti potenziali o veri e propri errori, e se aggiungi la fatica spesa per arrivare allo scritto finale… be’, è comprensibile una certa ritrosia e persino un pizzico di superbia. Purtroppo a volte, complice una cultura molto bassa, figlia di un’infima quantità e qualità delle letture, si giunge all’idea che “scrivere un libro” è semplice, alla portata di tutti e non necessiti di esercizio, esperienza e conoscenze. E così succede di sentir dire decine di volte l’anno la frase “Ho deciso che scriverò un libro” e sue simili. L’idiosincrasia dell’editing è figlia di ciò.
Editing e self-publishing: un binomio vincente?
Se affidi un manoscritto a una casa editrice, sarai seguito poi da un editor. Ma molti autori indipendenti scrivono, correggono da sé – o fanno rileggere da un amico – e vendono il loro romanzo. Quanto è importante per te affidarsi a un editor prima di mettere in vendita il proprio ebook?
Dipende dalla serietà e dall’ambizione di chi scrive. Io dico solo questo: fare il primo passo con un pessimo libro, soprattutto se viene un po’ considerato, è un buon modo per tagliarsi le gambe per sempre. Sono uno che ha letto e leggere parecchie opere prime di esordienti, e so che certi nomi, certe scritture, sono tatuate nelle mie difese immunitarie. “Mai più” sento gridare dentro di me se vengo a contatto con quei nomi. Quindi sì, il self publishing è una bella cosa, utile, a volte, e a volte un vero trampolino di lancio per l’autore. È un peccato “sputtanare” quest’arma con un prodotto acerbo e/o approssimativo e/o frettoloso. Soprattutto quando si punta in alto.
A chi spetta l’ultima parola?
Parliamo del caso di un manoscritto che sarà pubblicato da un editore. Quanto conta la parola dell’autore? Sarà sempre costretto ad accettare i consigli dell’editor?
Ho poca esperienza da entrambi i lati, per dare una risposta esaustiva. Ma ne ho abbastanza per poterti dire che un buon editor e un buono scrittore trovano un accordo. Se non accade c’è qualcosa che non funziona alla base: forse la casa editrice non è quella adatta per quel tipo di prodotto?
Dico così perché negli altri casi, alla fine, sto dalla parte della casa editrice, per due motivi, interconnessi: è lei che rischia di più, se il libro non va, e il libro è un prodotto complesso, e l’ars dello scrittore non ne è che una parte. Lo scrittore scriverà ancora, altro e/o con altri, anche dopo aver accettato un compromesso. La casa editrice non è detto.
L’editing commercializza o migliora un manoscritto?
Io vedo l’editing come un dialogo fra autore e editor. Ho imparato questo leggendo un articolo di Daniele Bonfanti e mi sono trovato d’accordo. L’editing, secondo me, deve migliorare un manoscritto. Per molti, però, editing significa trasformare un’opera letteraria in un’opera commerciale, ossia puramente vendibile e senza più un valore artistico e letterario. Qual è la tua opinione al riguardo?
Che questo utilizzo del termine “commerciale” è semplicistico e riduttivo. L’editing migliore, è la sua natura e il suo obiettivo. Nel farlo può e deve cogliere le occasioni di “commercializzare” uno scritto, nel senso di renderlo adatto alla fascia di mercato a cui vuole rivolgersi e al come vuole rivolgersi. E dicendo ciò sono proprio all’antitesi dell’assenza di valore artistico e letterario: appartengo mio malgrado a quelli che pensano e continueranno a pensare che le cose belle avranno e meriteranno spazio. Anche nel mercato, sì.
Un editor per ogni genere letterario?
Pensiamo al self-publishing. Uno scrittore che voglia affidarsi a un editor deve tenere conto del genere narrativo che scrive? Esistono editor più preparati per un genere che per un altro? Che cosa consigli a chi vuole pubblicare da sé per la prima volta?
Domanda difficile. Sì, senza dubbio ci sono generi in cui si può faticare a “editare” quando non se ne ha una conoscenza approfondita. Ma io ho sempre fatto anche una riflessione. Se si parte dal presupposto che un editor “non ad hoc” non riesca a confrontarsi con un certo tipo di testo, bisogna immaginare che nemmeno un lettore attento e capace, ma “non ad hoc”, vi riuscirà. Sarebbe come dire che uno scrittore di fantascienza dovrebbe essere letto solo dagli scienziati… ed è ridicolo. Uno scrittore vuole essere letto, ed essere letto anche da chi non è amante del suo genere, ma riesce a comprendere e apprezzare. Credo sia una tra le massime aspirazioni e soddisfazioni, per un autore. Un editor è, e deve essere, quel tipo di lettore.
Si migliora come scrittori dopo un editing?
Se è vero che l’editing migliora un manoscritto, allora penso che al mio successivo romanzo da scrivere affronterò la storia con capacità strutturali e comunicative migliori della volta precedente. È vero, secondo te, questo assunto?
Vero. Non serve nemmeno dilungarsi. Ogni volta che tu accetti una correzione o un suggerimento perché la ritieni migliore, sei un autore migliore. E lo sei anche quando dopo aver trovato un’altra soluzione, hai rifiutato una modifica.
L’editing modifica lo stile dello scrittore?
Quanto va a intaccare lo stile di scrittura un lavoro di editing? Secondo me non ha nulla a che vedere – ricorderai l’editing al mio racconto per i Corti – ma puoi tranquillizzare gli scrittori cadetti che temono uno sconvolgimento totale del loro amato stile?
Lo stile di chi riceve un editing con molte modifiche è solitamente ancora acerbo. È fisiologico. Quando uno stile comincia a essere acquisito, e dominato, solitamente l’editing finisce per interessare altri aspetti, come la struttura generale del testo, piuttosto che l’intreccio, o perché no, variazioni della trama. Non mi sento di tranquillizzare nessuno, quindi. Se uno percepisce uno stravolgimento al suo stile, c’è la forte probabilità che questo stile non esista ancora, o meglio, sia ancora caratterizzabile. E poi ci sarebbe anche il discorso delle derive di stile. Io stesso, per farti un esempio concreto, ho la tendenza a dare troppa poesia, a certi passaggi, appesantendo sia strutturalmente sia lessicalmente le frasi. È una deriva, un passaggio successivo che mi sono reso conto di aver superato. E sono stati proprio alcuni rilievi di editing su questo aspetto a darmene la percezione.
Come lavora Raffaele Serafini?
«Ciao, Raffaele, ecco il mio manoscritto.» Da questo momento in poi puoi descriverci tutto ciò che farai per rendere quel testo un romanzo da vendere in libreria?
La prima cosa che ti dico è che “Non ho tempo”.
Purtroppo la vita richiede attenzioni, e riesco a essere affidabile solo per racconti brevi o di media lunghezza e su tempi non brevissimi. Non è un buon viatico, lo so, ma è solo per rimarcare che, per fare un buon lavoro, non si può diluire troppo una lettura. C’è un mood del testo che va colto e mantenuto.
Tecnicamente, mi affido alla qualità di buon lettore. La prima lettura è quella che mi dà, di solito, indicazioni sulla maggior parte delle problematiche di tipo sintattico, delle ridondanze e della coerenza interna di un testo. Alla fine è una lettura che equivale a quella del lettore medio, che con attenzione media legge un testo e lo valuta alla fine dell’ultima pagina.
Ecco perché qui, se qualcosa funziona, ma non è corretto, capita che non me ne accorga e ritengo sia bene così. Ecco perché sempre in questa fase vi è anche il grosso della correzione bozze.
Poi, a testo pulito, ovvero dopo un confronto con l’autore su tutti i rilievi, vi è una rilettura (a voce alta, is better) che tiene conto di melodia e struttura generale. Qui si può migliorare il testo a livello di suono e soprattutto farsi qualche domanda sull’opportunità di tagliare/aggiungere/spostare qualcosa. Poi dovremmo essere a buon punto. Se il testo è valido inizialmente la rilettura finale dopo il secondo confronto può restare tranquillamente nelle mani dell’autore e tanti saluti.
L’intervistato
Raffaele Serafini (Udine, 1975), laureato in materie economiche, un master in insegnamento della lingua friulana, lavora nell’ambito dell’istruzione secondaria ed è un rimestatore culturale per natura e creativo per inerzia. Scrive poco, edita poco, ma fa un sacco d’altre cose. Per scoprirle è sufficiente partire dal suo blog.
Salvatore
Io ho una domanda: perché un editor, se è così bravo a scrivere da poter dare suggerimenti sulla scrittura ad un autore, non è egli stesso scrittore? Ammesso che un editor non possa anche scrivere “creativamente” per professione contemporaneamente al suo lavoro. Scusate l’arroganza implicita nella domanda. Grazie.
Daniele Imperi
Domanda pertinente, ma l’editor dà consigli sulla struttura, la comunicazione, ecc. Ma vediamo che cosa risponderà Raffaele appena avrà tempo.
gelo
Allora, rispondo un po’ alla volta partendo da qui.
è una domanda ottima, certo, perché anche io me la faccio, e me la sono fatta, in passato. Ma mi sono dato una risposta ogni volta che sono stato editato da qualcuno (e non necessariamente, da uno bravo eh). Ci sono tante risposte. La prima che mi fai venire in mente è semplice, è lo stesso perché di un imbianchino che non è un pittore e viceversa. Sono due lavori diversi, mi pare, ma di pari dignità, per quanto mi riguarda. E certo, mentre può essere che un imbianchino, l’editor, possa essere anche un bravo pittore, perché no, non è detto che ciò gli piaccia o che quella fase creativa sia per lui. Così come un pittore non è detto – pur avendone in potenziale gli strumenti – che sia o diventi per forza un buon pittore. Insomma, sono attività diverse, lo scrivere una storia e il correggere e gestire una storia già scritta. In secondo luogo, è anche vero che più lavora con un editore, e più uno scrittore ne ha meno bisogno, o comunque ha bisogno di interventi molto meno invasivi. anzi, forse è proprio une tensione asintotica al non averne bisogno, il migliorare di uno scrittore.
Poi, e direi che chiudo con i motivi, l’editor, ma così come le scrittore, non sono proprio due mestieri separati, ed è sciocco pensarli così. dico questo perché la rilettura da parte dell’autore è quella che porta il libro ad essere perfetto, ma è una perfezione “per lui”, che non è per altri e non è assoluta. Un autore vede le cose a suo modo, e spesso è proprio una visione diversa, un altro punto di vista, a dargli delle aperture che non immaginava ci potessero essere. Lo stesso vale, e non vedo perché non dovrebbe, per l’editor quando scrive. Insomma… diciamo che facendo entrambe le cose, è una domanda a cui ho avuto molte risposte.
franco zoccheddu
In effetti l’arbitro di una partita non è detto che sia un giocatore, non comunque della categoria di chi egli arbitra.
Kentral
Articolo molto interessante, grazie.
Se possibile vorrei aggiungere tre brevi domande.
Come scegliere un buon editor. Quali caratteristiche identificare: approccio, porfolio ecc…
Costi. Dando per scontato che il tempo vada giustamente retribuito e che il prezzo possa variare a seconda della quantità di lavoro svolto, quali sono i costi medi di un buon editing?
Tempi. Quanto può durare un buon editing? Chiaramente ogni storia è a sé. Ma sarebbe interessante avere qualche feedback.
gelo
Cosi tempi che ti lascerò metti questo, che vale per me, e solo per me. Io leggo, alla prima lettura correggo la maggior parte degli errori di correzione bozze, segnalo buona parte delle frasi non chiare o sintatticamente non buone, e faccio i primi rilievi e commenti sulla scorrevolezza generale del testo, eventuali buchi ecc. è la fase più lunga
poi rivede l’autore, magari con qualche indicazione, se è evidente, su eventuali spostamenti o modifiche nella struttura da fare.
poi con il testo pulito vi è una lettura complessiva che, si spera, dovrebbe essere fluida e permettere di capire se ci sono altri difetti, che magari nel magma delle correzioni non si vedono.
pOi stop. Con i tempi che ti dirò puoi giudicare tu.
ora scappo, a più tardi.
Salomon Xeno
Una domanda non banale, che un autore autoprodotto (alle prime armi) potrebbe avanzare, è la seguente: dove lo trovo un buon editor? Domanda che non riguarda chi si affida a un editore (serio), che immagino proponga un suo editor. L’abbaglio da cui l’aspirante può essere distratto è dato dall’ampia offerta di servizi editoriali, sia di agenzie letterarie sia di editor freelance, fra i quali potrebbe essere tentato di scegliere la proposta più economica. Per cui, a un editor, io chiederei: come può valutare, chi non ha strumenti né esperienza, il lavoro di un professionista del settore?
gelo
Allora, esiste una teoria economica, figlia di Nash, che vede il perseguimento dell’ottimo economico attraverso una contrattazione successiva. Si chiama teoria dei contratti incompleti. Ecco, è perfetta per questo genere di scambio. Lo scritto è un elemento che per un certo tipo di valutazione può esser considerato scindibile. Quindi un buon modo per sapere se vale la pena è questo: chiedere, ma spesso è lo stesso editor che te lo propone, di farsi editare alcune cartelle di una storia, per prova, su quelle valutare la proposta economica che ti viene fatta. Non so se mi son spiegato… Se il lavoro che vedi ti viene fatto sul tuo testo ti soddisfa, e ti rendi conto che esso migliora, allora vale la pena chiedere un prezzo a cartella, allo stesso modo, l’editor, che ha comunque un test di tempi che il lavoro richiedere, può gestire al meglio la sua proposta. Chiaro, è un rischio per l’editor (il più delle volte, te lo dico per esperienza, il potenziale scrittore svanisce, anche se penso a volte sia perchè ha abbandonato l’idea di essere scrittore )
franco zoccheddu
Scusami ancora, Salvatore, è che mi hai ispirato una serie di ragionamenti che circolano dalle mie parti (scuola).
Credo che la tua obiezione potrebbe anche essere considerata analoga all’obiezione di uno studente che richiedesse (pretendesse) dal docente di, che so, Italiano, che lo stesso docente svolgesse anche lui il tema ogniqualvolta ne assegna uno alla classe: e io sono d’accordo che il docente lo faccia! Il fatto è che nella vita non c’è il tempo per tutto. Penso che, tecnicamente, saper scrivere bene e saper inventare bene non siano del tutto la stessa cosa, e che l’editor svolga un ruolo squisitamente “a posteriori”.
Insomma, per chiarire: un traduttore di romanzi dall’inglese conosce benissimo come si traduce, ma potrebbe non essere capace di scrivere un romanzo in inglese. Questo equivale automaticamente a non essere ben preparato in lingua inglese scritta?
Tutto ciò per esprimere la mia idea: le cose non sono mai semplici né scontate.
Secondo me sei tutt’altro che arrogante: fai una domanda ottima!!!
Tenar
Ho trovato l’articolo interessante.
Io non ho esperienza di editor free-lance, ma solo di editing fatto con le case editrici.
In generale sui miei testi si è sempre trattato di un intervento più leggero di quanto mi aspettassi, per il romanzo abbiamo tagliato delle ridondanze. In un racconto (pubblicato con GialloMondadori) mi è stato spostato l’ordine delle parole in una frase, in un altro, con Delos, sono stati sostituiti alcuni termini. Questi due interventi (minimi) sono gli unici che ho trovato direttamente sulla pagina stampata, mentre nelle altre esperienze anche lo spostamento di una virgola veniva concordato, quindi la paura che il testo venga stravolto credo sia del tutto infondata.
Ultimamente per un romanzo che (forse) verrà pubblicato a gennaio 2015 sono stata invitata a riscrivere un capitolo, in effetti non funzionava e il confronto con l’editor/curatore (nelle case editrici medio-piccole i ruoli spesso si accavallano) mi ha aiutato a trovare una soluzione alternativa (non so ancora se sia piaciuta, a me trovarla sì, molto), per cui mi è sembrato di capire che un editor cerca sempre (o quasi) di non intervenire in prima persona sul testo, ma di rendere più consapevole l’autore.
In generale ho capito che quello dell’editor e quello dello scrittore sono talenti diversi. L’editor legge tantissimo al punto da saper capire (giuro) di un testo anonimo età, sesso e professione dell’autore (ho visto un editor indovinare che un romanzo era stato scritto a quattro mani da un lui e una lei e individuare chi aveva scritto cosa, alla prova dei fatti aveva ragione). Magari un editor non è in grado di creare una storia originale, ma di capire se funziona e dove è migliorabile lo sa fare meglio di uno scrittore.
Per quanto riguarda gli editor free-lance, io, appunto, non ho esperienza e devo dire che non saprei come capire se ho a che fare con uno bravo o no, vuoi per la mancanza di scuole specifiche, vuoi perché non saprei da come posso giudicarlo, quindi mi associo alle domande di Salvatore e Kentral: come si sceglie un editor indipendente? Su cosa si basano i costi?
gelo
Tenar, hai praticamente detto tutto e detto bene. Se lo sapevo prima te la facevo fare a te, l’intervista.
A parte gli scherzi, hai centrato esattamente, per esperienza diretta, vedo, la questione del rapporto tra i due. E ti posso dire anche che la differenza tra editor free lance e quello di casa editrice è e dovrebbe essere minima. Salvo ordini dall’alto, su certi aspetti dei testi (che ne so, a me è capitato di vedermi correggere delle scene forti in quanto sì, adeguate, ma la linea editoriale non voleva l’utilizzo di certi termini e bla bla, ed è giusto così, eh) direi che gli obiettivi sono gli stessi, quindi non c’è differenza (tant’è che le persone sono le stesse)
Per il resto rimando a quanto già scritto, più o meno penso di aver risposto.
Tenar
… Ho scritto tantissimo, scusate, ma credo sia interessante condividere le diverse esperienze
gelo
premessa, odio tutti, perché avevo scritto una reply lunghissima e ovviamente non me l’ha pubblicato per cthulhusolosa quale motivo e ora devo riscrivere tutto, e abbrevierò.
Anzi, non abbrevierò, ma avendo letto molti spunti interessanti, vi rispondo stasera con più calma.
A presto!
ladyghost
Articolo molto interessante davvero! Scopro quasi per caso questo blog ed è davvero una sorpresa. Complimenti!
Daniele Imperi
Grazie Donata, io il tuo lo avevo già visto, anche se non ricordo come ci sono finito
Kentral
Pare che ci siamo persi l’utile feedback dell’edior. Peccato.
Consiglio comunque, quando si scrivono lunghi commenti, di utilizzare il wordprocessor, così da evitare rischi.
Scusa Daniele per i termini inglesi, ma ormai questi fanno parte del mio vocabolario.
Daniele Imperi
L’editor ha provato a rispondere, ma non sono partiti i commenti.
Rimedieremo presto.
Che cosa sarebbe il wordprocessor?
Kentral
Azz.. scusa, rimembranze degli studi d’informatica. Sono i programmi di video scrittura.
Word, Page, Scrivener ecc..
gelo
Va bene cari, ci riprovo, e se per wordprocessor intendi salvare il commento prima di inviarlo, lo farò.
Dunque:
partiamo con la prima
sappi, Salvatore, che è la terza volta, perdonami se non viene bene come le altre due che ho letto solo io
dunque
E’ una domanda più che intelligente se non altro perché me la facevo io quando scrivevo e basta, prima di essere editato da qualcuno. Diciamo che ci sono molti motivi diversi.
Potrei cominciare dicendoti che un imbianchino non è un pittore e viceversa, e non è detto che uno voglia o debba saper fare per forza entrambe le cose. L’imbianchino certo, può impegnarsi ma non è detto che riesca, così come sappiamo benissimo che il pittore/scrittore può dipingere una parete nel modo migliore, ma la cosa può non fare per lui.
Certo, entrambi lavorano alla stessa materia, lo scrivere, ma sono due attività completamente separate e benché simili, non vedo perché uno debba saperle fare entrambe, o gli debbano piacere, anche. Uno ama e sa costruire storie, uno è molto abile a migliorare storie già costruite.
Aggiungo, in seconda battuta, che uno scrittore, sia o meno uno che si occupa di editing, scrive sempre la storia perfetta, solo che è perfetta “per lui” e non per altri o per tutti. Serve un’altra visione, esterna, diversa, a volte più da lettore, e non di chi è dentro la storia, per poter capire dove essa può essere migliorata.
Il fatto di costruire un testo implica che alcune non-conoscenza vengono bruciate per sempre, nel senso che chi ha scritto dà per scontate certe cose che non lo sono. è molto facile accorgersi di questo, da scrittori, se si segue un buon vecchio consiglio che è quello di lasciar riposare un testo, nel senso di rileggerlo a distanza di qualche tempo perché chi lo ha scritto se ne possa “dimenticare” almeno un po’.
Poi, terzo, aggiungo, perché distinguere i due ruoli? Non è forse lo scrittore il suo primo editor? Certo che sì, e anzi, venendo editati è logico che vi sia una riduzione asintotica alla necessità di editing che diventa sempre meno invasivo. Però resta il discorso del giudicare se stessi, che è punto di vista fisiologicamente incompleto, nella rosa del giudizio. E’ dal lettore, che veniamo giudicati, e appunto, il primo lettore è necessariamente qualcuno che non è l’autore. Ho risposto? Per quanto mi riguarda diciamo che sono le risposte che mi portano a non farmi più questa domanda.
gelostellato
Allora, termino la risposta che ho lasciato a metà. quella sui costi.
Sto facendo, per conto mio, un test sui tempi, ovvero su un lavoro di 90k di un autore “medio” nel senso che non è affermato ma non è nemmeno alle prime armi.
Questo uno stralcio dei tempi:
5018 29
5192 17
4890 27
4778 25,5
4387 35,5
5013 28
4859 23
4767 31
4797 21
a sinistra i caratteri, a destra il tempo in minuti.
Ecco, dicaimo che se questo è la media tempo, aggiungendoci la lettura finale di cui si diceva, puoi facilmente farti i calcoli su quanto sia ragionevole chiedere come costo orario e se sia o meno giustificato l’ammontare proposto.
E’ ovvio, perciò, che dipende da quanto è necessario intervenire (e quindi perderci tempo)
gelostellato
Una considerazione poi volevo lasciarla sul discorso traduzione, dove penso, che invece, uno deve essere molto più vicino, per certi versi, a essere scrittori, o per lo meno a conoscere la scrittura di chi sta traducendo. traduttore e editor condividono la diversità di una attitudine e un compito rispetto alla scrittura, ma sono però diverse per il modo con cui entrano in simbiosi con la scrittura, più netto e interno, il traduttore (dirà meglio che può ciò che vuole dire lo scrittore), più vario ed esterno l’editor (valuterà se quel che ha detto l’autore è da dire o meno.
Kentral
Grazie Raffaele per le delucidazioni.
Se posso fare una mia considerazione, credo che la figura dell’editor acquisterà una maggior rilevanza nei prossimi anni. Ritengo che molte figure e servizi in seno alle case editrici rischiano d’essere superati dai tempi. Il Self Pubblishing è una nuova realtà che mina i decennali equilibri tra editore ed autore. Saranno sempre più gli autori consapevoli – quindi non parlo dello scrittorino fuori dalla realtà, che mette la parola fine al proprio romanzo ed in mezz’ora pubblica su Amazon – ma parlo di quegli scrittori attenti al proprio lavoro e che sanno che anche se in autonomia, pubblicare richiede tempo, concentrazione ed uso di figure professionali specifiche.
Io ad esempio, scavalcherò le case editrici, per il mio primo romanzo, senza alcun dubbio. Finito il mio lavoro e lasciato lì in un cassetto a decantare per mesi, così da poterlo rivedere a mente fredda e rileggerlo più da lettore che da autore, cercherò l’editor adatto, farò preparare la copertina da grafici professionisti e mi rivolgerò ad un’agenzia di webmarketing per promuovere in rete e sui social l’ebook.
Per me la fase dell’editore viene (se verrà) dopo. Se il libro riuscirà ad avere un suo primo pubblico, se i profitti dell’ebook instaureranno un circuito virtuoso dove i proventi ripagano le campagne di webmarketing, ecco che poi saranno gli editori a cercare te. L’editore in fondo vuole un mercato già pronto, un autore dove il rischio è minimo. Comunque, inutile dilungarsi su questi aspetti.
Riguardo agli editor invece, soprattutto quelli freeleance, vedo ancora poco entusiasmo a cavalcare questa nuova dimensione. Sono ancora poco visibili. Parlo di blog o siti vetrina gestiti in prima persona per farsi trovare sul web. Mi auguro che già nei prossimi mesi gli editor si espongano maggiormente così da poter concedere, a noi poveri autori, una possibilità di scelta superiore.
gelo
Sì, guarda, penso anche io che cambieranno molte cose. Alla fine il mondo dell’editoria sarà travolto come lo è stato quello della musica, e a poco valgono le finte del governo per difendere le grandi case editrici. In quel futuro è probabile che ci saranno spazi per altri ruoli.
Kentral
In tal senso l’editor potrebbe anche mutare o per meglio dire ampliare la sua figura professionale; nel suo percorso potrebbe acquisire contatti con grafici e agenzie marketing, così da poter prospettare all’autore, anche una consulenza di mercato più amplia e diversificata. Questo perché un’aspirante scrittore si trova ad affrontare per la prima volta certe problematiche e non tutti, anzi pochi, sarebbero preparati. Mentre l’editor seguendo di volta in volta gli autori acquisirebbe un’esperienza reiterata di grande valore professionale e commerciale.
Elisa
Molto interessante Raffaele, hanno già chiesto tutto quello che volevo sapere quelli che hanno postato prima di me!
gelostellato
ah beh, grazie! almeno vuol dire che qualche risposta l’ho data
gelostellato
Comunque, già che ci sono, proprio parlando dell’ultimo libro che ho finito di leggere stamane, e pensando all’evoluzione del mercato. mi va di fare qualche considerazione, che faccio qui, e poi magari le riporto sul blog mio e approfitto
Dunque.
C’è una legge in via di approvazione, del nostro amato Governo, che vuole portare alla detrazione fiscale del 19% per l’acquisto di libri, debitamente certificato. Bella cosa, voi direte.
Lo dico anche io, e trovo che la cosa dovrebbe essere generale.
Libri significa tutti i libri, da Volo al manuale per riparare la bicicletta, dai testi scolastici alla narrativa, dai libri per bambini a quelli comici…
Ed ecco la prima questione.
Dai libri cartacei ai libri digitali.
Anzi, visto che la lettura in digitale è crescente, soprattutto ai libri digitali. Vero? Perché il provvedimento, caro governo, minuscolo governo, lo stai facendo per agevolare, incentivare, diffondere la cultura, vero? O no.
Ma cosa sento, che la lettura digitale è completamente esclusa da questo provvedimento.
Perché.
Dante in digitale vale meno che su carta. La divina commedia è brutta, in digitale. Un libro di storia, in digitale, dove magari posso avere collegamenti web, vedere immagini, file, filmati, leggere i discorsi dei politici, comprare altri libri o articoli, informarmi meglio, ecco, questo libro è meno di cultura di quello cartaceo? Devo pensare questo?
Devo pensare che non si vuole che il ministero dell’istruzione promuova l’avvento del digitale nel mercato dei libri di istruzione permettendo alla famiglie con un irrisorio investimento in un e-reader ad hoc, magari integrato al banco, di risparmiare sui costi assurdi di libri magari promuovendo una selezione naturale dei testi un la possibilità di edizioni naturale fatte dai docenti stessi e quindi addirittura gratuite se fornite dal Ministero?
Ma certo, io non posso pensare che il Ministero dell’istruzione, qualunque esso sia, non voglia un avvento simile con così tanti miglioramenti.
Altrimenti mi verrebbe da pensare che, essendo il mercato editoriale italiano guidato da tre grandi gruppi, uno su tutti, il leader distrugge librerie, legato anche a un personaggio politico molto influente, si voglia rallentare – se non bloccare – la morte di un certo tipo di cartaceo che purtroppo nel nostro Paese pare essere ancora molto in voga e non volerne sapere di svecchiarsi. No, dai, non posso pensare questo.
Eppure…
E vengo alla riflessione.
Come sarà il libro cartaceo? Sarà diverso. Ci sono due tipi di qualità e i libri, con l’avvento della carta, dovranno evolvere in tal senso, così come hanno fatto o stanno tentando di fare i dischi. L’avete visto tutti cosa succede nei mercato musicale no?
Ecco. La direzione è quella.
Carta dovrà significare qualità del prodotto nella sua tangibilità, nel senso che dovrà essere bella la copertina, dovrà essere qualità, dovranno essere curati gli spazi, gli “a capo”, i contenuti in più, le immagini…. Prendete esempi come i libri che non possono avere un equivalente digitale. Prendete la Divina illustrata dal Dorè, piuttosto che la vecchia edizione della Storia infinita, quella blu e rossa. Eccola la strada. Ecco che io ti offro il libro di questo genere, se poi tu sei interessato al puro e semplice contenuto io devo, e dico devo, offrirti solo quello, in digitale, a prezzi bassi.
Perché fin che ti offro carta a prezzi che sfiorano i 20 euro, senza editing, con copertine fatte col paint, senza promozione, senza contenuti speciali, senza un cavolaccio di niente che abbia un valore, allora solo un povero deficiente spenderà quei soldi.
Ecco perché c’è questo muro delle case editrici, e di molti scrittori, ahimè, contro il digitale. Ecco perché al muro stanno aggiungendo mattoni anche le amministrazioni pubbliche.
Insomma… era una considerazione per esternera un pensiero che vede, è vero, spazio per due tipi di figure. Editor, che serviranno più al mercato digitale, e disegnatori/curatori di libri che serviranno molto al mercato della carta.
Poi okay, ora che ho riflettuto ad alta voce vi saluto e ringrazio Daniele per questa utilissima e bellissima intervista.
Daniele Imperi
Bella riflessione, Raffaele, e concordo in pieno. Grazie a te per aver accettato
Che cosa scrivere nei blog nel 2014
[…] Interviste tematiche: ho iniziato a farle da tempo. Non amo molto le interviste generiche, perché si finisce sempre per chiedere le stesse cose a ogni scrittore o professionista. Ho così deciso di pubblicare interviste su specifici argomenti che caratterizzano il personaggio. Intervista a Raffaele Serafini sull’importanza dell’editing […]
Migliorare la qualità della scrittura
[…] è la stessa cosa dell‘editing, ma è un processo più complesso e completo della semplice ricerca di errori di […]
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Volevo aggiungere una cosa sul perché l’editor non fa anche lo scrittore, nonostante gelo abbia già risposto (tra l’altro lo conoscevo già ma non ricordo dove l’avevo visto… Avremo litigato da qualche parte XD). Abbiamo dimostrato anche scientificamente che il cervello dello scrittore e quello del lettore funzionano in maniere diverse. Oggi un lettore comune può trovare errori in Tolstoj, anche se il lettore comune non scriverà mai guerra e pace. Non è che l’editor sia più bravo dell’autore: semplicemente, leggendo il testo senza averlo scritto come qualsiasi lettore, lo legge da un punto di vista privilegiato. Ciò che va bene all’autore potrebbe non piacere al lettore, e questo solo un lettore consapevole come un editor può mostrarlo. Inoltre, l’amico Giulio Mozzi è sia editor (non proprio, in verità…) che scrittore, quindi non è proprio vero che l’editor non scrive.
In genere una persona che scrive inesperta non rifiuta l’editing perché non ritiene il testo migliorabile, ma solo perché vuole che il testo sia tutto sua farina, in modo che, dovesse mai accadere, non si debba spartire la gloria dell’arte. Ma è anzitutto una questione d’amore e possesso: non vogliamo che un terzo modifichi il nostro testo così come non vogliamo che la morosa vada a letto con qualcun altro.
“Ma Michelangelo mica si faceva aiutare dagli altri”… Ma non è vero. Quasi sicuramente anche Michelangelo accettava pareri come “mah, io quel cielo l’avrei fatto più blu”. Si sa per certo, poi, che le dita di Adamo e Dio, le più famose dirà dell’arte.., non le ha fatte lui! La sua versione è crollata subito, e l’ha lasciata rifare a un suo allievo.
Ora, sembrerà strano da dire, visto che io stesso mi sono spesso proposto di editare testi altrui, ma se uno scrittore inesperto vuole davvero sentirsi il nuovo Tolstoj, ciò che gli consiglio è di far finta che la situazione sia questa: “editor,,il mondo dell’arte ha bisogno di me, e io non ho tempo per rileggere ancora questo testo. Pensaci tu, allenati, segna ciò che non ti convince, ché poi torno a controllare se hai fatto un buon lavoro.”