L’inglese nell’editoria italiana

L’inglese nell’editoria italiana

Il fenomeno degli anglicismi – l’uso, cioè, di termini inglesi in contesti linguistici italiani – non è “limitato” alle moderne professioni della rete, al giornalismo, alla politica (che insieme raggiungono un’enorme fetta della popolazione), ma purtroppo – sebbene ancora in minima parte – ha toccato anche l’editoria.

L’uso dell’inglese nell’editoria italiana non è una novità, ma forse è una tendenza del XXI secolo. Non ricordo titoli di romanzi non tradotti negli anni ’80 e ’90.

Già nei primi anni Duemila, ricorderete, apparve Twilight di Stephenie Meyer (Fazi, 2006), a cui seguirono, nel corso degli anni, New moon (Fazi, 2007), Eclipse (Fazi, 2007), Breaking dawn (Fazi, 2008), titoli che potevano essere tradotti come Crepuscolo, Luna nuova, Eclissi e Alba nuova (traduzione libera, ma magari in linea con gli altri titoli).

Sempre più titoli di libri in inglese

Negli ultimi anni il fenomeno si è intensificato: due case editrici su tutte (Fanucci e Queen Edizioni) detengono una sorta di primato. Inoltre – non me ne spiego il motivo – l’uso dell’inglese riguarda maggiormente il genere fantasy.

Guardate il seguente elenco, il virgolettato è mio:

  • The royal trials – Il cercatore di Tate James, Queen Edizioni, 2020
  • Later, “Ediz. Italiana”, di Stephen King, Sperling & Kupfer , 2021
  • Watch me follow di Harloe Rae, Queen Edizioni, 2021
  • Always di Aria M., Queen Edizioni, 2021
  • Relentless di Karen Lynch, Queen Edizioni, 2021
  • Refuge di Karen Lynch, Queen Edizioni, 2022
  • Fairy Tale di Stephen King, Sperling & Kupfer , 2022
  • Sorcery of thorns di Margaret Rogerson, Mondadori, 2022
  • A touch of ruin di Scarlett St. Clair, Queen Edizioni, 2022
  • A game of fate di Scarlett St. Clair, Queen Edizioni, 2022
  • Shatter Me – Le novelle vol. 1 di Tahereh Mafi, Fanucci, 2022
  • Defy me (Shatter me #5) di Tahereh Mafi, Fanucci, 2022
  • Restore me (Shatter me #4) di Tahereh Mafi, Fanucci, 2022
  • Vespertine di Margaret Rogerson, Mondadori, 2023
  • A touch of malice di Scarlett St. Clair, Queen Edizioni, 2023
  • A game of retribution di Scarlett St. Clair, Queen Edizioni, 2023
  • The bridge kingdom di Danielle L. Jensen, Queen Edizioni, 2023
  • The never king, “Ediz. Italiana”, di Nikki St. Crowe, Mondadori, 2023
  • Behind di Monique Scisci, Queen Edizioni, 2023
  • From a distant star di Karen McQuestion, Queen Edizioni, 2023
  • When Wishes Bleed di Casey L. Bond, Queen Edizioni, 2023
  • Supernatural Academy – Anno due di Jaymin Eve, Queen Edizioni, 2023
  • The First Girl Child di Amy Harmon, Queen Edizioni, 2023
  • Broken Monsters di Lauren Beukes, Fanucci, 2023
  • Imagine me (Shatter me #6) di Tahereh Mafi, Fanucci, 2023
  • Hell Bent – Portale per l’inferno di Leigh Bardugo, Mondadori, 2023

Ho una teoria su questa tendenza di non tradurre i titoli inglesi: la comunità italiana di appassionati del genere fantasy ha conosciuto quei romanzi coi titoli originali e le case editrici li mantengono per attrarre quei lettori.

Ma è una teoria che ho presto abbandonato, cercando i romanzi di alcuni di quegli autori in altre lingue, per esempio in spagnolo, in francese, in tedesco, in olandese.

  • I romanzi di Tahereh Mafi in spagnolo sono Imagine me, Fracture me, Unite me, ecc.
  • E in francese Imagine-moi, Provoque-moi, Crois en moi.
  • E in tedesco troviamo Rette mich vor dir, Ignite Me, Wie ein leuchtender Stern.
  • I romanzi di Scarlett St. Clair in spagnolo sono La caricia de la oscuridad, El juego del destino, La caricia de la ruina, ecc.
  • I romanzi di Nikki St. Crowe in olandese sono De Nooitgedachtkoning, Hun wrede Darling, De Duisterling.

La tendenza è quindi tutta italiana. Il motivo? Ditemelo voi.

Il titolo in italiano passa in secondo piano

In alcuni casi vengono mantenuti entrambi i titoli, in inglese e in italiano. Ottima cosa, dirà qualcuno. Pessima, invece, dico io.

Titoli di libri in inglese Altri titoli di libri in inglese

A questi titoli aggiungo The Jasmine Throne – Il trono di gelsomino di Tasha Suri, Fanucci, 2023.

Il titolo italiano è in secondo piano e in alcuni casi neanche ben leggibile, come per il primo e il terzo della seconda immagine.

Che cosa è esattamente la traduzione di un libro?

È una sorta di riconoscimento per gli autori. Il loro romanzo, o saggio o qualsiasi cosa abbiano scritto, con una traduzione sbarca in un altro Stato. I lettori possono leggerlo nella propria lingua. Per gli autori è un guadagno in più. Idem per le case editrici.

Posizionando il titolo italiano in secondo piano, devalorizziamo la traduzione italiana. Come scelta non ha alcun senso logico, poi: perché un titolo inglese e un testo italiano? Perché riportare il nome dei traduttori, se poi non traducono tutto? Anche se, sono convinto, si tratta di scelte editoriali e non certo dei traduttori.

Gli anglicismi negli eventi dedicati ai libri

Siamo abituati a programmi e spettacoli televisivi che mantengono il titolo originale inglese, ma purtroppo quest’inglese viene usato anche per gli eventi libreschi:

  • Bookcity
  • Book Pride
  • Book Pride Milano
  • Buk – Festival della piccola e media editoria
  • Catania Book Festival
  • Elba Book Festival
  • Feminism
  • Festival del Romance italiano
  • OBP – Orbetello Book Prize
  • Pisa Book Festival
  • Salento Book Festival
  • Taobuk
  • Triestebookfest
  • Welcome stories

Il primo premio spetta a “Welcome stories”, che ha lo scopo di «far nascere nuove storie nella città di Reggio Emilia». Sappiamo tutti che Reggio Emilia si trova in Gran Bretagna.

Da notare anche la finezza – o furbizia – di usare la trascrizione fonetica (anche se non corretta) di book: buk.

E negli altri Paesi come funziona? Funziona così:

  • Germania: BuchPassion, BuchKidsHarz, BuchBerlin, Frankfurter Buchmesse, Leipziger Buchmesse.
  • Spagna: Feria del Libro Aragonés, Feria del Libro de Madrid, Feria Regional del Libro Infantil y Juvenil de Cieza.
  • Francia: Le festival du livre de Paris, Le festival du livre D’Autun, Etonnants voyageurs, Saint-Maur en poche, Livres sur place, Quai des bulles, Salon du livre de Colmar.
  • Norvegia: Bjørnsonfestivalen, Dei nynorske festspela, Kapittel – Stavanger internasjonale festival for litteratur og ytringsfrihet, LitFestBergen, Norsk Litteraturfestival, Ordkalotten – Tromsø internasjonale litteraturfestival.
  • Polonia: Poznańskie Targi Książki, Małopolski Festiwal Komiksu, Bydgoskie Targi Książki, Międzynarodowy Festiwal Poezji Silesius we Wrocławiu.

Nel settore delle mostre dedicate al fumetto e dintorni (i dintorni spesso sono molto estesi) la tendenza è la stessa:

  • Albissola Comics
  • Alecomics
  • Etna Comics
  • Lucca Comics & Games
  • Milan Games Week & Cartoomics
  • Modena Nerd
  • Multiverse Comics
  • Napoli Comicon
  • Nerd Show
  • Palermo Comic Convention
  • Pescara Comix & Games
  • Riminicomix
  • Romics
  • San Marino Comics Festival
  • Tiferno Comics
  • Treviso Comic Book Festival
  • Venezia Comics
  • Xmas Comics & Games

Addio alla cultura italiana

Se appaiono ingiustificabili gli anglicismi nei vari contesti professionali, lavorativi, politici, istituzionali e pubblicitari, nel contesto editoriale, quindi meramente culturale, lo sono ancor di più.

L’editoria italiana è – dovrebbe essere, almeno – il principale canale di promozione della cultura italiana. Dovrebbe, anche, rappresentare al meglio la lingua italiana.

La traduzione di un libro è una sfida: riuscire a rendere in un’altra lingua ciò che l’autore ha espresso nella sua.

Un titolo lasciato in inglese – sia esso nei film, negli spettacoli, nei libri – è una sconfitta.

Non tradurre quei titoli, assieme al marasma di anglicismi che infetta l’italiano, fa perdere valore alla nostra lingua e, di conseguenza, all’Italia.

16 Commenti

  1. Barbara Businaro
    giovedì, 20 Luglio 2023 alle 8:40 Rispondi

    Guarda, magari fosse solo il titolo il problema dell’editoria italiana! Si fa presto a vedere il titolo, ma della qualità della traduzione del testo intero sei certo?! Ho visto personalmente il disastro che hanno combinato con la serie Outlander di Diana Gabaldon (ne ho scritto un post articolato) alla prima pubblicazione: titoli tradotti, bene; testo originale diviso solo per il mercato italiano in due volumi, con la scusa che le lettrici italiane non vogliono testi lunghi, male; traduzione italiana con tagli del testo originale, pagine intere, molto male; chi lo legge in Inglese, mi segnala anche evidenti problemi di traduzione (azioni attive diventano passive, verbi di differente sfumatura, ecc.), malissimo. Tanto è vero che allo scadere dei diritti della traduzione, 20 anni, la scrittrice ha cambiato editore, ora tutti i volumi verranno ritradotti e ripubblicati per Oscar Mondadori Vault, in volumi unici come gli originali. Per altro, loro fanno doppia sovracoperta: da un lato titolo originale inglese, dall’altro titolo tradotto, una chicca.
    Il titolo è il meno, solo che il lettore medio non ha mezzi per verificare il resto della traduzione. :(

    • Daniele Imperi
      giovedì, 20 Luglio 2023 alle 14:24 Rispondi

      Con le traduzioni ho un brutto rapporto, perché spesso ho trovato traduzioni troppo libere o perfino inventate. In un romanzo di Ken Follett hanno eliminato una frase in un dialogo – e chissà quanto altro.
      Anche i primi romanzi di George R.R. Martin sono stati spezzati a metà, il terzo addirittura in 3 parti.
      Nel caso di Outlander forse c’è stata una traduzione frettolosa.
      Doppia sovraccoperta? Una lingua per facciata?

      • Pades
        giovedì, 20 Luglio 2023 alle 14:48 Rispondi

        A questo punto mi chiedo perché gli autori e la casa editrice originali non si lamentino con le case editrici italiane per aver deturpato l’opera originale… togliere frasi, cambiare il senso dei dialoghi… fossi l’autore non ne sarei contento. Anche spezzare i libri lo trovo sbagliato, non è la visione che aveva l’autore. Pensa ai due ultimi libri di McCarthy, che in tutto il mondo sono stati pubblicati insieme e spesso in unico cofanetto, tanto sono intrecciati fra loro: per quale sconsiderato motivo in Italia vengono pubblicati a distanza di mesi uno dall’altro? :-(

        • Daniele Imperi
          giovedì, 20 Luglio 2023 alle 15:08 Rispondi

          Dovrebbero mettere un veto, così da limitare i danni. Spezzare un libro è proprio una vergogna e un abuso, anche. I lettori pensano che sia un altro romanzo, e invece è solo la conclusione di quello appena letto.
          Neanche io mi spiego perché i due ultimi libri di McCarthy non siano stati tradotti e venduti insieme. Scommetti che il secondo esce a Natale, così si assicurano più vendite?

  2. Pades
    giovedì, 20 Luglio 2023 alle 14:38 Rispondi

    Leggendo i tuoi esempi e soprattutto quelli di Barbara c’è da rimanere sconsolati, non pensavo che il problema fosse così diffuso. Anche io in passato avevo trovato traduzioni a dir poco bizzarre, ma pensavo fossero eccezioni dovute alla scarsa professionalità di alcuni editori. Non sono assolutamente contrario all’inglese, anzi leggo molti libri in inglese che trovo anche una lingua interessante e ricca di spunti, è il miscuglio con l’italiano usato da chi vuol mostrare di conoscerlo che mi fa sorridere, sa di provincialismo: se qualcuno in spiaggia mi vede leggere un libro con un titolo in inglese mi considera forse più colto? Mah… :-)

    • Daniele Imperi
      giovedì, 20 Luglio 2023 alle 15:10 Rispondi

      Cose del genere sono successe anche con i grandi editori. Anche io ho letto libri in inglese, ma c’era solo quella lingua, non come in quelli italiani dove ce ne sono due…

  3. Orsa
    giovedì, 20 Luglio 2023 alle 15:09 Rispondi

    Apprendo dal commento di Barbara della figuraccia sul caso Outlander. Quindi gli italiani sono fanatici dell’inglese e lo usano pure male…
    Mi dispiace battere sempre lì, ma questo fanatismo è nato nel dopoguerra. Se prima importavamo qualche sporadico neologismo francese o spagnolo, dopo la “liberazione” c’è stata via via una vera sostituzione di termini, anche laddove non era necessario. Ad esempio capotreno poteva benissimo rimanere capotreno, perché adesso gli italiani devono dire train manager? La cosa triste (e pericolosa) è che noi pensiamo che faccia “figo” usare l’itanglese quando invece trattasi di mera sottomissione culturale: ricordi a tal proposito quel famoso discorso Churchill? A parte essere una sconfitta, i titoli in inglese per me sono veri elementi di disturbo, sulle traduzioni invece sono impotente purtroppo.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 20 Luglio 2023 alle 15:14 Rispondi

      Secondo me parecchie parole usate in inglese non sono propriamente corrette, come qualcuno fece notare sullo “smart working”.
      La trasformazione da capotreno a train manager è ridicola. Io continuerò a usare capotreno.
      Si tratta infatti di sottomissione culturale, di sudditanza linguistica.
      Non ricordo il discorso di Churchill…
      I titoli in inglese sono davvero disturbanti, primo perché alcuni lettori possono pensare si tratti di un romanzo in lingua originale, e poi perché non tutti conoscono così bene l’inglese da comprendere quei titoli. Magari si tratta di espressioni proprie della lingua inglese, che non siamo tenuti a conoscere.

      • Orsa
        giovedì, 20 Luglio 2023 alle 15:31 Rispondi

        “Il potere di dominare la lingua di un popolo offre guadagni di gran lunga superiori che non il togliergli province e territori o schiacciarlo con lo sfruttamento, gli imperi del futuro sono quelli della mente” – Churchill, 6 settembre 1943.
        Anch’io dico e sempre dirò capotreno :)

        • Daniele Imperi
          giovedì, 20 Luglio 2023 alle 15:33 Rispondi

          Però… Churchill ha dimenticato Giulio Cesare e le parole latine che usano ancora da svariati secoli.

  4. antonio zoppetti
    sabato, 22 Luglio 2023 alle 10:18 Rispondi

    Dagli anni ’90 i titoli dei film americani non si traducono più, sono riportati in inglese talvolta affiancati da una traduzione (che di solito viene dopo il titolo originale). È una precisa strategia commerciale voluta dalle multinazionali che vogliono esportare i propri titoli senza cambiamento, e se un tempo c’era Guerre Stellari o l’Uomo ragno oggi c’è solo Star Wars (divenuto un marchio intoccabile e intraducibile) o Spidermam (ma vale anche per il Monopoly: da quando è stato comprato dalla Hasbro si scrive con la “y).

    Tutto ciò ha creato un precedente e un modello che viene seguito spontaneamente anche negli altri settori: la tendenza si sta imponendo anche nelle trasmissioni televisive denominate in inglese, e ora sta intaccando l’editoria libraria che sembra preferire le stesse logiche, che tenta di applicare ai titoli ma anche a ogni sorta di manifestazione editoriale o culturale. Dietro c’è il disegno dell’inglese globale che si vuole imporre al mondo come la lingua internazionale (come aveva preconizzato Churchill).

    Il fenomeno purtroppo non si limita all’esportazione dei titoli in lingua originale, e poiché siamo ormai una “colonia” culturale (dove più che essere colonizzati fisicamente lo siamo nella testa, e per nostro compiaciuto asservimento interno) tutta l’editoria si sta anglicizzando allo stesso modo per spirito emulativo. La libreria Mondadori è diventata Mondadori Bookstore, ed è nata la Feltrinelli Red, dove il colore “rosso” nasconde l’acronimo Read, Eat, Dream, mentre si anglicizzano i processi produttivi (editing, lettering, hostwriting…) e tra best seller e long seller, thriller e modern fiction, home video e game… le categorie editoriali sono sempre più inglesi, comprese le graphic novel, nonostante l’origine italiana di novella mutuata dal Boccaccio (in francese roman graphique e in spagnolo novelas graficas). Fuori dall’Italia ci sono insomma delle resistenze a questo processo di “inclusione” glottofaga (di cui l’editoria è solo una goccia, perché l’anglicizzazione riguarda ogni aspetto della nostra società, da lavoro alla scienza, dall’informatica alla sanità…).
    Per esempio in Francia al salone del libro di Parigi 2019 un centinaio di scrittori e di intellettuali si sono ribellati contro la nomenclatura in inglese nell’editoria attraverso un appello per bandire categorie e parole anglicizzate come bookroom, photoboothm, live, brainsto, young adult, photobooth… (“Niente ‘bookroom’ o ‘live’ al Salon du Livre di Parigi: cento scrittori e artisti francesi contro l’invasione dell’inglese” Il Messaggero, 5/2/2019). E fuori dall’editoria riporto le parole di un intellettuale come Michel Serres (da noi gli intellettuali sono invece prevalentemente asserviti al sistema anglomane, e queste considerazioni suonano “estremiste”):

    “Durante l’Occupazione, mille parole tedesche sono spuntate sui muri di Parigi e di altre città francesi. È iniziato qui il mio orrore per le lingue dominanti e l’amore per quelle che si volevano eradicare. Visto che oggi, in quegli stessi luoghi, conto più parole americane che non parole destinate ai nazisti all’epoca, cerco di difendere la lingua francese, che ormai è quella dei poveri e degli assoggettati. E constato che, di padre in figlio, i collaborazionisti di questa importazione si reclutano nella stessa classe, la cosiddetta élite.” (Contro i bei tempi andati, Bollati Boringhieri 2018).

    • Daniele Imperi
      lunedì, 24 Luglio 2023 alle 8:06 Rispondi

      Non sapevo che Star Wars fosse ora un marchio intraducibile… ma è una cosa assurda. Perché intraducibile? Io l’ho sempre chiamato Guerre stellari e così continuerò a chiamarlo. Idem per Monopoli. Avevo visto infatti che ora lo scrivevano con la y.
      In molte case editrici ho visto le categorie editoriali in inglese. Per fortuna qualcuna usa l’italiano e perfino il latino.

      • Luciano Cupioli
        mercoledì, 13 Settembre 2023 alle 19:29 Rispondi

        Lo vedo come un complesso di inferiorità o, se vogliamo, la fascinazione che la lingua inglese ha su molti italiani, un po’ come quando si andava a ragazze al mare e si era colpiti più dai lineamenti e dai capelli biondi di una svedese che non da una prosperosa mora del sud Italia. Per lo stesso motivo molte aziende italiane si nominano in inglese: Old Wikd West che deve competere con McDonad, attira di più che il Buon Panettiere. Poi però sosteniamo che la nostra lingua è la più romantica… sarà che gli italiani sono tra coloro che parlano meno (e peggio) l’inglese, così fingiamo di conoscerlo mettendolo dovunque possiamo. Simple…

        • Daniele Imperi
          giovedì, 14 Settembre 2023 alle 8:22 Rispondi

          Fascinazione senz’altro, che però porta a un inevitabile complesso di inferiorità. Da una parte si vuole rilanciare l’Italia, rifarle importanza nel mondo, ma dall’altra si snobba la sua lingua, quando andrebbe valorizzata.

  5. DarkAlex1978
    sabato, 22 Luglio 2023 alle 11:13 Rispondi

    Sto avendo una discussione con uno sull’argomento anglicismi superflui (io tra le altre cose avevo detto come non sia una evoluzione della lingua ma una contaminazione e di come chi sostenesse la questione dell’evoluzione linguistica, ripetesse semplicemente il pistolotto a memoria, letto da qualche parte) e mi ha spiattellato questa risposta qui.

    “Evoluzione È contaminazione.

    Analogamente noi potremmo dire che dall’altra parte si ripete a pappagallo il pistolotto che la lingua andrebbe preservata.
    Chi ci dice che anche i termini importati “nel corso dei secoli”(?) fossero necessari? La stragrande maggioranza dei forestierismi li abbiamo importati nel secolo scorso, per un motivo semplicissimo: il mondo corre sempre più veloce. Tutto ciò che in passato avrebbe impiegato più tempo oggi ne impiega di meno. Commercio, comunicazione, turismo e quant’altro. La contaminazione non è che logica conseguenza.”

    Ecco, io davanti a qualcosa del genere mi cadono le braccia. Davanti a tanta mancata comprensione cosa posso rispondergli? Che è un idiota? Si, sarebbe una risposta corretta e veloce (come piacerebbe a lui) però non è nel mio stile.

    • Daniele Imperi
      lunedì, 24 Luglio 2023 alle 8:09 Rispondi

      Evoluzione non è contaminazione. Non c’è alcuna ragione logica che giustifichi l’uso dell’inglese quando esiste il corrispettivo italiano.
      Purtroppo ben pochi riescono a comprendere il pericolo di questa tendenza. E che a molti non interessi questo imbarbarimento della lingua italiana è solo una vergogna.

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