Indice degli argomenti
Più di 10 anni fa scrissi un articolo del tutto opposto: ossia i motivi per cui ripudiare i vecchi scritti. Elencavo vari punti a sostegno di questo atteggiamento, anche se alla fine, quasi in contraddizione con quanto asserito, spezzavo una piccola lancia in favore dei primi lavori letterari.
Dunque, che cosa è cambiato nel frattempo?
Ripensando a quei primi racconti, ma anche ai primi tentativi di scrivere un romanzo, ho compreso che nulla di quanto ho scritto in passato – ormai oltre 30 anni fa – va ripudiato. Non devo farlo io e non dovete farlo voi.
Gli scritti del passato sono le basi di oggi
Tutti quei racconti, per la maggior parte dell’orrore, che ho scritto negli anni ’90 e anche i tentativi di scrivere un romanzo fantasy alla fine degli ’80 rappresentano le basi di ciò che sono oggi.
Provenivo da una serie di letture di romanzi fantasy e avevo alle spalle pochissimi libri letti – a me da ragazzo non piaceva leggere: era più che naturale restare affascinato da quelle letture e sentirmi ispirato a emulare storie e autori fantasy.
La lettura di Poe e Lovecraft, poi, spinse la mia immaginazione e la mia voglia di scrivere verso l’orrore, e via, allora, a scrivere racconti del genere.
Credo che si cominci così: dapprima l’ispirazione è diretta, proviene cioè da specifiche letture e da particolari autori; poi, man mano che maturiamo come persone e come lettori, l’ispirazione è indiretta, risultato di una miscellanea di nozioni immagazzinate nel tempo.
Le storie scritte nel passato – e quelle che ho provato a scrivere – sono servite a costruire le basi su cui è cresciuta la mia scrittura negli anni. Ripudiarle significa peccare di immodestia, di presunzione.
Senza quelle storie – timide, azzardate, zoppicanti, instabili, dilettantistiche – non sarebbero mai nati i racconti che ho scritto lo scorso anno, per esempio, né le decine di pagine del mio romanzo storico né le quasi 300 del romanzo di fantascienza interrotto.
Ripensare alle vecchie storie, non per riscriverle
Alle volte mi è capitato di leggere in qualche intervista che un certo autore – non ricordo chi, ora – a distanza di anni avrebbe scritto il suo primo romanzo in modo differente. Ci vedo una sorta di ripudio per la sua prima opera.
Eppure, senza quel lavoro d’esordio, quell’autore non sarebbe mai giunto al livello che aveva nel momento dell’intervista.
Anche io – e anche voi, scommetto – oggi riscriverei in modo diverso le mie vecchie storie, anzi, forse eviterei proprio di riscriverne molte, perché avevo l’abitudine – comune, forse, a molti scrittori alle prime armi – di ambientare quei racconti negli Stati Uniti.
Non ha senso quel pensiero: dal primo romanzo pubblicato magari sono trascorsi decenni e questo significa centinaia di libri letti e migliaia di pagine scritte.
La scrittura è un’arte che nasce in modo spontaneo, senza regole, regole che man mano si apprendono e trasformano la scrittura, quell’arte, in qualcosa di bello, di professionale, di funzionale.
Ripudiare i vecchi scritti è come ripudiare i nostri primi tentativi di scrivere in prima elementare, è come se un campione centometrista ripudiasse i suoi traballamenti sulle gambe a un anno.
Le basi si chiamano così perché sono le parti opposte al vertice.
I vecchi scritti sono le nostre basi, quelle opposte al successo.
Francesca Panni
Sono tanti anni che ho fatto mia una frase pronunciata dal mio (ora) marito (allora neo-fidanzato): “Grazie al nostro passato abbiamo un futuro”. Ci credo profondamente: che siano scritti, eventi passati, reazioni errate o esagerate o discutibili, decisioni, peniseri, confessioni, sono tutti elementi che hanno posto quella base che è in realtà un punto di partenza come indicatore di evoluzione.
Il passato (scritto, detto o vissuto) non è una sentenza. E’ un elemento che ci permette di comprendere se abbiamo cambiato idea, stile di scrittura, se ripetiamo gli stessi errori.
Il passato è il precursore del presente, vuole essere accolto, ascoltato e conservato. Niente e nessuno vuole essere ripudiato.
Daniele Imperi
Aveva ragione sul passato. E concordo che i nostri vecchi scritti ci fanno capire come siamo evoluti.
Luciano Cupioli
Nei miei scritti del passato ritrovo quell’immediatezza e quell’ingenuità che oggi ho un po’ perso (forse più di un po’), come se allora fossi solo abbagliato dalla voglia di scrivere e non tenessi conto di niente, se non di mettere nero su bianco (letteralmente), mentre oggi ogni pensiero, prima di diventare una frase scritta, passa attraverso i molteplici filtri che il cervello si è costruito negli anni. Ripudiare i vecchi scritti? Giammai. Anche solo per un fattore sentimentale, conservo e non di rado riguardo quei quadernetti pieni di parole messe giù mentre viaggiavo in treno o ero al parco, le diverse calligrafie, gli scarabocchi e i disegnini: bene o male, oggi sono quello che sono anche grazie (o per colpa) di tutto questo. E mi conforta.
Daniele Imperi
Non è male, secondo me, che si perda l’ingenuità. Troppi filtri, invece, fanno solo male alla scrittura. Io anche conservo i quaderni pieni di quegli scritti e sinceramente non so se continuare a conservarli o bruciare tutto.
Corrado S. Magro
Rifiutare i vecchi scritti? Ignorare quindi Dante, Petrarca, Boccaccio, Jacopo da Lentini e tanti altri che appartengono a un lontano passato? Da adolescente nell’alla dimessa di un ex convento di Carmelitani avevo scoperto un vano abbandonato dove assieme al teschio su un leggio, giacevano centinaia di volumi rilegate in pelle di pecora, spessore 30 cm e passa, molti i latino a caretteri gotici, destinati ai dottori della chiesa che dibattevano la morale dei sensi. Ore indimenticabili e prime letture porno!
Pades
Caro Corrado, il tuo aneddoto sul vano abbandonato è meraviglioso. Mi capitò la stessa cosa alle elementari: gigantesco complesso scolastico gestito da suore, avevo scoperto il magazzino dove conservavano la carta raccolta da rivendere al macero, magazzino lasciato avventatamente sempre aperto. Migliaia di fumetti, libri, riviste, perfino enciclopedie. Ore e ora passate in quel paradiso mentre sentivo le urla giocose dei compagni che si sbucciavano le ginocchia a calcio nel vicino cortile. Fortunatamente io detestavo giocare sul cemento…
Corrado S. Magro
Grazie di poter condividere qualche vissuto con delle similitudini. Certi ricordi non sbiadiscono mai. Rimpiango ancora oggi per non avere profittato ancora più di quella occasione.
Daniele Imperi
Al tuo posto mi sarei portato via di nascosto tutti i fumetti
Dalle suore dove andavo io alle elementari non c’erano, purtroppo, locali incustoditi.
Daniele Imperi
La scrivania con il teschio vero la sogno da anni. Ma non intendevo comunque ignorare gli scritti dei grandissimi della letteratura.
Corrado S. Magro
Ah caro Daniele, in quell’ambiente e in data, il teschio vero era il “Must” di Cartier (non osavo celebrarlo per non scoprirmi e cadere in divieti). Aggiungi la fascia nera che cinge i fianchi della sottana o il saio bianco-nero del monaco dottore, calvo, che va con le mani infilate nelle maniche opposte, e riviviamo eventi di Eco e, perché no, del Savonarola.
Daniele Imperi
Il tuo collegio era rimasto al Medioevo… Però è l’ambiente ideale per scrivere storie gotiche.
Corrado S. Magro
Ma è anche lì, inizio anni 50, che ho fatto la conoscenza di Pirandello, Verga, Manzoni, Carducci, Leopardi, Foscolo, Marinetti e molti altri che ancora oggi guardo come maestri.
Pades
Eh, Daniele, alla nostra età subentra la saggezza che ci fa apprezzare i progressi fatti, piuttosto che ripudiare gli inizi
.
D’altronde, come in qualsiasi viaggio, da qualche parte bisogna pur partire, e ripudiare la partenza non ha senso. È bello invece prendere coscienza di avere fatto il meglio possibile nelle condizioni in cui eravamo, e questo vale per qualsiasi cosa.
Sono dunque pienamente d’accordo con te, e mi è successa esattamente la stessa cosa. Anzi, negli scritti giovanili ho trovato dei guizzi che purtroppo temo di aver perso.
Daniele Imperi
Quale età, scusi?
Giusto: quello per me era il meglio che potessi fare nelle mie condizioni. Avevo a disposizione solo la mia fantasia, un vocabolario e un’enciclopedia.
Grazia Gironella
Non ho mai pensato ai miei primi scritti come alla base su cui poggiano i miei lavori successivi, ma è sicuramente vero, sono stati necessari per crescere. Però lungi da me l’idea di ripudiarli. Anzi, ho pensato a volte di sistemare, con la testa e il cuore di oggi, un romanzo scritto parecchio tempo fa (ammesso che superasse un vaglio severo). Mi piaceva molto, al tempo, ma ancora non pensavo di poter ambire alla pubblicazione, per cui lo avevo semplicemente lasciato nel famigerato cassetto. Oggi ho una visione diversa. Chissà.
Daniele Imperi
Io non posso salvare nulla dei racconti scritti decenni fa. Certo, riscrivendoli si salverebbero, ovvio, ma sono idee che ora a me non danno più alcuno stimolo.