Come scrivere storie per bambini

Intervista allo scrittore Angelo Petrosino

Come scrivere storie per bambini

Fra le tante storie che mi piacerebbe scrivere, ci sono i libri per bambini. So che non è facile, la maggior parte delle idee che ho avuto riguarda la letteratura per adulti e anche come scrittura mi viene più naturale quella per un pubblico di grandi. Credo sia normale, perché un adulto in genere si rapporta di più con altri adulti, che con i bambini.

Qui nel blog sono apparsi tre tentativi di scrivere storie per un piccolo pubblico, Vita in una bottiglia, Miss Gliss e Zucchero filato. Ho anche altre storie in mente, ma bisogna considerare parecchi dettagli quando si scrive per un pubblico del genere.

Così ho intervistato lo scrittore Angelo Petrosino, che ha gentilmente risposto alle mie dieci domande per capire come scrivere storie per il piccolo pubblico.

Come scrivere storie per bambini

Qual è il primo passo da compiere per scrivere una storia per bambini?

Angelo PetrosinoInnanzitutto bisogna possedere una capacità di empatia nei confronti dei bambini che non è affatto scontata. Non basta ripensare al bambino che siamo stati per entrare in comunione efficace con l’infanzia. I pensieri, i sogni, i desideri, le emozioni, insomma tutta la complessità del mondo interiore infantile deve essere ben presente a chi decide di scrivere per i piccoli.

Non si può scrivere per un bambino immaginario. È necessario inoltre conoscere bene il mondo attuale, la cultura diffusa che attornia l’infanzia e che la condiziona.

Per quanto mi riguarda, l’avere io insegnato per quasi quarant’anni, mi mette in una situazione privilegiata quando scrivo per i bambini. Anche se non bisogna essere stati per forza insegnanti per scrivere in modo appropriato per i ragazzi.

È importante la lunghezza del testo? Quanto incide sul livello di attenzione?

Angelo PetrosinoPiù che la lunghezza, è importante la suddivisione del testo. Io, per esempio, non scrivo mai lunghi capitoli. In un certo senso, i miei libri hanno quasi tutti la forma del diario, perché sono storie raccontate in prima persona dal personaggio principale.

Oggi l’attenzione dei bambini è certamente più labile e capitoli molto lunghi suscitano a prima vista una immediata resistenza nell’abbordarli. Soprattutto quando abbiamo a che fare con lettori alle loro prime esperienze di lettura.

Bisogna però dire che nel tener desta l’attenzione del lettore conta molto anche la qualità della scrittura. Un testo vivace, pieno di dialoghi, privo di lunghe descrizioni trascina nella lettura, anche se va avanti per pagine.

Per scrivere una storia per bambini deve esserci sempre un intento pedagogico?

Angelo PetrosinoL’intento pedagogico fine a se stesso è molto pericoloso. I bambini rifuggono da racconti che ammoniscono o esortano in modo esplicito ad assumere questo o quel comportamento. Subentra inevitabilmente la noia, che è la peggior nemica di una lettura appassionata e continua.

Quando i bambini mi chiedono che cosa voglio insegnare con i miei libri, io rispondo che, innanzitutto, voglio raccontare una bella storia capace di intrigare e di catturare l’interesse e l’attenzione di chi legge.

Ma poi aggiungo che anche nei miei libri ci sono degli insegnamenti. Essi però sono fusi all’interno della storia, sono espressi dai pensieri, dai giudizi, dai comportamenti dei personaggi, dalle loro singole personalità, che si possono condividere oppure no.

Preciso, anche, che certe visioni del mondo che circolano all’interno delle storie che scrivo sono le mie. I personaggi dei miei libri, a partire da Valentina, sono curiosi, disponibili nei confronti dei coetanei, privi di cinismo, aperti verso le altre culture, desiderosi di viaggiare e di conoscere.

Questo è il mio atteggiamento personale verso la vita e mi piace incoraggiarlo nei bambini attraverso situazioni quotidiane in cui ciascuno si assume le sue responsabilità. Evito di pontificare astrattamente e offro esempi concreti di relazioni tra coetanei, piccoli e grandi, genitori e figli e così via.

Quale parte risulta più complessa di una storia: trama, personaggi o linguaggio?

Angelo PetrosinoBisogna essere preparati su tutti e tre i fronti.

La trama è importante. I bambini amano leggere una storia che ha un inizio, uno svolgimento e una fine. I monologhi non fanno per loro. Anche se possono essere sparsi nel testo come brevi riflessioni personali dei singoli personaggi, che fanno dei rendiconti con se stessi prima di procedere oltre.

Per me la creazione del personaggio è essenziale, è il perno di una storia. I bambini amano identificarsi nei protagonisti di un libro, cercano quello col quale sono più in sintonia.

Personalmente, prima di scrivere un libro, io mi costruisco un personaggio ben dettagliato. Di lui o di lei devo conoscere tutto, in modo che nel libro non sia soltanto una macchietta priva di personalità, ma un individuo ben caratterizzato al punto da riuscire (se si è fortunati) indimenticabile per il piccolo lettore.

Il personaggio per me è così importante, perché su di lui costruisco una lunga avventura a puntate. Su Valentina, per esempio, ho scritto più di un centinaio di libri. Attraverso di lei ho raccontato i mutamenti sociali nel nostro Paese nel corso degli ultimi vent’anni e l’evoluzione dell’infanzia.

Ma l’ho fatto e lo faccio anche con altri personaggi: da Jessica (negli anni Novanta) al più recente Antonio.

Quanto al linguaggio, è necessario guardarsi da una inutile complessità. Non per questo si deve essere banali. Anzi, è indispensabile essere precisi, concreti per aiutare il bambino, attraverso le parole, a impadronirsi di pensieri, idee, emozioni.

Quindi soprattutto concretezza di linguaggio e nessun narcisismo da parte dell’autore nel corso della narrazione. Il che non esclude la poesia, che non deve mai diventare retorica e basta. Per arrivare alla sintesi giusta, ci vuole un lungo apprendistato. Un libro per bambini scritto bene e con efficacia deve reggere benissimo ad una lettura ad alta voce, per esempio. È, questa, la prova del nove della riuscita di un testo.

È importante che le storie per bambini siano illustrate e, se sì, perché?

Angelo PetrosinoL’illustrazione è indispensabile soprattutto nei testi rivolti ai più piccoli. Ma anche a dieci, undici anni i bambini apprezzano molto le illustrazioni, che li aiutano a dare forma visibile, per così dire, a personaggi e situazioni sui quali comunque esercitano la loro immaginazione nel corso della lettura.

Se la collaborazione tra autore e illustratore è felice, il libro perviene a una sintesi tra parola e immagine davvero importante. Le lettrici dei libri di Valentina oggi non possono immaginare delle illustrazioni delle storie diverse da quelle che da quasi vent’anni realizza l’illustratrice Sara Not.

Parliamo di linguaggio: per un pubblico così piccolo dobbiamo fare attenzione alle parole da usare. Lei come agisce in questo senso?

Angelo PetrosinoCome ho accennato più su, è necessario usare soprattutto parole precise, succose, capaci di rappresentare un concetto o un’idea con immediatezza. Bisogna evitare termini troppo difficili, vaghi, nebulosi. Quando il bambino legge, deve avere l’impressione di entrare quasi con il corpo all’interno delle vicende che l’autore sta raccontando.

Insisto sulla concretezza e sulla precisione, che non comportano il ricorso a termini scontati e a stereotipi.

I bambini vogliono essere presi sul serio e il modo più giusto per farlo da parte dell’autore è proprio l’impiego di un linguaggio capace di rappresentare situazioni nitide e chiare.

Non è semplice. Significa, innanzitutto, avere chiaro in mente che cosa si vuole raccontare. Scrivere per i ragazzi è come allacciare un dialogo con loro, realizzare una felice complicità tra adulti e piccoli. Quando si dialoga, si mira in primo luogo a capirsi e ci si astiene da giri di parole inutili.

Questo atteggiamento non impoverisce affatto la scrittura, anzi la esalta. Perché Pinocchio funziona ancora oggi con i piccoli lettori? Al di là di occasionali toscanismi, il libro è scritto per suscitare nei bambini una immediata adesione alla storia con un linguaggio chiaro, veloce, efficace.

La scelta dei nomi dei personaggi e dei titoli delle storie: sono dettagli che possono influire sul successo e sulla comprensione delle storie? Come vanno scelti?

Angelo PetrosinoNei miei libri scelgo nomi comuni, ma anche nomi un po’ insoliti o addirittura eccentrici. Dipende dal contesto nel quale voglio usarli. Tuttavia non sono tanto i nomi a decidere del successo di una storia, quanto, ovviamente, il carattere di un personaggio, la sua forza rappresentativa, la sua capacità di imprimersi nella memoria del lettore.

I titoli, invece, a volte sono decisivi nel determinare l’acquisto di un libro da parte di un bambino. I titoli devono incuriosire, devono essere un po’ intriganti, ma devono comunque alludere, sia pure in modo ambiguo, al contenuto del volume. Insieme al titolo, anche la sintesi della quarta di copertina contribuisce a determinare la scelta di un libro nei piccoli. Ma molto importante, a volte decisiva, è l’illustrazione di copertina.

Questi sono aspetti nella confezione di un libro per i quali l’ultima parola, spesso, spetta all’editore e all’ufficio marketing.

Quali elementi bisogna evitare in una storia per bambini? Eventi come la malattia e la morte sono tabù?

Angelo PetrosinoCome sempre, bisogna distinguere in base al destinatario. Un conto è scrivere una storia per un bambino di 5-6 anni, un altro è rivolgersi a un tredicenne.

La malattia e la morte non sono, oggi, tabù quando si scrive per l’infanzia. Bisogna saperlo fare nel modo giusto, con le parole giuste, con la delicatezza che solo un adulto che ha piena empatia verso i bambini sa utilizzare senza scadere nella banalità, nella crudezza, nell’ipocrisia.

Un tempo, nei libri per bambini si esercitava il ricatto, li si spaventava a bella posta per addomesticarli e renderli ubbidienti in modo passivo.

Oggi non è più così. Un vero scrittore per ragazzi sa dialogare con i piccoli, li ascolta e sa farsi ascoltare. Insomma le sue qualità umane vengono prima di tutto.

Quando scriviamo una storia, stiamo creando un mondo, che sia realistico o immaginario. In una storia per bambini come dobbiamo dosare i due ingredienti realismo e immaginazione?

Angelo PetrosinoSono costretto a richiamare l’attenzione sull’età dei lettori. Con i bambini piccolissimi è più facile ricorrere al gioco dell’immaginazione per produrre una storia capace di avvincerli.

Nei più grandi, l’interesse per la realtà è più marcato. A 12-13 anni in un libro si cerca più volentieri una sorta di alter ego che dia voce ai propri bisogni, ai turbamenti sentimentali, ai dubbi, alle aspettative di una personalità in formazione.

Questo non vuol dire che le storie ad essi rivolte debbano contenere esclusivamente l’analisi di aspetti puntuali della quotidianità.

Al contrario, le storie che ci coinvolgono hanno quasi sempre bisogno di un contributo di immaginazione per essere risolte e non soltanto di fredda razionalità.

I bambini sono più disposti dei grandi a cambiare punti di vista, se hanno la fortuna di essere in ciò incoraggiati dagli adulti che li attorniano. Oggi, purtroppo, sia per la pigrizia dei grandi, sia per l’influenza dei mezzi di comunicazione, i bambini vengono indirizzati sulla strada del conformismo, sono addestrati a fare “come fanno gli altri”. Così si spegne la loro creatività, si impedisce loro di cercare strade nuove.

Ecco perché i libri per ragazzi, se scritti davvero dalla parte dell’infanzia, possono diventare un antidoto utile a sgomberare le menti da stereotipi e pregiudizi.

Questo, almeno, è ciò che mi sforzo di fare io con i miei libri. Perciò Valentina è diventata una bandiera e una rivendicazione della propria identità, soprattutto per tante bambine e ragazze.

Storie diverse per diversi livelli di età: come destreggiarsi nella scrittura fra le “classi” di lettori?

Angelo PetrosinoOggi i bambini sono tutti, piccoli e grandi, immersi in un unico flusso di comunicazione che fa saltare molte delle distinzioni per età che un tempo erano più marcate.

Un bambino di cinque anni vede, osserva, ascolta le stesse cose cui è esposto un preadolescente ed è costretto, spesso, a porsi domande oltre le sue capacità di comprensione. Certi interessi maturano molto più precocemente di un tempo. E non sempre è un bene.

Se io scrivo un libro nel quale la protagonista è una preadolescente, è quasi certo che il libro sarà cercato e letto da bambine di una età molto inferiore. È una esperienza cui assisto frequentemente.

E tuttavia, quando ci si accinge a scrivere un libro per bambini e ragazzi, bisogna per forza di cose tener conto del pubblico al quale ci si rivolge.

Se scrivo per bambini molto piccoli, sceglierò argomenti capaci di interessare individui di quella fascia di età e utilizzerò un linguaggio in grado di trasmettere immagini, idee, concetti comprensibili per loro. Il libro potrebbe essere letto ai piccoli da un adulto, e in tal caso la storia deve prestarsi ad una lettura ad alta voce fluida e scorrevole, utilizzando una scrittura densa di dialoghi, di eventi, di curiosità, di sorprese.

Se il mio destinatario è un adolescente, sceglierò argomenti pertinenti ad una personalità in formazione che nelle storie cerca per lo più risposte a quesiti intimi, analisi di situazioni con le quali confrontare quelle personali, percorsi reali o possibili da intraprendere.

Ma c’è anche un vasto pubblico di adolescenti che ama saltare la realtà per immergersi in storie dove dominano fantasia, ostacoli da superare, novità imprevedibili con cui misurarsi.

Ogni scrittore deve scegliere il genere che sente a sé più congeniale e il pubblico che sente più vicino. Deve evitare, secondo me, di mettersi alla prova affrontando argomenti e situazioni che sente estranei alla propria personalità.

Infine, non è la stessa cosa scrivere un libro per un pubblico femminile o uno maschile, soprattutto se si tratta di preadolescenti. Sapendo, tuttavia, che mentre le ragazze leggono ugualmente libri per “maschi”, non è vero il contrario.

È una distinzione che io però non amo molto per principio. I miei libri, per esempio, sono quasi tutti al femminile, ma ho molti lettori maschi che li leggono, soprattutto perché racconto per lo più educazioni sentimentali, rapporti tra coetanei in un mondo in rapido cambiamento, dove i momenti di ascolto di se stessi e degli altri diventano sempre più rari.

Siete interessati a scrivere storie per bambini?

Avete mai provato a scrivere per un pubblico di piccoli lettori? Letta lʼintervista, come vi sembra scrivere storie per questo tipo di letteratura?

42 Commenti

  1. azzurropillin
    martedì, 10 Marzo 2015 alle 8:48 Rispondi

    ho conosciuto angelo petrosino di persona, in terza media, grazie a un incontro organizzato dalla mia scuola, e i suoi libri su jessica sono stati fondamentali per fare di me una lettrice.
    ho un grandissimo debito di riconoscenza nei suoi confronti.
    detto questo credo che scrivere per ragazzi sia ancora più difficile che scrivere per adulti. la mia impressione è che chi si accinge a scrivere per ragazzi dica “be’ che sarà mai, buttiamo giù una favoletta”. mentre basta dare uno sguardo al reparto ragazzi di una libreria per vedere la varietà e la complessità delle pubblicazioni.
    senza contare che l’etichetta “libri per bambini” è molto generica, racchiude la fascia di età 6-14 ma è evidente che un lettore di sei anni non potrà mai approcciare un testo per quattordicenni.
    gli editori che pubblicano per ragazzi sono molto rigidi sulle fasce d’età (molto più dei lettori) al punto che stabiliscono un limite di battute e ci costruiscono intere collane. penso ai “sassolini” mondadori, o alla collana “il battello a vapore” piemme che usano colori diverse per età diverse.

    • Daniele Imperi
      martedì, 10 Marzo 2015 alle 13:37 Rispondi

      Anche per me è molto più difficile scrivere per ragazzi che per adulti e dopo l’intervista ne sono ancora più convinto. Il primo passo è leggere diverse opere – io ho iniziato da tempo e le leggo anche in inglese – poi esercitarsi.
      La collana “Il battello a vapore” la conosco, mi piace. Ho un paio di romanzi di Massimo Polidoro.

  2. Chiara
    martedì, 10 Marzo 2015 alle 9:25 Rispondi

    Il nome dell’autore non mi è nuovo, e non escludo di aver letto qualcosa di suo da piccola, anche se io adoravo la collana “Gaia Junior”, mi sembra della Mondadori, che scriveva libri per bambine … molto carini. E poi ricordo con affetto Roald Dahl!
    In ogni caso ho letto con grande interesse questa intervista, che mostra grande competenza. Credo che i suoi insegnamenti saranno molto utili a chi si occupa di questo genere. Purtroppo io non ho mai scritto – né pensato di scrivere, almeno per ora – libri per bambini. Se devo essere sincera non credo sarei in grado. Ma libri per preadolescenti e adolescenti li scriverei volentieri, pertanto non escludo di farlo in futuro. :)

    • Daniele Imperi
      martedì, 10 Marzo 2015 alle 13:39 Rispondi

      A me l’intervista ha fatto capire molte cose che prima ignoravo. A me invece interessa molto come letteratura. Per sapere se sei in grado, devi prima provare :)
      Anche quelli per adolescenti vorrei provare a scrivere. Troppa carne su un fuocherello…

  3. LiveALive
    martedì, 10 Marzo 2015 alle 9:52 Rispondi

    Già, le femmine leggono anche le cose per i maschi, ma i maschi non leggono le cose per le femmine. D le donne possono mettere anche i pantaloni, ma l’uomo non può mettere la gonna. E questo mi frustra, perché io voglio la gonna! Io me ne frego delle mode, io oggi mi metto la gonna! …chissà come mai. Sarà che noi maschi siamo sempre troppo preoccupati per il giudizio sulla nostra virilità?
    ***
    Il linguaggio è il problema “pedagogico” che più mi ha affascinato in passato. Abbiamo notato non solo l’importanza del linguaggio concreto (intendo il linguaggio fatto di tanti dati sensoriali), ma anche della specificazione dell’organo effettore delle azioni descritte. Lo scrivere “le nocche bussarono sul legno umido della porta”, rispetto al semplice “bussò (sul legno umido della porta)” causa una più intensa attivazione dei centri motori. Questo potrebbe essere utile per lo sviluppo di determinate zone del cervello. Come se non bastasse, permette anche di “introiettare” il libro più facilmente (è vero ciò che dice Petrosino: il lettore vive il libro nel corpo, si chiama Romanzo Embodied), e questo porta a sviluppare una maggiore empatia, e a sua volta porta a introiettare più facilmente le emozioni e quindi l’insegnamento del testo.
    ***
    Che interessante questa cosa per l’interesse per il reale che si sviluppa con l’età. Da un lato c’è chi crede che la letteratura che non va oltre il reale aggiungendo l’elemento di fantasia inedito non sia degna perché non richiede sforzi immaginativi e non è interessante leggere di qualcosa – il reale – che sperimentiamo tutti i giorni. Dall’altro c’è chi crede, di contro, che solo la letteratura coi piedi ben saldi nel reale sia degna, perché gli elementi fantastici sono cose di comodo che scusano una scarsa abilità di analisi e che alla fine non sono utili a nessuno. …certo noi siamo per una via di mezzo: non c’è nulla di male nell’elemento fantastico, così come non è vero che il pitturare un mondo realistico sia facile (perché c’è un intenso sforzo interpretativo del reale).
    Sarebbe curioso analizzare diverse classi di lettori, dagli appassionati di romanzi realistici ai fedelissimi del fantasy, per vedere come influenzano la lettura certe aspettative e necessità. Mi rendo conto per esempio di aver apprezzato romanzi d’amore per la prima volta nel periodo in cui appunto ho sperimentato l’amore per la prima volta: c’era effettivamente la volontà di rivedere esperienze proprie, con una diversa prospettiva, perché quella era l’emozione dominante.
    ***
    È vero, giovani e adolescenti e adulti ormai sono immersi nel medesimo flusso informativo. Ed è una cosa che mi preoccupa, e mi mette l’ansia. C’è un motivo se gli adulti stanno bene con gli adulti, gli anziani con gli anziani, i bambini con i bambini: alla loro età hanno vissuto esperienze comuni, che portano a una simile sensibilità, e che a sua volta permette una comunicazione efficace. Ma oggi questo flusso informativo porta anche a dei bambini dei contenuti che un tempo sarebbero stati solo di adolescenti, o adulti (anche senza andare a sfociare nello scandaloso, pensiamo anche solo a un bambino che si legge che i vaccini rendono autistici), e ciò può sicuramente essere pericoloso. Che si fa allora? Si limitano le informazioni a cui ha accesso il bambino? Ma così si rischia di formare una mente che non è più quella dei coetanei, e il bambino poi non riuscirà a integrarsi. Io questo lo so proprio perché ho avuto una educazione diversa da quella dei miei coetanei. Anche l’educazione sentimentale, e genericamente il modo on cui si manifestano i sentimenti e ci si relaziona ad essi, è un chaos. Pensiamo anche solo al bacio profondo. Un tempo gli si riconosceva un valore emotivo importante. Oggi è un gioco, non si pensa più al lato emotivo, rimane solo la sua sensazione fisica più elementare. Pensiamo a quel video delle Iene in cui due sconosciuti mai visti prima si baciano alla francese. Dovrebbe essere manifestazione di amore panico? Casomai di egoismo, per me. Non a caso di recente lo hanno parodiato: due perfetti sconosciuti si prendono a sberle senza motivo più forte che possono. Perché no? Se io posso baciare uno sconosciuto così, perché mi va, allora per lo stesso motivo posso prenderlo a sberle: è una logica perfetta e incontestabile. E poi si arriva al parossismo: il programma in cui due sconosciuti si sposano senza mai essersi visti prima. Perfetto no? …perché accade questo, possiamo solo ipotizzarlo. Di norma associamo una emozione a ogni gesto importante. Perché baciamo chi amiamo? Con certezza non lo sa nessuno, ma una delle teorie che più mi convincono è questa: le madri antiche erano costrette a masticare il cibo per i neonati, cibo che poi passavano nella bocca del figlio spingendo il bolo con la lingua; il bambino ha associato a quel gesto tutta una serie di emozioni (la sicurezza dello stare tra le braccia della madre, la soddisfazione del cibo, il piacere fisico legato al mangiare, eccetera), e, una volta adulto, quando ha voluto trasmettere quelle emozioni a un’altra persona, ha replicato il gesto senza lo scopo originario, ma solo con scopo comunicativo. Mi convince perché è un principio che funziona anche coi cani: se la leccata, ma solo quando è ampia e lenta, è effettivamente una manifestazione di affetto (se lecca veloce no: sta chiedendo da mangiare), lo è perché la madre lo leccava così per pulirlo. Mi chiedo allora: possibile che oggi, entrando in contatto con determinate manifestazioni emotive con una tempistica sbagliata, non si riesca più a collegare la giusta emozione al giusto gesto? Non lo so, ma mi affascina moltissimo: è una cosa di cui parla anche Vallerani in un paragrafo di Italia Desnuda, a proposito della moderna condotta sessuale e dell’educazione sentimentale (ma il libro tratta di geografia umanistica e di degrado ambientale).

    • Daniele Imperi
      martedì, 10 Marzo 2015 alle 13:43 Rispondi

      A me i romanzi d’amore non hanno mai attirato. Non è detto che gli adulti stiano per forza bene con gli adulti. Io sono sempre andato meglio d’accordo con gente più piccola di me. Gli altri crescevano troppo in fretta oppure, peggio, dimenticavano il loro lato fanciullesco, che non dovrebbe mai morire.
      Non entro in merito ai baci, sei andato un bel po’ fuori argomento.

      • LiveALive
        martedì, 10 Marzo 2015 alle 15:09 Rispondi

        Ma è interessante, no? XD Cioè, non ti stimola a scriverci qualcosa? Perché io sto ancora aspettando il racconto del pianista sulla torre…

        • Daniele Imperi
          martedì, 10 Marzo 2015 alle 15:15 Rispondi

          No, nessuno stimolo :)
          Il racconto neanche mi ispira, mi dispiace, non è stata una bella idea quella che avevo proposto. Ho già serie difficoltà a completare le mie storie…

  4. LiveALive
    martedì, 10 Marzo 2015 alle 10:01 Rispondi

    Aggiungo un paio di cose!
    Di scrivere libri per bambini, ci ho pensato,a non l’ho mai voluto fare davvero: la mia anima è da letteratura postmoderna, che non è proprio adatta. Non credo si potrà mai scrivere un testo così frammentario e strutturalmente articolati per dei bambini. Pure, non mi ispira il fatto che certi testi spesso abbiano una forma narrativa così stringata. Va bene la Rapidità, io la esalto! Ma quando mi pare che tutto sia superficiale e semplicistico, non mi ci trovo più.
    Anche per questo è difficile scrivere bei libri per bambini. In realtà credo che i bambini siano sottovalutati: io non credo che un bambino di 8-9 anni faccia così tanta fatica a leggere un Verne in originale. Un buon libro per l’infanzia secondo me, al di là delle particolari sensibilità di bambinone adulto, dovrebbe essere letto da entrambi con eguale piacere. Pensiamo alle fiabe di Calvino: sono per tutti, sono belle per tutti, riescono a comunicare in eguale maniera con tutti.

    • Daniele Imperi
      martedì, 10 Marzo 2015 alle 13:45 Rispondi

      La scrittura per bambini impone certe regole, ovvio. Se ti senti portato per un altro tipo di letteratura, ti riuscirà impossibile quella per bambini.

  5. Marina
    martedì, 10 Marzo 2015 alle 10:41 Rispondi

    Questo post mi è piaciuto particolarmente, perché quella di scrivere storie per bambini é una prova cui mi sottoporrei volentieri. Qualche tempo fa avevo avviato un progetto in tal senso: con un’amica, abile disegnatrice, volevamo scrivere un libro illustrato rivolto ad un pubblico di giovanissimi lettori, poi tempi e circostanze ci hanno fatto accantonare l’iniziativa. A mio avviso la difficoltà maggiore sta nell’uso di un linguaggio adeguato, perché è facile pensare delle cose, ma dirle nel giusto modo spesso lo è di meno ed il mondo dei bambini richiede spiegazioni semplici ma che non perdano efficacia. Per me è come un esercizio di scrittura: semplificare, ridurre, senza togliere spessore alla narrazione, non è affatto facile come potrebbe sembrare. Anche trovare gli argomenti giusti è una bella impresa! Catturare l’attenzione e tenerne alto il livello implica uno sforzo maggiore se i destinatari della lettura sono dei bambini che si stupiscono con poco ma non con la banalità. In casa ho la libreria dei miei due ragazzi pieni di libri di Geronimo Stilton: sono storie scritte bene, semplici ma mai scontate; il linguaggio è chiaro, non ridondante.
    Io, invece, ricordo i fantastici racconti di Gianni Rodari. Leggevo le sue storie ai miei figli prima che si addormentassero. La donna che contava gli starnuti ci fa ancora molto ridere!

    • LiveALive
      martedì, 10 Marzo 2015 alle 13:22 Rispondi

      Geronimo Stilton ho provato per purissima curiosità a leggerlo quando avevo 18 anni XD No, secondo me non va bene, non solo come forma ma anche come contenuto. Ma da bambino mi piaceva tantissimo, quindi non so se semplicemente la mia sensibilità non è più adatta. Immagino sia così: ora come ora però, avessi un figlio, lo farei addormentare leggendogli qualche racconto di Cechov. Cioè, secondo me vanno bene…

      • Daniele Imperi
        martedì, 10 Marzo 2015 alle 13:49 Rispondi

        Perché non andrebbe bene? Se vende e continua a vendere, significa che è apprezzato. Cechov per un bambino? Per farlo addormentare subito :)

        • LiveALive
          martedì, 10 Marzo 2015 alle 15:13 Rispondi

          In realtà il fatto che vende non vuol dire che è apprezzato: Cinquanta Sfumature vende un casino, ma non direi che è apprezzato XD
          Ma è apprezzato, ok. Anche Fabio Volo vende e, se devo badare a quello che leggo sulla sua pagina Facebook, direi che è pure apprezzato dal suo pubblico. Ma mi chiedo allora: perché è apprezzato? Perché davvero il suo pubblico ha trovato in lui l’autore ideale? O semplicemente perché il suo pubblico segue le pubblicità, e non conosce altri scrittori che piacerebbero loro molto di più?
          Certo, è una questione complessa. Ma secondo me mio figlio apprezzerà Voltaire. Dai, è troppo divertente, non può non apprezzarlo anche un bambino…

    • Daniele Imperi
      martedì, 10 Marzo 2015 alle 13:48 Rispondi

      Il linguaggio è la parte più difficile anche per me, perché siamo abituati a scrivere e parlare con adulti. Può essere vista come una semplificazione della narrazione, come dici, ma non credo si risolva soltanto così.
      Per Geronimo Stilton ho invece un’antipatia a pelle, non so perché :)

      • Marina
        martedì, 10 Marzo 2015 alle 14:24 Rispondi

        E di Gianni Rodari che pensi? Hai mai letto qualcosa di suo?

        • Daniele Imperi
          martedì, 10 Marzo 2015 alle 14:36 Rispondi

          Per ora ho letto solo La grammatica della fantasia e mi è piaciuto molto. Ho poi comprato Le storie della fantasie.

          • Marina
            martedì, 10 Marzo 2015 alle 15:39 Rispondi

            Quello di cui parlo io è “favole al telefono”. Consigliato anche questo!

  6. filomena
    martedì, 10 Marzo 2015 alle 13:48 Rispondi

    Io ho scritto fiabe, ne scrivo ancora, ma lo faccio rispondendo ad un mio bisogno di dire quello che non riesco a dire in altra maniera, così faccio parlare gli oggetti, creo un mondo dove è possibile l’incontro tra Viventi e Non viventi. Mi terrorizza sapere che c’è un modo giusto di scrivere fiabe perché senz’altro mi boccerebbe; nel mio mondo fantastico io devo starci bene, ridere, piangere insieme al protagonista e se c’è questo allora la mia storia continua a piacermi anche dopo tanto tempo che l’ho scritta.

    • Daniele Imperi
      martedì, 10 Marzo 2015 alle 14:38 Rispondi

      Ciao Filomena, benvenuta nel blog.
      Per chi scrivi quelle fiabe? Il problema è che quando si scrive per un pubblico di piccoli, bisogna rispettare per forza certe regole. La mente di un bambino ragiona e percepisce in modo differente da quella di un adulto.

      • filomena
        lunedì, 16 Marzo 2015 alle 12:34 Rispondi

        Le scrivo per la bambina che c’è in me. Ogni bambino ha i suoi mostri, il suo senso di giustizia, i suoi “cattivi” e i suoi “buoni”, le sue delusioni, la sua sete di vendetta e il suo eroe, come noi adulti.

  7. Giordana
    martedì, 10 Marzo 2015 alle 14:36 Rispondi

    Viene fuori una grande verità: l’importanza dell’empatia col bambino.
    Notare che si tratta di una dote che possiedono in pochissimi, non è detto che essere stati insegnanti possa averla trasmessa, e neanche genitori. Si tratta di una dote innata, affinabile certo, ma innata.
    Per il linguaggio parlare di semplificazione è riduttivo.
    Il linguaggio adatto alla storia per un bambino è evocativo, semplice e preciso. Più preciso di quello che utilizziamo parlando con gli adulti, per i quali si può sempre correggere il tiro e specificare meglio nella frase seguente. Con un bambino questa pratica rischia di far perdere interesse. Lui vuole la storia, l’azione, i draghi… deve avere tutte le informazioni accessorie subito, e deve averle in modo tale da convincerlo che ascoltare il resto sia interessante.

    • Daniele Imperi
      martedì, 10 Marzo 2015 alle 14:43 Rispondi

      Concordo sull’empatia: o c’è oppure non puoi inventartela.
      E anche sulla semplificazione: non basta. Non è facile tornare indietro con la mente a quando eravamo bambini per capire meglio come scrivere. Credo ci debba essere tanta lettura di storie per bambini, prima, e poi tanto esercizio.
      Hai detto bene sulla precisione del linguaggio: se un bambino legge una cosa, quella resta fissa in mente, quindi è impossibile correggere il tiro.

  8. Giordana
    martedì, 10 Marzo 2015 alle 15:25 Rispondi

    Aggiungo che la maggior parte delle storie per bambini/ragazzi che ho letto ultimamente pecca in equilibrio delle parti del testo, spezzando l’azione. Un brutto esempio di questo errore ci viene dato da “Come addestrare un drago”, da cui poi hanno tratto i film d’animazione, molto, molto più riusciti del libro.

    • Daniele Imperi
      martedì, 10 Marzo 2015 alle 15:44 Rispondi

      In che modo hanno spezzato l’azione?
      Io ho trovato belle le storie di Annette e Gina Cascone e Meile Maloy. E anche di Enid Blyton.

  9. Dylan Secchi
    martedì, 10 Marzo 2015 alle 17:12 Rispondi

    Non saprei. La mia esperienza personale con le storie per bambini è molto ristretta, infatti non mi piacevano (con tutto il rispetto per gli scrittori). Sinceramente non mi attirano molto, ma forse è anche per via della mia scarsa esperienza nel campo delle fasce d’età così giovani. Non so, magari se diventerò padre un giorno(cosa molto difficile visto che mi piace la vita solitaria e non sono molto romantico) comincerò a capire quel genere di libri e comincerò a scrivere qualcosa però per momento mi dedico solo a storie per adulti. Devo dire però che a undici, dodici anni ho letto ‘Novelle fatte a macchina’ e credo che magari storie così, anche un po’ surreali, mi piacerebbe scriverle. Magari finito i due romanzi a cui sto lavorando…

    • Dylan Secchi
      martedì, 10 Marzo 2015 alle 17:13 Rispondi

      FINITI i due romanzi a cui sto lavorando

    • Daniele Imperi
      martedì, 10 Marzo 2015 alle 17:28 Rispondi

      Non ti piacevano da bambino o da adulto? Diventare padre non implica riuscire a scrivere storie per bambini, comunque.

      • Dylan Secchi
        martedì, 10 Marzo 2015 alle 21:37 Rispondi

        Da bambino non mi piacevano. Quella storia del padre è solo per dire che se lo facessi avrei occasione di conoscere quelle storie che da bambino non ho mai letto, magari riconsiderarle e cominciarne a scrivere…

  10. Francesca Lia
    martedì, 10 Marzo 2015 alle 18:37 Rispondi

    Sono molto interessata ai libri per bambini come lettrice, anche se penso che sarei totalmente negata come scrittrice. Preferisco usarli come “humus” per sviluppare le mie storie per adulti. Sono molto d’accordo con quello che è stato detto in questa intervista, tranne per una cosa: “Un tempo, nei libri per bambini si esercitava il ricatto, li si spaventava a bella posta per addomesticarli e renderli ubbidienti in modo passivo.”

    Io ho letto storie al limite dell’horror per tutta la mia infanzia, le cercavo spontaneamente, e i miei genitori non hanno fatto altro che assecondarmi. Non sono affatto diventata ubbidiente e spaventata, anzi! Sono diventata una bambina, e poi una ragazza, molto curiosa, coraggiosa e consapevole del mio mondo interiore.
    Penso (e credo sia un’idea diffusa anche in certe branche della psicologia infantile) che i bambini abbiano bisogno di Uomini Neri e cose simili per dare una forma alle proprie paure e imparare ad affrontarle. Gli adulti che vogliono difendere i bambini da qualsiasi genere di paura (anche da quella fisiologica dell’infanzia), in realtà, impediscono ai bambini di elaborare un linguaggio psicologico della paura, e quindi li rendono estremamente deboli verso le difficoltà piccole e grandi della vita.

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 11 Marzo 2015 alle 9:27 Rispondi

      Non è detto che tutte le storie riescano a influenzare i bambini. Però se pensi a molte fiabe, avevano quegli intenti.
      Sono d’accordo che bisogna insegnare ai bambini a dare forma alle paure per poterle affrontare. Difficile è poterlo fare con una storia.

  11. Tenar
    martedì, 10 Marzo 2015 alle 18:49 Rispondi

    Ho trovato l’intervista bellissima.
    Io insegno alle medie e miei alunni cercano nei libri proprio le caratteristiche che Petrosino elenca. Anzi, lo conoscevo come autore, ma pensavo che si rivolgesse a un pubblico più giovane. Visto che scrive anche per pre adolescenti andrò a cercare i suoi testi per inserirli nell’elenco dei libri consigliati per i miei ragazzi.

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 11 Marzo 2015 alle 9:28 Rispondi

      Grazie :)
      Io cercherò di prendere e leggere qualche suo libro: li userò come “libri di studio”.

  12. Angelo Petrosino
    martedì, 10 Marzo 2015 alle 20:15 Rispondi

    Una precisazione per Francesca Lia. Quando ho scritto che un tempo si ricattavano i bambini spaventandoli per renderli passivi e ubbidienti, alludevo a certi contenuti moralistici e cupamente pedagogici, con i quali si esortavano i bambini a rispettare regole di comportamento che promuovevano soltanto ipocrisia. Tipo: Se non fai così, sei un cattivo bambino; non rispondere in questo modo, o rendi tristi i tuoi genitori; non ribellarti o protestare sempre oppure finirai male.
    Per fortuna oggi nei libri per bambini,nella stragrande maggioranza dei casi, nessuno si sognerebbe di scrivere frasi del genere e ammonimenti ricattatori simili.
    Ma nell’Ottocento, e fino a qualche decennio fa, queste cose nei libri per l’infanzia si scrivevano ancora. Il bambino era visto come un essere da domare e da correggere, naturalmente “sovversivo” ed egoista. Per il suo bene, bisognava piegarlo per tempo. L’immagine del giovane albero da raddrizzare prima che si deformi per sempre, non solo faceva parte del linguaggio comune e familiare, sia nelle campagne, sia nelle città, ma era molto presente nei racconti che si preparavano per i libri di testo delle scuole elementari e nei testi di narrativa per l’infanzia nel secolo scorso.
    Non erano molti gli scrittori che mettevano in luce la violenza psicologia insita in questo atteggiamento educativo e che prendevano le parti del bambino per incoraggiarlo ad essere se stesso, a coltivare la curiosità, la voglia di conoscere, la sua creatività.
    Pinocchio è stato guardato con sospetto da molti educatori per la sua irriverenza, la sua voglia di trasgressione, il suo comportamento da bambino insofferente di regole troppo stringenti, la sua tendenza al vagabondaggio.
    Non si tratta, nei libri per bambini e ragazzi, di coltivare disadattati, ribelli senza causa, di strizzare l’occhio a comportamenti asociali. Uno scrittore che sia dalla parte dei ragazzi scrive per divertire, per allacciare un dialogo, per allargare orizzonti, per promuovere libertà ed entusiasmare i suoi lettori verso le parole: parole per raccontarsi, parole per affermare il proprio pensiero, parole anche per consolare.
    Per il resto, ha ragione Francesca. La paura è un elemento con cui i bambini devono imparare a fare i conti sin da piccoli, per tenerla a bada e non farsene schiacciare.
    Molti scrittori per l’infanzia lo sanno bene e riescono ad accompagnare i bambini anche attraverso i buchi neri della loro esistenza.
    La paura ha tante facce: a volte è reale, a volte è immaginaria, a volte si colora di insani pregiudizi e di ignoranza, a volte può essere determinata dalla solitudine, a volte dal timore di vedere scompaginarsi l’ambiente familiare in cui si vive. A volte è l’ossessione del prepotente che si prende gioco di te per come sei, per le tue insufficienze, per la tua timidezza che quasi sempre è indizio di una personalità riflessiva che ama scavare in profondità.
    Queste paure, e altre ancora, gli scrittori per bambini sanno raccontarle. Perciò molti libri rivolti all’infanzia acquistano spesso una funzione terapeutica straordinaria. E’ il potere delle storie e delle parole.

  13. Micaela
    martedì, 10 Marzo 2015 alle 22:53 Rispondi

    Ciao a tutti,
    ci pensavo giusto un paio di settimane fa, a scrivere qualche storia per bambini.
    Ma riflettendo,dopo aver letto l’articolo e i consigli nonchè l’esperienza di Angelo P. credo sia più difficile di quanto immaginassi.
    Ma la curiosità di mettermi alla prova con questo tipo di scrittura non mi manca…anzi.

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 11 Marzo 2015 alle 9:29 Rispondi

      Un po’ mi sono preoccupato anche io dopo aver letto le risposte :)
      Però possiamo usarle come fossero un libro di testo per imparare a scrivere storie per bambini.

  14. mamy
    mercoledì, 22 Aprile 2015 alle 12:43 Rispondi

    Ciao a tutti,
    ho letto l’intervista a Petrosini e farò tesoro dei suoi suggerimenti. Ho un blog nel quale da qualche mese scrivo storie per bambini, anzi cerco di scrivere
    Ho un piccolo vantaggio, poiché le mie storie sono per così dire rodate.
    Sono storie già raccontate ai miei due figli maschi, quindi l’evoluzione del racconto ha seguito le loro preferenze e le loro richieste. Mentre io inventavo la storia della buonanotte mi chiedevano spesso variazioni e modifiche, scontenti della mia tendenza romantica e soporifera.
    Così le fiabe hanno lasciato subito il passo a racconti più frizzanti. Non a caso uno dei protagonisti si chiama Frizz. Io ho messo a disposizione una trama, ma il ricamo è opera loro. Spero quindi che le mie storie possano incontrare il gusto dei bimbi più piccoli.
    I racconti che ho inventato sono davvero tanti, 365 sere all’anno per sette od otto anni. Poi ho preso dallo scaffale IL BARONE RAMPANTE e li ho incantati.
    E’ stato il primo di molti libri che hanno sostituito da allora in poi i miei racconti serali, ma credo che le mie storie siano state adeguate e utili come catarsi al vissuto dei loro primi anni.

  15. paola
    giovedì, 10 Settembre 2015 alle 16:08 Rispondi

    Bellissima intervista, parole illuminanti. Grazie per averle condivise!

    • Daniele Imperi
      giovedì, 10 Settembre 2015 alle 16:34 Rispondi

      Grazie a te e benvenuta nel blog :)

  16. Nonna lulù
    lunedì, 8 Maggio 2017 alle 5:49 Rispondi

    Ciao, ho letto l’intervista e l’ho trovata molto interessante. Cosi come Mamy (che mi piacerebbe contattare avendo visto il suo sito), ho un blog di favole. Ho iniziato a mettere su carta le favole che raccontavo alla mia nipotina, perchè non andassero perse, ed ecco perchè l’idea del blog. Ho ancora tanto da imparare, ma la voglia di raccontare e scrivere permane.

    • Daniele Imperi
      lunedì, 8 Maggio 2017 alle 7:17 Rispondi

      Ciao Nonna Lulù e benvenuta nel blog. Ottima idea pubblicare favole nel blog per non farle dimenticare.

  17. Walter
    giovedì, 2 Maggio 2019 alle 11:36 Rispondi

    Salve Sig. Imperi, sono un laureando in informatica e sto svolgendo una tesi su un programma che consentirebbe ad un robot di raccontare ed imparare storie ai e dai bambini. Avrei bisogno quindi del parere di un esperto del settore o comunque di qualcuno con più esperienza di me, per capire bene quali siano le parti principali, utilizzate per creare una storia per bambini. Se può dedicarmi qualche minuto del suo tempo, potremmo sentirci per email se è d’accordo.
    Grazie

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