Evoluzione o distruzione della lingua?

Anche tu stai distruggendo la tua lingua usando sempre gli anglicismi?
Evoluzione o distruzione della lingua?

Nel corso dei secoli la nostra lingua si è evoluta, prima di arrivare all’italiano che conosciamo oggi. Ecco, forse dobbiamo dire per sempre addio alla nostra bella lingua, al suo suono, alla sua musicalità, alla sua poesia anche.

Mi chiedo quale sia il confine fra evoluzione e distruzione di una lingua: perché più passa il tempo e più vedo i nostri termini abbandonati, dimenticati perfino, in virtù di una forzata adozione di cacofonici termini anglosassoni: gli anglicismi.

Nuove professioni impongono nuovi linguaggi

Sono le professioni del web, sono specialmente quelle che stanno imponendo un linguaggio farcito di inutili termini inglesi. Si tratta di una moda che spopola, basta che uno inizia e giù tutti a copiare, senza neanche porsi il problema di cosa si stia scrivendo.

Se vuoi lavorare nel web, se vuoi fare il web designer o, meglio ancora, il social media manager, il community manager, l’e-reputation manager, il digital pr, il global communication strategist e l’account technology strategist (la guerra è una cosa seria, mica si scherza, qui) allora devi parlare e scrivere anche tu usando assurdi, impronunciabili e insignificanti e insignificabili termini, altrimenti sei fuori dal giro.

Verso un imbastardimento della lingua

Non la chiamo evoluzione, questa. No, è un vero e proprio imbastardimento dell’italiano. Suoni, rumori anzi, estranei introdotti a decine e a forza nella nostra lingua. Non è il progresso che lo richiede, mi dispiace ma non ci credo.

Il progresso è iniziato con l’uomo, non certo con l’invenzione di internet. E non ditemi che usiamo la parola flash e anche computer, perché rispondo che è vero, sì, ma si tratta di casi isolati e confinati a specifici prodotti.

Per non parlare dei casi estremi, poi, no, scusate, dei casi extreme, i verbi in italinglese come followare, embeddare, scrinsciottare e altre porcherie del genere. Perché, vedete, dire “seguire”, “inserire/incorporare” e “creare un’immagine dello schermo” è folle, veramente folle e senza senso.

Esistono corrispettivi in italiano: perché non usarli?

Quello che mi chiedo è proprio questo. È normale prendere in prestito da una lingua alcuni termini, è successo sempre. L’inglese anche ha preso qualcosa da noi, lo sapevate? Il mouse – non quello che avete in mano adesso, ma il roditore – proviene dal mus latino (in norvegese è rimasto tale e quale), nostrano quindi. E così wall, il muro, quello di Berlino e dei Pink Floyd, è il nostro vallum. E poi cat… non è forse il latino cattus, trasformatosi con i secoli nel nostro gatto?

Insomma, dall’alba dei tempi, anzi da qualche decennio dopo, i popoli si sono scambiati non solo prodotti, favori, morti ammazzati, donne e vino, ma anche vocaboli. Però erano parole che non esistevano, magari, o forse parole che dovevano significare qualcosa di nuovo e innovativo.

Ma spiegatemi perché non posso più usare un dispositivo, oggi, ma sono costretto invece a usare un device. Perché non posso più mostrare un’anteprima del mio libro, ma una brutta preview? E perché mai, se partecipassi a un evento, dovrei fare uno speech e non un semplice intervento? E ancora per quale dannato motivo mi vengono indicati incomprensibili step e non dei comuni passi?

Proteggere la propria lingua significa proteggere le proprie radici

La nostra lingua siamo noi. La nostra lingua definisce il nostro popolo e le nostre radici. È qualcosa che ci appartiene. La lingua va difesa, come vanno difesi e protetti i dialetti. Sapete che in Norvegia non esistono soltanto due lingue ufficiali, entrambi norvegesi, ma sono anche ufficiali tutti i dialetti?

Proteggere il nostro italiano significa proteggere le radici da cui proveniamo. E noi non proveniamo da Albione.

Storia di una falsa superiorità

Sì, penso proprio che molti, se non tutti, usino questi vocaboli per darsi un tono. Beh, è tutta un’altra cosa uscirsene con delle belle best practice da sotto la manica o colpire i clienti con la propria brand awareness.

No, mi dispiace dirvelo, ma non siete superiori a nessuno se nel vostro paese parlate una lingua estranea, anzi un ibrido che non è né l’una né l’altra. Dimostrate solo di non conoscere l’italiano. Dimostrate di omologarvi ai fanatici del web e delle nuove tecnologie sociali. Non siete più unici, siete la massa, adesso. Siete dei cloni.

Let’s talk, guys!

  • Adesso non sei più il fondatore della tua impresa, ma il founder. Già, perché è diverso, capite?
  • Adesso non usi più gli strumenti per fare qualcosa online, ma i tool, perché sono più semplici.
  • Adesso non lavori più nella pubblicità, ma nell’advertising, ché ti dà più soddisfazioni.
  • Se prima potevi creare una campagna d’ispirazione, adesso quella diventa inspirational e tutti sono più creativi di prima!
  • Non abbiamo profili sociali, ma social, per familiarizzare di più.
  • E se prima entravamo in libreria per un’improvvisa serendipità, ora ci avvolge invece una serendipity e la magia si sente sul serio.
  • Se la tua azienda doveva prima lottare coi concorrenti, adesso deve vedersela coi competitor e quelli son più agguerriti!
  • Prima dovevi creare da zero una marca per vendere i tuoi prodotti, adesso non più: hai un brand da curare e non è mica facile come prima, eh?
  • Ma non sai ancora l’ultima: prima potevi baciare faccia a faccia tua moglie o tuo marito, ora invece il tutto si risolve in un face to face immediato e manco te ne accorgi.

Tutto questo, sia clear, è scritto in un’ottica digital e people oriented, non voglio giocarmi l’appeal guadagnato finora. Right?

Capite l’italiano?

Provate a partecipare a un evento qualsiasi e chiedere – per favore, fatela sul serio questa prova, magari ci scappano due risate – e chiedere, dicevo: “Scusi, chi è il patrocinatore?” La ragazza, oh, scusate, la hostess vi guarderà col sorriso imbalsamato sul viso di fondotinta, batterà le ciglia due, tre volte, si ravviverà i capelli e dirà “Prego?”. Non avrà capito un tubo. A quel punto salvatele la vita, siate bravi, e ripetete la domanda: “chi è lo sponsor?”

70 Commenti

  1. carola
    mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 7:02 Rispondi

    Buongiorno,fra colazione e una breve pausa relax prima di recarmi al lavoro mi sono soffermata a leggere il tuo articolo.
    E dico finalmente! Finalmente qualcuno che basta a questo scempio della lingua italiana, nel mio caso non solo per ragioni patriotiche

    Leggere cose del tipo: questa mattina il mio outfit è veramente trendy, con gonna e boots e make up smoking eyes, un look così andrà bene anche per happy hour di questa sera.E basta!

    Un saluto,scappo :-)

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 7:30 Rispondi

      E infatti non ho capito quasi nulla della frase che hai scritto :)
      Buon lavoro.

      • Un tipo anticonformista
        venerdì, 13 Gennaio 2017 alle 21:53 Rispondi

        Caspita…ho 13 anni e non sopporto come la nostra lingua debba essere uccisa così….finalmente….ti stimo tantissimo per quello che hai detto☺☺

        • Daniele Imperi
          sabato, 14 Gennaio 2017 alle 14:05 Rispondi

          Ciao, grazie e benvenuto nel blog :)

    • carola
      mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 15:34 Rispondi

      Tradotto in italiano più o meno : lo stile d’abbigliamento che ho scelto questa mattina è veramente di tendenza,gonna e stivali, per il trucco ombretto nero sfumato.Con un abbigliamento così andrà vado anche per l’aperitivo.

      Difficile dirlo in italiano?Se leggi certe riviste femminili,ti metti le mani nei capelli, una frase di cinque parole, tre inglesi e due italiane.Orribile nel senso e nel suono.

  2. Alessio
    mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 7:06 Rispondi

    Sfondi una porta aperta, ti dico questa: ad una riunione di lavoro, dove ero ospite di una ditta che sviluppa “programmi”, i responsabili chiedevano: “Dopo aver stilato la item-list delle richieste ed averla condivisa in meeting, a quanto pensate di poter vendere il prodotto? 2 o 3 K può andar bene?” ed ometto altri obrobri che ho sentito. Non solo le parole, ma anche le notificazioni dobbiamo sentire importate! Era troppo semplice dire 2000 o 3000….

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 7:33 Rispondi

      Ciao Alessio, benvenuto nel blog.

      Ho letto da qualche parte anche io la “item-list” e pure la “k” per indicare le migliaia. Fanatismo markettaro lo chiamo.

  3. Alessandro Pozzetti - APclick
    mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 8:14 Rispondi

    Buongiorno Daniele!

    Condivido pienamente il tuo pensiero e non ho potuto fare a meno di scrivertelo. Non potevi descrivere meglio il pensiero.
    Pensare che eravamo terra di poeti e scrittori…..adesso siamo terra di calcio, politica corrotta e baby squillo.
    Che amarezza…

    Ciao e buona giornata :)

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 13:43 Rispondi

      Hai ragione, terra di poeti e scrittori. Ma la poesia, con questi barbarismi e queste oscenità ibride, è andata a farsi friggere.

  4. Salvatore
    mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 9:06 Rispondi

    Adesso stai esagerando… Se la ragazza non riesce a capire quando gli chiedi chi è il patrocinatore è un problema suo mentale, non di comprensione della lingua o della moda dei vocaboli inglesi. Serendipità credo derivi da serndip, non viceversa; quindi l’utilizzo del termine inglese è solo un modo per utilizzare il termine originale. Inoltre, e questa è un accusa diretta, sei il primo ad utilizzare termini inglesi, ad esempio, come: self-publishing al posto di autopubblicazione. :P
    Per quanto mi riguarda ho fatto il passo inverso, nel senso che non solo cerco di utilizzare solo termini italiani e quelli inglesi solo dove realmente necessario; ma anche per i nomi dei personaggi, dove prima ero abituato a usare nomi anglofoni, ora mi sono abituato ad usare solo quelli italiani – se le storie sono ambientate da noi o in nessun luogo in particolare – e mi trovo benissimo! Un ritorno alle origini, insomma. Right? ;)

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 13:46 Rispondi

      Sulla comprensione di patrocinatore non ci scommetterei, fossi in te ;)

      Vero, ho usato self-publishing, ma nello stesso articolo ho anche scritto “autopubblicazione” e “autopubblicarsi”.

      Se la storia è ambientata in Italia, non vedo la logica di usare nomi inglesi.

      • Salvatore
        mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 17:04 Rispondi

        Purtroppo quella dei nomi anglofoni è una moda molto diffusa, anche nel caso in cui le storie sono ambientate da noi. Io stesso ho avuto una parte di questa colpa; abituati come siamo ai nomi inglesi/americani sia ne libri, sia nei film. Adesso ho smesso! ..e benchè mi aspettassi di trovarmi male, nell’utilizzare nomi italiani (fa sempre un effetto un po’ strano le prime volte), mi sono ricreduto e mi trovo piuttosto bene. Nessun effetto “provincialista” insomma.

        • Daniele Imperi
          mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 17:36 Rispondi

          Suona male perché come dici siamo abituati a cinema e TV in inglese. Ti consiglio un bel dizionario dei nomi per trovarne di originali, nel caso servisse.

  5. Attilio Nania
    mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 10:05 Rispondi

    La storia insegna che la lingua si impone con le armi. Il vincitore batte le leggi nella sua lingua, e i perdenti, per doverle comprendere, si adeguano a quella lingua.

    Nella cultura vale lo stesso principio. Le armi sono le pubblicazioni, e i vincitori sono coloro che le pubblicano.

    Al giorno d’oggi, a livello internazionale, quasi tutte le pubblicazioni scientifiche, culturali, politiche ecc sono in lingua inglese.

    I trattati di pace, le risoluzioni dell’onu, gli accordi tra multinazionali, le leggi europee, i trattati scientifici, l’assegnazione dei premi nobel, i comunicati stampa dei grandi eventi, i regolamenti delle competizioni sportive internazionali… TUTTO CIO’ E’ SCRITTO IN INGLESE.

    Beh, che ti aspetti, allora? Se le cose importanti si dicono in inglese, la proprieta’ transitiva vuole che per darsi importanza bisogna parlare in inglese.

    Piaciuto il sillogismo? A me no, fa schifo, ma purtroppo e’ cosi’ che stanno le cose.

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 13:47 Rispondi

      Hai detto bene: quelle sono comunicazioni internazionali. Ma qui siamo in Italia e siamo italiani che parlano ad altri italiani. Quindi dovremmo usare la nostra lingua.

  6. Francesca
    mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 10:10 Rispondi

    Un posto molto simpatico e che fa riflettere. Condivido in pieno e per fortuna credo di essere moderata nell’impiego degli inglesismi. Tanto che a volte, in questo mondo di cool people, mi sento un po’ antiquata. Complimenti comunque per il tuo sito e per il tuo lavoro

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 13:48 Rispondi

      Grazie Francesca e benvenuta nel blog.

      Chi parla in italiano, proprio come dici, sembra antiquato.

  7. Francesca
    mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 10:11 Rispondi

    Eh,, scusa il refuso. Intendevo un post, non un posto…

  8. Alessandro Madeddu
    mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 10:17 Rispondi

    Se pensavamo che il burocratese fosse la morte della lingua, è solo perché l’aziendalese del marketing e delle risorse umane non era ancora arrivato a lambire queste sponde.

    Ma forse, con un po’ di fortuna, questa sovrabbondanza di termini inutili finirà per autolimitarsi ai settori più cialtroni del sistema economico. Quello che temo è che i settori del sistema, sotto quel profilo, siano pari merito :D

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 13:49 Rispondi

      Secondo me questo brutto atteggiamento c’è in ogni settore.

  9. Valeria
    mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 10:37 Rispondi

    Da laureanda in lingua e letteratura inglese, ma credo anche se non lo fossi, ti posso dire che diverse parole che usiamo in italiano derivano dall’inglese pur essendo ormai di uso comune in italiano: i cosiddetti prestiti, tipo “stop”, “pullman”, “bar””, ecc., che fanno parte dell’italiano da molto tempo.
    E’ pur vero che con l’avvento di internet, con conseguente nascita di nuove professioni legate ad internet, si è diffuso l’utilizzo di termini e di espressioni ridondanti di termini inglesi che però possono tranquillamente essere espresse in una corretta lingua italiana. Se talvolta alcuni termini inglesi esprimono in una o comunque poche parole quello che in italiano potrebbe essere espresso soltanto con l’utilizzo di una frase molto lunga, è pur vero che tante volte l’utilizzo di questi termini risulta fastidioso al mio orecchio, perché inutile; sembra quasi un “volersi dare un tono” in merito a quello che si fa o si dice.
    Le professioni legate a internet mi attirano molto, per cui con un po’ di fatica sto cercando di imparare il significato di tanti termini inglesi usati per indicare le diverse professioni. Sono partita da “web writer”, ma prima o poi capirò un po’ tutto! :-)
    Nonostante questo, posso considerarmi una specie di “purista” della lingua italiana. Che senso ha usare termini inglesi (lingua del web, lingua internazionale, lingua del commercio, ecc. ecc.) quando si può benissimo utilizzare un’espressione della nostra da me amata, ma tanto bistrattata lingua italiana?

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 13:51 Rispondi

      Infatti penso anche io che sia solo per darsi un tono. Posso lasciar passare alcuni termini come copywriting e blogging, ma spesso c’è proprio un abuso.

  10. Fabrizio Urdis
    mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 10:56 Rispondi

    Hai ragione quando dici che c’è un imbastardimento dell’italiano, non credo che ci sia molto di strano solo che internet e i mass media hanno aumentato in maniera esponenziale la velocità di questo processo.
    Qualche secolo fa la Francia era il punto di riferimento del mondo e l’aristocrazia russa parlava la lingua di Moliere, oggi il centro del mondo sono ancora gli USA, tra dieci anni magari parleremo cinese…
    Certo c’è una perdita della bellezza perché quest’invasione segue la filosofia dei soldi che di per sé sono un valore superficiale.
    Dispiace perché l’italiano è una bellissima lingua ma anche il latino lo era, forse dalla distruzione potranno nascere novità interessanti…

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 13:52 Rispondi

      Il latino era una bella lingua, ma sempre nostra era. L’inglese non lo è.

  11. Roberto Gerosa
    mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 11:40 Rispondi

    Ricordo tempo fa al lavoro in una banca. Mi sono sentito dire:”Hai deletato il file?” “Cosa devo fare con il file scusa?” “Ma sì dai, ti ho chiesto se hai S-cancellato il file”…”ok ora lo “deleto”..

    Un’altra volta invece, sempre in banca, mi è stato chiesto se ero “aware” del fatto che certe operazioni finanziarie non dovevamo più farle…aware??? Sì, aware!

    E tu Daniele sei aware del fatto che l’italiano muore lentamente ogni giorno? ;-) anzi, che si sta “deletando” ogni giorno…

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 13:54 Rispondi

      Come ti ho detto su Twitter, questi termini che hai sentito sono ancora più osceni. Non credo che sarei rimasto calmo e buono a sentirli.

      Una volta un’amica mi disse che ero pazzo a pronunciare la frase latina “errata corrige” così come si legge, perché la gente la pronunciava all’inglese: “errata còrridge” :|

      Non ti dico la litigata :)

  12. Gioia
    mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 12:17 Rispondi

    Hai perfettamente ragione! Siamo italiani, impariamo ad esserlo! :D
    Purtroppo dobbiamo fare i conti con un dato di fatto: l’italiano, vuole farsi capire e tende ad agevolare chi non conosce la lingua, con la scusa del “web” e per mostrarsi soffisticati, colti, tendiamo a usare termini inglesi (magari non conosciamo neanche il vero significato, ma poco importa)
    Alché mi chiedo, come mai gli stranieri non si pongono questo problema ma al contrario, ci impongono di armarci di traduttori?

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 13:55 Rispondi

      Perché gli altri paesi sono, giustamente, nazionalisti. Dovremmo imparare anche noi a esserlo.

      • Salvatore
        mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 17:08 Rispondi

        Perchè siamo noi a subire l’influenza culturale, non il contrario; la seconda guerra mondiale l’abbiamo persa, mica vinta…

      • Gioia
        giovedì, 14 Novembre 2013 alle 6:33 Rispondi

        E tu ci credi veramente che un paese come il nostro possa mai diventarlo?
        Ahahahaha… questa me la devo segnare!

  13. MikiMoz
    mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 12:25 Rispondi

    Io dal mio canto uso tranquillamente tutti i termini, in base al contesto e proporzionalmente al modo in cui un concetto deve “arrivare”.
    Penso al caso di anteprima/prewiev… ora non te lo so dire perché mi viene meccanico e naturale, ma sono convinto di usare entrambi i termini senza alcun problema…

    In ogni caso, sono maggiormente per l’uso dei termini in italiano, quando c’è un corrispettivo preciso e il termine straniero è solo un inutile far le mosse :)

    Insomma, naturalezza, sempre :)

    Moz-

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 13:56 Rispondi

      In parte condivido. In parte perché preview lo odio :D

      • MikiMoz
        mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 14:08 Rispondi

        Ahaha, dai, però in qualche caso ci può stare… :)

        Moz-

  14. franco zoccheddu
    mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 14:03 Rispondi

    E’ nel patrimonio genetico degli italiani accettare passivamente “come va il mondo”. Il mondo va verso l’inglese, l’italiano va verso l’inglese. Concordo con le tue opinioni, ma non vedo grandi prospettive all’orizzonte.

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 14:13 Rispondi

      Sì, noi italiani siamo sempre stati pecoroni, colpa anche di una classe politica che non sa tirare fuori gli attributi, ma è sempre politicamente corretta.

  15. Tenar
    mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 18:10 Rispondi

    Condivido in pieno il post.
    Mi ha però un po’ tranquillizzato il prof di Storia di Storia della Lingua Italiana. Quando seguii il corso (oddio, ormai sembrano passati secoli) ci disse che in alcuni momenti dell’ottocento l’italiano era invaso di vocaboli francesi, presenti in numero maggiore di quanto oggi sia presenti quelli inglesi.

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 18:18 Rispondi

      Bene, c’è speranza allora che questo ridicolo abuso dell’inglese si attenui e sparisca.

  16. Kentral
    mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 20:13 Rispondi

    Dopo aver letto Don Chisciotte, rifuggo le lotte contro i mulini al vento.

    L’Italiano, come l’Italia, è in declino, non possiamo farci niente e dobbiamo farcene una ragione. Non dico che condivido la prospettiva o che mi adegui, ma è così e lo sarà chissà per quanto. La nostra bella lingua morirà e parleremo solo Inglese; ci sarà un’inversione? Boh. Ritengo che sia destinata a morire.

    Già ci sono i segni premonitori. Quando a scuola, abbiamo studiato la nascita del volgare e l’inizio della fine del Latino, sappiamo, che il momento chiave sono gli atti ufficiali.

    Ecco ci siamo. Quando in leggi dello stato ormai si scrive Welfare o Spending Review è chiaro che la lingua ce la siamo giocata. D’altronde, detestando l’Italia, ma soprattutto gli italiani, perdere questa lingua, seppur così bella e ricca, non credo che mi provocherà un dolore oltre misura.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 14 Novembre 2013 alle 7:31 Rispondi

      Quella del Welfare è stata una vergogna e una delle cose più ridicole tirate fuori da un governo. Se davvero abbiamo bisogno di un Ministero, questo deve essere un Ministero che protegge la nostra lingua.

  17. Laura Tentolini
    mercoledì, 13 Novembre 2013 alle 22:27 Rispondi

    Io ho sentito di peggio:
    scannare un documento, forvordarlo, bekkapparlo.
    Nessuno prende più decisioni da solo: bisogna fare scering; se una cosa è giusta siamo selfconfident; lo dico al mio capo diventa fare escalescion; non ho lo skill per dire che non lo so fare, chi fa poco è un loo performer…
    Ma prima dell’inglese come si faceva per comunicare?

    • Daniele Imperi
      giovedì, 14 Novembre 2013 alle 7:33 Rispondi

      “Bekkapparlo”? Bisognerebbe rompere i denti a chi lo dice :D

      Prima dell’inglese parlavamo in italiano. Una volta un’emica mi ha chiesto di fare uno speech e per risponderle sono prima dovuto passare a un dizionario.

      D’ora in avanti mi rifiuterò di rispondere a chi mi parla in inglese, a costo di passare per str… e crearmi ancora più antipatie.

  18. lapo
    giovedì, 14 Novembre 2013 alle 9:00 Rispondi

    belli tutti questi interventi (meglio di post, no) su un argomento così rilevante su uno spazio (no blog) dedicato alla scrittura!
    concordo con chi denuncia il declino economico e culturale del paese, legandolo all’imbarbarimento della lingua italiana. in fondo anche l’uso (o il mancato uso) del congiuntivo ne è la riprova.
    gli italiani farciscono i loro discorsi di inglesorum per ignoranza, non per conoscenza! perché si sa, studiano poco le lingue.
    certo internet ha innovato la vita di tutti e con esso ha introdotto termini e significati nuovi, non facili da tradurre in una lingua che comunque non ha la stessa capacità di automodificarsi che ha l’inglese (ammettiamo questo: l’italiano è complesso ma molto logico, mentre l’inglese è semplice e sopratutto irregolare). l’irregolarità dell’inglese facilita i neologismi (a mio parere).
    quindi come sostituire blog? c’è sito, ma sito è website. blog come lo traduco? forse è questo che uno scrittore dovrebbe fare… osare? inventare? rinfrescare? di certo non dovrebbe mai dire “blogging” perché fa un doppio errore: usare una parola inglese (ok peccato, ma veniale in alcune circostanze come questa) e usare la grammatica inglese (perché la forma -ing indica un’azione ed è propria della struttura linguistica inglese e non italiana!). meglio, anche se decisamente brutto, “fare blog”, “scrivere un blog”, “aggiornare un blog”… trovate ciò che più vi piace, ma vi prego NO a “blog-ing”, “blog-s” e suoi simili!! allora è meglio blog-gare o bloghi… almeno usa la grammitaca italiana!!!!

    • Daniele Imperi
      venerdì, 15 Novembre 2013 alle 13:21 Rispondi

      Sul congiuntivo hai ragione, Lapo.

      Non sono d’accordo sul termine blogging. Bloggare è brutto, per me, perché italianizza un verbo inglese. Allora dovremmo accettare anche gli osceni followare, ecc.

      Blogging indica un’azione, è vero, ma diventa anche sostantivo.

  19. Francesca Carabini
    venerdì, 15 Novembre 2013 alle 12:41 Rispondi

    Ciao Daniele.
    La questione dell’evoluzione linguistica non è nulla di nuovo.
    I prestiti avvengono quando un paese eccelle in un particolare settore, e la comunità dei parlanti sente il termine come più prestigioso. In questo caso caso stiamo parlando dei paesi anglofoni che predominano il settore dell’innovazione nell’informatica.
    Molte parole di derivazione latina si sono diffuse anche nel ceppo delle lingue germaniche (quindi anche nell’inglese, come nei tuoi esempi) perché al tempo il latino era la lingua della cultura.
    È bello voler difendere la proprie origini, ma si tratta di cambiamenti che sono sempre avvenuti nel corso della storia. La contaminazione è una costante.
    E vorrei ricordare che molte parole italiane che poi sono entrate a far parte del nostro vocabolario, derivano da errori di pronuncia, volgarizzazioni o da altre lingue. Quello che tu chiami imbarbarimento non è altro che l’evoluzione della lingua. Ma perché una parola sia completamente integrata e se ne perda la memoria storica della sua provenienza ci vuole molto più tempo.
    La stessa indignazione era stata espressa dagli intellettuali quando Grandi autori come Dante, Petrarca e Boccaccio hanno iniziato ad usare la lingua fiorentina invece del latino. E nei secoli successivi quando si cominciò ad utilizzare una lingua meno pura più vicina al quotidiano che al fiorentino trecentesco.

    • Daniele Imperi
      venerdì, 15 Novembre 2013 alle 13:49 Rispondi

      Capisco quello che vuoi dire. Saranno anche termini più prestigiosi, ma se esistono corrispettivi più chiari e immediati, mi dispiace ma vanno usati quelli.

      No, non la chiamo evoluzione. Può far parte dell’evoluzione il termine blog, che poi è un’evoluzione anche nella lingua inglese, ma non certo competitor, engagement e simili.

  20. Francesca Carabini
    venerdì, 15 Novembre 2013 alle 14:57 Rispondi

    Certo, capisco il tuo discorso ed è assolutamente legittimo.
    E vedrai che nel lungo periodo solo una piccola parte di tutti questi termini attecchiranno ed entreranno realmente a fare parte della lingua italiana. Hai sollevato comunque una questione interessante :)

  21. Tonio Rosales
    venerdì, 6 Dicembre 2013 alle 5:32 Rispondi

    ¡Hola! Per fortuna ho trovato questa tua “denuncia”, proprio perchè mi interessava sapere se qualcuno in Italia la pensasse come me riguardo questo malcostume. Io sono uno spagnolo trilingue, parlo castellano (mia lingua madre), italiano, e inglese. Ho zii in Italia, e quando posso provo a tenermi aggiornato su quello che succede anche in vostro paese. Quello che ho notato è proprio questa “s********” (scusate il termine) nell’usare, o meglio sostituire, le parole italiane per quelle inglesi.

    Da noi in Spagna, in quanto a terminologie computeristiche (che brutta parola, esiste?), si usano pure alcune parole, sopratutto per quanto riguarda l’uso delle reti sociali. Però, per esempio, usiamo la parola “ordenador” invece di computer, o “fondo de escritorio” invece di desktop o wallpaper, ecc, ecc. La nuova generazione, come da voi credo, tende a voler americanizzarsi. Trova questa cosa non solo bruttissima, ma anche una mancanza di rispetto verso la propria lingua, cultura, storia.

    Ancor peggio è quando si usano le parole inglesi, senza saperle pronunciare correttamente, molte volte usandole anche in modo sbagliato. Per motivi personali ora vivo in Canada e a volte non so’ se ridere o piangere quando sento certe cose…

    La vostra lingua, come la mia, è bellissima…. d’altronde sono le lingue romanze, no? Perchè rovinarla? No entiendo, non capisco. Intanto noto che anche in politica da voi esiste questa volgarità. “Question time”, “Devolution”, “Spending Review”, ora “Spending Cut” (veramente sarebbe “cuts” visto che si tratta di plurale, ovvero “tagli” alle spending, cioè “spese”), “Welfare”, ecc, ecc, ecc.

    Insomma, la mia paura è che un giorno lí da voi mi troveró a Firenze ad ammirare le varie opere d’arte, mentre un italiano mi spiega tutto in un maccheronico itanglese… ed io che non ho capito un ca…o.

    Un abrazo,
    Tonio

    • Daniele Imperi
      venerdì, 6 Dicembre 2013 alle 8:05 Rispondi

      Ciao Tonio e benvenuto.

      Hai ragione su tutto, le parole inglesi usate in poilitica sottolineano ancora di più l’incapacità della classe dirigente italiana: non solo calpestano la nostra lingua istituzionalizzando una lingua straniera, ma chiudono la comunicazione con chi non conosce l’inglese.

      Da noi è una moda, specialmente fra i markettari, un modo di sentirsi superiori. Se fossi un insegnante di italiano e leggessi certa roba in un tema, l’alunno prendere un bel 3.

      “Sfondo per lo schermo” è senz’altro meglio di “wallpaper”, che non significa proprio nulla.

      • Tonio Rosales
        venerdì, 6 Dicembre 2013 alle 15:40 Rispondi

        Ciao Daniele e grazie per la risposta! Sai cos’è “wallpaper”? La carta da pareti.

        • Daniele Imperi
          venerdì, 6 Dicembre 2013 alle 16:02 Rispondi

          Sì, intendevo proprio quello: carta da pareti, riferito allo sfondo dello schermo, non significa niente :)

  22. Livia van wynsberghe
    sabato, 28 Dicembre 2013 alle 17:38 Rispondi

    Salve! Condivido in pieno le argomentazioni di questo articolo. Osservazioni che ho sempre fatto e battaglie e litigate che ho sostenuto con i fautori di questo scempio. Con delle motivazioni a dir poco assurde e ridicole, tali fautori si giustificano per le loro scelte. Ormai non si puo’ piu’ sentire la TV o la radio. Il suono di questi termini, tra l’altro mal pronunciati, stride con il flusso della lingua Italiana e l’interlocutore appare ridicol0, per la pronuncia e per mostrare di voler ostentare chissa quale cultura o tendenza! Forse per chi parla inglese quasi perfettamente come me, per motivi di famiglia, il tutto appare ancora piu’ esagerato e ridicolo! Peccato che gli italiani non si rendono conto di perdere anche identita’ in questo modo! Che non si rendano conto dell’importanza di tutelare la propria cultura di cui la lingua fa parte! Modernizzarsi e’ bene, ma cio’ che sta succedendo oggi con l’inglese e’ un fenomeno a dir poco esagerato.A volte poi il termine si scrive in maniera identica all’italiano, ma loro cercano di pronunciarlo in inglese…(vedi social….ecc.).. assurdo! Grazie mille per averlo pubblicato!

    • Daniele Imperi
      sabato, 28 Dicembre 2013 alle 18:46 Rispondi

      Ciao Livia, benvenuta nel blog.

      Hai ragione, per chi conosce l’inglese bene questi termini suonano veramente osceni.

      Si sta perdendo l’identità linguistica e culturale, ma quella gente non se ne rende conto. Stonano, come dici tu, con i suoni della nostra lingua.

  23. mari
    domenica, 15 Giugno 2014 alle 9:18 Rispondi

    i francesi sono più nazionalisti non si piegano all’inglese

    • Daniele Imperi
      domenica, 15 Giugno 2014 alle 11:59 Rispondi

      Fanno bene. Anche i norvegesi traducono tutto. Per dirtene una: noi usiamo web marketing, loro no. Loro scrivono “netts markedsføring”. Tradotto.

      E benvenuta nel blog :)

  24. mari
    domenica, 15 Giugno 2014 alle 13:21 Rispondi

    non è questione di aver vinto o perso la guerra, è questione di dignità ed amor proprio.

    • Daniele Imperi
      domenica, 15 Giugno 2014 alle 13:28 Rispondi

      In Italia dignità e amor proprio sono beni rarissimi, purtroppo.

  25. LiveALive
    domenica, 15 Giugno 2014 alle 14:39 Rispondi

    Impresa ardua è mantenere monda la propria favella! Ma usare un linguaggio aulico non è bon ton e può causare misunderstanding… Ehm, Vabbeh…
    Sì, sappiamo tutti che una lingua non si “infetta” ma semplicemente si evolve. È sempre successo, e in fondo non c’è nulla che il singolo possa fare se tutti gli altri parlano in una determinata maniera. Ciò nonostante, limitarsi a dire “bah, la lingua si evolve, la usiamo per comunicare, e non vedo il problema” è superficiale. Io, come Kundera e Flaubert, credo che in una lingua non esistano sinonimi: ogni segno si porta dietro determinate informazioni (non solo il significato, ma anche il suono, l’accezione, le analogie che collegano ad altri concetti) che le altre parole non hanno, neppure se ne condividono il significato. Rinunciare a una data parola automaticamente costringe a rinunciare a una determinata possibilità comunicativa. Se ne possono aggiungere anche altre, certo…
    Ogni lingua ha le sue caratteristiche,ma l’italiano, vuoi perché è recente, vuoi perché gli umani preferiscono semplificare una lingua già complessa, tende a modificarsi molti più di altre lingue. Bisogna stare attenti a non danneggiare troppo le nostre capacità comunicative.
    Ciò nonostante, se penso al futuro, con la globalizzazione, penso che il mondo stesso finirà per sviluppare, in modo naturale, una lingua mondiale. Ora iniziamo ad aggiungere sempre più termini inglesi. Tra poco, probabilmente, inizieremo a buttare termini cinesi, chissà…
    Altra possibilità interessante è proprio quella di sviluppare lingue a seconda del proprio scopo. Lo sapevi che gli enologi hanno una lista di 120 aggettivi da usare nelle recensioni? Solo quei 120 possono usare con un significato convenzionale, tutti gli altri sono esclusi. Ugualmente, che scopo ha uno nella scrittura? Vuole comunicare scene precise? Vuole evocare concetti profondi? Determinate lingue possono fare cose migliori delle altre, basti pensare alle possibilità che porta il genere neutrale nel tedesco, oppure la maggior chiarezza che porta un sistema “casuale” come quello latino rispetto a quello posizionate italiano. A seconda dello scopo, si possono sviluppare lingue con le caratteristiche desiderate. L’unico problema? Che la lingua serve per comunicare con gli altri, non solo con se stessi. Per questo motivo, ripeto, il singolo non può fare niente per limitare le tendenze degli altri. Se gli altri ormai parlano italinglese, se vogliamo comunicare con loro c’è poco da fare,sono la maggioranza e dobbiamo usare la loro lingua, così come il bambino del Kenya dovrà adattarsi nelle nostre scuole…

    • Daniele Imperi
      domenica, 15 Giugno 2014 alle 16:49 Rispondi

      Non ho mai creduto a una lingua mondiale e credo anche che sia sbagliato crearla.

      Degli enologi non lo sapevo, ma in genere non sopporto queste costrizioni.

      La lingua serve per comunicare, certo, ma qui siamo in Italia, non negli USA. Se vuoi comunicare con me, allora parla l’italiano. Perché ho dimostrato che quei termini che i markettari usano in inglese, noi li abbiamo in italiano e più chiari e immediati.
      Adesso si sono anche inventati i “prospect”. E non potete raccontarmi che “potenziali clienti” non è più immediato come significato.

      No, mi dispiace, anzi non mi dispiace per niente: io parlo italiano e basta. Non mi adatto ai loro barbarismi. E se non mi capiscono, allora è grave, perché non capiscono la loro lingua.

      Il bambino del Kenya deve adattarsi perché vive in Italia, l’esempio non regge. E fra italiani ci si parla in italiano. Non esiste che io rinuncio alla mia lingua per fare contenti i markettari.

      • Livia
        giovedì, 15 Gennaio 2015 alle 21:59 Rispondi

        Salve! Condivido in pieno!! Non capisco questa necessita’ di una lingua mondiale? Per quale motivo?

        • Daniele Imperi
          venerdì, 16 Gennaio 2015 alle 8:18 Rispondi

          Ciao Livia, benvenuta nel blog. Non c’è infatti nessuna necessità per una lingua mondiale. Ogni popolo dovrebbe salvaguardare la sua.

  26. mari
    domenica, 15 Giugno 2014 alle 16:21 Rispondi

    non sono d’accordo,
    la goccia buca la roccia

  27. mari
    domenica, 15 Giugno 2014 alle 20:33 Rispondi

    se ognuno nel suo piccolo rifiuta simili barbarismi dovrebbe funzionare, la valanga comincia a volte con una piccola palla di neve, io sono ottimista

    • Daniele Imperi
      domenica, 15 Giugno 2014 alle 20:38 Rispondi

      Io mi sforzo di usare le parole italiane, tranne quando proprio non può esistere un corrispettivo. Ma sono un tipo molto pessimista :)

  28. MANETTI PAOLO
    domenica, 17 Maggio 2015 alle 1:12 Rispondi

    La situazione è molto grave se pensiamo che una ex Ministro dell’Istruzione non sa parlare nemmeno l’Italiano poiché usa la parola ‘piuttosto’ come ‘oppure, anche’ mentre ha sempre avuto un significato oppositivo. Esempio la pseudo ministro disse in un’intervista: userò le maniere oppure piuttosto le più coerenti alla linea del mio partito’; ecco, a parte il politichese, il significato è molto dubbio perché non si capisce se seguirà o meno la linea del suo partito. L’aggravante che questo errore si sta allargando poiché ho sentito molti pseudo intelligentoni, purtroppo anche laureati, commentare, per esempio, le sue future vacanze estive con frasi tipo ‘andrò al mare piuttosto che in montagna’; si vorrebbe dire che l’intenzione è di andare sia al mare che in montagna, ma per un italiano corretto si capisce che si odia la montagna e si ama il mare. Questo errore non ha nessuna attinenza né con l’inglese e nemmeno con altre lingue straniere è solo un aborto nato dalla cafoneria di chi ha studiato poco ed è andato avanti solo con le raccomandazioni di parenti potenti o di tessere di partito. Non vado oltre….povera Italia.

    • Daniele Imperi
      lunedì, 18 Maggio 2015 alle 7:50 Rispondi

      Ciao Paolo, benvenuto nel blog. L’errore del “piuttosto” si sente spesso, purtroppo.

  29. MANETTI PAOLO
    domenica, 17 Maggio 2015 alle 1:16 Rispondi

    La frase della ex Ministra era ‘userò le opportune maniere piuttosto le più coerenti alla linea del mio partito’. Io commenterei: ‘Piuttosto che sentire queste menate spengo la tele’.

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