La scrittura del XXI secolo

Viaggio nell’incomprensibilità e nella mediocrità

La scrittura del XXI secolo

La scrittura del XXI secolo riflette la società di oggi, allo stesso modo in cui la scrittura dei decenni e dei secoli passati ha rispecchiato quelle passate società.

Nella nostra epoca – o “microepoca”, se possiamo definire con questo azzardato neologismo un segmento di secolo – la scrittura sta subendo modifiche anche radicali per mezzo di una propaganda ideologica, che prova a imporsi sulla collettività, e di tendenze linguistiche, che si diffondono rapidamente grazie ai nuovi mezzi di comunicazione di massa.

Ne risulta – per chi è attento, per chi ha veramente a cuore la nostra lingua e il nostro retaggio culturale, ma soprattutto per chi non alza le spalle ritenendo il problema senza importanza – una scrittura sempre più incomprensibile, colma di forzature, parafrasi, storpiature, cacofonie, anglicismi.

Volgendo lo sguardo al futuro, se non si porrà un freno a queste derive linguistiche, che cosa diventerà la lingua italiana, come sarà la scrittura del domani che verrà?

La scrittura del XXI secolo è un viaggio nell’incomprensibilità e nella mediocrità: incomprensibilità perché diventa sempre più difficoltoso capire ciò che scrivono alcuni individui su internet e nei blog – per non parlare di chi parla alla televisione – e mediocrità perché la scrittura sta perdendo la sua qualità artistica, la sua eleganza, il suono stesso della lingua italiana.

La piaga degli anglicismi

Gli anglicismi nella lingua italiana sono ormai una piaga inarrestabile. Ogni giorno ne nascono di nuovi, causando la scomparsa dei corrispettivi italiani. Vi ricordate quando si diceva “tappeto rosso”? Adesso si dice red carpet, vai a capire perché.

Proprio l’altro giorno ho letto su Twitter di un tizio (italiano) che ha scritto due obituary, termine inglese che altro non significa se non necrologio.

Aziende, professionisti, siti vari ormai promuovono prodotti e servizi usando l’inglese a più non posso:

  • si parla di intelligenza artificiale, ma si abbrevia in AI (Artificial Intelligence) e non in IA
  • ogni tanto c’è una promo week e non una settimana della promozione
  • la redazione di un sito si chiama ora content team
  • c’è chi scrive di fashion, beauty, travel e nuovi trend e non di moda, bellezza, viaggi e nuove tendenze
  • e chi scrive di lifestyle, food&wine e tech e non di stili di vita, cibo e vino e tecnologia
  • alcuni ostentano il proprio heritage di editore internazionale e non il proprio retaggio di editore internazionale
  • c’è chi parla di digital experience e non di esperienza digitale
  • oggi è pieno di content creator (o semplicemente creator, dal vago sapor divino) e non di creatori di contenuti
  • si prepara un planning e non un piano
  • è pieno di gente che elenca step e tip e non passi e suggerimenti
  • aziende che hanno una collezione eyewear e non di occhiali
  • per non parlare dei must-have che hanno soppiantato le cose indispensabili
  • e mentre scrivo ho scoperto i capi apparel, che altro non sono se non i vecchi capi di abbigliamento.

Il guaio è che questa gente non si sente ridicola quando scrive e parla a quel modo, bensì profescional, trendy magari, al passo coi tempi.

Quello che davvero non riesco a capire, che non mi entra proprio in testa, è il motivo, la ragione che sta dietro questa preferenza: preferire un termine inglese invece del corrispettivo italiano.

Se provi a chiedere lumi, ti senti rispondere “Adesso si dice così”. Come se “adesso” l’Italia fosse diventata una colonia inglese. Non si spiega altrimenti quella risposta.

Chi parla di sudditanza linguistica e culturale ha ragione. È una sudditanza inconsapevole, certo: l’assuefazione linguistica all’inglese è divenuta una vera dipendenza: chi scrive non può fare a meno di passare all’inglese, è un processo automatico, ormai.

Anglicizzare la lingua italiana ridefinisce la nostra cultura, azzerandola e sostituendola con una cultura che non ci appartiene. L’uso di anglicismi per esprimere concetti ed espressioni, che possono benissimo essere espressi in italiano, ci priva del nostro stesso modo di pensare, facendoci assumere un modo di pensare inglese, che non è nostro.

Reduplicazione di maschile e femminile

Da qualche tempo molti usano scrivere “Care lettrici e cari lettori” al posto della vecchia usanza “Cari lettori”.

Da notare la precedenza al femminile: non un gesto cavalleresco (che sarebbe poi interpretato come sessista, oggi), ma per porre in secondo piano il maschile, vista la dominanza di ciò che chiamano “maschile sovraesteso” (e che io invece chiamo “maschile inclusivo”, perché include il maschile e il femminile).

Quando sento dire “i cittadini e le cittadine”, “i professionisti e le professioniste”, “tutti e tutte”, ecc., riscontro un rallentamento nella lettura, dovuto a una sorta di ridondanza, che vera ridondanza non è, ma alle mie orecchie così appare.

Penso che “Cari lettori”, “i cittadini”, “i professionisti”, “tutti”, ecc. sia ancora la formula da usare – che io userò sempre. Perché complicare la lingua?

La reduplicazione di maschile e femminile è una forzatura, che in alcuni casi diviene un’imposizione ideologica.

Schwa e dintorni: l’inclusività che esclude

È di questi giorni la notizia di uno studente che all’esame scritto di Italiano alla maturità ha usato la schwa, un carattere che non esiste nel nostro alfabeto, impronunciabile quando sostituisce le vocali finali.

Vi sarà capitato di trovare “Ciao a tuttə”, “professionistə”, “lavoratorə”, “maestrз”, “ləi”, “pittorз” e obbrobri vari. Lo chiamano linguaggio inclusivo.

È stata una sfida, ha detto quello studente. E il bello è che è stato perfino premiato, ottenendo 17/20. Ecco l’esempio degli insegnanti italiani: gli errori ortografici vengano oggi premiati.

La propaganda martellante ha dato i suoi frutti. Ha contagiato le nuove generazioni e gli insegnanti. Insegnanti che dovrebbero insegnare, appunto, l’uso corretto della lingua italiana e penalizzare gli errori, anziché premiarli.

Difendiamo la scrittura italiana

Tutte queste pratiche – anglicismi, parafrasi, forzature, storpiature, cacofonie – sono una minaccia alla bellezza della nostra lingua, al valore della nostra cultura.

Vi lascio con una citazione di Gabriele d’Annunzio, tratta dall’opera La vergine delle rocce, che appare tristemente attuale:

Difendete il Pensiero ch’essi minacciano, la Bellezza ch’essi oltraggiano! Verrà un giorno in cui essi tenteranno di ardere i libri, di spezzare le statue, di lacerare le tele. Difendete l’antica liberale opera dei vostri maestri e quella futura dei vostri discepoli, contro la rabbia degli schiavi ubriachi. Non disperate, essendo pochi.

15 Commenti

  1. Orsa
    giovedì, 29 Giugno 2023 alle 11:44 Rispondi

    vampə
    vampə
    vampe vampə
    vampe vampə
    Marinetti mi perdonerà per la citazione storpiata, ma è esattamente la fine che farei fare ai testi di quelli che “o inclusione o morte”. Io sto smettendo di seguire chi pratica questa scrittura, non li leggo più, mi dispiacə, anche perché non è leggere… è un continuo inciampare.
    Attualissime sì le parole del passatista di Fiume!

  2. Daniele Imperi
    giovedì, 29 Giugno 2023 alle 14:05 Rispondi

    “Vampe” è l’unica soluzione per quei testi. Anche io ho iniziato a smettere di seguire chi scrive a quel modo.

  3. Pades
    giovedì, 29 Giugno 2023 alle 14:55 Rispondi

    Gli anglicismi mi fanno venire l’orticaria e li combatto ogni giorno. Se rispondo a una mail di lavoro a qualcuno che usa inutili anglicismi uso i corrispondenti termini italiani.
    Le duplicazioni di maschile e femminile le trovo un inciampo molto fastidioso (un’unica eccezione: il “signore e signori” usato dai presentatori). Sopporto male le ridondanze e le ripetizioni, dunque sentire un sindaco esordire con “Care concittadine e cari concittadini” mi fa prima rizzare il pelo e poi addormentare dopo poche sillabe.
    Purtroppo penso che l’ideologia (il politicamente corretto, in primis) abbia superato la cultura perché quest’ultima è più faticosa: bisogna leggere molto.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 29 Giugno 2023 alle 15:06 Rispondi

      È bello vedere che non siamo pochi contro gli anglicismi. Anche io se devo rispondere uso i corrispettivi se trovo quell’inutile inglese. C’è da chiedersi se dall’altra parte capiscano…
      E idem come te non trovo fastidioso il “signore e signori” dei presentatori. Si è sempre usato.

  4. Franco Battaglia
    giovedì, 29 Giugno 2023 alle 16:23 Rispondi

    Come già ti feci notare una volta, nel “chi sono” ti definisci ancora web writer freelance.. te l’ha scritto un altro ‘sto post?! ;)

    • Daniele Imperi
      giovedì, 29 Giugno 2023 alle 16:28 Rispondi

      No, l’ho scritto io l’articolo. Ma per modificare i termini inglesi che avevo usato occorre tempo. Alcuni li ho cambiati, altri sono sfuggiti e pian piano li cambierò. Quanto inglese trovi nei miei articoli?

      • Franco
        venerdì, 30 Giugno 2023 alle 7:18 Rispondi

        ..a parte la polemica scherzosa, era solo per far notare quanto nolenti o volenti siamo infillati nel trend..ops! andazzo dell’abitudine che diventa pessima consuetudine..

        • Daniele Imperi
          venerdì, 30 Giugno 2023 alle 8:13 Rispondi

          Sì, su questo concordo. “Web writer” è diventata un’abitudine, come tanti altri nomi di professioni inerenti a internet, molte delle quali potevano essere denominate in italiano. In spagnolo si chiama “escritor web”, per esempio.

    • Pades
      giovedì, 29 Giugno 2023 alle 17:13 Rispondi

      Eh ma “web writer” fa parte dei termini tecnici difficilmente sostituibili, altrimenti i motori di ricerca non ti trovano e rischi di perdere potenziali clienti. Come non posso sostituire, da informatico, “computer”, “server”, “mouse”… ma quando un collega mi scrive (è capitato un paio di mesi fa) che “un must have è avere un fee più basso” per dirmi che dovevo ottenere un canone più conveniente da un fornitore, allora scatta l’alabarda spaziale.

      • Daniele Imperi
        giovedì, 29 Giugno 2023 alle 17:18 Rispondi

        Vero quanto dici, purtroppo, per i motori di ricerca. Il “web writer” sarebbe poi il redattore per il web, niente di più.
        Se avesse detto a me che “un must have è avere un fee più basso”, non avrei capito niente.

      • Orsa
        giovedì, 29 Giugno 2023 alle 18:16 Rispondi

        Padrake 😂

  5. Davide
    venerdì, 30 Giugno 2023 alle 13:34 Rispondi

    Concordo in tutto per tutto Daniele.
    E poi il fatto che questi insegnanti hanno adirittura premiato un ragazzo solo per aver scritto con quella sciocchezza dello scevà “inclusivo” è allucinante ! Da dove escono fuori insegnanti del genere ?? Mica hanno preso l’attestato di laurea dalla scatola delle merendine ?
    Inoltre questri insegnanti così mediocri ( e aggiungerei anche “inetti”, perché non possono bocciare nulla sennò i genitori immaturi li denunciano…) sono poi gli stessi che quando indicano la lettera J ( “i lunga”) la chiamano esclusivamente in inglese (cioè “gei”), tanto per citare un’altra cattiva abitudine tutta italiana.
    Per non parlare poi del gergo dei video-giocatori o dei “tubbisti” ( così preferisco indicare gli “youtuber”) costituito da verbi maccheronici mezzo italiano mezzo inglese : tra “pullare”, “challengiare”, “droppare”, “spoilerare”… Che orrore, tutto questo mi fa solo sentire la nausea!

    • Daniele Imperi
      venerdì, 30 Giugno 2023 alle 13:59 Rispondi

      Quello che è successo a quell’esame di maturità è davvero assurdo. Sono insegnanti frutto della propaganda ideologica sull’inclusività.
      I verbi “pullare”, “challengiare”, “droppare” mi mancavano… senza contare poi che quei giocatori vengono chiamati “videogamer” o “gamer”.

  6. antonio zoppetti
    martedì, 11 Luglio 2023 alle 9:49 Rispondi

    Hai fatto un quadro della situazione che mi pare esemplare. Sul destino dell’italiano c’è un’altra partita in gioco che lo mette a rischio, ma non riguarda la sua evoluzione/involuzione lessicale, bensì il suo ruolo: ci sono università che vorrebbero escluderlo come lingua della formazione, mentre i progetti di ricerca (i Prin e i Fis) italiani si devono presentare per legge solo in lingua inglese. Intanto la nostra lingua non è più una delle lingue del lavoro nell’Ue, dove molti spingono per l’utilizzo dell’inglese (anche se questa prassi non è legittimata da alcuna carta)… e su questo scenario la nostra lingua rischia di retrocedere sul piano interno e internazionale e far la fine di un dialetto di un mondo che parla e pensa in inglese.
    La preferenza degli anglicismi è l’effetto collaterale di tutto ciò; l’inglese vissuto come la lingua superiore e internazionale entra in conflitto con le lingue locali, le fa regredire e le contamina.
    Sulla mediocrità dell’italiano alcuni linguisti come Sabatini e Berruto, negli anni ’80 hanno rispettivamente parlato della nascita di un italiano “medio” o “neostandard”, che tra l’altro caratterizza anche molte opere letterarie, e che rappresenta il modello del nuovo italiano di massa. Ma da allora tutto è cambiato, e mi pare che il nuovo italiano di massa dell’era internettina (che ha cambiato tutto rispetto agli anni ’80) sia caratterizzato proprio dalla massiccia interferenza dell’inglese, e mi pare che il nuovo modello sia “newstandard”, e tenda all’anglicizzazione e all’ibridazione con l’inglese.

    • Daniele Imperi
      martedì, 11 Luglio 2023 alle 10:39 Rispondi

      Delle università ho letto, nel tuo blog mi pare. È una richiesta assurda. E non capisco perché i progetti di ricerca italiani si debbano presentare solo in lingua inglese.
      La preferenza degli anglicismi può un effetto collaterale di quello che citi, ma è anche una tendenza che si è sviluppata dalle nuove professioni nate con internet.
      Riguardo al nuovo modello di italiano, il linguaggio delle nuove generazioni, nato anch’esso su internet e contaminato da altre culture, non ha solo il difetto degli anglicismi. Alcuni usano chiamare altri “bro”, che credo provenga dall’inglese “brother”, fratello, che poi usano gli afroamericani. Dunque mi chiedo: cosa ci azzecca con la nostra cultura?

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