Creatori di mondi

Scriviamo e lasciamo fluire quello che abbiamo dentro: un mondo che per noi è talmente vivido da non lasciare spazio ad alcuna interpretazione. Cristiana Tumedei su “Capire se l’idea per un romanzo è valida”.

Se davvero esiste un mondo dentro di noi che scriviamo, che sogniamo e creiamo storie, allora quel mondo deve uscir fuori, fluire su carta in parole e immagini. E forse il lavoro dello scrittore è proprio questo, quello di mostrare agli altri il mondo che ha dentro.

Vi suona sensata questa riflessione? Perché io credo di non aver mai inventato nulla quando scrivevo, non sono stato ore e ore a fissare il vuoto nell’attesa dell’ispirazione. Ho semplicemente scritto. Ho lasciato libero sfogo ai miei pensieri.

La scrittura come liberazione

Che cos’è dunque la scrittura se non liberazione dei nostri pensieri più nascosti? Si dice che chi scrive lasci una parte di sé nelle sue storie. James Joyce – almeno credo fosse lui – sosteneva che le idee espresse dal protagonista non riflettono necessariamente quelle dell’autore. È davvero così?

Ma oggi non voglio parlare di protagonisti, bensì di storie e scrittura, di scrittori e intimità. La scrittura, se è vera la definizione che ho dato di scrittore, libera quello che sentiamo, la realtà come la percepiamo, le sensazioni che ci hanno colpito.

E tutto questo, unito alla propria esperienza di vita, sensazioni e percezioni ed esperienza, dunque, plasmano un mondo, una realtà che cresce in noi, matura, fino a quando non avverte il bisogno di uscire, di nascere. E quel bisogno non è forse la tanto declamata ispirazione?

Ecco allora che la scrittura non è più valvola di sfogo – non possiamo cavarcela così facilmente – ma creazione stessa di vita. Lo scrittore è il dio del mondo che ha creato. Un pensiero che farà inorridire i più accaniti fedeli, ma è così, in fondo.

[…] un mondo che per noi è talmente vivido da non lasciare spazio ad alcuna interpretazione.

A pensarci bene, non stiamo inventando proprio nulla. La nostra non è immaginazione, perché quel mondo è davvero vivido in noi, non dobbiamo interpretarlo, ma soltanto lasciarlo andare. Semmai, è la scrittura a interpretarlo, anzi è proprio così, la scrittura decodifica le emozioni più intime che abbiamo, tutto ciò che la nostra mente ha immagazzinato e conservato e restituisce su carta quel mondo sotto forma di parole.

Quale mondo si nasconde nella nostra scrittura?

Non possiamo saperlo finché la scrittura stessa non l’ha decifrato. Per quanto possiamo guardare dentro di noi, credo sia impossibile visualizzare quel mondo e le sue regole. È una realtà nascosta, fatta di pensieri e sensazioni senza forma, indefiniti e indefinibili all’occhio umano.

È per questo, allora, che scriviamo? Per scoprire noi stessi? Per conoscerci davvero?

Se ci pensate bene, i grandi autori del passato – cito loro perché li conosco meglio di quelli del presente – hanno dato di sé un’immagine ben chiara attraverso le proprie opere. Magari inconsapevolmente, hanno fatto sapere ai lettori cosa li angustiava e cosa li meravigliava.

Prendiamo uno scrittore come Salgari. Che cosa scriveva? Romanzi d’avventura. Perché ha scelto proprio quel genere? Perché ha voluto esplorare quel mondo che non poteva vedere coi propri occhi. Quel mondo era dentro di lui, viaggiare nei luoghi più remoti e selvaggi in cerca di se stesso – perché l’avventura consiste in una ricerca del sé.

Scrivere è come viaggiare senza la seccatura del bagaglio.

È questa la frase più famosa di Salgari. Per lui la scrittura era questo: un viaggio nei mondi reali che non poteva raggiungere. E li ha ricreati a modo suo, li ha riempiti dei più disparati pericoli e imprevisti e ci ha vissuto fino alla morte. E Salgari è morto come si conveniva a uno dei suoi tanti personaggi. Ha scritto da sé, attraverso la sua scrittura, il proprio destino.

Cormac McCarthy che cosa rappresenta nelle sue opere? Dà un volto ben definito al mondo che ha dentro, un mondo senza scrupoli e senza scampo, un mondo senza vincitori né vinti, un mondo fatto di gente spietata, dove l’animo nobile è soltanto un soffio d’aria in mezzo a tutta quella tempesta umana di violenza e crudeltà.

Hanno chiesto a McCarthy perché non scrivesse racconti e sapete che cosa ha risposto? Che non vale la pena scrivere qualcosa che non ti porti via anni di vita e non ti spinga al suicidio. Soltanto questa risposta può farci immaginare che cosa si nasconda dentro l’animo di questo eccezionale scrittore. E leggendolo troviamo conferma a quelle parole.

Siamo la nostra scrittura

Siamo il mondo che descriviamo, dunque siamo la nostra scrittura. Nient’altro che questo. Lo scrittore si definisce attraverso ciò che scrive. È dalle sue parole che capiamo chi è. Le storie, in fondo, sono soltanto scuse o, meglio, sono gli strumenti in mano allo scrittore per comprendere ciò che ha dentro e farlo comprendere agli altri.

E dopo tutto questo giro di parole per arrivare a un concetto così semplice, che cosa vi è rimasto di quanto ho scritto? Vi tornano i conti? Riuscite a guardare dentro di voi e a vedere quel mondo? Lo vedete? O avete bisogno di scrivere per scoprirlo?

79 Commenti

  1. Fabrizio Urdis
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 6:18 Rispondi

    Grazie Daniele per l’articolo molto interessante che mi ha dato diversi spunti di riflessione.
    Per quanto mi riguarda penso di inventare dei mondi, malgrado questi sicuramente sono dentro di me, ma li plasmo in base a ciò che voglio dire.

    Credo che la scrittura non sia altro che un lavoro di immaginazione, immaginare un altro mondo, facendo eccezione per alcuni casi di romanzi biografici.
    In base alla storia che vogliamo scrivere, ci poniamo delle domande e le idee sono le risposte che arrivano chissà quando facendoci sobbalzare e ridicolizzandoci agli occhi di chi ci osserva :-)

    L’ispirazione per me è data dal numero di idee avute in un determinato periodo di tempo, una a settimana è un po’ pochino, tre o quattro al giorno va molto bene.

    Ispirazione è anche la propensione a creare in un determinato giorno o periodo di tempo, ci sono giorni che in mezz’ora ho scritto una pagina e altri che procedo con fatica riga per riga.
    Dato che la creatività non è sottomessa alle leggi della logica è difficile poterla analizzare razionalmente.

    Qualsiasi cosa che viene scritta è una parte dello scrittore, anche se a volte questa, come in un gioco di specchi, è deformata e difficile da scorgere anche per i suoi conoscenti più intimi ma questo non vuol dire che chi scrive sia d’accordo coi suoi personaggi.
    Si può elogiare la storia di un criminale solo per mettere i lettori di fronte alla loro stessa meschinità (mi viene in mente “Lolita”)

    Dare libero sfogo ai miei pensieri avrebbe per me conseguenze funeste, o al massimo diventerei uno scrittore surrealista, ma non penso che ciò che affermi sia sbagliato, più che altro credo sia qualcosa di soggettivo, io ad esempio ho bisogno di mettere ordine nei miei pensieri.

    Concludendo, i miei mondi mi hanno assalito fin da quando ero bambino, descriverli e raccontarli mi permette di analizzarli e mi fa stare meglio.

    • Daniele Imperi
      martedì, 1 Ottobre 2013 alle 12:48 Rispondi

      Va bene anche plasmare i mondi che senti di avere. E d’accordo che chi scrive non possa essere d’accordo per forza coi personaggi, quanto meno non con tutti, ovvio.

  2. Massimo Vaj
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 9:26 Rispondi

    La creatività è il giardino fiorito dell’Ispirazione intellettuale, la quale sgorga da una fonte che sta in un “non luogo” misterioso. Da quella Sorgente infinita ognuno attinge con la brocca che è riuscito a modellarsi. Quel recipiente ha la forma e la capacità che gli abbiamo dato con la nostra fatica di vivere, e si lascia impugnare coi manici della gioia e del dolore, per essere retto in modo da sprecare il meno possibile del sacro liquido dal quale si disseta la nostra stessa esistenza. Le nostre intenzioni sono quelle che tengono pulita la brocca, o che la trascurano, e l’acqua che la riempirà sarà trasparente o opaca di conseguenza. L’atto creativo di ogni scrittore è analogo a quello che ha formato l’universo, ma l’intelligenza che crea non è la stessa. L’Intelligenza universale, davanti alla quale l’universo intero s’inchina, è madre della nostra individuale, che si deve prostrare di fronte alla meraviglia del Mistero che la circonda. Creare significa toccare il Mistero con la centralità invisibile che è anche in noi. I limiti siamo noi a disegnarli, e quei limiti daranno forma a mondi o granelli di sabbia, in una fucina che è sempre la stessa, con pareti erette dal desiderio, che nasce dalla necessità di perfezione.

    • Daniele Imperi
      martedì, 1 Ottobre 2013 alle 12:51 Rispondi

      Creatività e immaginazione dipendono anche dalle proprie esperienze vissute, se è questo che volevi dire. Non so quanto possa esserci di innato.

  3. Massimo Vaj
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 9:29 Rispondi

    Devo dire che chi ha scritto questo articolo, oltre ad avere espresso delle banalità poco interessanti, non è stato nemmeno capace di scriverle decentemente.

    • Daniele Imperi
      martedì, 1 Ottobre 2013 alle 12:50 Rispondi

      L’articolo l’ho scritto io, Massimo, c’è la mia firma in fondo al post. Non reputo quello che ho scritto banale, visto che sono solo personali riflessioni sulla scrittura.

      Mi spieghi perché sarebbero banali e perché non scritte in modo decente?

      • Massimo Vaj
        martedì, 1 Ottobre 2013 alle 14:36 Rispondi

        Anche se te lo spiegassi non capiresti, e non riusciresti a scrivere diversamente, perché le tue capacità di scrittore dipendono da te e non da me.

        • Daniele Imperi
          martedì, 1 Ottobre 2013 alle 14:39 Rispondi

          Mah, mi paiono considerazioni un po’ azzardate e soprattutto campate in aria. Come fai a dire che non le capirei?

          • Massimo Vaj
            martedì, 1 Ottobre 2013 alle 14:46 Rispondi

            Perché non si tratta di correzioni sintattiche o grammaticali, ma di forme banali, assenza di stile personale, creatività e originalità. E sono cose che dovrai scoprire da te.

          • Massimo Vaj
            martedì, 1 Ottobre 2013 alle 14:52 Rispondi

            Se tu fossi in grado di giudicare i tuoi scritti non terresti aperte queste pagine che si occupano di qualità nella scrittura. Non ci sono motivazioni diverse dal dover dire la verità di ciò che penso, che mi hanno indotto a scrivere quello che ho scritto.

  4. Glauco
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 11:36 Rispondi

    Grazie Daniele per gli stimoli che mantieni “alti”. Mi piace molto la parte di Salgari…
    Faccio comunque un intervento musicale, mi perdonino lor signori:
    nei primi anni ’80 l’avvento del Punk spazzò via molte certezze. Si gridava allo scandalo, i “grandi gruppi ” progressive dell’epoca venivano accantonati dopo anni di successi clamorosi e maree di fan in adorazione. Per farla breve, certo la classe non è acqua ed il “ritorno” dei dinosauri era scritto, ma realtà come Ramones, PIL ecc…anche “non sapendo suonare” sono ancora lì a dire la loro. Un caso? Oppure sono troppo stretti gli argini a volte?

    • Daniele Imperi
      martedì, 1 Ottobre 2013 alle 12:59 Rispondi

      Grazie a te, Glauco, però non ho capito il pensiero musicale: in musica ho parecchie lacune. Che volevi dire, rapportandolo allo scrittore?

      • Glauco
        martedì, 1 Ottobre 2013 alle 20:26 Rispondi

        Volevo proprio fare quel paragone…Sorry

  5. Gioia
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 11:14 Rispondi

    Correggimi se sbaglio, ma una volta, in un commento, ti sei definito non scrittore romantico. Leggendo questo post oserei dir che sei in completa contraddizione! Forse vorresti non esserlo, ma in fondo, lasciando libere le parole, proprio come hai fatto qui, lo sei più di quanto immagini. Un post che fa sognare e fa credere di essere scrittore anche a chi non lo è.

    • Daniele Imperi
      martedì, 1 Ottobre 2013 alle 12:54 Rispondi

      Scrittore romantico nel senso ottocentesco del termine, sia chiaro: come uomo, sentimentalmente quindi, non lo sono per niente :)

      Non ricordo quando e in che contesto mi sono definito scrittore romantico, ma perché qui sarei in contraddizione? Anche tu lo sei, però: dici che mi contraddico e poi dici che invece qui lo sono :D

      • Gioia
        martedì, 1 Ottobre 2013 alle 23:33 Rispondi

        Cerco di spiegarmi meglio!
        In un tuo commento avevi affermato “non sono romantico”, ma leggendo le considerazioni di questo post, appare un uomo completamente romantico.
        Ecco dove vedo la contraddizione.

        • Daniele Imperi
          mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 7:38 Rispondi

          Sì, ma io intendevo che non sono romantico come uomo nei confronti di una donna. Mi spiego: io e lei seduti mano nella mano a guardare il tramonto, il cuore inciso su un albero, regalare fiori alle occasioni, festeggiare un san valentino, ecc. Ecco, io non sono così :)

          Ora vorrei capire dove vedi che sono romantico in questo post :)

          Se parli di romanticismo non riferito alle “questioni di cuore”, allora potrei essere d’accordo.

  6. MikiMoz
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 12:20 Rispondi

    Diciamo che scrivere mi ha sempre aiutato a fissare nero su bianco il mondo che vivo e che è anche dentro di me.

    Moz-

    • Daniele Imperi
      martedì, 1 Ottobre 2013 alle 12:56 Rispondi

      Sintetico e chiaro, Miki :)
      Io invece scrivo perché non sopporto il mondo che vivo :D

      • MikiMoz
        martedì, 1 Ottobre 2013 alle 14:30 Rispondi

        Davvero? Sei uno scrittore maledetto, dunque :D

        Moz-

        • Daniele Imperi
          martedì, 1 Ottobre 2013 alle 14:37 Rispondi

          Ahah, mi ci vedo benissimo nei panni dello scrittore maledetto :D

          • MikiMoz
            martedì, 1 Ottobre 2013 alle 19:12 Rispondi

            Mi passi un poco di assenzio? :)

            Moz-

      • Glauco
        martedì, 1 Ottobre 2013 alle 22:16 Rispondi

        Scusate se mi intrometto, ma Daniele io insisto. Ellin Selae è la rivista giusta. Giustamente critica…(artisticamente)

  7. Gioia
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 12:33 Rispondi

    PS: spero che qualcuno abbia capito ciò che ho scritto :P la confusione mentale si è trasferita su ciò che ho scritto.

  8. Tenar
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 15:01 Rispondi

    Io mi sono sentita molto in sintonia con questo post, sopratutto con la citazione di Salgari “scrive è viaggiare senza la seccatura del bagaglio”. Sarà forse perché uno dei miei primi libri è stata un suo romanzo, un’edizione del 1911 di Capitan Tempesta, passata da mio nonno a mia madre e quindi a me (per approdare, si spera, a qualcun altro).
    Inoltre scrivere permette di viaggiare in altrovi non raggiungibili altrimenti, infatti quando chiedi se le idee espresse dal protagonista possano dissentire da quelle d’autore, la mia risposta è certamente sì. È un viaggio molto interessante quello che si può compiere in una mente diversa della nostra. E questa è cosa che solo la scrittura permette.

    • Daniele Imperi
      martedì, 1 Ottobre 2013 alle 15:08 Rispondi

      Conservala bene quell’edizione di Capitan Tempesta, io ho l’ultima uscita :)

      Vero: scrivere ti permette di vedere con occhi diversi dai tuoi, anche se non sarà facile.

  9. Massimo Vaj
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 15:01 Rispondi

    Dire che la scrittura serva a comprendere ciò che abbiamo dentro assegna allo scrivere proprietà superiori a quelle del pensiero introspettivo, e sarebbe come affermare che gli effetti sono superiori alle cause dalle quali hanno tratto la loro ragione di essere. E questo invertirebbe la naturale gerarchia di valori che vede essere ogni causa superiore agli effetti che determina.

    • Daniele Imperi
      martedì, 1 Ottobre 2013 alle 15:09 Rispondi

      Magari è proprio il pensiero introspettivo a muovere la scrittura.

      • Massimo Vaj
        martedì, 1 Ottobre 2013 alle 15:26 Rispondi

        Il pensiero introspettivo muove la scrittura introspettiva che è soltanto il mezzo attraverso il quale si fissa su carta un risultato provvisorio, scaturito dall’analisi di sé che ha per fine la sintesi di ciò che si pensa di essere. Il successo che ha avuto la teoria che assegna valore all’autostima nasce dalla possibilità di imbrogliare se stessi, con finalità che hanno la parvenza di poter essere utili a contenere i devastanti danni che avrebbe un’autocritica severa. Danni che, a mio parere, costituirebbero un solido supporto per iniziare a dar senso e forma alla propria, rinnovata, personalità.

  10. Daniele Imperi
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 15:04 Rispondi

    Massimo Vaj

    Perché non si tratta di correzioni sintattiche o grammaticali, ma di forme banali, assenza di stile personale, creatività e originalità. E sono cose che dovrai scoprire da te.

    Lo stile si evolve sempre. Quali sono queste forme banali? E perché trovi il post privo di creatività e originalità?

    Riguardo al saper giudicare i miei scritti: beh, nessuno è in grado di farlo coi propri, neanche tu.

    E il blog è aperto perché a me piace parlare di scrittura. Lo terrei aperto anche se dovessi diventare più famoso di Stephen King.

  11. Massimo Vaj
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 15:40 Rispondi

    Lo stile si evolve quando c’è. Non avrebbe senso discutere nei termini che stai proponendo, allo stesso modo nel quale non ne avrebbe parlare di rane a una mostra di orologi. Scrivere non è importante come si vorrebbe far credere in questo tuo blog; è essenziale, invece, conoscere la natura della realtà in cui siamo immersi, perché è da quella conoscenza che la scrittura acquista il senso e la dignità che si trasformano in stile personale. Disquisire su inezie serve a poco, così come non sarebbe utile tracciare giudizi particolareggiati sottolineando, col matitone rosso e blu, le ripetizioni, i concetti privi di senso e le forme usurate che compongono i periodi scelti per esprimersi. È da evitare il concentrarsi sugli effetti ignorando cause alla quali ci si rifiuta di guardare perché considerate insondabili, come indeterminabile sembrerebbe essere la gerarchia di valori dai quali queste nascono. Hai definito la percezione come più elevata dell’Intuizione intellettuale, e questo indica il dare più valore alle sensazioni che alla comprensione. Questa è la confusione nella quale ci si impantana, quando la propria conoscenza del mondo si accontenta di essere approssimativa. Approssimazione che si riflette nella scrittura, come il sole nei vetri di una finestra chiusa.

  12. franco zoccheddu
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 15:57 Rispondi

    Buongiorno, Vaj. Leggo sempre con attenzione ciò che lei scrive, sebbene lei mi rubi non poco del poco tempo che mi rimane da vivere. Mi hanno presentato una cara ragazza, tempo addietro: sintesi… semplicità. Beh, senta, non lo ricordo. Lei, a sua volta, mi ha presentato una sua cara amica: mi pare… ah, sì, cordialità. Due ragazze che mi ispirano sempre una certa disponibilità verso gli altri, mi impediscono sempre di trascendere e mi ricordano il piacere di comunicare accettando gli altri, anche se talvolta non corrispondono proprio del tutto a ciò che vorremmo. Inoltre sono due persone che non distinguono tra discorsoni e discorsetti, si contentano di stare in amicizia con gli altri.
    Sa cosa ho notato di strano? Non cedono mai alla tentazione di appesantire i discorsi, amano la leggerezza anche nell’impegno. Lei pensa che dovrei continuare a frequentarle? Il suo parere è molto importante per me. Chiedo scusa a Daniele, come sempre disponibilissimo alle invasioni di campo.

    • Massimo Vaj
      martedì, 1 Ottobre 2013 alle 16:05 Rispondi

      Le frequenti soltanto se quelle due ragazze riescono a mantenere le loro qualità nell’essere aderenti alle verità che conoscono, non solo di ciò che pensano, ma anche di quelle che vale la pena esprimere. Io non amo le linee di minor attrito, perché non assegno all’orgoglio individuale alcun valore, quando quest’ultimo sgomita mettendosi davanti al desiderio di conoscere.

    • Massimo Vaj
      martedì, 1 Ottobre 2013 alle 16:35 Rispondi

      Signor Franco, la informo che la sintesi non comporta alcuna necessaria semplicità, perché se ne avesse la necessità si troverebbe nella stessa condizione del risultato di un calcolo complesso che vorrebbe risolversi in un numero che sia facile a comprendersi. Non la verità deve ridursi per essere capita, ma è chi le deve intendere che ha l’onere di elevarsi per riuscire a coglierne le complesse implicazioni.

  13. franco zoccheddu
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 16:38 Rispondi

    Lei è luce per me.

    • Massimo Vaj
      martedì, 1 Ottobre 2013 alle 18:04 Rispondi

      La luce non è mai di di qualcuno, e se questo qualcuno ne diffondesse anche un piccolo raggio, potrebbe farlo solo nel modo in cui uno specchio riflette un bagliore che non gli appartiene.

  14. Massimo Vaj
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 19:10 Rispondi

    Sono molti i modi per mancare di rispetto a una persona, e il peggiore non è quello di dire la verità di ciò che si pensa, ma è dato dalla volontà di irridere quando non si è in grado di argomentare con intelligenza…

    • franco zoccheddu
      martedì, 1 Ottobre 2013 alle 22:38 Rispondi

      No, signor Vaj, no. Mi creda se le dico che non rido di lei né la irrido. Forse la trovo un po’ spinoso, e magari lo ammetto, preferisco la generosa e saggia leggerezza di Daniele, la fresca intelligenza di Cristiana o la rara e immediata sincerità di Lucia. Ma lei deve rimanere con Daniele e con gli altri, e mi scuso se mi permetto di invitarla io, che sono un invitato.
      Se c’è qualcosa che mi farebbe star male è sapere che a qualcuno è stata tolta la parola per causa mia. Andrei via io prima, che non sono proprio nessuno. Preferisco mille volte più parlare con lei, pur in questo strano modo un po’ complicato per me, che avere anche la minima sensazione di averle fatto un torto. Solo vorrei capirla meglio, in fondo sta tutto qui. La leggerò.

      • Massimo Vaj
        venerdì, 4 Ottobre 2013 alle 7:58 Rispondi

        È una cosa difficile da spiegare, Franco, perché non sono io a essere difficile da capire, ma lo è la verità dei princìpi dei quali sono un mediocre espositore. Nulla di ciò che dico o scrivo è farina del mio sacco, allo stesso modo in cui non lo sarebbe la descrizione di un panorama visto. Difficile è, piuttosto, la verità, dura da intendere per chi non ha avuto il colpo di c*** che ho avuto io. Scherzo naturalmente, perché io definisco colpo di fortuna ciò che in realtà fortuna non è, ma la chiamo così a causa del fatto che il mio è un vedere la realtà attraverso i suoi princìpi universali costituenti, ed è capacità donatami dal Mistero assoluto senza che io abbia alcun merito al riguardo. Non ho nemmeno un’intelligenza pregiata, e non lo dico per modestia. È un mistero anche per me il fatto che io veda quello che vedo, e fatico molto a esporre quanto di questo vedere è possibile comunicare. Non sono orgoglioso della mia particolare e difficile situazione, credimi, perché nessuno sarebbe orgoglioso di descrivere, e pure male, il panorama visto.

  15. Kentral
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 19:48 Rispondi

    Signor Massimo, Vaj
    E’ da un po’ che leggo i suoi commenti al blog di Daniele ed è da quel po’ che ammiro la sua superiore espressione di pensiero. A volte resto ammirato a volte interdetto dato che non la comprendo del tutto.
    Ad ogni suo commento provo a cogliere dalla fonte della sua sapienza innaffiandomi nel gorgo di fiato del suo blog, ma devo ammettere che di sovente, se non sempre, resto deluso. Arguisco che i suoi commenti sono spesso più elevati di quel che scrive sul suo blog. Avrei voluto comunicarglielo lì, ma dato che nella quieta pace dei suoi scritti non ho mai trovato nessun commento, non ho avuto il coraggio iperbolico di essere il primo. La verginità della sapienza ha ancora un valore sacro. Per me.

  16. Massimo Vaj
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 20:09 Rispondi

    Mi sono spesso chiesto chi fosse il lettore che evita di commentare le mie storiellette, nascosto in mezzo a quei pochi altri che tacciono, chiedendosi perché scrivo cose così incomprensibili. In fondo ho sempre saputo che l’assenza di commenti era una complimentarsi trattenuto, simile a quello di quando ci s’incazza, sibilando tra i denti senza bestemmiare, perché il vasetto di conserva rifiuta d’aprirsi. In quel vasetto non c’è sapienza, ma dei princìpi che non possono essere assaggiati da tutti a causa del loro sapore molto antico, offensivo per le intelligenze che sperano d’incontrare il gusto di casa.

  17. Massimo Vaj
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 20:17 Rispondi

    Saluto Daniele Imperi, comunicando che eviterò di imbarazzarlo ancora con la mia fastidiosa presenza in un blog che, almeno per me, non è utile. Auguro a tutti un buon proseguimento.

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 7:41 Rispondi

      Massimo, i tuoi commenti non mi hanno imbarazzato, quindi non devi salutare nessuno. Ci sono stati commenti che io non ho approvato nel blog, ma erano commenti maleducati, insulti quasi.

      Tu sei schietto, ci metti la faccia, te ne freghi di andare contro tutti – in questo siamo simili – quindi a me non crei problemi.

      Che poi il mio blog non ti sia utile, beh, mi dispiace, ma più di questo io non posso fare.

  18. Giuliana
    martedì, 1 Ottobre 2013 alle 19:39 Rispondi

    Articolo davvero bello, Daniele :)
    Mi piacciono i post in cui parti da una citazione riferita al mondo della scrittura e ci ricami attorno, li trovo intimi e stimolanti.

    A parer mio, uno scrittore (inteso come colui che scrive, non necessariamente pubblicato) per forza di cose butta una minima parte di sé sul foglio che ha davanti. Che sia un pensiero, uno spicchio di vissuto, un sentimento, un personaggio che per alcuni versi gli somiglia. Forse non potrebbe essere altrimenti: prima di fluire sulle pagine, il mondo che lo scrittore ricrea viene filtrato secondo ciò che egli pensa, sente e sa. Se lo scrittore ama viaggiare (a prescindere che possa farlo o meno a livello concreto) facile che uno dei protagonisti dei suoi libri abbia proprio questa passione; se ha un’indole romantica, possibile che questo lato di sé appartenga anche all’eroe appena creato; se ama molto un determinato luogo, ovvio che prima o poi trovi modo di ambientarvi una storia. Difficile, insomma, estraniarsi del tutto dal materiale che si produce, qualche frammento di sé troverà sempre modo di sgusciare via dalla penna andando a infilarsi tra le lettere d’inchiostro.

    E poi, i mondi che nascono dentro la sua testa sono dei luoghi meravigliosi, soprattutto nella fase d’incubazione, nel momento in cui prendono forma piano piano e lui si diverte ad aggiungervi nuovi particolari, nuovi colori, nuove forme. Lo scrittore coccola e accudisce il suo mondo segreto finché sente che è maturo abbastanza per farlo nascere e forte quel tanto che basta a sostenere le vicende che ospiterà.
    Io adoro questa parte, quella che precede la scrittura.
    Quella in cui il mondo da me immaginato è ancora tutto mio, luogo prezioso in cui rifugiarmi all’insaputa del resto del mondo.
    Quei momenti non hanno prezzo proprio perché appartengono solo all’autore, e perdono una parte della magia che li circonda quando prendono forma su carta.
    Un po’ come le vacanze: quanto sono intensi e ricchi di emozione i giorni che le precedono? Quasi più delle vacanze stesse…

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 7:59 Rispondi

      Grazie :)

      Sì, per forza qualcosa di sé fluisce sulle pagine. E anche a me piace la fase preparatoria, diciamo, quella in cui sto tirando fuori il mondo che ho dentro.

  19. Massimo Vaj
    mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 9:23 Rispondi

    Vedi Daniele, per me la scrittura è importante solo in funzione della ricerca attorno ai significati del vivere, scrittura compresa. Ci sono scritti perfetti, dal punto di vista della correttezza sintattica e grammaticale, ma poveri di significato, e sono la maggior parte, tutti rivolti a sollecitare gli animi di chi legge, al creare emozioni, mai a stimolare le intelligenze, orientandone gli sforzi verso la comprensione di ciò che è essenziale alla vita e ai valori perenni che la sorreggono. Pare che chi scrive riversi la propria attenzione esclusivamente su di sé e sui propri supposti talenti, nella forma lamentosa di chi non si vede riconosciuto per il valore che ha come persona che scrive. Ci sarebbe molto da dire attorno alla parola scritta, e le verità che le preme nascondere, senza parlare dell’abitudine, ormai generale, di sacralizzare una “cultura” nozionistica improntata alla memorizzazione, attribuendole connotati spirituali con l’arrivare a dire che chi non la possiede è cattivo individuo, perché la colpa della cattiveria è sempre attribuibile all’ignoranza. La conseguenza è che una moltitudine di scrittori “colti”accarezzano gli stessi pensieri in un appiattimento deprimente, dato dal condividere identiche conoscenze, le stesse che stanno portando l’umanità a disprezzare gli ignoranti che per millenni hanno conservato il pianeta pescando e cacciando con misura, coltivando nel rispetto della natura, e ringraziando un Cielo che non è mai stato tanto vuoto come è oggi.

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 9:49 Rispondi

      Ti faccio una proposta, a questo punto: che ne pensi di scrivere un guest post qui, parlando appunto della tua idea di scrittura, alla luce anche di quanto hai appena detto?

      • Massimo Vaj
        mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 10:44 Rispondi

        Un simile articolo avrebbe la parvenza di una sfilata di consigli che violerebbero la libertà individuale di scelta che è sacra, e non lo è solo per chi affida alla scrittura il proprio pensato e i propri valori, ma per chiunque viva e speri di migliorare il proprio essere. Non voglio suggerire cosa dovrebbe essere scritto, ma solo ricordare che la scrittura deve essere il mezzo e non il fine, perché quel fine non può altro che essere il guadagno della propria libertà, che è assenza di costrizioni. Parrebbe un sogno, ma non lo può essere, perché non è un sogno nemmeno la possibilità di rinchiudere nella prigione, costruita dalle false credenze, le proprie speranze per sé e per i propri figli.

  20. Kentral
    mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 9:56 Rispondi

    Massimo Vaj
    … gli ignoranti che per millenni hanno conservato il pianeta pescando e cacciando con misura, coltivando nel rispetto della natura, e ringraziando un Cielo che non è mai stato tanto vuoto come è oggi.

    Questa affermazione è di una banalità e di una ignoranza estrema.
    Basta conoscere la storia per rendersi conto che non esiste un epoca d’oro nel passato. Gli uomini di una volta non erano né saggi, né rispettosi della natura.
    Semplicemente potevano devastare poco il pianeta perché erano arretrati. Avessero avuto le auto in qualsiasi tempo le avrebbero amate, desiderate ed utuilizzate come e più di noi.
    Intere civiltà si sono estinte proprio per ignoranza.
    Il paradiso terrestre era in Mesopotamia fra il Tigri e l’Eufrate. Proprio il deserto che ammiriamo oggi. Gli uomini, quegli uomini, hanno sfruttato così tanto i terreni da farli desertificare. O vanno pure citati quei gran saggi dell’Isola di Pasqua, che mentre eregevano i loro Moai tagliavano tutti gli alberi dell’Isola autocondannandosi alla rovina. E di esempi se ne potrebbero citare svariati.
    Gli uomini sono sempre stati distruttori ed ignoranti. Noi uomini moderni stiamo studiando e lottiamo sull’impatto che l’uomo ha sulla nostra piccola bolla d’aria sospesa nell’infinito vuoto. E lo facciamo solo perché ci evolviamo ed impariamo dai nostri ricorrenti errori.

    • Massimo Vaj
      mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 10:33 Rispondi

      Generalizzare comporta necessariamente un appiattimento verso il basso che trascina con sé le possibilità elevate che sfuggono alla comprensione, e insieme a questo si trascina dietro molte ingiustizie, perché la diversità individuale, e di conseguenza anche collettiva, perché la collettività è un insieme quantitativo di individui… la diversità individuale, stavo dicendo, è legge universale. Ciò nonostante è necessario ricordare che a tutt’oggi ci sono popolazioni che rifiutano di assoggettare la loro esistenza alle esigenze della tecnologia, e insistono nell’impostare la loro società secondo regole ataviche. È del tutto gratuita l’affermazione che l’essere umano è sempre stato lo stesso animale frustrato, desideroso di compiacere i propri appetiti materiali, che è oggi. Chi lo ha appena affermato è qualcuno che ha anche ridotto la storia dell’umanità alle pagine scolastiche che fanno risalire alla terra tra il tigri e l’eufrate le origini della presente umanità, dandomi in aggiunta dell’individuo banale. Mi aspetto che faccia lo stesso, per quanto si riferisce alla cultura, facendo risalire la sua tradizione alla civiltà greca, nel perfetto appiattimento culturale insegnato nelle scuole del mondo cosiddetto “civile”. L’uomo cambia, in peggio o in meglio, in dipendenza di ciò che conosce o crede di conoscere, e non c’è una linea retta evoluzionistica che dispiega le possibilità inerenti al suo stato in una sola direzione, orientata verso il bersaglio dato dall’obbligo di migliorarsi. Obbligo che la libertà consiglia, serto, ma non impone. La vera banalità sta nel dare per scontate le credenze delle quali si è intrisi, nella convinzione che tutto sia aderente a quanto Piero Angela racconta in televisone. L’evoluzionismo è una nefasta credenza, implicante che solo il meglio aspetta gli errori commessi dal vivere moderno quando, al contrario, il dispiegamento delle perverse condizioni che il materialismo culturale ha impiantato nelle nostre coscienze sta distruggendo la nostra umanità, la stessa che ha lasciato pulsare il cuore del mondo per innumerevoli millenni. In realtà all’evoluzione si dovrebbe assegnare il senso di un compimento delle possibilità implicite allo stato dell’essere umano, quando si trattasse dell’essere che noi tutti siamo, ma nella diversità individuale e collettiva che non può e non deve essere pianificata nei suoi risvolti peggiori. Quest’ultima propensione è la vera banalità, ma per fortuna ogni banalità, allo stesso modo della falsità, lascia sempre scoperto un lembo di sé, perché il coperchio dell’abito nel quale si è infilata non riesce a camuffare ciò che essa è in realtà: la parodia caricaturale della verità di principio che vorrebbe nascondere.

    • Massimo Vaj
      mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 11:01 Rispondi

      Vedi Kentral… hai nominato il vuoto attribuendogli infinità, e nulla ci sarebbe da obiettare perché, in effetti, se questo vuoto fosse davvero vuoto, e dunque assoluto, sarebbe senz’altro anche infinito ed eterno, ma il vuoto come lo hai inteso tu è lo spazio nel quale ruotano i mondi e brillano le galassie. Come potrebbe essere vuoto lo spazio, che è estensione, in un universo dove tutto è interdipendente da tutto il resto, in una sorta di gigantesco insieme di vasi comunicanti dove, per omeostasi, ogni possibile vuoto è immediatamente riempito dall’energia che pervade la realtà che gli sta accanto? Capisci ora cosa significa essere banali? Indica l’accontentarsi di ripetere mnemonicamente la lezioncina imparata a scuola, ed è stato un vero peccato non essere stati distratti in quei momenti dove la lingua dell’insegnante si è introdotta nel tuo dover credere, esageratamente meno impegnativo del provare a ragionare.

      • Kentral
        mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 11:14 Rispondi

        Signor Vaj,
        Mi stupisco della sua intelligenza. Quel vuoto non era un trattato scientifico. Ma una metafora. Si rilassi.

        • Massimo Vaj
          mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 12:00 Rispondi

          Ogni metafora, per essere significativa, deve avere un riscontro analogico con la realtà, e non avvalersi di immagini senza rapporto con la verità di quest’ultima. Mi sta davvero scocciando avere a che fare con la sue frustazioni… (non è un’errore di battitura)

    • Massimo Vaj
      venerdì, 4 Ottobre 2013 alle 10:19 Rispondi

      img208.imageshack.us/img208/521/jo9.jpg

      • Kentral
        venerdì, 4 Ottobre 2013 alle 11:36 Rispondi

        Signor Massimo, Signor Vay,
        Ho apprezzo molto la sua battuta di spirito con quella splendida vignetta. Vedo con piacere che lei sta a leggere e rileggere questa discussione per continuare a replicare a discorsi futili e non contestualizzati all’argomento.

        Povero Daniele Imperi che Troll che ha trovato!

        Comunque mi scuso col blog e rispondo al signor Vaj solo per accennargli che l’ignoranza è una colpa quando si ha possibilità di colmarla e non lo si fa per presunzione.

        I primi esploratori trovarono l’isola di Pasqua priva di alberi. Pertanto si domandarono come avvessero spostato dalle cave i Moai. Studi nel nostro secolo però hanno trovato chiare tracce di polline che fanno dedurre ad una presenza massiccia di alberi. Ciò ha fatto dedurre che i poveri abitanti dei luoghi pur di trasportare le loro statue silenziose si sono dati un bel da fare ad abbatterli tutti. C’è da dire che recenti studi ipotizzano anche la presenza di un animale che ha accelerato il processo di disboccamento.
        Ecco le prime due fonti prese da Google:
        http://it.wikipedia.org/wiki/Isola_di_Pasqua
        ditadifulmine.net/2012/10/moai-dellisola-di-pasqua-camminavano.html#.Uk6JbBCJqa8

        Eviti di replicare la prego, il buon Imperi non merita tanto accanimento. :)
        Da parte mia eviterò ulteriori repliche.

  21. Kentral
    mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 10:58 Rispondi

    Signor Vaj,
    Mi sembra inopportuno per rispetto al blog di Daniele confutare gran parte del suo falso pensiero che aspira ad una verità inesistente. Faccia un post nel suo blog e sarò lieto di esporle punto per punto il suo fugace aggrapparsi sugli specchi; perché a ragion veduta non riescie a rispondere compiutamente ad una domanda: come anche Daniele ha tentato, puntando sulla tesi che le libertà individuali sono sacre e non vuole sviare col suo tiepido pensiero quello altrui.
    Mi fermo qui per correttezza a questo bel post di Imperi che non merita di certo un epilogo polemico e fuori tema.
    Se ne ha voglia proseguiamo da lei o in forum adatti. Ma siccome so già che non avrà voglia o capacità di confronto critico, le auguro delle buone vagazioni fra pensieri elevati, intelligenze sublimi e libertà individuali sacre. Saluti.

  22. Massimo Vaj
    mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 11:08 Rispondi

    Vedi Kentral… chi affermasse che la Verità assoluta non esiste si metterebbe nella condizione di doversi accorgere della irrisolvibile contraddizione data dal suo stesso dire, perché se dici che non esiste dici nel contempo che anche la verità che hai appena acclamato non è vera. Questo indica che l’assunto di partenza – che la Verità non esista – è falsa… Non è che ci voglia una grande intelligenza per accorgersene, ti pare?…

  23. Kentral
    mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 11:20 Rispondi

    Ancora signor Vaj,
    Ma lei si ritiene portatore di una intelligenza ed una sapienza così importante?
    Quel che è ha appena detto, lo spieghi alla cassiera del supermercato. E’ di una ovvietà così ovvia che già da bambino lo spiegavo a mio padre e lui si grattva la testa.
    Una mia nota da ragazzino recita:
    “Non esistono verità assolute!”.
    “Appunto!”
    (Se non la comprende gliela spiego).
    Suvvia si impegni di più. E ripeto, se vuol confrontarsi sul merito delle cose a sua disposizione ovunque vuole.

    • Massimo Vaj
      mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 11:29 Rispondi

      I duelli non li amo, come non amo sopraffare gli ingenui convinti che a girare la frittata non la si possa bruciare…

    • Massimo Vaj
      mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 11:34 Rispondi

      Ho forse letto male il tuo post? Cito le tue parole: … confutare gran parte del suo falso pensiero che aspira ad una verità inesistente.

      • Massimo Vaj
        mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 11:35 Rispondi

        Io non aspiro affatto, io conosco i princìpi immutabili attraverso i quali la verità è quello che è.

  24. Massimo Vaj
    mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 11:40 Rispondi

    Aggiungo che chi conosce i princìpi che sono norma dell’esistenza non può in nessun caso dirsene proprietario perché la verità, quando è un’invenzione individuale, è una “vera” invenzione, e quando un individuo azzeccasse la verità con una sua ipotesi personale… questa ipotesi cesserebbe di essere una proprietà e una ipotetica verità, ritornando nell’alveo in cui si agitano tutte le verità vere di questo mondo.

  25. franco zoccheddu
    mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 10:49 Rispondi

    Gentile Vaj, come promesso la sto leggendo. Lei mette verità e sincerità ai primi posti, credo di capire dai suoi scritti. Non me ne vorrà se ammetto pubblicamente di essere troppo semplice e inadeguato: non capisco bene quello che dice. Colgo le parole, ovviamente. Colgo forse dei periodi. Non colgo un significato d’insieme. Ogni volta mi chiedo: cosa ho capito? Qual’è in definitiva il nocciolo del discorso?
    La scuola, le mie letture, le mie esperienze, il mio lavoro e la mia famiglia mi hanno insegnato una cosa, per me importante: se non riesco a sintetizzare una questione in due o tre frasi semplici che possano essere capite anche da mia figlia di 12 anni, allora io stesso non ho capito niente. Come vede, ho dei limiti.

    • Massimo Vaj
      mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 11:04 Rispondi

      Suvvia Franco, sei un insegnante e ancora credi che tutto lo scibile umano sia riassumibile in frasette alla portata di comprensione di un bimbo di dodici anni?

    • Massimo Vaj
      mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 11:18 Rispondi

      Per alleggerire la tua responsabilità ti ricordo che la realtà non può essere compressa in un sistema di pensiero che, per essere sistema, deve poter escludere ciò che a questo sistema non appartiene. Ma la realtà è totale nulla escludendo, e nello sdoppiarsi di ogni suo aspetto derivato dalla centralità universale l’eccezione è correlativa a ogni regola, nel dover rappresentare l’unità dalla quale unicità e molteplicità diffondono la loro relatività a ogni aspetto dell’esistenza. Nella manifestazione dell’esistenza tutto è vero, anche la falsità, in quanto è una “vera” falsità. Solo la contraddizione è esclusa delle possibilità di essere perché ogni contraddizione rappresenta una pura impossibilità. Da fisico dovresti capire quello che scrivo, perché le leggi della fisica sono la conseguenza dei princìpi universali all’interno della natura delle forze in gioco.

  26. Daniele Imperi
    mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 12:07 Rispondi

    Che ne dite di riportare la discussione sulla scrittura e la creazione dei mondi da parte dello scrittore? :)

    Altrimenti, a quanto sto vedendo, la discussione va avanti all’inifnito, con ognuno nelle proprie posizioni, senza arrivare a una qualche conclusione.

  27. Massimo Vaj
    mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 12:20 Rispondi

    È talmente facile farlo… I mondi che uno scrittore spiaccica, degradando su carta la propria fantasia, sono quelli che ha dentro alla testa e al cuore. In definitiva si può descrivere soltanto ciò che ci si immagina, fantasticandoci sopra, nell’essere quello si conosce quando si è riusciti a vivere le verità conosciute. Tutto questo non vale per i compilatori di manuali tecnici rivolti all’utilizzo di marchingegni che fanno rumore; in quest’ultimo caso non è essenziale sapere di cosa si sta parlando… :D

  28. Massimo Vaj
    mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 12:23 Rispondi

    correggo: … nell’essere quello che si conosce quando… Maledetta abitudine di non rileggere…

  29. Massimo Vaj
    mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 13:56 Rispondi

    Va bene, Franco, ti sintetizzerò ciò che vedo senza ombra di dubbio:
    Vedo che la realtà è improntata alla relazione che vede ogni effetto essere preceduto da una sua propria causa, e che ripercorrendo a ritroso il percorso creativo alla ricerca della causa prima si arriva inevitabilmente a dover considerare una Realtà assoluta, la quale rappresenta le ragioni essenziali d’essere di tutto ciò che esiste. Causa che l’essere umano chiama Dio, attorno al Quale chiedersi se esista oppure no, se sia un essere o chissà cos’altro. In effetti sarebbe un controsenso chiederselo perché se l’Assoluto esistesse sarebbe affermato, e nessuna affermazione potrebbe arrogarsi l’assolutezza. L’Assoluto è oltre l’esistenza, e anche dire oltre costituisce una limitazione perché include il concetto di estensione alla quale l’Assoluto, in quanto sua causa, non può essere sottomesso. L’Assoluto è dunque considerabile soltanto attraverso una negazione che descrive ciò che assoluto non è, ma l’esistenza stessa è una negazione a causa dei limiti dai quali è costituita, e questo implica che quando all’interno dell’esistenza si esprime un’altra negazione, come è quella che definisce l’Assoluto… questa divenga la negazione di una negazione che, fino a prova contraria, rappresenta la migliore affermazione possibile dell’Assoluto. Provi a farla leggere alla sua bambina, ma se le capacità intellettive di sua figlia hanno in sé la traccia lasciata da quella del padre dubito che possa comprendere quanto da me scritto che, è giusto dirlo, appartiene alla dottrina unica detta metafisica a causa dell’universalità della sfera d’indagine della quale si occupa. Appartenendo alla metafisica ne consegue che non è farina del mio sacco, e la mia intelligenza, peraltro rientrante nella normalità, semplicemente (più o meno) vede e considera… ;) La saluto senza acredine. Un saluto anche a sua figlia alla quale auguro di non entrare in conflitto con lei perché è sempre sgradevole assistere a una tenzone dialettica nella quale una bambina surclassa il genitore :D

    • Massimo Vaj
      mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 13:59 Rispondi

      Naturalmente la manifestazione dell’esistenza è da considerarsi negativa nei confronti con la Realtà assoluta…

  30. Massimo Vaj
    mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 14:05 Rispondi

    Un’ultima considerazione devo farla prima di essere lapidato: la logica nasce dall’intelligenza ed è figlia della Verità, non madre. Questo significa che è la Verità a contenere la logica, e questo esserne contenitore impedisce alla logica di comprendere interamente la Verità, anche se non può opporlesi (speriamo si giusto scriverlo così… :D )

  31. franco zoccheddu
    mercoledì, 2 Ottobre 2013 alle 13:10 Rispondi

    Comunque, gentile Vaj, grazie: è stato illuminante. Ora ho veramente capito che dopo il suo ennesimo fraintendimento il problema non è mio. Quindi concordo con Daniele: è meglio tornare all’argomento proposto.

  32. Francesca
    venerdì, 4 Ottobre 2013 alle 12:15 Rispondi

    Maledizione, ci ho messo troppo idealismo fine ‘800! E si sente anche una sgradevole punta di D’Annunzio! *prende un barattolo con su scritto “triplo concentrato di zen” e un barattolo di empirismo in polvere, e svuota tutto sulla conversazione sperando che abbia qualche effetto*.
    Scusate. Mi offro per il ruolo del deficiente. Poi se e quando avrò tempo mi preparerò un intervento serio.

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    Mi è tornata sotto agli occhi la trafila di commenti datati, e devo aggiungere che il fatto di non essere compreso nel mio dire non è sotto la responsabilità del mio avere scritto. Nulla delle considerazioni da me scritte è farina del mio sacco, è giusto ricordarlo. Né sarebbe possibile, per me, semplificare, perché equivarrebbe a degradare la consapevolezza universale identica in tutti gli individui in grado di conoscere, in modo assoluto, i princìpi universali. È la stessa Consapevolezza che è stata di Ermete, di Eraclito, di Platone e Aristotele, di Adi Shankara, di Ib’n Arabi, di Jalāl ad-Dīn Muḥammad Rūmī, di Shankaracharia, di Meister Eckart, di Dante Alighieri e, per riferirsi a un più recente passato di Matgioi, di René Guénon, di Ananda Coomaraswamy, di Fritjof Shuon. Comprendo che questo commento non vi faciliterà la comprensione di ciò che dico, ma la responsabilità di questo non è mia, io non faccio filosofia, ma metafisica…

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