Migliorando la qualità degli scrittori. Perché tutto parte da lì: da chi ha scritto il libro, da chi ha creato lʼopera letteraria, da chi ha voluto trasformare il suo manoscritto in un prodotto da vendere.
Se proviamo ad andare in profondità, analizzando alcuni comportamenti e i prodotti letterari messi in vendita, possiamo riconoscere sette elementi che hanno pregiudicato la qualità delle opere pubblicate.
Si può quindi migliorare la qualità dei libri?
Sì, riconoscendo come propri questi elementi. E magari trovandone anche altri.
#1 – Il pericolo della disinformazione su editoria e self-publishing
Perché secondo me è tutto un problema di disinformazione. Ci sono lettori che lamentano la scarsa qualità degli ebook pubblicati in self-publishing – e hanno ragione, basta scaricare qualche anteprima su Amazon per farsi unʼidea – e editori che lamentano la spazzatura che gli arriva.
Qui non stiamo parlando di storie che possono non piacere, ma di libri non curati, di ebook impaginati male, di gravi errori grammaticali. E il vero problema sta forse nella scarsa conoscenza dellʼeditoria e soprattutto del self-publishing.
Io mi domando una cosa: chi scrive e decide di pubblicare ha già letto, giusto? Davvero è così difficile fare un paragone fra un libro pubblicato e il proprio? Quando vedo sette frasi consecutive che terminano tutte con i puntini di sospensione e mai in numero di tre, ma secondo lʼumore del momento, mi chiedo: in quale libro avete visto qualcosa del genere?
Essere informati sullʼeditoria significa riconoscerne il carattere aziendale e commerciale. I libri sono venduti, in fondo, hanno un prezzo: ci sarà un perché, non vi pare?
Se cʼè unʼepidemia di scrittori e una moria di lettori, la colpa di chi è? Della società, come al solito? O forse dellʼerrato concetto che chiunque può pubblicare? Mi ricordo quando, tanto tempo fa, riuscire a pubblicare era qualcosa di straordinario. Adesso invece è alla portata di tutti.
Quando tutto diventa facile, la qualità va a farsi friggere. Quando da più parti si incentiva la pubblicazione a prescindere dallʼautore e dalle sue effettive capacità, il prodotto che si immette nel mercato editoriale non può essere un prodotto di valore.
#2 – La mancanza di autocritica
Quando ho scritto il mio primo – e unico – romanzo, ero convinto di aver scritto un capolavoro. Ripensandoci oggi, a distanza di oltre ventʼanni, è passato nella categoria Spazzatura. E là resta, per la gioia di tutti.
Forse io ho valori troppo alti di autocritica e troppo bassi, rasenti lo zero, di autostima, ma questo è un altro discorso.
Se tutti gli scrittori facessero una buona e sana autocritica, quante opere in meno sarebbero pubblicate ogni anno?
Ma come fare autocritica? Come riuscire a essere così critici e spietati con se stessi?
Forse la risposta sta nei libri.
Più leggo romanzi e più mi domando se non sia il caso di lasciar perdere questo sogno di pubblicare. Quando leggo storie così belle, così stabili, dove tutto funziona e accade nel momento esatto in cui deve accadere, mi chiedo se anche io sia capace di fare altrettanto e la risposta che mi do non mi piace.
Un lettore forte può diventare uno scrittore più coscienzioso.
#3 – La fretta di pubblicare
Secondo voi non è anche questo uno dei mali dellʼeditoria moderna e del self-publishing?
Perché aumenta così tanto il numero degli scrittori? Non cʼè forse una certa fretta che induce lʼaspirante scrittore a tentare la via della pubblicazione fai da te? O a spedire a un editore il suo fantasy originale?
Giorni fa stavo leggendo la rivista Il Libraio e di tanto in tanto facevo unʼorecchia a una pagina per ricordarmi i libri da inserire nella Shopping list su Amazon – sulle riviste “usa e getta” le orecchie sono consentite – quando mi imbatto in un romanzo pubblicato da una ragazza di 17 anni.
Su quella rivista ci sono grandi editori. E cʼera anche unʼanteprima del romanzo. Ho letto una pagina e non sono riuscito ad andare oltre. Non è uno stile che mi prende né il tipo di storia che mi piace leggere.
La mia domanda, però, è: a 17 anni quanta esperienza puoi avere come lettrice e come scrittrice? Quanto hai scritto finora? Magari sbaglio, ditemi voi, ma io sono perplesso.
#4 – Lʼignoranza informatica: gli strumenti digitali, questi sconosciuti
Lo scrittore medio non sa quasi nulla di informatica: non sa gestire un blog, non sa come promuoversi sui social media, non sa come funziona un ebook né come realizzarlo, va allo sbaraglio nel web, lʼimportante è che abbia qualcosa da pubblicare, poi tutto si sistema.
Purtroppo no, poi tutto peggiora.
Che cʼentrano gli strumenti digitali con la qualità dei libri?
Intanto servono a creare ebook professionali. Poi anche a dare allʼautore una piattaforma degna di questo nome. E a promuovere le sue opere in modo decente. Magari lʼautore, se proprio vuole pubblicare in self-publishing il suo romanzo in ebook, potrebbe acquistare un ereader e vedere come sono fatti gli ebook delle case editrici e poi testare quello che ha appena prodotto.
#5 – La scarsa considerazione per il proprio libro
Prendere e pubblicare come dilettanti significa proprio questo. Ora io mi domando: tu scrivi un romanzo sulla spinta di un fuoco interiore e di unʼispirazione continua, lo rileggi, lo ritieni un capolavoro e lo carichi su Amazon.
Ecco un nuovo problema: gli ebook non vanno caricati su Amazon. Mai.
Gli ebook vanno pubblicati su Amazon. Cosa ben diversa.
Nel momento in cui lo scrittore invia il suo bel file ad Amazon, non è più uno scrittore, ma diventa un editore. Quanti autori autopubblicati hanno la stoffa dellʼeditore?
Alcuni autori hanno inserito e tolto lʼebook su Amazon perché conteneva errori. Non pensano alla faccia? Che percezione ne avranno i lettori? Insomma, uno scrittore deve avere anche unʼimmagine da difendere.
Pubblicare senza conoscenze del mondo editoriale, né dei vari strumenti informatici, né dei dispositivi di lettura, né dellʼediting, né dei formati degli ebook indica una scarsa o nulla considerazione per il proprio libro.
#6 – Lʼinfantile speranza di raggiungere il successo
O la sindrome da Stephen King. Ho sempre visto la voglia di pubblicare come il desiderio di far parte di un élite. Pubblicare non significa avere successo, ma soltanto avere una minima possibilità di raggiungerlo.
Nel post di Salvatore possiamo farci unʼidea di cosa significhi pubblicare oggi: essere uno fra migliaia e migliaia ogni anno.
Davvero qualcuno spera di emergere, di far sentire la sua voce, di conquistare tanti lettori pubblicando senza un minimo di nozioni di editoria, senza avere nulla più che un vago concetto di cosa sia realmente un libro?
#7 – Spocchia, supponenza e altre amenità
Ovvero il bel caratterino degli scrittori moderni. Leggiamo spesso qui e là che molti autori non accettano critiche, specialmente se qualcuno fa loro notare errori di grammatica. Ma se ci sono, se sono stati scoperti, cʼè ben poco da ribattere.
Prenderne atto è un segno di responsabilità e maturità. Oggi nel marketing si parla di gestione dei reclami. In un post Ninja marketing parla di come come gestire i reclami evitando un passaparola negativo.
Quanto danno farà un passaparola del genere? I lettori oggi parlano, si scambiano opinioni, non solo sui bei libri letti, ma anche sui peggiori e soprattutto sugli autori che scrivono male e non lo riconoscono.
Come migliorereste la qualità dei libri da pubblicare?
Vi siete scontrati con altri problemi leggendo nuovi autori, specialmente nel settore del self-publishing? Che cosa potete suggerire?
LiveALive
Il problema principale probabilmente è la fretta di pubblicare. E di finire naturalmente. Anche io ho questo problema, eh. Ed è una cosa strettamente collegata alla Sindrome di Stephen King. Mi piacerebbe essere come John Irving: scrivere lentissimamente senza ansie e non aver paura neppure di riscrivere a mano un libro intero solo per correggere un particolare. …più che l’elenco dei problemi, voglio le cure, perché è facile dirsi “sì, tanto ciò che scrivo non sarà mai all’altezza di Guerra e Pace, e sono uno tra mille mila miliardi, non raggiungerò mai il successo”, eccetera, ma il problema non svanisce così, un secondo dopo ci si dimentica di tutto XD
Daniele Imperi
La fretta anche per me è uno dei problemi principali. Le cure non si trovano, devi trovarle da solo
Serena
Una bella fetta della qualità dei libri la fanno i lettori, però. Ci sono libri imbarazzanti con recensioni altrettanto imbarazzanti, ma a cinque stelle. Poi diventa normale, allora, che uno scrittore dica in tutta serenità “ma perché perdere tutto questo tempo con revisioni e correzioni, tanto i lettori sono di bocca buona”. Poi ci sono lettori che sono magari più esigenti con la grammatica e l’impaginazione, però comprano quel libro diventato film, nelle sale in questi giorni (che mi rifiuto per principio di nominare) e ne decretano il successo.
Chiamiamo la pubblicazione di bassa qualità “pubblicazione inconsapevole” . Non c’è rimedio. L’autore non si metterà a leggere di più per migliorarsi e diventare consapevole. Soprattutto se tante belle stelline brillano nel suo firmamento.
Daniele Imperi
Non tutti i lettori sono di bocca buona. Tu devi scrivere per i lettori forti, per quelli che notano tutto, che ti faranno a pezzi se sgarri di una virgola. Sono convinto che i flim possano far vendere molto un libro. Su quel libro è stato forte anche il rumore che ne è nato: quanta gente lo ha comprato solo per curiosità?
Marco
Però credo che ci sia un errore là dove affermi che “chi scrive e decide di pubblicare ha già letto, giusto?”
No! Non ha mai letto, né lo farà mai. L’unico suggerimento che posso dare è sempre il solito: leggere, di grazia! Tutti i difetti (o quasi tutti) che si trovano nei libri auto-pubblicati derivano dal non praticare questa semplice e sana abitudine.
Daniele Imperi
La mia voleva essere una specie di provocazione. Molti non hanno letto, è vero. Leggere però non basta, bisogna leggere e saper confrontare quei libri coi propri e saper riconoscere i propri errori e le proprie lacune.
Marco
Resto affezionato a una mia vecchia idea: niente scuole di scrittura, ma di lettura! Leggere sembra facile ma non lo è affatto.
Daniele Imperi
Sì, è vero. Leggendo molto di più, ora, mi sono accorto di tanti dettagli che prima mi sfuggivano.
Salvatore
Siamo una civiltà satura. Satura di oggetti, satura di emozioni, satura di sogni… Tutti pensano di poter fare di tutto nella propria vita, e non è un pensiero sbagliato, ma di farlo senza neanche impegnarsi quel che serve per realizzare i propri sogni. Abbiamo troppe cose, ma abbiamo perso il concetto di “sacrificio”. Non ci si sacrifica neanche più per se stessi, oggi.
Daniele Imperi
Vero, la società è satura di tutto. E è vero anche che nessuno vuole sacrificarsi: perché perdere tempo a leggere, a capire, a scrivere tanto, quando puoi scrivere la prima cosa che ti viene in testa e pubblicarla su Amazon?
Luciano Dal Pont
Sarebbe fin troppo facile dare tutta la colpa al self publishing e alla conseguente possibilità per chiunque di pubblicare, ma in realtà il problema è molto più vasto e articolato. Di recente ho letto un libro di una scrittrice che conosco e che ha pubblicato con una piccola casa editrice con la quale aveva già pubblicato in precedenza, il romanzo è molto bello, la storia avvincente, ma è uscito non solo senza il minimo intervento di editing, ma addirittura in prima stesura. Ho chiesto all’autrice cos’era successo, e lei mi ha raccontato che, appena terminata la prima stesura, la titolare della casa editrice le ha chiesto di mandarglielo subito, così com’era, che ci avrebbe pensato l’editor a sistemarlo e che aveva urgenza di farlo uscire nel più breve tempo possibile. Invece è andato in stampa ed è arrivato nelle librerie in quelle condizioni, con grave danno di immagine non solo per la stessa casa editrice (chi se ne frega? Chi è causa del suo mal pianga se stesso) ma anche per l’autrice, che indubbiamente ha del talento e che non meritava certo un simile sgarbo.
Poi c’è la piaga delle “case editrici” (le virgolette sono d’obbligo) a pagamento, che pubblicano qualunque schifezza senza nemmeno leggerla, tanto, con le copie obbligatoriamente acquistate dall’autore, hanno comunque già realizzato il loro margine di guadagno. Ricordo che anni fa mandai ad alcuni editori un mio lavoro; non era un romanzo, non era un saggio, non lo so nemmeno io cosa fosse, di fatto non era altro che una raccolta di pensieri introspettivi a sfondo autobiografico che però non aveva né capo né coda né uno stile ben definito e che, sebbene fosse scritto in maniera corretta dal punto di vista grammaticale, non avrebbe potuto interessare nessun tipo di pubblico. Va be’, ero ancora acerbo e non avevo ben chiari i concetti basilari della scrittura creativa. Ricevetti alcune lettere di rifiuto da parte di editori veri, ma mi contattò (addirittura per telefono) anche una di quelle pseudo case editrici che si disse molto interessata alla pubblicazione, che il libro era bellissimo e che senza ombra di dubbio sarebbe stato destinato a un grosso successo, insomma che avrebbe fatto il botto. Ma la cosa più divertente fu che tentarono di far passare come una prassi normale e consolidata il fatto di chiedere l’acquisto da parte mia di un minimo di 600 (seicento) copie. Non trascrivo qui i dettagli della mia risposta per non scadere nel volgare e nello scurrile, ma la realtà è che, purtroppo, sono ancora molti gli ingenui e gli sprovveduti che cadono e restano impigliati in questa rete delinquenziale, che porta sul mercato una immensa quantità di spazzatura impossibile da smaltire. La settimana scorsa mi è capitato fra le mani un libro di poesie “pubblicato” da un ragazzo che conosco proprio una delle più note “agenzie di pubblicazione” di questo tipo, la cui pubblicità si può trovare persino all’interno del vagoni dei treni. Ci sono brani che, semplicemente, non possono nemmeno essere definiti poesia…
Daniele Imperi
Io non l’avrei mai mandato, solo per il fatto che “ci avrebbe pensato l’editor a sistemarlo”. L’autore ha diritto di sapere cosa succede al suo libro. Ma soprattutto non esiste il discorso sull’urgenza di pubblicazione.
Le case editrici a pagamento sono una piaga, ma finché la gente non si sveglia…
Fabio Amadei
C’è bisogno, è vero, di una sana autocritica e una dose ancora più grande di autentica umiltà, seguita da un lavoro certosino di “tagli e cuci”, ovvero il rivedere più volte il proprio lavoro, fin quando sai, nel profondo di te stesso, che hai prodotto un lavoro che può interessare e stuzzicare l’eventuale lettore. Tutti i grandi scrittori hanno parlato e sottolineato l’importanza di avere rispetto per il lettore. E credo che questo aspetto sia molto importante e da tener sempre presente.
Daniele Imperi
Il rispetto del lettore viene spesso a mancare, ma questa lacuna da cosa è data? Scarsa informazione del mezzo? Immaturità letteraria?
Grazia Gironella
Il punto sei lo hai scritto per me, vero? E’ una cosa curiosa: non sono presuntuosa di carattere, ma quando ho iniziato a scrivere l’ho fatto subito con aspettative altissime, con cui è difficile convivere. Probabilmente bisogna recuperare la consapevolezza che quello di essere uno scrittore affermato è un obiettivo ardito. Anche con il punto due esprimi un pensiero che faccio spesso: leggo qualcosa di davvero buono e mi dico che dovrei andare a zappare; poi leggo qualcosa di meno buono, e penso che potrei situarmi in un punto intermedio tra i due, così torno a scrivere.
Daniele Imperi
No, non era per te

Avere aspettative è normale, se inizi a scrivere pensando che sarà un fallimento, neanche riesci a dedicartici. Il punto intermedio starebbe bene anche a me, ma faccio solo confronti coi grandi, quindi mi prende la tristezza
Grazia Gironella
Ma così non vale! Se non ripristini l’altro estremo ti mando Chiara e Lisa per un consulto psicologico di quelli tosti.
Daniele Imperi
Chiara e Lisa tutte insieme? Meglio ripristinare tutto
Lisa Agosti
Stavolta anch’io mi metto in fila per il consulto psicologico perché ormai ogni libro che leggo è “una palla illeggibile, che saprebbe scrivere chiunque, se devo scrivere così male tanto vale piantare lì tutto” o “un gioiello impareggiabile, non saprò mai scrivere così bene, tanto vale piantare lì tutto”!
Tiziano
Come al solito ti ringrazio per l’articolo, ottimo come al solito, volevo però dire una cosa a proposito dell’età.
Tu mi dirai che sono di parte perché ho solo 15 anni, tuttavia penso che a 17 si possa avere una grande cultura, se lo si desidera. Certo, non è magari il caso di quella diciassettenne e di quasi tutti i ragazzi che ora scrivono. Io iniziai a scrivere a 12 anni, poi feci autocritica, dicendomi che, come dici tu, ora mi era davvero utile leggere. E da allora non ho più smesso di leggere, libri di ogni genere. E ti dirò, ce ne sono diversi di ragazzi, sparsi in tutto il mondo che hanno letto e sanno scrivere come si deve(Un mese fa ho letto una storia di una ragazza palestinese che vive in Italia, che si immaginava delle vicissitudini in Palestina, ed era scritto davvero bene, la ragazza, di soli 15 anni sapeva usare benissimo le figure retoriche ed impersonarsi nei vari personaggi da lei creati.
Daniele Imperi
Non penso che tu sia di parte, a meno che non vuoi pubblicare fra due anni
Però sono convinto che a 17 anni sia difficile avere una grande cultura. Ti manca il tempo. La mattina a scuola, il pomeriggio a fare i compiti e qualche volta uscire. Per avere una grande cultura, serve tanto tempo.
Ma non è solo questione di leggere, ma anche di scrivere tantissimo. Non sappiamo poi come siano stati migliorati i libri di tanti diciassettenni che pubblicano.
LiveALive
Sono convinto anche io che, in potenza, un individuo molto giovane possa comunque ottenere grandi risultati nel campo artistico. Ciò nonostante, l’impegno non basta. Certo puoi capire che per quanto ci si possa impegnare in 20 anni non ci si farà mai la cultura di Umberto Eco. Manca il tempo? Sì, ma non è quello il punto: manca la conoscenza del metodo, manca il giusto atteggiamento mentale, mancano quelle condizioni biologiche e psicologiche di determinate fasce di età che oggettivamente rendono tutto più facile. E non mi sto riferendo all’erudizione, ma a tutte quelle capacità necessarie al grande scrittore: la conoscenza del modo in cui funziona il mondo in ogni suo aspetto, di come funzionano i rapporti umani, di come funzionano le varie psicologie, e la conoscenza di sé, e lo sviluppare quell’istinto che fa riconoscere il verosimile… Anche la semplice sensibilità artistica, quella che dopo un po’ ti fa riconoscere il bello a pelle. Sono cose per cui ci vogliono determinate condizioni: Mozart era precoce ma neanche lui era maturo a 17 anni. Poi io potrei dire che secondo me la cosa migliore in prosa d’Annunzio la ha scritta a 16 anni, ma sono casi così rari da non poter essere considerati in un discorso generico (e comunque non è che fosse un capolavoro intoccabile…).
Alessandro Cassano
Ciao Daniele,
concordo al 100% con ciò che hai scritto nel tuo post. Credo che ci sia un problema fondamentale che accomuna quasi tutti gli autori autopubblicati: scarso rispetto per il lettore.
A un certo punto bisognerebbe fermarsi e pensare: “ma io leggerei davvero una cosa simile?”.
Con le proporzioni del caso, è come servire a degli ospiti una pietanza che non abbiamo nemmeno assaggiato.
Scrivere ciò che davvero si vorrebbe leggere. Credo sia la linea guida che ogni autore dovrebbe seguire.
Daniele Imperi
Hai ragione: l’autore pensa solo a se stesso e non al suo pubblico.
Riguardo alla tua domanda “ma io leggerei davvero una cosa simile?”, non sono sicuro che la risposta sarebbe sempre negativa. Se manca l’autocritica e anche l’esperienza, forse risponderebbero di sì.
Tiziano
Concordo con te, Daniele e ti ringrazio per la risposta. Grazie anche a LiveAlive.
Comunque Umberto Eco sicuramente ha una cultura che un 17enne non potrà mai avere, eppure se uno diventerà uno scrittore di una certa rilevanza di solito inizia a scrivere da giovane. Ricordiamo che la Shelley ha iniziato il suo Frankenstein a soli 15 anni, e lo ha terminato a 16, lo pubblicherà un paio di anni dopo.
Daniele Imperi
Credo fosse un po’ più grande di 15 anni, ma non dimentichiamo che non possiamo fare paragoni con altre epoche, quando c’era più cultura di ora.
LiveALive
Mah, non credo sia vero che gli scrittori di rilievo in generale iniziano da giovani. C’è chi inizia da giovane come chi è estremamente tardivo; la media della prima pubblicazione comunque è ancor oggi ben oltre i 20 anni. Non credo neppure sia vero però che in passato c’era più cultura: è stato calcolato che un uomo oggi in un anno assimila più informazioni di quelle che un uomo dell’800 poteva ricevere in tutta la sua vita. Piuttosto la differenza sta nel tipo di cultura: un tempo, soprattutto in certi paesi, l’arte e la letteratura erano attività onorevoli e incentivate; oggi si preferisce invece una formazione tecnica, che assicuri un lavoro redditizio, e chi si dedica all’arte è un folle eccentrico che morirà senza un soldo.
La Shelley ha pubblicato Frankenstein a 21 anni, ma sapevo pure io che l’idea le era venuta a 15 anni. Classico dell’horror senza dubbio, ma è comunque una opera dal valore letterario mediocre, per lo più a causa di uno stile di scrittura incerto e immaturo (è abbastanza assodato tra i critici, non l’ho inventato io, eh…). Neanche la Shelley è riuscita a fare un capolavoro a quell’età. Anche le opere del giovane Leopardi sono spesso riconosciute come mediocri, e c’è chi dice che non c’era assolutamente nulla che lasciasse intendere il genio (poi c’è chi apprezza immensamente anche la morte di Ettore, e sì, per un undicenne non è poca roba, ma insomma…). Mi pare fosse Nabokov a dire che si può imparare tutto in fretta, tranne che a scrivere bene. Oppure era un altri, e lui aveva detto che il genio matematico è precoce, ma di certo non lo è quello letterario.
…ciò non toglie che anche un minorenne può provare a pubblicare perché non è detto che non riesca comunque a fare una bella opera. Magari una opera con difetti ma comunque apprezzabile. O magari si scopre il genio, il Mozart della scrittura: non si può mai dire.
Daniele Imperi
L’idea di Frankenstein ho letto che le era venuta a 18. Lei è nata nel 1897 e l’idea per la storia è nata nel 1816. Il romanzo per me è un capolavoro, tanto che ha avuto decine di imitazioni e trasposizioni cinematografiche.
Resto comunque scettico sui giovanissimi che pubblicano.
Fulvio
Siete troppo stimolanti per resistere. La mia esperienza è, in sintesi, questa:
– ho scritto un romanzo organico dopo aver scritto tanto altro;
– ho ricevuto proposte da case editrici a pagamento, ma anche un paio da editori seri. Dopodichè uno dei due ha cambiato idea (credo avesse problemi economici che lo hanno costretto a chiudere), Al secondo ho iniziato a chiedere insistentemente l’editing, senza il quale non avrei pubblicato. E infatti non ho pubblicato! Ho sottoposto il libro ad una valutazione, attraverso un’agenzia letteraria generalmente ritenuta seria. E l’ho ovviamente pagata. Il libro è ancora nel mio cassetto. E forse non lo pubblicherò mai.
Ho raccontato tutto questo per dimostrare che non sono uno che si fa sconti. Dopodiché, leggendo anche io moltissimo e di tutto, mi sono convinto che il mio manoscritto non sia peggio di almeno il 50% di quello che leggo, compreso l’ultimo “capolavoro” di John Grisham.
Eppure sul sito della Mondadori leggo: L’ultimo romanzo, I segreti di Gray Mountain, non fa che confermare l’incredibile talento di Grisham. Staolta John torna a occuparsi di tei ambientali, in una linea che unisce la storia della nuova protagonista femminile a quella della studentessa del Rapporto Pelikan”. Aldilà della sviolinata pubblicitaria, vi invito a notare come sono scritte le parole “Staolta” (stavolta) e “tei” (temi)…e si tratta del sito di una delle case editrici più importanti d’Italia…
Daniele Imperi
Volevano pubblicare il romanzo senza editing? Visto che l’hai fatto valutare, perché non lo pubblichi?
Ho visto ora il testo sul sito della Mondadori
Fulvio
Perché ho perso fiducia in quella casa editrice ed inoltre mi è stata fornita una scheda di valutazione molto dettagliata (che indicava gli interventi suggeriti), ma l’ editing me lo sono fatto da solo. Comunque non ho fretta. Se son rose…
Andrea
Ciao Daniele.
Una domanda riguardo al primo punto: quanto ritieni importante avere esperienza di libri pubblicati di recente? Se un aspirante scrittore avesse una buona conoscenza di grandi autori del passato come Wells o Le Fanu ma avesse letto poco o nulla di contemporaneo, fino a che punto la cosa lo ostacolerebbe nello scrivere in una forma apprezzabile dal pubblico?
Inoltre, nell’ottica di migliorare il proprio modo di scrivere, pensi ci sia differenza fra la lettura di opere scritte in italiano e opere invece tradotte da un’altra lingua?
Daniele Imperi
Ciao Andrea, benvenuto nel blog. Secondo me bisogna leggere sia i classici sia i moderni, proprio per acquisire uno stile moderno, che poi può anche avere echi del passato.
Per migliorare il modo di scrivere va bene anche leggere opere tradotte in italiano, ma considera che un buon traduttore mantiene – o dovrebbe mantenere – lo stile dell’autore, quindi è bene leggere anche autori italiani.