Non esistono anglicismi innocui

Non esistono anglicismi innocui

Un mese fa, su Twitter, Giordano Bruno Guerri ha scritto che «Al ⁦Vittoriale⁩ il bookshop si chiama libreria». Un lettore ha risposto che bookshop è un anglicismo innocuo.

Ma non esistono anglicismi innocui.

Anche store dovrebbe essere un anglicismo innocuo, eppure ecco che da più parti la parola italiana “negozio” è stata sostituita dall’inglese store, che significa – indovinate cosa? – proprio negozio.

  • Sul sito del «Corriere della sera» i libri pubblicati dal giornale si trovano all’indirizzo store.corriere.it
  • Ho contato 81 WINDTRE Store su 111 (solo 30 sono Negozio WINDTRE)
  • “Vieni a trovarci nel nostro store” dà 81.200 risultati, mentre “Vieni a trovarci nel nostro negozio” 142.000. Il 36% del totale usa store anziché negozio. E quel valore è destinato ad aumentare.

Il bookshop sostituirà la libreria

Vediamo quanto è innocuo l’anglicismo bookshop.

Il Chiostro del Bramante ha un Bookshop / Store.

Anche il Museo Maxxi ha un Bookshop.

Cinecittà si Mostra ha invece un ampio bookshop.

La Fondazione Maria e Goffredo Bellonci, casa museo, ha un Bookshop.

Perfino le Scuderie del Quirinale hanno un bookshop, e addirittura wireless.

Invece il Parco archeologico del Colosseo conta ben 3 bookshop.

Inutile continuare. Invito tutti a fare una ricerca su Google e scoprire quante librerie siano scomparse in Italia, sostituite dai bookshop.

Mi chiedo – e spero ve lo chiediate anche voi – perché usare bookshop, che significa – indovinate cosa? – proprio libreria. Cosa avrà mai di diverso un bookshop da una libreria, visto che in entrambi si vendono libri?

Se bookshop fosse stato un anglicismo innocuo, non avrebbe lasciato traccia, non sarebbe così presente nelle attività italiane, non ci sarebbe questa maniacale tendenza a usarlo al posto di libreria.

Bookshop non è neanche un cosiddetto prestito di “necessità”, perché non esiste alcuna necessità di introdurre bookshop nella lingua italiana. Bookshop è la solita vergognosa illusione di aver creato qualcosa di diverso, di migliore, di innovativo.

Un bookshop vende libri esattamente come fa una libreria, ma li vende con un quid in più che fa la differenza.

Gli anglicismi sono tutti dannosi

Immaginate la mia sorpresa quando, tempo fa, sul sito della Treccani ho letto, nel menu a piè di pagina, Whistleblowing, un’oscenità che non so neanche pronunciare.

Anche nei siti istituzionali si trova questa parola:

  • l’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione) ha le Segnalazioni whistleblowing
  • il Ministero dell’Interno ha la Segnalazione illeciti – Whistleblowing
  • il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha la voce Whistleblowing
  • anche il Ministero della Cultura ha la voce Whistleblowing
  • e pure l’Agcom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) ha la voce Whistleblowing
  • Infocamere ha le voci Whistleblowing e Governance
  • il Comune di Genova ha la voce Segnalazione di condotte illecite (Whistleblowing), è importante la spiegazione tra parentesi
  • l’Università degli Studi di Napoli Federico II ha le voci Whistleblowing e Agritech Academy
  • l’Università della Calabria ha la Segnalazione di illeciti (Whistleblowing)

E ancora i siti del Ministero della giustizia; del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica; del Governo; del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste; del Comune di Padova; della Regione Piemonte; della Regione Lombardia; di Roma Capitale.

Mi sono fermato qui, ne avevo abbastanza.

Whistleblowing non è più un anglicismo innocuo, visto che i siti istituzionali lo usano, al posto del più semplice, italiano, comprensibile Segnalazione di illeciti.

Quando i termini inglesi appaiono di frequente nella comunicazione italiana, non possiamo più parlare di innocuità, ma di dannosità.

Nel menu di navigazione principale del sito della Sergio Bonelli Editore (casa editrice di fumetti, per chi non lo sapesse) su 8 voci soltanto 3 sono in italiano. Ma quel sito pullula di anglicismi. Hanno perfino il loro “tradizionale keynote”… vai a capire che diavolo sia. E le preview, le gallery, le sezioni Digital classic e Bonelli Entertainment, la logo animation e via dicendo anglicizzando.

Questi non sono anglicismi innocui, perché si stanno usando in sostituzione delle parole italiane. Quella casa editrice ha mandato in pensione gli almanacchi e li ha rimpiazzati con i magazine. Oggi in Italia siamo pieni di magazine.

La progressiva sostituzione di termini italiani fa sì che la nostra lingua perda sempre più importanza, si disgreghi, si impoverisca. Attenzione, perché gli anglicismi non arricchiscono la lingua, dal momento che operano un significativo rimpiazzo di parole italiane.

Il continuo, scellerato, patologico uso di anglicismi fa pian piano dimenticare a parlanti e scriventi il significato dei corrispettivi italiani, trasferendoli in un perpetuo oblio e rimpolpando l’elenco delle parole obsolete e in disuso.

19 Commenti

  1. Corrado S. Magro
    giovedì, 4 Aprile 2024 alle 7:43 Rispondi

    Alla forca fisica (non mediatica) chi ne fa uso e abuso con il pericolo (o il vantaggio) di dimezzare chi appesta il globo!

    • Daniele Imperi
      giovedì, 4 Aprile 2024 alle 14:00 Rispondi

      Ci vuole una vera cultura della lingua italiana, che manca nel nostro paese. L’abuso di anglicismi è anche mancanza di rispetto per l’Italiano.

  2. Laura Rondina
    giovedì, 4 Aprile 2024 alle 8:27 Rispondi

    Una domanda che mi sono posta molte volte, potrebbe essere un buon motivo per imparare un’altra lingua. Penso sia dannoso pensare di vivere e preservare il ” proprio orticello” vivendo e facendo parte di un mondo globale. Ritengo più dannose le abbreviazioni che ormai vengono usate come norma: xk, cmq, tvb…con conseguente perdita della parola; senza dimenticare l’uso indiscriminato delle faccine, non ho scritto emoticon. Progresso o regresso? Stiamo tornando ai graffiti sulle pareti della casa domotica?
    Sempre interessante leggerti, smuovi pensieri e ragionamenti. Grazie

    • Daniele Imperi
      giovedì, 4 Aprile 2024 alle 14:03 Rispondi

      L’inglese si può imparare, ma per usarlo nei paesi anglofoni o altrove all’estero, non in Italia.
      Proteggere la nostra lingua, come fanno altri paesi, non significa però “vivere e preservare il proprio orticello”. Gli anglicismi che infestano la nostra lingua non hanno nulla a che vedere con la modernità.
      Sulle abbreviazioni, proprie specialmente nel linguaggio da cellulare, sono d’accordo: pian piano questa gente davvero regredirà e non saprà più scrivere neanche il proprio nome.

      • vonMoltke
        giovedì, 4 Aprile 2024 alle 20:34 Rispondi

        In realtà l’assalto alle identità culturali, in primis la linguistica, portando avanti una sostituzione a favore di un gergo basato sull’inglese da aeroporto, povero e ripetitivo, è realizzato anche in questo modo. Io leggo Poe e i vittoriani in originale, non c’è paragone con nessuna traduzione, ma questo non ha nulla a che fare col parlare decentemente la mia stessa lingua. È anche una questione di decoro personale.

  3. Orsa
    giovedì, 4 Aprile 2024 alle 10:55 Rispondi

    Whistleblowing è esso stesso whistleblowing se usato su un sito istituzionale italiano

    • Daniele Imperi
      giovedì, 4 Aprile 2024 alle 14:04 Rispondi

      D’accordo, è un illecito, come tutti gli altri anglicismi, ancor più grave nei siti istituzionali.

  4. Fabio Amadei
    giovedì, 4 Aprile 2024 alle 12:23 Rispondi

    Ciao Daniele,
    hai ragione, noi italiani utilizziamo troppe parole inglesi pur non sapendole pronunciare.
    Negli anni ottanta ho vissuto due anni tra Londra e Birmingham insieme a un gruppo internazionale. Noi italiani eravamo quelli che parlavano peggio la lingua inglese. Persino i francesi sfoggiavano una pronuncia migliore. La cosa buffa era vedere qualche nostro connazionale ripetere più volte, gridando, le poche frasi d’inglese che aveva imparato illudendosi di farsi capire.
    C’è chi se ne infischia e sbandiera il proprio inglese maccheronico come faceva Matteo Renzi coi suoi colleghi stranieri.
    Il nostro è un complesso di inferiorità o è solo una questione di provincialismo? Qualcuno la chiama oikofobia, ovvero la repulsione o l’odio per la propria storia, cultura e identità.
    Pronunciare l’inglese per noi italiani è una faccenda ardua che può causare fraintendimenti. Le parole shit e sheet hanno un significato molto diverso, come pure tree e three.
    Sta a tutti noi, se ci preme, difendere la nostra meravigliosa lingua ricca di vocaboli e sfumature linguistiche.
    Non conoscevo la parola Whistleblowing. Sarà un fatto di pigrizia? A digitare “Segnalazione di illeciti” ci si impiega più tempo.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 4 Aprile 2024 alle 14:09 Rispondi

      Ciao Fabio,
      a scuola si imparava poco l’inglese, almeno quando ci andavo io. Mi sono diplomato non sapendo come farmi capire se fossi andato all’estero.
      Se per noi italiani pronunciare l’inglese è una faccenda ardua, lo è anche per americani e inglesi pronunciare l’italiano. Loro, poi, a parte pizza, ciao e buongiorno, non sanno spiccicare altro in italiano. Alla fine siamo noi a essere superiori a loro: con la nostra poca conoscenza dell’inglese, possiamo comunque farci capire nei loro paesi, ma americani e inglesi, se parlassero in italiano, non si farebbero mai capire in Italia.
      Su “Whistleblowing” non credo sia pigrizia, ma vizio, tendenza, e soprattutto imitazione di ciò che fanno all’estero. Hanno introdotto questo “Whistleblowing”, e noi dietro come pecoroni a copiare.

  5. Luca Valentini
    giovedì, 4 Aprile 2024 alle 15:41 Rispondi

    Non commento ma riporto un testo preso dal sito del Ministero per la Pubblica Amministrazione:

    “I piani nazionali per la ripresa e resilienza (PNRR) sono contratti di performance, pertanto sono incentrati su milestone e target (M&T) che descrivono in maniera granulare l’avanzamento e i risultati delle riforme e degli investimenti che si propongono di attuare.

    Le milestone definiscono generalmente fasi rilevanti di natura amministrativa e procedurale, mentre i target rappresentano risultati attesi dagli interventi, quantificati con indicatori misurabili.”

    • Daniele Imperi
      venerdì, 5 Aprile 2024 alle 8:09 Rispondi

      È incredibile come questo fenomeno degli anglicismi abbia invaso la comunicazione istituzionale: performance, milestone e target come termini che, secondo queste geniali menti, dovrebbero risultare comprensibili a tutti.

  6. Luciano Cupioli
    giovedì, 4 Aprile 2024 alle 18:23 Rispondi

    Gli anglicisni sono pericolosi anche perché generano altri anglicismi. Se la libreria è diventata bookshop, presto il libraio diventerà bookshopper e il libro book. L’Italia è uno dei paesi in cui l’inglese si parla meno e peggio, ma la nostra lingua si sta infarcendo di termini anglofoni (non semore necessariamente in inglese corretto), è le nostre frasi diventano un puzzle (questa mi è scappata…) di anglicismi e verbi italiani che sembra di sentire parlare Tognazzi quando faceva la suoercazzola. Almeno facessimo il contrario cioè usassimo i verbi inglesi, magari impareremmo meglio la lingua di Albione. Il problema è che nulla vieta di usarli, così nel tempo quelli italiani spariscono, o se restano sembrano fare riferimento a un’altra cosa, meno intrigante dell’altra. Preferisci andare in un albergo o in un hotel? Mangiare un panino o un sandwich? Fare una merenda o un brunch? Sono convinto che solo una minoranza dirà che sono la stessa cosa.

    • Daniele Imperi
      venerdì, 5 Aprile 2024 alle 8:13 Rispondi

      Verissimo quanto dici, è piano di anglicismi che ne generano altri. Intanto abbiamo gli ebook e non i libri elettronici o digitali. Dalla baby sitter siamo passati ai dog sitter e via dicendo.
      D’accordo anche sul fatto che alcune nostre parola alla fine sembrano fare riferimento ad altro. Se provi a chiedere chi siano i patrocinatori di un evento, sono convinto che pochissimo sapranno risponderti. Ma se al posto di patrocinatori dici sponsor, capiranno tutti.

  7. vonMoltke
    giovedì, 4 Aprile 2024 alle 20:25 Rispondi

    In realtà la differenza c’è. Io quando andavo in libreria trovavo ambienti ampi, zeppi di libri di qualità, fornite sezioni di storia e scaffali che traboccavano di classici greci e latini, oltre che di filosofia pubblicata in edizioni serie e dove comparivano le opere più dense di autori importanti anche se di non facile lettura. Oggi in un bookshop trovo solo paccottiglia diluita per pubblico con poco tempo per leggere e ancor meno capacità cognitive, la sezione “Storia” sembra lo scaffale di un supermercato coi best seller, i classici antichi superstiti devo scoprirli imboscati fra quelli moderni e la filosofia è un ridicolo concentrato di bignami e se chiedi la “Monadologia” di Leibniz ti guardano come se volessi un porno. Il cambiamento c’è stato eccome.
    P.S. rieccomi, dopo un lungo periodo di silenzio, esistenzialmente molto difficile, sto riprendendo ad affacciarmi al mondo. E vedo di non essermi perso poi granché.

    • Daniele Imperi
      venerdì, 5 Aprile 2024 alle 8:16 Rispondi

      La decadenza della cultura e dei gusti dei lettori è un fenomeno che ha poco a che fare con librerie e bookshop. Qui a Roma nelle grandi librerie trovo ancora parecchia scelta, anche di classici.
      Ben tornato al mondo, anche se poco o niente è cambiato, se non in peggio.

  8. antonio zoppetti
    martedì, 9 Aprile 2024 alle 13:11 Rispondi

    Ti segnalo un intervento uscito ieri del presidente della Crusca D’Achille, che pare finalmente recepire il problema in modo più deciso di quanto non sia spesso fatto in ambito accademico: https://www.larena.it/argomenti/cultura/d-achille-accademia-crusca-universit%C3%A0-verona-1.10672699

    Hai sviscerato un punto chiave, che non sempre i linguisti colgono, e cioè che il numero eccessivo degli anglicismi sta facendo il salto dai semplici “prestiti” isolati (che sarebbero anche innocui se numericamente contenuti come nel caso degli altri forestierismi) a reti di parole che si allargano nel nostro lessico (baby sitter, dog sitter, pet sitter; pet shop, bookshop…), che generano regole formative (covid hospital e non ospedali covid, blogger e non bloggatori…) e parole ibride (librogame, shampista, chattare…) che non sono più né inglesi né italiane. Si passa cioè dai singoli anglicismi a una newlingua chiamata itanglese che si presenta come un modello stilistico “moderno” (in realtà coloniale e simil-creolo, otre che poco trasparente) dove più che i singoli anglicismi (che possono cambiare con il tempo) conta la loro frequenza, che è tale da prevalere sull’italiano e snaturarlo.

  9. Daniele Imperi
    martedì, 9 Aprile 2024 alle 13:27 Rispondi

    Grazie, poi mi leggo l’articolo.
    A bloggatore non avevo pensato. Sul tema covid ci sono anche gli hub vaccinali e non i centri vaccinali. Le reti di parole create dagli anglicismi sono ancor più pericolose e dannose.
    Purtroppo il problema dello snaturamento è colto solo da un manipolo di persone.

  10. paola sposito
    martedì, 16 Aprile 2024 alle 10:41 Rispondi

    Ciao Daniele. Come specialista di lingua inglese che ho insegnato nelle scuole ed ora uso per comunicare con aziende straniere, credo molto nello studio e nella pratica di questa lingua ma solo in ambito scolastico e lavorativo. Quello che ho sempre criticato è un utilizzo eccessivo e a volte non richiesto della lingua inglese: non si tratta di essere conservatori o puristi, in questo caso dell’italiano, bensì di correre il rischio di perdere la capacità di esprimersi correttamente nella propria lingua (se si usano sempre termini inglesi ‘compatti’ poi diventerà sempre più difficile trovarne il corrispettivo significato in italiano) e al contempo di usare parole straniere ignorando del tutto la struttura grammaticale che tiene in piedi una lingua. E, dato l’argomento, colgo l’occasione per dirti che ho acquistato (ma non letto, ancora) ‘Dante’ di Alessandro Barbero che, qualche tuo articolo indietro, tu mi suggeristi per iniziare a leggere saggistica.

    • Daniele Imperi
      martedì, 16 Aprile 2024 alle 11:07 Rispondi

      Ciao Paola, anche per me lo studio dell’inglese, e di qualsiasi altra lingua, deve essere limitato all’ambito scolastico e lavorativo, o anche turistico, ma non per comunicare fra italiani.
      Hai colto il vero problema degli anglicismi: a lungo andare diventerà impossibile trovare i corrispettivi italiani.
      Spero ti piacerà ‘Dante’ di Alessandro Barbero. Fammi sapere.

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