Ὅλον δέ ἐστιν τὸ ἔχον ἀρχὴν καὶ μέσον καὶ τελευτήν.
(Il tutto è ciò che ha principio, mezzo e fine)
Aristotele, Poetica, 1450b
Neve minor neu sit quinto productior actu fabula.
(La storia non deve essere più breve né più lunga di cinque atti)
Orazio, Ars Poetica, 189-190
Se fossi stato attento a scuola, anziché fantasticare con la mente e scarabocchiare il banco, mi sarei ricordato di cosa dicevano gli insegnanti sulla scrittura di un tema: inizio, svolgimento, conclusione.
Come se questo facilitasse il compito del novello scrittore. Eppure, quella era la chiave per risolvere il problema dei temi – per me scrivere temi era un problema serio. Perché quella suggerita dagli insegnanti che non ascoltavo era la struttura di una storia. E sì, anche un tema è una storia.
Quella struttura faceva stare in piedi il tema, serviva a sorreggere le idee e le opinioni espresse, serviva da guida per il lettore (l’insegnante) per capire cosa voleva dire l’alunno.
I miei temi, invece, non avevano né capo né coda, divagavano. Spesso saltavo di palo in frasca senza nemmeno rispettare la traccia imposta dall’insegnante. “Sei andato fuori tema”, dicevano. E calcolando che la lunghezza media dei miei temi era una colonna e qualche riga…
Per non rischiare di andare fuori tema, anzi fuori storia, uno scrittore deve avere sotto controllo gli eventi di quella sua storia. Perché una storia non è altro che una successione di fatti sempre più drammatici, più intensi, fino a giungere a una conclusione.
Una storia si concreta in una sorta di linea parabolica, con il vertice spostato a destra rispetto all’asse di simmetria.
L’arco drammatico di Freytag
Lo scrittore tedesco Gustav Freytag ha analizzato i drammi greci, individuando 5 parti all’interno della storia. Alcuni lo chiamano arco drammatico, altri la piramide di Freytag.
Geometria a parte, ciò che ha voluto dimostrare Freytag è che in una storia assistiamo a un crescendo del tono drammatico, che poi arriva a un culmine per attenuarsi fino a svanire. Le 5 parti in cui suddividere una storia sono:
- Contesto: impostazione della scena
- Conflitto: creazione della tensione
- Climax: culmine dell’emozione
- Chiusura: concludere ciò che era in sospeso
- Conclusione: fine della storia
A me queste 5 parti sono servite molto per il mio romanzo di fantascienza R. Rivedendo la trama, c’era come al solito qualcosa che non quadrava. Il climax non stava al posto giusto. Ma di questo parleremo più avanti.
Così ho creato uno schema, riposizionando le parti della mia trama sulla base delle 5C dell’arco drammatico. E adesso funziona.
Contesto (o esposizione)
In questa prima parte dobbiamo dare spazio all’ambientazione, far capire, cioè, al lettore dove ci troviamo, in quale mondo siamo stati portati, in quale contesto storico-geografico si svolge la nostra storia.
È anche la parte dedicata alla presentazione dei protagonisti, dei personaggi principali e dove ci sono anche i dettagli chiave della storia.
È una parte breve, secondo me, altrimenti rischiamo di dilungarci e andare fuori tema. In un romanzo di 400 pagine non possiamo dedicarne 100 a questa parte, tanto per fare qualche calcolo.
Conflitto (o azione in crescendo)
È la parte in cui si assiste all’incidente scatenante, l’evento che dà il via alla storia. È successo qualcosa che ha sconvolto la vita del protagonista, qualcosa che lo porterà a prendere decisioni, a scontrarsi con se stesso e con gli altri.
Quel qualcosa non dev’essere per forza una tragedia. L’incidente scatenante è anche un evento positivo (partenza per una caccia al tesoro dei pirati, preparazione del matrimonio dei sogni, inizio di una carriera, ecc.). Comunque è qualcosa che comporta ostacoli da superare, problemi da risolvere.
La tensione sta salendo, si deve percepire dalle pagine. Gli eventi stanno per raggiungere un punto di non ritorno.
Climax (o punto di massima tensione)
È la parte della storia più eccitante, più emozionante, più intensa. Il personaggio è stato tradito e finisce in galera, la coppia che domani deve sposarsi si divide per un malinteso, la nave che sta per raggiungere l’isola del tesoro affonda, ecc.
Quanto deve durare il climax? Poco, mi viene da pensare. Non si può portare il lettore alla massima tensione per 100 pagine, altrimenti si snerva.
Chiusura (o azione in diminuzione)
La curva dell’arco drammatico sta discendendo. Se vogliamo chiamarla piramide, abbiamo raggiunto prima il vertice e ora stiamo scendendo dallo spigolo opposto.
Qui dobbiamo parlare degli eventi successivi al climax, cioè degli eventi che il climax ha provocato. Vengono risolti tutti i conflitti, tutto ciò che era stato lasciato in sospeso e la storia si avvia così alla sua…
Conclusione (o epilogo)
Quando tutto torna alla normalità. Il tesoro è stato trovato, Renzo e Lucia si sono sposati, il poveraccio è stato riconosciuto innocente e esce di galera. Non c’è tensione, qui. Né devono essere introdotti altri personaggi – a meno di comparse necessarie.
È una parte tranquilla, in cui l’autore chiude definitivamente il sipario sulla sua storia – “Domani è un altro giorno” – oppure fa credere al lettore che forse la storia un giorno continuerà.
Quanto dura la conclusione? Un capitolo o due, direi.
5 atti è meglio di 3?
In questo schema ho voluto mettere a confronto la classica struttura della storia a 3 atti e quella a 5. Poco cambia, tranne forse per il fatto che con una divisione in 5 parti è più chiaro come posizionare il climax e ripartire il resto della materia.
I 5 atti nella storia di Pinocchio
In questo schema ho invece suddiviso la trama di Pinocchio in funzione dell’arco drammatico di Freytag.
- Contesto: qui conosciamo i personaggi principali, Geppetto, Pinocchio, Mastro Ciliegia, il Grillo parlante. Pinocchio è pronto per entrare nel mondo, ma già dimostra di essere un burattino scalmanato compiendo alcune marachelle.
- Conflitto: l’incidente scatenante potrebbe essere individuato nell’incontro con il Gatto e la Volpe, che lo mettono sulla cattiva strada. E da qui comincia una serie di avventure/disavventure per il nostro eroe: Pinocchio inizia a dire bugie, delude la Fata, finisce in prigione, viene incatenato al posto del cane da guardia, Geppetto va alla sua ricerca e scompare nel mare, Pinocchio si tuffa, ma finisce nel Paese delle Api Industriose, ritrovando la Fata. Sembra che le cose gli vadano bene, ma a scuola fa a botte con i compagni, finisce pescato e quasi fritto in padella da un pescatore dalla pelle verde, si salva e torna dalla Fata e anche a scuola, impegnandosi nello studio. La Fata gli promette di farlo diventare un bambino.
- Climax: Pinocchio ricade nella tentazione, questa volta sotto le vesti di Lucignolo, che lo convince ad andare al Paese dei Balocchi, dove sarà trasformato in un ciuchino.
- Chiusura: Pinocchio viene venduto al direttore del circo, si azzoppa durante lo spettacolo e viene venduto a un uomo che lo getta in mare. Ritorna burattino e fugge in mare, finendo nel Pescecane, dove ritrova Geppetto. Insieme riescono a fuggire e sono portati a riva da un tonno. Là incontrano il Gatto e la Volpe, malandati.
- Conclusione: Pinocchio e Geppetto vanno a vivere in una capanna e Pinocchio accudirà il padre, malato, e si metterà a lavorare, mantenendo anche la Fata che nel frattempo è finita in ospedale. La Fata lo perdona delle marachelle e lo fa diventare un bambino.
Ora che c’è tutta una trama dipanata appare chiaro che il climax sia la parte più breve della storia e il conflitto quella più lunga. E è anche chiaro che il climax non sia al centro dell’arco, altrimenti ci resta tutta la seconda metà del romanzo per concludere.
Penso che questo schema sia un valido aiuto per bilanciare ogni parte della nostra storia. Una volta avuta l’idea, la trama andrebbe scritta tenendo conto dell’arco drammatico. Che ne pensate?
MikiMoz
In linea di massima sì, è così come dici. Una storia classica si divide in questa sequenza di avvenimenti (non solo per drammi o romanzi, funziona così ovunque), ma ogni tanto è fico stravolgere le regole e far funzionare lo stesso tutto il gioco.
Magari tu, in R., avevi trovato un altro equilibrio: sicuro non funzionasse?? 😎
Moz-
Daniele Imperi
No, perché rivedendo la trama di R., c’era appunto qualcosa che non quadrava. E poi è un tipo di storia che funziona con una struttura come quella.
Serena
Ma come, ma sei impazzito? Guarda che se in Italia dici che scrivi seguendo una struttura di base vuol dire che non sei capace di scrivere, che non sei “letterario”, che voi fa’ l’ammericano, che sei un asino e senza schemini non sei capace… Che, ma scherzi? Qua tutti Nobel per la letteratura, siamo! Pazienza se confondiamo un conflitto con un sacco di patate e un mucchio di parole con una storia… E se il lettore sbadiglia alla seconda pagina, è colpa sua che è un ignorante, eh? I lettori soffrono di deficit di attenzione! Colpa di Internet e dei telefonini!
… OK, ora che mi sono fatta la mia dose di amici anche per oggi, volevo dire che nello schema manca un elemento molto importante che è il cosiddetto Midpoint e che è diverso dal Climax, ma soprattutto ha una funzione ben diversa. Detta in parole molto molto semplici, il climax è la battaglia finale, il punto di mezzo è invece un momento di ribaltamento, di rivelazioni, oppure il momento in cui il protagonista si guarda allo specchio o apprende cose determinanti per la conclusione della storia. Il midpoint sta giusto giusto dalle parti della metà della storia, e va inserito, credimi. Pinocchio non lo ricordo bene, ma magari stasera torno con qualche esempio che ho più fresco. Il tema della struttura mi appassiona da sempre, ci ho scritto su e non linko delle cose perché non sta bene, ma mi piacerebbe farlo . Torno a lavorare se no mi sgridano, ma quando si parla di struttura non so resistere. A più tardi. Baci!
Stefania Crepaldi
Serena, mi sono sbellicata dalle risate quando ho letto il tuo commento!
Non potrei essere più d’accordo.
Io che vado in giro a destra e a manca a berciare che servono struttura e progettazione narrativa vengo insultata peggio di qualche becero politico.
Ebbene sì, la struttura serve.
A tre atti, a cinque, in dodici tappe, in venti.
Secondo me è necessario partire da una struttura nota e scrivere un romanzo seguendo determinati schemi. Le strutture non sono campate per aria, ma sono state teorizzate studiando anche il nostro modo di approcciarci e percepire le storie.
Siccome si scrive per essere letti… sarebbe bene conquistare dei lettori.
Serena
SCIAFF! *batte il cinque a Stefania*
Daniele Imperi
Scrivere un libro è come costruire qualsiasi oggetto: ci vuole un progetto, altrimenti crolla tutto e non funziona niente.
Hai detto bene: sono state studiate le strutture perché noi comprendiamo le storie create in un certo modo. Se metti il climax all’inizio, poi come mantieni l’attenzione del lettore fino alla fine del libro?
Daniele Imperi
Secondo te perché mi rifiuto di vedere i film italiani? Solo a vedere i trailer al cinema mi viene la depressione
Il midpoint non lo conoscevo, ma presto i lettori di Penna blu lo conosceranno
von Moltke
Non posso che far squillare le trombe e levare un Te Deum. Strano che un bel po’ di autori cosiddetti “di grido”, esaltati da chi si atteggia a intellettuale (uno per tutti: Baricco) siano illeggibili. E poi ci si lamenta della crisi dell’editoria.
Io sono arrivato alla scrittura tardi, quest’anno, pur essendo un avido lettore e un grafomane, per insufficiente autostima ed eccessiva esposizione ai massimi Maestri, ho avuto totale sfiducia nelle mie capacità letterarie, e mi sono messo alla scrivania solo con l’anno nuovo. Scoprendo che mi piace, mi diverto molto, e mi coinvolge (anche troppo, se devo essere sincero).
Trovo che lo schema generale sia complessivamente giusto, ma allora come metterla coi romanzi alla Dumas, dove ci sono avventure dall’inizio alla fine? E non ditemi che quello non era uno scrittore… Probabilmente ha ragione Stefania, non è il numero di tappe che conta, ma l’esistenza di un percorso. Io sono abbastanza anarchico, da questo punto di vista, nel senso che non faccio schemi dettagliati della storia, anche se ho ben chiaro come dovrà grosso modo andare, e prendo al massimo qualche riga di appunti su come inizia, un paio di eventi focali nel mezzo, e come finirà. Di questi tempi, e con la spazzatura che si pubblica annualmente e passa per “best seller”, mi pare già qualcosa.
Non tocchiamo, poi, il tasto del cinema italiano recente…
Daniele Imperi
Ecco, lasciamo stare il cinema italiano, che per quanto mi riguarda non esiste
Emanuela
Per forza, una storia costruita senza seguire gli step della trama non ha, come hai detto tu, né capo né coda. Deve esservi un conflitto, una situazione di tensione che raggiunge il picco massimo e poi ricade, sennò la storia diventa in sé piatta oppure, peggio, non porta da nessuna parte.
Daniele Imperi
Vero, c’è anche il rischio che non porti da nessuna parte. La classica storia dove non succede niente.
Simona
Non fa una piega, le storie son fatte così, come le case son fatte di mura, tetti. finestre e porte.
Quelle fatte bene stanno in piedi.
Daniele Imperi
Molti pensano che la struttura limiti la creatività o, peggio, faccia creare storie tutte uguali. Ma io finora non ho letto storie tutte uguali, ma solo ben costruite.
Ombretta
Condivido i 5 atti che hai esposto, li ritrovo in molti romanzi letti, ma aspetto di conoscere il midpoint per avere un quadro più approfondito
Daniele Imperi
Tu leggi soprattutto narrativa straniera come me o li ritrovi anche in autori italiani?
Ombretta
Leggo soprattutto autori stranieri. Tra quelli italiani non so dire se tutti rispettano questi passaggi…a volte li trovo un po’ lenti. È solo il mio parere però!
Daniele Imperi
Sulla lentezza sono d’accordo.
Pietro 57
Ho letto con interesse il tuo articolo e devo dire che è chiaro e bene impostato. Ho letto anche i vari commenti al tuo articolo e sono stati precisi e validi. Sono del parere anche io che un racconto o un romanzo “deve avere uno schema ben preciso e delineato nella struttura di ciò che sarà poi narrato”, e più tale schema è stato studiato e pianificati, con pazienza e impegno, fantasia e ingegno, eccetera, tanto più aiuterà lo scrittore nel suo lavoro di stesura. Comunque articolo ben fatto.
Vorrei solo aggiungere qualcosa in più a quanto già detto. In una storia, racconto o romanzo che sia, vi possono essere “i cinque elementi specificati da te, che sono: contesto, conflitto, climax, chiusura, conclusione”. Ma vi ricordo che questi cinque elementi in un racconto possono anche starci benone e forse ci stanno anche un po stretti, ma va bene, per un romanzo la questione cambia. Un romanzo in genere ha nella media dalle 200 alle 1000 pagine, e qui dentro questi pochi elementi come sono stati menzionati “ci starebbero molto ma molto larghi”. Mi spiego. Un lettore ,antico o moderno che sia, non ce la farebbe ad aspettare ” un climax” per 150 pagine, o per 300 e più pagine a secondo della lunghezza del romanzo. Così come a volte non basta “un solo contesto” come non basta”un solo conflitto” come “non basta una sola chiusura” come “non basta una sola conclusione”. Quindi in linea di massima ci vogliono, in un romanzo ben scritto e come lo concepiscono molti editori dei tempi moderni, “più di un contesto”, “più di un conflitto”, “più di un climax”, “più di una chiusura”, e “più di una conclusione”. (lo pubblico per timore che venga cancellato e poi continuo.)
Daniele Imperi
Dipende da quanto spazio dai ai 5 elementi. 150 pagine sono poche per arrivare al climax, se la storia è lunga. Ho letto romanzi dove c’erano magari 5 pagine di dialogo di fila e non annoiavano.
Un solo conflitto non basta, certo, qui si intende il conflitto maggiore.
Non ho capito cosa dovrebbe venire cancellato. Ti avevo già scritto via email che qui nessuno ha cancellato i tuoi commenti.
Pietro 57
Continuo dove interrotto. Quindi, come dicevo, questi cinque elementi devono essere usati più volte. Viene naturale pensare che ognuno di questi cinque elementi, contesto, conflitto, climax, chiusura, conclusione, devono essere usati in una certa maniera. Vale a dire in modo “meno incisivo e meno importante” di come invece saranno, questi stessi cinque elementi o solo parte di essi, in altri punti della storia dove si reputeranno meno o più importanti. Ci sarà è vero nel romanzo un punto dove questi cinque elementi o parte di loro arriveranno a un climax “massimo”, se lo scrittore/trice lo vorrà, ma gli stessi elementi o parte di loro in altri luoghi del romanzo avranno un climax più basso di quello massimo. E così come a fare “una specie di scala dove ad ogni pianerottolo questi cinque elementi arrivano al loro climax di una certa intensità” e poi salendo a ogni nuovo pianerottolo “termina la corsa di questi cinque elementi con un grado di intensità maggiore o minore, a secondo delle necessità, ma diverso da quello del primo pianerottolo”. Il mio è un esempio molto semplice, poi ogni scrittore può mischiare le carte come meglio reputa. Sta di fatto che “in una commedia semplice” e “in una fabula semplice”, e “anche in un racconto o in un romanzo semplice” questi cinque elementi inseriti una sola volta potrebbero anche starci, ma si rischia di rendere la storia molto semplice e a volte anche forzatamente strutturata in lungaggini che potrebbero rischiare di annoiare il lettore, o anche lo scrittore/trice stessi. Invece più volte ripetuti, magari con intensità diversa, questi cinque elementi terranno vivo l’interesse di tutti, di chi scrive e di chi leggerà.Il dosaggio non è facile da farsi, ma credo che l’abilità di chi scrive e qualche tecnica appresa qua e là o acquisita con l’esperienza faranno il resto. Le tecniche ci sono, ma anche rifletterci un poco sarà utile a capire il punto. Poi ognuno potrà fare come meglio si trova. Vi saluto.
Daniele Imperi
Ripetere i 5 elementi non mi pare sensato. Costringi il lettore a un sali e scendi di tensione e a poi a ricominciare da capo. Questa dei 5 elementi è solo una struttura che mostra l’andamento della storia.
Pietro 57
Costringere il lettore a un sali e scendi di tensione e poi ricominciare da capo, così come hai commentato tu, è quello che uno scrittore dovrebbe, in un modo o nell’altro, sempre ricercare e sapere scrivere con maestria. Non sto parlando solo di conflitti fisici ma anche di conflitti mentali, psicologici, di carattere, di ideologia eccetera. Se in un romanzo c’è “la calma piatta” in ogni senso, dopo poche pagine di lettura viene gettato via. Stiamo parlando di un romanzo e non di un saggio o altro genere di scrittura. Poi ogni scrittore/trice può dosare l’intensità di “questo sali e scendi” in modo equilibrato e ottimale, a seconda del genere di romanzo che sceglierà di scrivere. In un romanzo “dove non succede nulla o succede poco o quasi niente”, non può chiamarsi romanzo. Vero è che i romanzi possono essere più agitati o meno e addirittura dei romanzi tranquilli e calmi narrativamente parlando possono interessare molto di più ai lettori di quelli più movimentati. Ma quella della calma di un romanzo è solo apparenza. I conflitti i problemi i sentimenti le sensazioni anche nei romanzi calmi devono andare su e giù continuamente,forse “in modo più calmo” ma deve essere più o meno sempre così. Ecco perché la struttura di quei cinque elementi sotto vesti sempre nuove può ripetesi continuamente, per tenere il lettore sempre legato alla prossima pagina da leggere. Provate a ricordarvi di un romanzo che vi è piaciuto tanto, analizzatelo con la memoria e poi vedrete che non vi sto dicendo nulla di nuovo che forse già conoscevate, ma ancora non eravate consapevoli di sapere, a volte capita. i saluto.
Pietro 57
Mi ero dimenticato di dire che molti romanzi famosi o meno sono strutturati con questi cinque elementi, contesto, conflitto, climax, chiusura, conclusione, che si ripetono più volte nelle varie vicende della storia narrata, con meno intensità che nel culmine o climax della storia. Risultano, per essere il più chiaro possibile, a volte come “storie più piccole o meno importanti” inserite nella storia più grande che fa da conduttrice del romanzo. Pinocchio stesso, la fiaba del famoso burattino di legno è piena di questi cinque elementi “inseriti in episodi minori della storia” che poi portano al climax della vicenda dove sono inseriti in modo più evidente e drammatico per raggiungere in modo egregio il culmine della storia. Spero di esservi stato utile. Vi saluto.
Daniele Imperi
Mi fai un esempio di questi romanzi? Mi viene difficile pensare a un romanzo in cui si ripeta l’ambientazione e anche la conclusione o perfino la chiusura.
Pietro 57
Ecco un esempio, come da te richiesto. Premetto che non vorrei essere stato frainteso, ma i cinque elementi si ripetono in circostanze diverse e sotto una veste diversa . I cinque elementi sono: 1) il
contesto, 2) il conflitto, 3) il climax, 4) la chiusura, 5) la conclusione. In quasi tutti i romanzi lunghi o brevi che siano tali elementi si ripetono “anche più volte, ma in maniera sempre diversa, o a volte anche quasi similare, e con varie intensità di azione e di sentimenti”. Ora passo a mostrarti come tali cinque elementi si ripetono in un romanzo, la struttura è la stessa, mentre gli episodi sono diversi.
Prendo ad esempio il romanzo ” I Promessi Sposi” di Manzoni, ma potrei fare lo stesso con altri romanzi. La trama primaria del romanzo ha già in sé, in modo molto ma molto largo, i cinque elementi citati. Vediamo. 1) contesto: la storia si svolge in Lombardia. 2) conflitto: Renzo e Lucia lottano contro chi non vuole che si sposino. 3) climax: quanto pare che non ci sia più via di uscita per i due promessi sposi, in un modo o nell’altro la situazione si sbroglia. 4) chiusura: i nemici di Renzo e Lucia cessano di opporsi al loro matrimonio. 5) conclusione: i due possono sposarsi alla fine.
Ora vediamo le prime pagine del romanzo. 1) contesto: una strada di campana presso il Lago di Como. 2) conflitto: Don Abbondio passeggia sereno. Due poco di buono armati fino ai denti lo aspettano più avanti. Si spaventa, non può fuggire, sono assassini, pensa che vogliano fargli del male. 3) climax: parla con quei due. Non deve sposare Renzo e Lucia, altrimenti la sua vita è in pericolo di morte. 4) chiusura: lui non sposerà quei due. 5) conclusione: lui ha salva la vita, e non sposerà Renzo e Lucia. In questo episodio i cinque elementi ci sono tutti.
Un altro esempio. 1) contesto: città di Milano. 2) conflitto: la gente soffre la fame, teme per la propria vita. 3) climax: la paura e la rabbia spingono la gente a sfondare un forno e a saccheggiarne tutti i viveri che contiene. 4) chiusura: la gente porta a casa il bottino del forno. 5) conclusione: la gente per qualche giorno non morirà più di fame. Anche qui i cinque elementi si ripetono in modo abbastanza chiaro. E mi fermo qui. Il romanzo è pieno di altri episodi che rispecchiano in parte o tutti e cinque gli elementi citati.
Spero di avere chiarito il punto. E di esservi stato di aiuto. Un saluto.
Daniele Imperi
Sì, ma per climax si intende un punto di massima tensione. Ovvio che ogni episodio della storia abbia una sua ambientazione, un suo climax e una sua conclusione.
Nani
Io sono d’accordo con Pietro.
Anche a me sembra che si possa parlare di episodi che hanno una loro logica interna sulla base dei cinque elementi.
L’ho notato proprio adesso, mentre scrivo una scena del nuovo romanzo. Ma se prendi la mia torbiera, li’ ci sono vari episodi che apparentemente potrebbero stare da soli e funzionare abbastanza bene, e tutti funzionano secondo lo schema che citi.
E’ proprio quando questi episodi, anche se scritti bene seguendo le regole della costruzione citata, non salgono la scala di cui parlava Pietro con una giusta inclinazione che il romanzo sembra inconcludente o, al più, non da’ soddisfazione. Tra i romanzi storici dell’antichità romana che ne sono parecchi cosi’. Troppo attenti a seguire la storia vera, si dimenticano di amalgamare il materiale secondo una logica romanzesca e ne viene fuori una cronaca romanzata di episodi accostati, in se’ per se’ compiuti, ma che non creano un climax o una chiusura adeguata.
Daniele Imperi
Non tutti gli episodi di un romanzo possono comunque avere in sé tutti e 5 quegli elementi, altrimenti il romanzo diventa un’antologia di racconti.
Nani
Pero’, se ci pensi, il romanzo e’ fatto di episodi. E gli episodi dovrebbero essere compiuti. Che poi una o piu’ parti dell’arco siano coincidenti ci puo’ stare pure. Ok, devo ragionarci su per farci un discorso organico.