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II linguaggio inclusivo fa proliferare pseudonorme che vorrebbero sensibilizzare la comunicazione, ma la complicano soltanto.
Negli ultimi anni si sono scatenate battaglie sull’uso di determinate parole con l’intento di rendere la lingua italiana più equa, in alcuni casi più rispettosa di certe categorie (a detta di alcuni, almeno).
Prendiamo come esempio l’abbandono dei termini “cieco” e “sordo”, a favore delle non corrette espressioni “non vedente” e “non udente”. Perché non corrette? Perché “non vedente” è troppo generico: al buio anche io sono non vedente. L’espressione, insomma, non esprime l’irreversibilità della condizione, ma soltanto una sua generica temporaneità.
Qualcuno ha fatto notare che anche “diversamente abile” non è corretto: tutti siamo diversamente abili, perché non siamo in grado di fare qualsiasi cosa.
Il risultato, almeno nei casi esposti, è un crescente allontanamento del concetto che si vuole esprimere, quando con una sola parola – dal significato esatto – si semplificava la comunicazione e si esprimeva senza errori, incomprensioni o imprecisioni il messaggio.
Dal sessismo linguistico al linguaggio inclusivo
Mi sono già espresso in passato sul sessismo linguistico: lo reputo una delle scemenze di questo secolo, all’insegna del politicamente corretto che ho sempre considerato una delle più grandi ipocrisie della storia.
In un articolo si consigliava di sostituire la vocale finale con una x o perfino con la @, quindi scrivere “studentx” o “student@” per includere sia gli studenti sia le studentesse.
Sinceramente fatico non poco a capire come si possa arrivare a una soluzione del genere, creando parole totalmente impronunciabili.
Scrivere al femminile: l’inclusività che esclude
Si consiglia anche questo, ma non è una novità. Tempo fa sono capitato in alcuni blog in cui le blogger scrivevano al femminile, rivolgendosi cioè a un pubblico di donne, e non erano blog che trattavano solo argomenti femminili (non sarebbero state giustificate neanche in quel caso).
Ovviamente ho chiuso quei blog, senza continuare a leggere. Pur essendo fermamente contrario a questi concetti di sessismo e inclusività, dove possibile – e soltanto se mi viene in mente – uso termini che possiamo chiamare neutri. Per esempio “autore” e non “scrittore”… ma “autore” è maschile, qualcuno (o qualcuna? O qualcun@?) potrebbe far notare.
Certo, come anche “guida”: qualche uomo s’è mai lamentato della sua professione “al femminile”? No, mai.
Usare la forma passiva per eliminare la forma maschile
Ma come? La forma passiva è sempre sconsigliata nella scrittura e adesso se ne consiglia l’uso?
Perché evitare la forma passiva? Perché è verbosa e in più trasforma in soggetto l’oggetto della frase.
Eppure in un altro articolo sul linguaggio inclusivo si consigliava la forma passiva nel seguente caso (e in altri simili):
“I candidati devono inviare il proprio portfolio entro…” diventa “Il portfolio deve essere inviato entro…”
Se proprio qualche ottuso pensasse che con “candidati” si intende soltanto gli uomini e non le donne (vai a capire perché), si può usare un linguaggio più conversazionale:
Inviate il vostro portfolio entro…
La guerra ai participi presenti sostantivati
In quello stesso articolo si consiglia di trasformare alcune professioni con espressioni che ne indichino le cariche:
“professori, docenti*, insegnanti*” diventano “corpo docente, personale docente, corpo insegnante”
Da notare l’uso dell’asterisco, proprio di uno specifico movimento estremista politico.
“Docente” e “insegnante” non sono termini maschili. Il vocabolario Treccani infatti ci dice:
docènte agg. e s. m. e f. [dal lat. docens -entis, part. pres. di docere «insegnare»]. – 1. agg. a. Che insegna.
insegnante s. m. e f. e agg. [part. pres. di insegnare]. – Chi si dedica all’insegnamento, chi esercita la professione d’insegnare.
Da una parte si cerca di rendere il linguaggio più colloquiale, eliminando burocratese e aziendalese, dall’altra arriva chi vuol complicare la lingua con espressioni come “corpo docente”.
A questo proposito ricordo ancora una scena degli inizi del mio 2° liceo classico, quando la scuola cambiò una serie di docenti (senza asterisco). Incontrammo il nostro ex professore di Italiano (anche lui, purtroppo, sostituito) – quel Giuseppe Giulio Del Corso che ricordo sempre con piacere e di cui, a sua insaputa, facevo l’imitazione – e ci mettemmo a parlare di quel fatto.
Il professore ci disse: “Insomma, avete un nuovo corpo docente”. Quanto abbiamo riso, poi, di quella frase. Ma quel prof era famoso per il suo linguaggio forbito, che a noi studenti faceva sorridere.
Il linguaggio inclusivo e lo sradicamento dei termini
La battaglia a favore dell’inclusività continua contro quei termini ormai radicati nel lessico italiano e che mai hanno creato problemi di sorta.
Perché usare “clienti” quando possiamo usare “clientela”? Ma “clientela”, scusate se lo faccio notare, è femminile. Dunque ricapitoliamo:
- Clienti non può riferirsi a uomini e donne, perché termine maschile
- Clientela può riferirsi a uomini e donne, perché termine femminile
C’è qualcosa che non quadra.
Sdoppiare i sostantivi: usare più parole è meglio
Chi consigliava di usare un linguaggio più semplice, di tagliare parole in eccesso? Non lo so, ma si sbagliava.
Al telegiornale ho sentito spesso, riguardo alla Covid-19: “Gli infermieri e le infermiere…” come se qualcuno potesse davvero pensare che in quell’ospedale non lavorino anche donne nell’assistenza infermieristica.
Non declinare al femminile è sessista
Questa frase mi sta bene come opinione personale, perché rappresenta un’idea soggettiva, non oggettiva. Usare il maschile plurale o alcune parole declinate solo al maschile – perché rappresentanti alcune professioni – è solo una convenzione, antica quanto il mondo.
Ma dal momento che esistono parole e professioni di genere femminile che riguardano anche gli uomini, allora perché non si parla anche in quel caso di sessismo? 2 pesi e 2 misure.
Tornare al neutro: l’ultima follia del linguaggio inclusivo
La nostra lingua, a differenza del latino – nostra lingua madre (espressione sessista, perché non esiste una lingua padre!) – non ha più il neutro. Che facciamo, allora? Cambiamo le norme linguistiche e introduciamo il genere neutro.
In quell’articolo si davano 2 soluzioni, una peggiore dell’altra:
- l’uso del solito asterisco (su cui mi sono già espresso)
- l’uso della desinenza -u, tanto per ridicolizzare la nostra lingua
“Ciao a tuttu!”
E la poesia della nostra bella lingua va definitivamente a farsi friggere.
Già martoriata dall’abuso dilagante di termini inglesi, la lingua italiana sarà ancor più sfregiata da soluzioni che la priveranno non solo della sua storia e della sua identità, ma anche della sua eleganza e della sua bellezza.
Linguaggio inclusivo? No, grazie
Faccio parte della vecchia scuola. Sono cresciuto in una società che non badava a queste sottigliezze, semplicemente perché non se ne sentiva il bisogno.
Oggi, con una politica e una società che non hanno argomenti validi di cui trattare né soluzioni per reali e concreti problemi della nazione, ci si perde in disquisizioni che, anziché includere, escludono: escludono il nostro passato, escludono i significati, escludono la personalità dei parlanti e degli scriventi e la loro stessa libertà di espressione.
La parola ai lettori: usate un linguaggio inclusivo quando scrivete e parlate?
Gabriele
In effetti pare anche a me una schifezza. Ho affrontat* non molt* temp* fa quest* argoment* traendone le stesse conclusioni. Ops…conclusionu.
Daniele Imperi
Ciao Gabriele, benvenuto nel blog. Hai presente come parla Cattivik? Elimina sempre l’ultima vocale… come chi scrive con l’asterisco.
von Moltke
Sì, Daniele, ma neppure Cattivik era così scemo…
Daniele Imperi
Usava l’apostrofo, infatti.
DarkAlex1978
Ho trovato il tuo articolo divertente (divertente perchè veritiero) e sinceramente mi trovi d’accordo.
Ho scritto tempo fa sullo stesso tema e mi sono ritrovato un sedicente linguista che difendeva questa cosa, con le solite “scuse” tipo “ma il linguaggio si evolve: è normale”. E grazie, senza boiate del genere sarebbe senza lavoro, ovvio che le difendeva XD
Tra l’altro, leggendo moltissimo in inglese dove il neutro esiste, lo ritengo molto confusionario: al 99% non si capisce il sesso di certi soggetti, lasciando aperta all’interpretazione o necessitando di precisazioni aggiuntive, cose che al contrario nella nostra lingua al 99% non succede. Neutro? No grazie. Poi si, l’abuso dei termini inglesi è sconcertante e demoralizzante.
Io ritengo che chi considera questo genere di cose come problemi, sia fortunata: devono avere delle vite veramente belle se i problemi più importanti che riescono a concepire siano c****** come il non trovare abbastanza “inclusiva” la nostra lingua.
Daniele Imperi
Ciao Alex, benvenuto nel blog. L’articolo voleva essere un po’ divertente, perché leggere certe cose mi ha davvero fatto salire la bile, quindi volevo stemperare un po’.
Il fatto è che non si tratta di evoluzione del linguaggio. La stessa scemenza viene detta da chi difende l’abuso di termini inglesi o, peggio, da giustifica “scendere lo zaino”.
Il neutro infatti creerebbe parecchi problemi. Ma ti immagini che casino per introdurlo di nuovo?
Concordo con l’ultimo pensiero, ma non in toto: più che vita bella, hanno tempo da perdere, e non vedono o non voglio vedere i reali problemi.
DarkAlex1978
Si infatti se non si scherza un pò…. infatti il discorso sulla vita bella era inteso con tono sarcastico, col medesimo significato che appunto hanno molto tempo da perdere
La questione dell’Inglese che va ad imbastardire un linguaggio, l’ho vista la prima volta nel Giapponese: ne mastico qualche parola e mi capita di vedere alcuni video in lingua ed in mezzo ci sono spessissimo parole inglesi, anche per termini banali, tant’è che spesso mi trovavo a pensare confuso ed incredulo “Ma non ce l’avete quel termine nella vostra lingua?”. Solo che in quel caso una motivazione concreta per come si son ridotti così almeno ce l’hanno (gli anni di occupazione e tentato indottrinamento da parte degli Americani nel dopoguerra), noi invece no. Ad ogni modo il pensiero che l’Italiano si possa ridurre così lo trovo agghiacciante.
Daniele Imperi
Un giorno vorrei prendere un testo inglese e sostituire alcune parole con termini italiani per vedere l’effetto.
Sì, per alcune nazioni in un certo senso è giustificabile, ma è passato del tempo quindi dovrebbero riappropriarsi della loro lingua.
Agghiacciante e anche pericoloso, per me.
Orsa
Condivido il tuo pensiero nella sua totalità.
Ma come solo si può pensare che la nostra bella lingua italiana sia discriminatoria?
Poi dice che l’Orsa ragiona sempre in termini bellici… ma si è mai sentito un viril soldato lagnarsi per sostantivi come reclutA, vedettA, guardiA?
Parole dai contenuti sublimi come PatriotA o CameratA non sono forse declinate al femminile? Eppure nessun essere con barba e baffi ha mai sbraitato in merito.
E invece oggi, questi improbabili cavalieri dell’identità, ci apparecchiano la sagra dell’asterisco.
Ma veramente io dovrei leggere una notizia o una poesia con la logica dell’inclusione per far contente le cosiddette persone non binarie?
Ma veramente le donne per sentirsi considerate devono appellarsi all’uso del linguaggio e della grammatica?
Tutto questo per me è folklore, un becero teatrino.
Io me li immagino questi nuovi profeti della grammatica, questi assassini della lingua italiana, esattamente come Totò e Peppino nella memorabile scena della lettera.
Solo che mentre quella era una dissacrante e geniale parodia, qui invece siamo alla frustrazione allo stadio più elevato.
È vero che la società e il linguaggio cambiano e si evolvono, ma l’uso degli asterischi lanciati come stellette ninja a me fa orrore. Il testo diventa pesante, brutto e illeggibile.
Qui non si tratta di usare un linguaggio non selettivo, qui siamo di fronte a una pericolosa regressione civile e educativa, qui si mettono in discussione modelli consolidati e tradizionali.
Sai che ti dico? Il compito del linguaggio è quello di comunicare in modo chiaro, giusto? Ecco, allora lo so io come usare l’asterisco nel modo corretto: le femministe hanno rotto le pa**e.
È dagli anni ’60 che le donne latrano la loro ostilità nei confronti dell’uomo con metodi indecorosi, barbari e soprattutto ipocriti, con l’unico risultato di aver sdoganato turpiloqui e trasgressioni travestite da lotta per l’emancipazione.
Non lo dico a cuor leggero ma l’unico nemico della donna è la donna stessa.
E non voglio aprire il capitolo LGBT, altrimenti libero il nero Cerbero che c’è in me.
La regola non va messa in discussione, due sono i generi grammaticali: masculum et feminam.
Punto.
Anzi, due punti.
Salutandovi indistintamente, i fratelli Caponi
(che siamo noi)
Daniele Imperi
E sentinella, anche.
Patriota e camerata hanno desinenza femminile, ma articolo maschile e anche femminile.
Un’altra follia, secondo me, è la questione binaria, ma questo non è certo argomento del blog e su cui calo un pietoso velo.
Sarà anche un teatrino, ma fa notizia e si diffonde e la bella lingua italiana di inquina.
Va a finire che certe usanze, asterischi e desinenze in u, qualcuno pretenderà di insegnarle a scuola…
Marco
Non lo uso. La scrittura d’altra parte o divide, oppure non è scrittura. Non è qui per fare la pace universale.
Daniele Imperi
In che senso la scrittura divide? Come espressione scritta delle proprie idee?
Marco
Sì. La scrittura, per chi sostiene queste posizioni “neutrali”, dovrebbe unirci tutti in un abbraccio universale. Ma questo non è certo il fine della scrittura. Il semplice atto di raccontare una storia è di per sé libero e potenzialmente “ribelle” perché io racconto quello che voglio io, nei modi che decido io. E nessuno può dirmi come devo farlo.
Daniele Imperi
Mmm, no… sulle posizioni che ho contestato nell’articolo da me nessuno avrà un abbraccio
Sul raccontare storie hai ragione.
Elisa
Condivido ogni parola. Scrivere rovinando la nostra bella lingua, distruggere la grammatica e depauperarla nel suo significato… è davvero drammatico (triste mi sembrava poco!!!) 😁
Daniele Imperi
Pensa che su Twitter uno ha mostrato la foto di una pagina di un libro (ma non siamo riusciti a farci dire quale) dove l’editore avvisava che era stato deciso “di non utilizzare il maschile generalizzato previsto dalla norma grammaticale italiana in quanto espressione di un uso sessista della lingua” e che avrebbero usato sia l’asterisco sia il “suffisso non binario u”.
von Moltke
Ho visto quell’incredibile foto, e ho fatto di tutto per sapere da quale libro era tratta. Invano: speravo davvero poter evitare del tutto il rischio di comprarlo o vedermelo regalato.
Daniele Imperi
L’ha pubblicato Fusaro, gli ho anche scritto un’email per chiederglielo, ma non ha risposto. Mah.
Elisa
Anche io l’ho vista. Se Fusaro non ha risposto sarà per evitare altri scempi?
Daniele Imperi
Ma perché non far sapere che libro è? Così davvero non si rischia di comprarlo.
Corrado S. Magro
Dai luoghi da cui traggo origine, tradotto “quasi” in italiano si suol dire:
– In tempo di piena tutti gli s****** galleggiano.
Poiché viviamo in un’epoca di piena dilagante, di argini sommersi, anche gli s****** più pesanti vengono a galla: cretinate, idiozie, fobie, esibizionismi, arroganza (aggiungete quel che volete), la fanno da padroni e, per essere in linea, da “padrone” (plurale di padrona).
Come scrivere il singolare maschile? Qualcuno ha un’idea? Oh bella perché si dice “idea” solo al femminile? Non è discriminazione del maschil”o”.
Dialogando la scorsa settimana su un testo teatrale la regista si allarma:
– Attento qui caschi nell’omofobia! Il pubblico potrebbe reagire.
Mi sono chiesto quale pubblico ma aveva ragione. Poveri noi! Tutti ci arroghiamo il diritto di essere delle stelle del firmamento ma guai se gli altri dicono che luce emettiamo.
Daniele Imperi
Ce ne sono di parole al femminile che invece riguardano entrambi i sessi, ma per me non sono mai state un problema, né per nessuno, anzi.
von Moltke
Che non si tratti di evoluzione, ma di sfiguramento, è evidente da un fatto: l’evoluzione è un processo spontaneo, non pianificato, tipico degli organismi viventi (e anche le lingue sono delle cose che vivono), mentre quest’oscenità del linguaggio inclusivo vuole vandalizzare le regole e le strutture stratificatesi nei secoli di uso così, di punto in bianco, per ragioni neppure estetiche (e infatti il risultato fa schifo) ma semplicemente politico-ideologiche. Usare questo tipo di neolingua? Non mi pongo neppure il pensiero. Io mi ostino persino a scrivere “negro”, dato che NON è un termine spregiativo, raccogliendo ban e sospensioni sui social a raffica, e facendo prendere ai miei manoscritti la via del cestino anzitempo. Ma come si capisce subito, le “alternative” non sono tali: “di colore” non significa nulla (che colore? Viola? Ocra?), “afroamericano” non è certo un senegalese, e “africano” non è un haitiano. E dire “nero” è impreciso egualmente: “nero” è un colore, oppure un fascista. Ma se dobbiamo spiegare queste cose, significa già vivere in un’epoca che ha perso la sanità mentale da un pezzo.
Daniele Imperi
Giusto, il linguaggio si evolve spontaneamente, non introducendo a forza delle norme, tra l’altro soggettive, su come comunicare. Si tratta infatti di modifiche di stampo politico-ideologico come fai notare, ecco perché ancor di più vanno condannate.
Proprio l’altro giorno leggevo che una sentenza stabiliva che “negro” non è un insulto. Sul dizionario infatti il termine è forma antica e letteraria per nero e dice il termine “è avvertito o usato con valore spregiativo”. Avvertito, appunto. E questo non vuol dire che se ne ha l’intenzione.
Se continua così, si dovrà prendere la patente della lingua per parlare e scrivere.
von Moltke
Vedo che siamo esattamente sulla stessa lunghezza d’onda su questo argomento. Pensavo appunto a quella sentenza: ma possibile che ci voglia un tribunale per stabilire quello che sta scritto su tutti i dizionari esistenti? La patente per scrivere, pensare e parlare è proprio quello a cui si mira, e non proseguo, perché la discussione mi porterebbe troppo lontano. Comunque, la finale in “u” è da medaglia: dialettizzare una lingua pochi decenni dopo averla fatta emergere dai dialetti. Torniamo tutti sardi e siciliani. “Lu bambinu”, “unu alberu”… Ma davvero chiudere i manicomi è stata una così buona idea?
Daniele Imperi
Ho pensato anche io ai sardi: chissà come saranno contenti che il loro dialetto diventa lingua ufficiale
Chi ha proposto le desinenze in U andrebbe davvero rinchiuso.
von Moltke
La rivincita de Sa Limba (essendo femminile, poi, nessuno avrebbe da ridire)
Grazia Gironella
Per me sono tutte baggianate, sinceramente. Questo modo di attaccarsi al dettaglio, al cavillo, rivela soprattutto una scarsa attenzione alla sostanza delle cose. Se io non ho rispetto per le donne, per gli omosessuali o per i portatori di handicap, non sarà certo qualche arzigogolo linguistico a darmelo. L’interlocutore sarà invece soddisfatto, a questo punto, si sentirà rispettato? Se sì, si sarà accontentato di molto poco. La lingua italiana è fatta in un certo modo, e il rispetto sta dietro le parole, non dentro. Vorrei più sensibilità reale e meno puntigliosità sulla forma.
Daniele Imperi
Concordo in pieno. Il rispetto non si avrà mai imponendo o suggerendo determinati accorgimenti linguistici, anzi, questo avrà l’effetto contrario.
“La lingua italiana è fatta in un certo modo”: è questo che pare sia difficile far capire a certa gente.
Annalisa
Secondo me invece la lingua ha il diritto e dovere di evolversi con neologismi e nuovi modi di esprimersi, perché i tempi stessi si evolvono. Sì, ok, ci sono problemi ben più gravi ma cosa c’entra? A sto punto non si dovrebbe fare più niente…
L’evoluzione però deve essere funzionale. Se per esempio si introducesse un corrispettivo femminile a ruoli espressi al maschile perché nell’antichità potevano ricoprirli solo i maschi (recensore, oratore, assessore, ministro)… perché no?
Ma l’articolo citato parte da assunti completamente errati. E cioè che le parole con suffisso -ante/-ente (insegnante, cliente) siano maschili. LOL, ma sono bi-genere, basta cambiare l’articolo! “Studente” poi ha già il suo femminile: “studentessa”!
E l’asterisco, la chiocciola… magari in messaggi informali. Ma come li pronunci? Io preferisco signori e signore, tutti e tutte, ragazzi e ragazze. Oppure, nello scritto “tutti/e”, “ragazzi/e”, “ragazzo/a”, “infermiere/a”. E attenzione a non fare come quel tizio che scrisse “studente/a”
Daniele Imperi
Più che diritto e dovere, l’evoluzione della lingua è un processo lentissimo e soprattutto spontaneo, non può subire modificazioni per la mentalità di qualcuno.
Riguardo a “studente”, secondo me non è corretto “studentessa”. Studente, come insegnante e docente, è un participio presente e significa colui o colei che studia. Quindi perché non dire “la studente”, come si dice “la docente”?
Per altre parole non sempre si può creare il femminile, come recensore, ministro (aborro ministra), assessore. Ma c’è oratrice.
Annalisa
Non sapevo che studentessa fosse errato! Comunque esatto, la cosa non cambia: LA studente e siamo a posto!
Ministra non piace neanche a me, mi ricorda la minestra. Magari un giorno verrà fuori qualcosa di più bello e gradevole all’udito…
Daniele Imperi
Ma no, non è errato studentessa
Secondo me è incoerente con insegnante, docente, presidente, ecc.
Daniele Imperi
Ripensandoci: studente proviene dal verbo latino, non da quello italiano (altrimenti sarebbe studiante). Ma comunque non si spiega perché si possa dire “la docente”, anch’essa parola che proviene da un verbo latino e non italiano, e non “la studente”. Misteri della lingua
LiveALive
Vi è qualcosa di perverso nel modificare la lingua per pura contingenza. Personalmente non credo nella distinzione tra fatti e valori: i fatti sono individuati anche in virtù di certi valori. Al che, non credo si possa dire che il mutamento linguistico è di per sé neutro.
Abbiamo una tipologia linguistica, sappiamo che le lingue, se lasciate evolvere naturalmente e non per gli interessi dell’epoca, tendono a diventare tipologicamente coerenti, il fatto che la lingua abbia certe caratteristiche ne attira certe altre. Che l’italiano sia stata una lingua spesso manipolata anche a scopo politico lo si vede anche dal fatto che, rispetto ad altre lingue, è tipologicamente molto incoerente. Similmente, la lingua tende a ridurre il numero di eccezioni, tende a diventare più semplice ed efficiente da usare; e l’italiano ha molte eccezioni, è una lingua complessa di una complessità che non necessariamente ne aumenta la espressività o la precisione. Una lingua semplice e coerente è bene, il distruggere la sua coerenza per motivazioni politiche è il male.
Personalmente, ritengo che casi come “assessora”, “ministra”, addirittura “coccodrilla”, vadano bene: rendono la lingua più omogenea, riducono le eccezioni. È però sbagliato portare avanti certe forme per un interesse politico-sociale che con la lingua non c’entra: semplicemente, la lingua è fatta per rappresentare proposizioni in modo efficiente, non per mandare messaggi politici o sociali tramite la sua grammatica. Dire che la lingua è sessista è come dire che l’evoluzione darwiniana è sessista: fino a prova contraria, la natura è per definizione neutrale; la grammatica, similmente, è neutrale.
Prendiamo anche il suffisso “-essa”: è sessismo? Come dice Quine, there’s no fact of the matter: c’è chi accetta, e chi invece dice che “presidentessa” è sessista rispetto a “presidenta” (c’è chi propone di pronunciare “presidente” con la schwa finale!). Oppure, prendiamo “guardia”, un nome femminile per un mestiere tipicamente maschile: è forse espressione di un sentimento androfobico?
Daniele Imperi
Sì, perverso è la parola giusta per questa tendenza.
Come anche rendere più complesse alcune parole: da disabile a diversamente abile.
C’è questo pensiero, perverso appunto, di modificare la lingua, di condannare all’oblio certe parole per puri scopi socio-politici.
Barbara
Sinceramente, la questione linguistica legata al genere mi sembra una battaglia futile e usare asterischi finali come inclusione una vittoria di Pirro, soprattutto se in caso di licenziamenti massivi si continua a pensare di lasciare a casa prima le donne “tanto avranno un uomo che le mantiene”. Ma mi faccia il piacere! direbbe Totò.
Questa non è la parità dei diritti, è farsi deridere da una vocale.
Ho pure diversi amici disabili, o diversamente abili, o handicappati, che ne hanno le tasche piene dell’uso di vocaboli socialmente corretti di cui non sanno proprio cosa farsene, quando vengono pronunciati poi dall* stess* stronz* che parcheggia la Porsche sul parcheggio contrassegnato appositamente per loro, calpestando tranquillamente i loro diritti. Peggio ancora quando chiamano i vigili e si sentono rispondere che “non è il caso di agitarsi tanto.”
Inutile attaccarsi alle parole. Questa società ha bisogno di più cultura, non di parole.
Daniele Imperi
Infatti pensano di risolvere la questione con il linguaggio.
Riguardo ai disabili/diversamente abili/handicappati, anni fa disegnai una vignetta che riassumeva la loro situazione, in quel caso sulle barriere architettoniche.
Si tratta alla fine proprio di una battaglia di parole, che in sostanza non cambia nulla nella vita reale.
Eleonora
Ciao, concordo pienamente con te nonostante sono una persona che è per la parità, appoggia l’inclusività e sono contro la discriminazioni. Personalmente non credo che cambiando alcuni termini o utilizzando determinate espressione risolverebbero i problemi sociali attuali. Anche se giustamente si potrebbe evitare termini come negri, f***** o troia perché sono parole veramente offensive e le gente pensa ancora che può utilizzarle senza ferire nessuno.
Volevo porti un’altro quesito che è tipico del cinema, serie tv e altri prodotti di intrattenimento credo compresi libri: inclusività. Cioè includere all’interno della storia tutti i rappresentati delle minoranze lgbt, afro, donne ecc. Da una parte è bello che al giorno d’oggi ci sia molto più rappresentanza e diversità, ma dall’altra lo si fa per essere politicamente corretti ed è una forzatura fatta per mostrare che si è progressisti perché ho un personaggio nero nella mia storia. Io lo percepisco come se fosse un obbligo morale quello di mettere personaggi che siano lgbt, che rappresentano minoranze etniche ecc. senza pensare al contesto in cui inserisci la storia. es. non potresti mettere delle persone di etnia africana nell’Italia medievale, al massimo gli arabi sì perché conquistarono la Sicilia e quindi avrebbe senso
Daniele Imperi
Io ti dico che la parola inclusività non la sopporto più e ogni volta che la leggo o sento mi prudono le mani, perché la leggo sempre come imposizione. Sono totalmente contrario al politicamente corretto e nelle mie storie non inserirò mai questi personaggi, perché non ne vedo il motivo. Hai detto bene: bisogna considerare il contesto. Un personaggio africano in Robin Hood cosa c’entra? Tanto per fare un esempio.
Eleonora
Anch’io come te la leggo come una imposizione l’inclusività. Spesso lo si fa in buona fede per risolvere secoli di ingiustizia sociale.
Oggi ho ripensato di nuovo a questa questione e penso che secondo me invece di imporre es. a un scrittore di includere chiunque si dovrebbe permettere a qualsiasi persona lgbt, di qualunque etnia, minoranza ecc. di scrivere le storie. Facendo così ovviamente scriveranno personaggi che gli assomigliano perché è normale che nelle storie raccontiamo ciò che conosciamo, ciò che è simile a noi e in un certo senso ci narriamo.
Ovviamente se un bianco vuole scrivere la storia di un nero e viceversa nessuno glielo vieta. Ma permettendo a tutti di scrivere le storie ci sarà più rappresentanza. E’ un fatto storico che la maggior parte delle storie pochi decenni fa li hanno scritti gli uomini bianchi senza farne una colpa però. Purtroppo la storia è stata così e non avrebbe senso scaricare la colpa sugli uomini bianchi etero cis in quanto tali come fanno diversi sul web per frustrazione.
Daniele Imperi
Ma nessuno impedisce a chicchessia di scrivere e pubblicare e i tempi in cui pubblicavano soltanto i bianchi e i maschi sono finiti da un bel pezzo.
Arianna
Sarebbe utile iniziare a imporre parità di salario invece di occuparsi di cose futili come questa!
Io non capisco come la gente si beva queste idiozie create a tavolino per far sì che tutto cambi affinché nulla cambi. Studentx ? Ma che diavolo significa? Per “fortuna” viviamo in un Paese maschilista e feudale così non dovrò mai sentire che “siamo tuttu ugualx uominx e donnx…..” potrei vomitare!
Daniele Imperi
Ciao Arianna, benvenuta nel blog. Concordo che ci siano problemi realmente seri di uguaglianza e parità e anche io penso che queste scemenze del linguaggio inclusivo siano prodotte a tavolino, per creare rumore, polemica e illudersi che cambi qualcosa.
martina
Pensiamo in un determinato modo proprio perchè parliamo una determinata lingua, magari cambiare un po’ la lingua ci porterebbe a pensare in maniera più inclusiva.
Daniele Imperi
Ciao Martina, benvenuta nel blog. È il contrario: il pensiero è nato prima della lingua. La lingua nasce per esprimere a parole i nostri pensieri. E da come la vedo io è sempre stata inclusiva.
Bruno
In realtà ciò che dice Martina è sensato e si rifà ad una popolare teoria in linguistica https://it.m.wikipedia.org/wiki/Ipotesi_di_Sapir-Whorf
Francesco
Concordo pienamente con la posizione dell’autore dell’articolo (che ritengo essere uno dei migliori sull’argomento) e sono convinto che mutilare ulteriormente l’italiano, già pericolosamente minacciato dall’uso sempre più frequente di termini in inglese (a mio avviso la più grande emergenza linguistica di questo secolo), non sia uno strumento affatto efficace per raggiungere la parità di diritti tra i due sessi. Inoltre l’italiano, come qualsiasi lingua, deve essere funzionale alla maggior parte dei propri locutori; pertanto neppure l’argomento degli individui che non si riconoscono in nessun sesso, i cosiddetti “non binari”, che non si sentono rappresentati dall’italiano può essere ritenuta valida, questo perché, a fronte di una minor parte di loro che necessitano di una lingua più inclusiva, c’è una componente di gran lunga maggiore di persone che non si riconoscono in un *. Mi permetto infine di fare alcune precisazioni riguardo ad alcune controversie riguardo la declinazione di alcuni sostantivi. Tengo a precisare che queste mie proposte si ispirano alla mia opinione secondo cui qualora alcuni termini debbano essere modificati, tali modificazioni debbano essere modellate sul latino, in quanto nostra lingua madre. Per il femminile di “ministro” a mio avviso è concesso “ministra” poiché esso è il femminile del sostantivo latino “minister”. Per quanto riguarda la parola “studente”,epigena come molti altri participi presenti latini sostantivati, concordo nuovamente con l’autore, dal momento che la parola “studentessa” è un’abberazione e che io non ho mai adoperato. Parimenti un’abberazione anche la parola “avvocatessa”, che è certamente declinabile al femminile, ma come “avvocata”, derivando essa dal participio perfetto latino “advocatus, a, um”. Faccio notare poi all’autore dell’articolo che la parola “blog” è inglese ed adoperata da egli stesso, sebbene comprendo che sia arduo trovare un corrispettivo nella nostra lingua. Infine concludo con il dire che l’espressione delle proprie posizioni politiche e dei propri ideali non debba avvenire intaccando la lingua, ma piuttosto servendosi di essa per esporli.
Daniele Imperi
Ciao Francesco, benvenuto nel blog.
Infatti, come dici giustamente, una stragrande e schiacciante maggioranza non può adattarsi a un’esigua minoranza.
A me ministra continua a non piacere e non lo userò.
Riguardo a blog, è impossibile tradurlo, perché viene da “weblog”, che un tipo, scherzosamente, trasformò in “we blog”, o semplicemente blog.
Sara Paqu
Non voglio entrare a gamba tesa con tono polemico, le discussioni migliori partono in altro modo. Ma non riesco a capire la radice di questa rabbia.
Rispetto alla quantitá di modificazioni che il linguaggio – il lessico su tutto, ma anche la morfologia, la sintassi, la grafematica – subisce di decennio in decennio, concentrarsi (e quasi ossessionarsi) su questioni come il passaggio da disabile a diversamente abile, o sull’introduzione di una sorta di genere neutro, mi sembra una scelta un po’ pretestuosa per attaccare il presunto dilagare del politically correct.
Leggendo i testi di un o una qualsiasi scrivente delle scuole medie degli anni 80 e paragonandoli con un testo delle medie di adesso si riscontrerebbero una miriade di differenze nell’uso, qualcuna potrebbe risultare semplificante e qualcuna, invece, una ‘inutile complicazione’.
Posso chiedere all’autore se ha voglia di spiegare piú nel dettaglio in che modo alcune minime e naturali evoluzioni del linguaggio in una direzione che possa fare sentire rappresentate piú persone possibili devono diventare motivo di disagio e polemica?
Inoltre, l’autore non percepisce l’ironia del difendere a spada tratta uno status quo che tutela la sua categoria di genere – maschile – e il suo status di persona abile – presumo, e mi scuso se presumo male? Non sarebbe piú nobile lasciare che a discutere queste questioni fosse chi è chiamatx in causa in maniera diretta?
Daniele Imperi
Ciao Sara, benvenuta nel blog.
La ragione della rabbia sta nel vedere l’italiano rovinato da soluzioni illogiche.
Il passaggio da disabile a diversamente abile è una scelta ipocrita per me, come non vedente al posto di cieco.
Il dilagare del politicamente corretto c’è e si sente forte, anche: spesso si assiste a una specie di caccia alle streghe, si vuol trovare il marcio ovunque. Rispetto agli anni ’80 io non mi sento così libero di esprimermi come un tempo: ma lo faccio lo stesso, perché è mio diritto parlare e scrivere come voglio e come sono abituato a fare.
Il linguaggio non potrà mai rappresentare più persone possibili e per colpa di una esigua minoranza non possiamo cambiare l’italiano usando asterischi, schwa e perfino il genere neutro.
Non capisco l’ultima domanda.
Sara Paqu
Ciao Daniele, ciao Sandro, grazie per le risposte. Mi rivolgo a entrambi.
Prima di tutto riformulo l’ultima domanda per Daniele: il linguaggio si evolve in fretta. Io ho 22 anni e parlo con espressioni differenti rispetto a quando ne avevo 12, il mio contesto è cambiato, determinati usi nel frattempo sono decaduti. I miei nonni usavano il Voi, che ora risulta ridicolo. Fino a non troppo tempo fa il passato remoto era comune e ora è principalmente una variante diatopica del Sud. Queste sono tutte evoluzioni MACROSCOPICHE, avvenute in poco tempo eppure universalmente accettate e percepite come naturali.
Partendo da questo presupposto, l’accanimento verso microevoluzioni come ‘diversamente abile’ mi risulta davvero strano e mi sembra nasconda qualcosa di diverso dall’amore per la trasparenza della lingua. La presunta ‘rabbia nel vedere l’italiano rovinato da soluzioni illogiche’ è nel migliore dei casi anacronistica e poco informata sull’andamento del linguaggio come organismo vivente, nel peggiore un pretesto per compiere ulteriori microaggressioni verso categorie giá discriminate. Ovviamente il mio intento non è fare psicologia spiccia, per questo chiedo: nel tempo sono state accettati e assimilati cambiamenti ben piú grandi, quindi qual è la vera motivazione del rifiuto delle soluzioni di cui si parla in questo articolo? Vorrei capire meglio il vostro punto di vista e per farlo mi serve una spiegazione piú solida e meno autoassolvente.
Rivolgendomi invece a Sandro, siamo pienamente d’accordo sul fatto che “se viene alterato troppo frequentemente, il linguaggio diventa incomprensibile e perde la sua funzione principale, che è la comunicazione”. Al tempo stesso, in che modo, per esempio, dire ‘ministra’ complica la comunicazione? Mi sembra un termine completamente limpido. Continui la tua trattazione asserendo “sentire alcune categorie, come politici e giornalisti, che pronunciano con disinvoltura parole inesistenti come ‘sindaca’ o ‘ministra’, procura un senso di disagio tanto forte da far sperare quasi che certi ruoli non vengano più ricoperti da figure femminili, a prescindere dal loro merito e dal loro valore.”. Di nuovo, faccio fatica a vedere questo tipo di argomento come una difesa a favore della lingua, piuttosto che come una microaggressione contro la categoria in questione.
Mi rendo conto del fatto che l’uso pervasivo di schwa abbia un impatto destabilizzante. Ma abbiamo ucciso il congiuntivo, usiamo il presente al posto del futuro, l’imperfetto invece del condizionale, ‘gli’ al posto di ‘le’, prestiti dal francese, dall’inglese, dallo spagnolo, dall’arabo, dal greco e molte altre lingue ancora: che differenza vi fa una vocale?
Daniele Imperi
A 22 anni hai un linguaggio differente rispetto a quando ne avevi 12 perché hai studiato, parlato e letto di più. Non si possono fare paragoni fra il linguaggio di un bambino e quello di un adulto.
I cambiamenti che citi secondo me hanno poco a che fare con quelli del linguaggio inclusivo.
Per me diversamente abile è un’espressione ipocrita e di poco senso. Anche io sono diversamente abile, lo siamo tutti. Non ci vedo alcuna aggressione verso quella categoria, almeno da parte mia non c’è.
Il congiuntivo non è morto: io lo uso, anche nel parlato.
Sandro
Se posso vorrei rispondere cortesemente all’ultima domanda. Non credo che l’autore voglia difendere una categoria specifica, esplicitamente la propria, cioè quella maschile. Piuttosto si tratta di una difesa generica della lingua italiana, che è un patrimonio di tutti, non solo dei maschi, infatti si tratta di un mezzo di comunicazione e fa parte degli elementi distintivi di una cultura comune. Proprio per questo, se viene alterato troppo frequentemente, il linguaggio diventa incomprensibile e perde la sua funzione principale, che è la comunicazione. La lingua non dovrebbe piegarsi a scelte politiche o a logiche dettate dalle ideologie correnti, non dovrebbe veicolare già nella sua struttura messaggi morali, ma dovrebbe rimanere un capitale a disposizione della società, duttile a seconda delle esigenze che cambiano ma fondamentalmente lineare e strutturato, per permettere sempre a tutti di potersi esprimere in maniera libera e precisa. Piuttosto sentire alcune categorie, come politici e giornalisti, che pronunciano con disinvoltura parole inesistenti come “sindaca” o “ministra”, procura un senso di disagio tanto forte da far sperare quasi che certi ruoli non vengano più ricoperti da figure femminili, a prescindere dal loro merito e dal loro valore. È proprio questa l’inaccettabile conclusione cui si giunge per aver perseguito le regole del linguaggio inclusivo, ribaltando lo scopo per il quale esso è stato evidentemente coniato. La contraddizione mi sembra evidente. Peraltro chi intercede attraverso i mezzi di comunicazione dovrebbe usare un’attenzione ancora maggiore, rispetto ad altri, nel modo di parlare, proprio perché ha la facoltà di influenzare un gran numero di persone. Sono sempre più convinto, come tanti, che la difesa della lingua corrisponda, in questo momento, alla difesa del pensiero e della possibilità di potersi esprimere in maniera libera, chiara e priva di fraintendimenti.
Daniele Imperi
Ciao Sandro, benvenuto nel blog. La mia è infatti una difesa generica della lingua italiana.
Quello che sta avvedendo è proprio quanto dici: modificare la lingua per una scelta politica o ideologica. E questo andazzo va fermato.
Alcuni personaggi, come quelli della politica o del giornalismo, dovrebbero infatti stare più attenti a come parlano, proprio perché, anche senza volerlo, influenzano molte persone.
VEI-6 Vesuvius
Non è inclusivo, tutt’altro.
è un contentino per gruppi estremisti (le cosidette ‘comunità’ di vario tipo, altro non sono che congregazioni alla KKK. Cambi la parola ‘bianco’ con ‘gay’, ‘autistico’ ‘nero’ e via discorrendo, ma la sostanza è sempre quella).
Che poi cosa ottieni con l’uso di un linguaggio PC? Anche nelle ‘comunità’ varie le persone hanno mentalità diversa, e basta un niente perchè si offendano tra loro per una O al posto di una A. (io ho parlato con questa gente).
Quello che mi son trovata a pensare è stato (e talvolta lo penso tutt’ora), ogni parola è considerata offensiva, sessista and CO. Un giorno per non offendere nessuno saremo costretti a limitare la lingua a monosillabi:
‘Fame’, ‘sete’, ‘sonno’, ‘divertimento’ per informare sui nostri bisogni.
Daniele Imperi
Ciao, benvenuta nel blog. Ho letto cosa è successo a una donna inglese da parte di una di queste comunità.
Che cos’è il linguaggio PC? Sono un po’ avverso agli acronimi
Concordo che in qualsiasi modo si parli si finisce sempre per offendere, involontariamente, qualcuno. Mi chiedo perché tutti questi che blaterano a favore del linguaggio inclusivo non si siano sentiti offesi o esclusi fino a poco tempo fa.
Il linguaggio monosillabico potrebbe essere un’estrema soluzione: a patto che ci siano stesse quantità di parole maschili e femminili (e perché no? Neutre!).
Isabella
Ciao! Ti consiglio ”Il sessismo nella lingua italiana” di Alma Sabatini (1987).
Daniele Imperi
Ciao, grazie, lo conosco, ma non reputo sessista la lingua italiana.
Isabella
E scusami, oltre a conoscerlo, lo hai anche letto?
Ti limiti a dare opinioni personali contro l’evidenza di studi scientifici, che tra l’altro si sono moltiplicati negli ultimi anni.
Mi sembra un po’ ignoranza con i paraocchi la tua.
Sicuramente dovremmo tutti aprire un po’ di più la mente per migliorare questo mondo, non solo la lingua italiana.
Daniele Imperi
No, non l’ho letto, perché considero un’esagerazione definire la lingua italiana sessista.
Opinione personale, ovvio. L’ignoranza è di chi vuole stravolgere la lingua per motivi ideologici. Il linguaggio inclusivo è ignoranza, perché spesso è sgrammaticato. O usa parafrasi e forzature.
Il linguaggio inclusivo non migliora la lingua italiana, la rende incomprensibile e spesso sgrammaticata (e ho fatto nei miei articoli vari esempi).
Dire e scrivere “gli italiani e le italiane” non migliora la lingua. Senza contare l’abuso di asterischi e l’uso di caratteri estranei al nostro alfabeto, dunque alla nostra cultura.
Isabella
L’ignoranza è, appunto come tu mi confermi, di chi non si informa su testi scientifici, di chi non legge fonti certe e non si basa sul parere degli esperti (della lingua in questo caso, ma non solo), prima di crearsi una propria idea e non solo di parlare tra amici, ma di scrivere addirittura blog.
Non sto dicendo che l’uso degli asterischi o altri simboli sia corretto, solo che l’unico che rimane nella propria ideologia qui sei tu, non leggendo e perdendo per di più la possibilità di trovare argomenti comprovati a supporto delle tue tesi, perché anche se magari qualcosa di quello che dici è sensato, purtroppo perdi di credibilità agli occhi di chi ne capisce qualcosa in quanto la misura delle banalità presenti in ciò che hai scritto è veramente alta. Poi se il tuo obiettivo è solo quello di fomentare persone che la pensano come te e crearti la tua cerchia di fan, ok; se miri invece a un confronto più costruttivo, di certo non sono queste le basi.
Daniele Imperi
Quali sono le banalità presenti nel mio articolo? Ho fatto esempi concreti del linguaggio inclusivo, criticandoli.
Il mio obiettivo era e resta quello di contestare un linguaggio che sta rovinando la lingua italiana, al pari degli anglicismi. Non mi interessa avere una cerchia di persone che la pensano come me.
Tu che confronto costruttivo stai apportando? Finora hai solo detto che sbaglio, ma di fatto non hai presentato alcuna tesi a sostegno del linguaggio inclusivo né hai specificato in cosa sbaglio.
Isabella
No, hai ragione, non ho di certo intenzione di smontare ciò che ho letto punto per punto se dall’altra parte c’è una persona così convinta della sua idea da non poter essere buttata giù in alcun modo, neanche appunto con il contributo di una grande linguista e ricercatrice come Alma Sabatini ed il suo lavoro pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (che ti avevo appunto consigliato all’inizio); chi sono io in confronto?
Sono capitata nel tuo blog per puro caso, stavo infatti facendo delle ricerche su questi argomenti, e devo dire che mi è dispiaciuto trovare tanta disinformazione e rabbia da paladino della lingua italiana, ovvero difensore di un sistema che, ahimè, fa assolutamente come vuole e non si lascia certo comandare da qualcuno, né da patiti degli asterischi, né da conservatori e puristi.
Sarebbe bello magari leggere un tuo prossimo blog su questo tema alla luce di ciò che hai trovato dopo esserti confrontato con opere di esperti sull’argomento e dopo aver scoperto ad esempio (ma a puro titolo esemplificativo) che sindaca e ministra sono forme assolutamente corrette grammaticalmente e che se non sei mai stato abituato a sentirle è solo per la lunga storia del patriarcato e dell’inaccessibilità a certi ruoli, soprattutto di prestigio, da parte delle donne, fino alla seconda metà (avanzata) del Novecento.
Daniele Imperi
È comodo cavartela così: vieni qui a sostenere che ho scritto delle banalità sul linguaggio inclusivo, ma non dici quali sono e soprattutto non argomenti il tuo pensiero. E poi critichi me che non voglio un confronto costruttivo.
Le forme sindaca e ministra saranno anche accettate, ma per me restano brutture linguistiche e non intendo usarle.
Sandro
Cara Isabella, non le viene in mente che la dottoressa Sabatini, per quanto abbia avuto un certo percorso di studi ben definito, è molto più nota come femminista che come linguista? Perché lasciamo che a giudicare le questioni linguistiche sul sessismo siano donne troppo coinvolte nel problema e non interpelliamo più qualificati conoscitori della lingua italiana? Non è come chiedere a un rapinatore se è giusto legalizzare le rapine? Riporto dal libro che ha citato lei, p. 101:
Le «Raccomandazioni» consistono in due liste di parole o frasi,
l ’una contraddistinta dal NO, con gli esempi di forme linguistiche da
evitare, l ’altra, contraddistinta dal SI, con le corrispondenti proposte
di forme alternative non sessiste
Da quando il “sì” affermativo si scrive senza accento? Siamo proprio sicuri che da una tale ricercatrice vogliamo lezioni su come parlare italiano?
Il problema, Isabella, è che confrontarsi con altre persone dicendo che si dovrebbero leggere determinati libri, conoscere teorie o autori significa svilire le conoscenze altrui per esaltare le proprie, senza concedere diritto di replica. Ognuno di noi fonda le proprie certezze su ciò che conosce; come si pretende di escludere persone dalla discussione solo perché queste non hanno un percorso formativo pari a qualcun altro?
Daniele Imperi
Ciao Sandro, benvenuto nel blog. La cosa più grave nel testo che hai citato è che ci sia una lista di forme linguistiche da evitare, che vedo come una limitazione alla libertà di linguaggio, un linguaggio che fino a qualche anno fa non ha creato problemi a nessuno.