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In uno dei suoi appunti a margine che scriveva sui libri, Edgar Allan Poe sostenne che i cinesi «hanno ancora abbastanza buon senso per iniziare i loro libri dalla fine» (Marginalia, 268). Il consiglio era rivolto agli scrittori di romanzi rosa.
Riflettendo su quel consiglio, mi ero trovato d’accordo: per molto tempo ho pensato che il finale di un racconto o di un romanzo dovesse essere conosciuto subito, cioè dobbiamo sapere fin dall’inizio come andrà a finire la nostra storia.
In fondo, ogni volta che ho l’idea per un racconto, so già come andrà a finire. Diciamo anzi che dal titolo – come ho scritto varie volte, a me le storie vengono in mente con un titolo – io immagino l’intera storia e come finisca.
Ho sempre rispettato questa “regola”?
Non possiamo sapere come finirà la nostra storia
La risposta a quella domanda è: no, non l’ho sempre rispettata. Anche se in linea generale ho mantenuto la mia idea di partenza per il finale, qualcosa inevitabilmente è cambiato.
Nella mia raccolta di racconti di fantascienza in fieri – ne sono pronti 5 e un sesto è in stesura – 3 finali sono stati cambiati rispetto a ciò che avevo avuto in mente. Perché?
Semplice, perché man mano che scrivevo, il racconto prendeva una forma sua, come non avrei potuto prevedere. Non sto dicendo che la storia si è scritta da sola – questa è una stupidaggine su cui tornerò – ma che durante la stesura sono nate idee differenti e che ho ritenute più valide.
Queste idee hanno scatenato determinati eventi, che a loro volta ne hanno causati altri: ed ecco che il finale che avevo immaginato non si accordava più con quanto accaduto prima.
Non per niente si chiama scrittura creativa: la creazione è un processo imprevedibile.
Scrivere una storia biografica: quando il finale si conosce
Il romanzo storico-biografico ha un difetto, se possiamo chiamarlo così: la storia ci è nota. Magari non sempre, magari non nel dettaglio, però è facile prevedere come andrà a finire.
In un romanzo sulla congiura che ha portato all’assassinio di Giulio Cesare quale sarà il finale?
In un romanzo sulla battaglia di Waterloo o del Little Bighorn quale sarà il finale?
In un romanzo sulla vita di Gesù quale sarà il finale? E in quello sulla vita di Virginia Woolf? E in uno sulla vita di Salgari?
Leggendo questi romanzi, l’interesse e la curiosità non verranno meno, perché intervengono altri fattori a rendere piacevoli da leggere quelle storie: lo stile, la struttura della storia, la caratterizzazione dei personaggi, la visione degli autori sugli eventi, ecc.
A noi non interessa che il finale sia noto – sappiamo che Cesare fu ucciso, Napoleone e Custer sconfitti, Gesù crocifisso e la Woolf e Salgari si suicidarono – a noi interessano gli eventi che hanno portato a quelle conclusioni, i dettagli delle vite di quei personaggi. E interessa conoscere qualcosa che prima ignoravamo.
Il protagonista è più importante del finale
C’è un elemento che è fondamentale in ogni storia: il cambiamento del protagonista. Possiamo dire che sia quel cambiamento a stabilire il finale della storia.
Fin dall’inizio non possiamo sapere come cambierà il nostro protagonista, anche se sappiamo cosa l’abbia spinto ad agire – desiderio, missione, pericolo, ecc.
Il finale – aperto o chiuso – è soltanto il momento in cui decidiamo di mettere un punto alle vicende narrate: il protagonista è riuscito nel suo intento oppure no, ma comunque si ritrova cambiato – nel fisico, nell’intimo o in entrambi – e a noi non resta che concludere.
Come? Nel modo più appropriato per ciò che abbiamo narrato e anche in funzione del genere letterario della storia.
Rivedendo l’elenco dei racconti che mi mancano da scrivere, di nessuno conosco già il finale. Ma sarà interessante scoprirlo alla fine.
Franco Battaglia
I miei racconti brevi partono spesso da un finale ad effetto, e la storia si dipana all’indietro, creando presupposti credibili o perlomeno funzionali. E’ strano ma funziona..
Daniele Imperi
Quindi pensi o scrivi prima il finale e in base a quello costruisci il racconto?
Corrado S. Magro
In alcuni casi il finale mi è noto dall’inizio. Prevedibile (o stabilito) magari nel romanzo ma non nel racconto. Ci sono poi opere molto note con più protagonisti. Tutti emergono improvvisamente, dominano la scena, spariscono, ritornano alla ribalta, vengono dimenticati. È una dote dell’autore saperli gestire senza creare strappi. Il finale aperto o chiuso, anche se rispetta l’idea inziale è come la pennellata maestra che avvalora o rischia di deprezzare il quadro.
Daniele Imperi
Dipende anche dalla storia che il finale sia noto o meno, ma anche da una scelta personale.
Marco
In alcuni miei racconti ho già in mente il finale e l’inizio, ma il problema è che se la storia è “normale” ossia non c’è un vero “cattivo” non so come gestirlo, come creare conflitto, perchè una storia (esempio) d’amore senza un terzo incomodo o un’evento extra che allontana uno dei due è noiosa. Però non mi è mai capito di non sapere il finale di un mio racconto (fin’ora) il problema a volte era come arrivarci :D.
Daniele Imperi
Il conflitto non sempre è dovuto a un personaggio cattivo, ma anche a un evento, oppure può essere un conflitto interiore al protagonista.
Arrivare al finale può essere difficile, secondo me, perché forse conoscerlo limita la creatività e sei costretto a creare scene in funzione di quel finale. Prova a non tenerne conto e vedi come procede la storia.
Marco
In effetti, se ben mi ricordo…un’esperto di cinema disse “l’errore più grande che puoi fare è partire dall’inizio e fare un film tutto basato su quello”…
Luciano Cupioli
Il finale a volte c’è l’hai a volte no, a volte lo mantieni fino alla fine e altre lo cambi. No c’è una regola, cone non c’è nello scrivere un romanzo quando hai definito tutto, ma proprio tutto, oppure solo sulla base di uno spunto iniziale. Semmai non mi piacciono i finali plurimi, quelli in cui ti chiedi perché l’autore non si sia fermato a un certo punto, ma ha cercato un altro, spesso forzato, colpo di scena conclusivo. Il finale è importante, attribuisce alla storia un innegabile valore aggiunto, e averlo chiaro dall’inizio è senz’altro un vantaggio, tuttavia può essere anche più bello ed efficace trovarlo strada facendo. Alla “fine” quel che conta è che sia degno e convincente. Non è sempre facile trovarlo.
Daniele Imperi
I finali plurimi di cui parli non piacciono neanche a me, ma non sempre si può essere d’accordo con le scelte dell’autore.
Laura Rondina
Scrivo racconti e so sempre come finiranno, anzi parto dal titolo e inizio a costruire. Mi è stato detto che sono spaccati fulgidi di vita, ma che connoto poco i personaggi. E io che pensavo di annoiare nel dilungarmi nelle spiegazioni sui personaggi. Ora ho riletto, rimpolpato le parti magre e spedito alle CE. So bene che il mercato dell’editoria è in crisi, che si legge meno, ma dovevo provarci.
Grazie per la lista delle case editrici, è da lì che ho iniziato a seguirti, a leggerti e cercare di mettere a frutto i tuoi consigli. Grazie
Daniele Imperi
Più o meno il mio metodo per scrivere racconti. In un racconto, breve narrazione, i personaggi non possono essere connotati come per un romanzo: manca lo spazio.
Non so però quanto possano essere interessati gli editori ai racconti singoli. O hai spedito una raccolta?
Laura Rondina
Ho spedito una raccolta con un filo conduttore., non la solita raccolta di racconti ognuno a sé stante. Una narrazione che funge da cornice con nicchie di memorie e realtà che si scompongono e si frammentano in racconti. Mi auguro che possa perlomeno incuriosire la struttura. Mal che vada, ho già altre due raccolte pronte. Non demordo.