Narrare il presente è necessario?

Narrare il presente è necessario?

Un articolo di qualche giorno fa pubblicato sulla rivista «Studio», “Perché i romanzi italiani hanno paura del presente?” mi ha colpito perché mi riguarda in prima persona.

Tutto nacque da una critica sulle ambientazioni della moderna narrativa italiana, che sembra prediligere storie che raccontano il passato e non il mondo dei telefonini e delle reti sociali.

Non posso qui rispondere al perché la letteratura italiana di oggi spesso rinunci a raccontare i cambiamenti del presente, anche se qualche teoria la potrei azzardare, al netto del sempre valido “è il mercato che chiede altro”. C’entra, soprattutto in Italia, un immaginario culturale che tradizionalmente diffida del presente, trovandolo poco elegante.

Mi ritrovo del tutto in quest’ultima frase: è proprio il XXI secolo a essere poco elegante. Parere mio, ovviamente. Ma non solo mio: infatti, in una divertente e interessante intervista lo scrittore Michele Mari ha detto:

Io mi sento un marziano. Quando vedo un mondo fatto di telefonini, di iPhone, di iPad, di internet, di Facebook, impazzisco.

Come dargli torto? Io, almeno, gli do tutte le ragioni del mondo.

Raccontare il cambiamento

Perché dovremmo raccontare i cambiamenti della nostra società? Non è questo, secondo me, il ruolo della letteratura. Ma deve necessariamente avere un ruolo? Oppure siamo noi lettori a definirne il ruolo secondo le nostre esigenze e il nostro modo di pensare?

Non trovo alcuno stimolo creativo sui cambiamenti del presente. Nessuna idea nasce nella mia mente pensando a Facebook, ai telefonini, a internet in generale. Parlando di stimoli creativi, penso ai generi letterari di cui mi piace e mi piacerebbe scrivere, come la fantascienza.

La fantascienza non racconta il cambiamento, ma spicca un balzo là dove quel cambiamento c’è stato e ha già influito sulle nostre vite. A me interessa immaginare come si vivrà in tempi più o meno lontani nel futuro.

È l’esplorazione di nuovi mondi e nuove società a interessarmi, non l’eccitazione e la paura delle nuove tecnologie, per usare due parole dell’articolo “La letteratura deve per forza essere conservatrice?” apparso nella rivista già citata.

Così come continuo a chiedermi perché gli scrittori facciano così fatica a usare in modo naturale nelle loro storie cose, mezzi, aziende che stanno tutti i giorni dentro le nostre vite, da Whatsapp a Google Maps, come se il semplice nominarli avesse il potere di – mi si passi il termine – deletterarizzare il testo.

Questo concetto si sposa alla perfezione con quello di narrativa credibile, di cui parò a suo tempo Stephen King. Io stesso faccio fatica a usare “cose, mezzi, aziende che stanno tutti i giorni dentro la mia vita”, ma non è fare fatica, piuttosto è non trovarci nulla di intrigante, coinvolgente, seducente.

Mi intriga immaginare come si vivrà fra qualche decina di millenni, mi coinvolge una vicenda dell’Ottocento o degli Anni di piombo, mi seduce l’avventura umana nell’Età della pietra.

Scrivere è un’arte, non dimentichiamolo: ogni artista, dunque ogni scrittore, avverte precisi e personalissimi richiami. Whatsapp e Google Maps non fanno parte dei miei richiami. Un’astronave e un esopianeta sì, un uomo con una clava e un pistolero sì.

Uomo e scrittore del XX secolo

Forse dipende dal fatto che sono nato nel ’900, che in quel secolo sono avvenute la mia istruzione e la mia formazione. O forse è solo questione di gusti o, meglio, di quel senso di inadeguatezza e inappagamento che sento in questo XXI secolo.

Anche se ne uso le tecnologie – telefonino, internet, Whatsapp, Google Maps – per me restano al livello di strumenti e nulla di più. Non sono dei simboli. Non costituiscono materiale cui attingere per trovare idee.

Le mie storie raccontano passato e futuro

Passati rivisitati e magari alternativi, futuri possibili e forse anche improbabili. Narrare il presente a me non piace. Non interessa. Non ispira.

Stephen King è stato abile: ha adattato di volta in volta le sue storie al presente che viveva, facendo in modo – volutamente o meno – che i lettori riconoscessero quel tempo, leggendo i suoi romanzi e racconti.

Ma in questo vedo un vantaggio e uno svantaggio: leggendo le sue prime storie, i lettori moderni non potranno riconoscersi in un mondo senza telefonini, internet, Whatsapp e Google Maps. Io, che ho vissuto quei tempi, mi ci riconosco.

Ma questo svantaggio, se proprio vogliamo chiamarlo così, si verifica anche leggendo i classici.

Voglio citare un altro passo dell’articolo “Perché i romanzi italiani hanno paura del presente?”:

Se un tedesco guardasse oggi all’Italia senza esserci mai stato, e usando come osservatorio soltanto i libri degli ultimi anni, penserebbe che l’Italia sia un Paese abitato da vecchie donne con fattezze di streghe che vivono tutte in province isolate dal mondo.

E io, leggendo questa idiozia, cosa dovrei pensare dei lettori tedeschi?

10 Commenti

  1. Domenico MANCUSI
    giovedì, 3 Ottobre 2024 alle 10:45 Rispondi

    Forse si rifugge dallo scrivere sul presente, perché ormai viaggia troppo in fretta, e nel tempo occorrente a scriverlo è diventato già passato.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 3 Ottobre 2024 alle 12:37 Rispondi

      Ciao Domenico, benvenuto nel blog. Può essere anche come dici. Una volta il tempo sembrava scorrere più lentamente. Scrivere del proprio tempo era forse più naturale.

  2. Orsa
    giovedì, 3 Ottobre 2024 alle 11:04 Rispondi

    Che il presente sia poco elegante mi sembra una verità universale.
    Alla luce di questo non l’idiozia dei lettori tedeschi, ma quella della letteratura italiana contemporanea.
    Mari è nel mio personale Olimpo di scrittori da venerare.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 3 Ottobre 2024 alle 12:39 Rispondi

      Infatti non provo alcun interesse per la letteratura italiana contemporanea.
      Michele Mari? Ho letto un solo libro e m’è piaciuto. Scrittore diverso dai soliti. Interessante l’intervista di qualche tempo fa. Sembra che l’ultimo suo libro sia bello.

  3. vonMoltke
    giovedì, 3 Ottobre 2024 alle 13:37 Rispondi

    Ma perché, i lettori tedeschi non hanno una Grande Letteratura Tedesca Contemporanea a cui attingere?

    • Daniele Imperi
      giovedì, 3 Ottobre 2024 alle 14:00 Rispondi

      Non saprei. Tu leggi in tedesco, anche, ce l’hanno? E di che parla?

      • vonMoltke
        giovedì, 3 Ottobre 2024 alle 20:19 Rispondi

        Purtroppo in tedesco non leggo, ma a quanto ricordo di aver visto sugli scaffali di libri nuovi, a ragionare come loro, se un lettore italiano dovesse rifarsi a libri recenti di autori tedeschi, dovrebbe pensare che la Germania… non esiste!

        • Daniele Imperi
          venerdì, 4 Ottobre 2024 alle 8:41 Rispondi

          Be’, allora quella tipa dovrebbe tacere… siamo messi meglio noi.

  4. Grazia Gironella
    giovedì, 3 Ottobre 2024 alle 15:19 Rispondi

    Anche se i miei romanzi sono ambientati nel presente, è un presente simbolico, che si limita a fare da sfondo a vicende umane basate su valori che considero eterni. Nel presente non trovo proprio niente di ispirante, soprattutto se è italiano, senza nemmeno la patina dell’esotico ad aiutarmi. Per non dire che soltanto allontanandosi nello spazio e/o nel tempo si può capire davvero cosa ci dice il “presente”. Mentre lo si vive è banale, confuso, pieno di zavorre inutili. La distillazione richiede un processo di distacco ed elaborazione. Per fortuna prestando attenzione ci si intravede la bellezza. Ma arrivare a stupirsi che si scriva di altro, e magari considerarlo una mancanza di coraggio o rispetto, mi sembra follia.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 3 Ottobre 2024 alle 15:33 Rispondi

      Non so se sarei in grado di scrivere una storia ambientata nel presente simbolico, come dici. A meno di non ambientarla in un paesino sperduto o in alta montagna. La tecnologia moderna ci invade.
      È follia davvero quanto ha detto quell’autrice tedesca. Vorrei sapere cosa scrivono i loro autori.

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