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Non è possibile scrivere un testo perfetto.
Ho avuto la tentazione di concludere l’articolo con la prima frase, ma forse sarebbe stata un’esagerazione. Qualcuno si aspetta di sapere perché non può raggiungere la perfezione nella scrittura, qualcun altro vorrebbe avere più materiale per polemizzare.
Come blogger e autore sono sempre alla ricerca della perfezione che non raggiungerò mai. Leggo e rileggo, correggo e correggo di nuovo, taglio e cucio (anche), sposto e modifico.
Nella “voluminosa” cartella che nel computer ospita il romanzo di fantascienza ho creato una sottocartella intitolata “Scene tagliate”. È bello leggere quel nome: ti sembra di essere uno di quegli scrittori famosi che ripubblicano un romanzo con le scene tagliate della prima edizione in appendice.
Non è il mio caso: le conservo solo perché potrebbero tornare utili in qualche modo.
La buona scrittura
Non quella perfetta, ma quella buona. Inizia dalla grammatica. Dalla conoscenza della nostra lingua, che oggi più mai è calpestata da inglesismi e storpiature in nome di concetti vaghi e ambigui come diffusione e inclusione.
Ecco, un testo perfetto è un testo scritto in un corretto italiano. Chi scrive dovrebbe preoccuparsi, più che di una irraggiungibile perfezione, di una possibile eleganza e di un obbligato rispetto per le regole comuni di ortografia, punteggiatura, sintassi.
Dall’incipit alla conclusione
Inizio e fine: sono i due estremi di un qualsiasi testo, che sia racconto, romanzo, articolo, o qualsiasi altra cosa vogliate scrivere.
L’incipit deve agganciare subito il lettore. Se lo annoia, è finita. Deve introdurlo in un mondo diverso dal suo: se mi ritrovo ancora qui, io chiudo il libro. Ma questa è la mia personale opinione sull’incipit.
La conclusione deve lasciarlo con qualcosa su cui pensare o riflettere. Di certo non deve lasciarlo con la domanda “E allora?”.
Non sono più soddisfatto dell’incipit del mio romanzo, mentre la sua frase conclusiva, che ho scritto anni fa prima di scrivere altro, ancora mi soddisfa. E resterà quella.
Personalità: far trasparire noi stessi nella scrittura
Forse è questo l’elemento che rende quasi perfetta la nostra scrittura: la personalità. Quando traspare l’autore, quando è riconoscibile in ciò che scrive.
Il perfectus latino è il compiuto, il portato a compimento. E un testo non può dirsi veramente concluso se non contiene l’anima di chi l’ha scritto.
Ogni testo ha una propria vita
Fra 10 anni ciò che abbiamo scritto oggi molto probabilmente ci imbarazzerà e vorremmo non averlo mai scritto, mai pubblicato. Ci chiederemo “Perché non l’ho revisionato per la settordicesima volta?
Ho sentito di vari scrittori insoddisfatti delle loro prime opere. Quindi forse è un atteggiamento normale.
C’è chi vuole revisionare in continuazione, non è mai soddisfatto del suo manoscritto e preferisce rileggere e correggere anziché spedirlo a una casa editrice.
Niente di più sbagliato, secondo me: il rischio è la revisione infinita. Al massimo bisogna fare un paio di revisioni, prima di spedire il testo. Poi, se va bene, si lavorerà all’editing.
Ma ogni testo ha una sua vita da vivere, bisogna lasciarlo andare. Le revisioni continue sono solo segno di insicurezza e l’insicurezza è una gabbia in cui è bene non entrare.
Scrivere un testo perfetto è una perdita di tempo
Proprio perché è impossibile scrivere testi perfetti.
- Non esistono romanzi perfetti.
- Non esistono racconti perfetti.
- Non esistono saggi perfetti.
- Non esistono manuali perfetti.
- Non esistono biografie perfette.
- Non esistono articoli perfetti.
- Non esistono newsletter perfette.
Perché?
Semplice: perché non esistono scrittori, blogger, giornalisti, copywriter, redattori perfetti. La perfezione non è umana, semmai è divina.
Accontentiamoci di scrivere buoni testi, ché già questo è un gran lavoro.
Orsa
Hai “perfettamente” ragione. La perfezione intesa come “immunità da difetti” non esiste, ci vorrebbe un vaccino [momento polemica], ma siamo in tempi in cui neanche quelli immunizzano perfettamente
Però varrebbe almeno la pena tentare di raggiungerla, in primis come dici tu partendo dalla grammatica. Poi perfezionarsi, migliorarsi, cercare di aumentare il livello qualitativo, quello si può e si deve fare. Ma io intendo sempre un perfezionismo moderato, non quello fondamentalista tendente all’ossessione nevrotica e ipercritica verso qualunque errore. A proposito di psicologia spiccia da edicola… facciamo come nei test di Rorschach: sarà il carnevale imminente, ma nella macchia d’inchiostro sulla sinistra solo io ci vedo un omino che sta suonando una lingua di menelik? 😂
Daniele Imperi
Tentare di raggiungere la perfezione per migliorarsi va bene, aumentando il livello qualitativo, come dici. L’ossessione no, per fortuna non ce l’ho.
La macchia a me pare solo una macchia, i test di Rorschach mi fanno un baffo
Franco Battaglia
Direi un ottimo titolo di post, piuttosto, acchiappante nella sua roboante impossibilità manifesta.
Non c’è nulla di perfetto, solo tanti buoni propositi. Ma lo sappiamo. Importante è mirare alto!
Daniele Imperi
Titolo perfetto per un obiettivo impossibile. I buoni propositi non devono mancare, sono la base per migliorarsi.
Romina Tamerici
Ah, il problema delle revisioni infinite! È così che ho scritto tantissimi libri in vita mia e ne ho pubblicati o condivisi (o finiti del tutto, in verità) molto pochi. Anche perché poi, a distanza di qualche mese già butterei via tutto. Forse cresco troppo in fretta, ahaha.
Daniele Imperi
Ma perché fai revisioni infinite? Anziché buttare via tutto… buttati e pubblica quello che hai scritto.
Grazia Gironella
Se si cerca la perfezione, nessun manoscritto uscirà mai dal cassetto. Essere esigenti, invece, è fondamentale, qualunque tipo di pubblicazione si stia cercando. Già, perché se non si intende pubblicare, a che pro cercare la perfezione? Tanto vale passare a una nuova storia.
Daniele Imperi
Essere esigente per me è una specie di mania. Significa dedicarsi al meglio delle proprie forze e capacità al testo.
Valentina
Ciao Daniele, l’unico punto su cui non mi trovo d’accordo è quello dell'”imbarazzo a posteriori”. È una sensazione che comprendo molto bene perché l’ho provata per molti miei lavori che poi, di fatto, non hanno avuto vita. Però ad esempio col romanzo (e credo di averlo finito di scrivere circa 5 anni fa) non mi capita. Mai. Questo per me ha rappresentato un fattore determinante. Anche io ho sentito autori affermare “Non lo riscriverei mai!”, ma io non mi trovo d’accordo. Io come te sono continuamente alla ricerca di quella perfezione che non esiste, e quindi sempre in evoluzione; di conseguenza quello che mi sentirei di dire sui lavori terminati da qualche anno è che sì, farei alcune piccole modifiche, eliminerei una ripetizione, userei un altro verso, toglierei una riga, migliorerei una descrizione, mi capisci? Però no, non mi sento imbarazzata.
Daniele Imperi
Ciao Valentina, non è detto che si debba provare quell’imbarazzo, o qualcosa di simile, sempre. Infatti alcuni vecchi racconti pubblicati qui nel blog a me piacciono ancora.
Più che dire “Non lo riscriverei mai!”, io direi “Lo scriverei in modo diverso”.
Infatti ho scritto “molto probabilmente ci imbarazzerà”, non è detto che debba succedere
Anche perché a un certo, si spera, un autore raggiunge una certa maturità e non è normale che man mano che scrive si senta in imbarazzo per tutto ciò che ha scritto in passato.