Il declino della narrazione

Il declino della narrazione

Non c’è davvero nulla di nuovo sul fronte occidentale della narrazione?

Questo articolo vuole essere soprattutto una riflessione sull’arte del narrare, attraverso una critica delle storie che l’editoria, e anche il cinema, ci offre da parecchi anni a questa parte.

Già nel 1997 Robert McKee, nel suo libro Story (che sto leggendo), aveva parlato del declino della storia, lamentando la mancanza di originalità dei nuovi sceneggiatori cinematografici.

Al pubblico si offriva, in poche parole, la stessa minestra. Dell’enorme numero di film prodotti ogni anno da Hollywood secondo McKee ben pochi erano ottimi film.

A dire la verità ho riscontrato anch’io questo problema da diversi anni. Non mi era mai capitato di addormentarmi davanti a un film la sera, per esempio. Da quando è nato Netflix, addormentarmi è diventata quasi la regola: raramente riesco a vedere uno dei film che offre senza precipitare nel mondo dei sogni svariate volte.

Rispetto al passato la narrazione è cambiata molto. Sono convinto che un tempo le storie – i romanzi, ma anche i racconti – fossero più profonde, piene, narrativamente ineccepibili.

E forse non a caso sono attratto dai classici e quasi per nulla interessato alla narrativa moderna, se non di genere. E anche quella non sempre mi soddisfa, motivo per cui ormai da qualche anno sto leggendo molti libri di saggistica, storia e biografici.

La mania dei seguiti

Uno degli aspetti del declino della narrazione è rappresentato da duologie, trilogie, tetralogie, saghe. Insomma, i seguiti che non hanno fine.

Quella dei seguiti, a dire il vero, è più una mania del genere fantastico: fantasy e fantascienza ne producono a iosa. Un tempo non si trovavano così spesso i seguiti, anche se ci sono le eccezioni nel passato.

Isaac Asimov ha scritto la meravigliosa saga, o ciclo, della Fondazione: sette romanzi, un’eptalogia, quindi. Frank Herbert ha scritto l’esalogia di Dune. In questi casi dobbiamo dire però che si trattava di storie differenti, ambientate a distanza di anni una dall’altra. Insomma, non era un unico romanzo spezzettato in più parti.

Andando più indietro nel tempo troviamo il Ciclo di Marte (16 romanzi) di Edgar Rice Burroughs e dello stesso autore la saga di Tarzan (25 libri). Per il fantasy è da segnalare C.S. Lewis, che ha scritto i 7 romanzi del ciclo delle cronache di Narnia.

Nel fantasy moderno troviamo i 32 romanzi, scritti fra il 1992 e il 2013, di Raymond E. Feist e i 29 romanzi, più alcuni racconti, scritti fra il 1977 e… oggi, di Terry Brooks (sta scrivendo una nuova trilogia, e così eguaglierà il numero di Feist).

Se 6 o 7 romanzi appaiono troppi, quando si superano i 30 io tendo a vedere un limite nella creatività di questi autori. E se sono i lettori a chiedere i seguiti, come scrissi tempo fa vedo una certa immaturità nei lettori. La lettura è bella perché è varia, secondo me. E anche la scrittura.

Affezionarsi a un’idea è deleterio per la creatività, e vanifica l’originalità. Nei miei progetti ci sono 2 trilogie, una fantasy e una di fantascienza. Non so se le scriverò, visto che sto lavorando ad altro. Ma non saranno una storia unica divisa in tre, bensì tre romanzi ambientati a distanza di anni uno dall’altro. Soprattutto, continuerò le trilogie se i primi romanzi andranno bene.

Il mestiere del narratore

McKee sostiene che l’impoverimento delle storie è dovuto sia alla perdita del mestiere – troppi principianti che scrivono sceneggiature senza aver prima imparato bene quel lavoro e poi si lamentano che non vengano mai trasformate in film – e nella confusione di valori della società moderna. Ma eravamo negli anni ’90, anche se quella confusione dura tuttora.

Secondo me l’impoverimento delle storie è dovuto anche all’imitazione, sia in editoria sia in cinematografia: troppi autori a imitare le storie del passato, nella speranza di ottenere lo stesso successo.

Ma il successo non è qualcosa che si possa replicare. L’autore ha l’obbligo morale – nei confronti dei lettori (o spettatori) ma anche del suo mestiere – di rincorrere l’originalità, di forzare la propria creatività per ottenere qualcosa di nuovo.

McKee, parlando del cinema, dice che un buon film produce un unico risultato: il pubblico, che uscendo dalla sala, esclama: «Che bella storia!».

Parlando di narrativa, possiamo dire che un buon romanzo produca il medesimo risultato: i lettori, che chiudendo il libro, esclamano: «Che bella storia!».

Fermare il declino della narrazione è possibile: imparando il mestiere, prima di tutto, senza aver fretta di pubblicare, studiare a fondo la storia da scrivere, eliminando il superfluo. Non basta leggere molto e scrivere molto, come da vecchio consiglio di Stephen King.

Narrare è un’arte, e come ogni arte va imparata, studiata, provata, fino a padroneggiarla.

10 Commenti

  1. Franco Battaglia
    giovedì, 7 Marzo 2024 alle 8:13 Rispondi

    A mio avviso il declino di storie, romanzi, sceneggiature è la diretta conseguenza dell’appiattimento dell’utenza. Lo spettatore, il lettore, il fruitore in genere si accontenta di sempre meno, si sorprende a gialli assurdi, ride della semplice parolaccia, si imbambola davanti narrazioni elementari; perché io autore, dovrei faticare a rendere credibili, magnifiche ed interessanti le mie opere quando faticando un decimo ottengo comunque consenso?

    • Orsa
      giovedì, 7 Marzo 2024 alle 10:39 Rispondi

      Perché così lo si concima l’impoverimento culturale.
      Triste vedere certi autori che invece di prendersi un momento per riflettere, si mostrano invece consapevolmente appagati per il successo di queste “opere”.
      Ecco perché penso che non si possa dare sempre la colpa al pubblico, il cui unico ruolo è quello di recepire l’offerta. Tuttavia (e menomale) la stragrande maggioranza dei lettori non è idiota.
      No, i seguiti e le infinitologie non mi piacciono proprio, sanno di telenovelas ;)

      • Daniele Imperi
        giovedì, 7 Marzo 2024 alle 12:49 Rispondi

        Anche quella dell’impoverimento culturale è una teoria. Infatti non mi sento di dare la colpa al pubblico, non tutta almeno. Il pubblico è un ricevente, gli autori sono invece i donatori.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 7 Marzo 2024 alle 12:48 Rispondi

      E da cosa dipende l’appiattimento dell’utenza? In parte concordo. Oggi siamo bombardati da scemenze: dalla TV spazzatura (per me il 99% di quello che propone) ai contenuti dei social (vuoti e inutili per almeno il 90%).
      Alla fine è un cane che si morde la cosa: il pubblico si accontenta perché è stato abituato alla pochezza della narrazione.

      • Luciano Cupioli
        sabato, 9 Marzo 2024 alle 4:30 Rispondi

        Quantità e qualità non stanno bene insieme, ed è comunque più difficile trovare una perla nel mare che in un cassetto. In un ristorante che espone un menù di cento piatti si mangia meno bene che dove fanno solo sei piatti. Non è vero che oggi manchino i romanzi belli, ma vengono pubblicati troppi libri per riuscire a individuarli, e la qualità media inevitabilmente si abbassa. Anche io non amo le saghe, hanno il sapore del riciclo e del deja vu, ma trovo stucchevole che in ogni libreria ci siano scaffali di libri scritti da vip che probabilmente non li avrebbero mai scritti se non erano vip, e che quasi sicuramente non hanno scritto loro. A cosa servono se non a far guadagnare soldi alle case editrici e ai vip stessi? Un lettore serio comprerebbe mai un libro di Ibrahimovic o di Bonolis? Li comprano i fan, quelli che leggono poco ma hanno il poster del loro idolo appeso in camera. La qualità? Chissenefrega. Mia moglie è molto interessata alla famiglia reale inglese. Oltre la metà dei libri che legge sono su di essa. Avrà letto dieci libri su Diana Spencer. Ha comprato appena uscito il libro i Harry. Non mi dice se sono belli o brutti, ma solo se contengono argomenti per lei interessanti, o aggiungono qualcosa di nuovo a quello che già sa. Rispetto la sua passione, ma trovo che sia limitata in quanto non cerca una storia che la intrighi e sia ben scritta, ma qualcosa che arricchisca le sue conoscenze sull’argomento. Sempre su quello. Una volta i libri erano per la maggior parte romanzi veri. Senza la TV e internet, alimentavano la fantasia dei lettori. Un romanzo di Verne o di Wells ci regalavano le immagini che non avremmo mai potuto trovare altrove. Oggi i romanzi devono competere con la tecnologia imperante, la sua velocità velocità e sinteticità, contro cui nemmeno la migliore qualità basta. La maggior parte degli individui passa più tempo a guardare lo schermo del proprio hi-phone che leggere le pagine di un libro. Forse scriverò un romanzo in cui il governo deciderà di distruggere tutti i cellulari e condannare a morte la IA: potrebbe essere il nuovo “Faremeith 451”, ma chi lo leggerà?

        • Daniele Imperi
          domenica, 10 Marzo 2024 alle 11:49 Rispondi

          I libri dei vip vendono, ecco perché sono in libreria. Sono libri che assicurano molte vendite.
          Posso fare a meno di un libro di Ibrahimovic o di Bonolis, il primo a malaopena so chi sia, il secondo non l’ho mai sopportato.
          Qualche libro scritto da personaggi famosi mi attrae, per esempio qualche autobiografia, ma finora non ne ho preso nessuno.
          A me della famiglia reale inglese non frega proprio nulla e non capisco perché i nostri tg le diano ampio spazio.
          Purtroppo quello che dici sui romanzi è vero: oggi dobbiamo fare i conti con le nuove realtà.

  2. Corrado S. Magro
    giovedì, 7 Marzo 2024 alle 11:19 Rispondi

    Concordo in più parti con Franco. Se scrivere fino a ieri era di pochi, il fenomeno ormai, ritorno a dire, socializzato, ha cancellato la qualità. Con un esempio: Una volta viaggiare in aereo era trovarsi in un ambiente dove una certa etica ed etichetta erano di casa. Oggi nella massa “volatile” ci sta chi si porta dietro cani e gatti, non immaginari, ma reali. Una volta viaggiare su un carretto sovraccarico, trainato da un povero asinello era elitario. Addormentarsi davanti a uno schermo, anche se solo fisiologico, è salutare; nutre il corpo e la mente violentata, stanca. L’essere narrante è poi una delle componenti inscindibili della nostra esistenza. Narrare è naturale, fa parte di ognuno di noi, la differenza sta nel “come”. Arginare il declino della narrazione? Forse costringendo a camminare (realmente) sui carboni accesi per autorizzare chi può dare in pasto al pubblico ciò che racconta. Credete che funzioni?

    • Daniele Imperi
      giovedì, 7 Marzo 2024 alle 12:52 Rispondi

      Sul fatto che oggi scrivere e pubblicare sia alla portata di tutti hai ragione, e questo, ovviamente, ha portato a un notevole abbassamento della qualità dei contenuti, storie comprese.
      Narrare è umano, vero, è naturale soprattutto. Un altro conto è come narrare.
      Per arginare il declino della narrazione, secondo me, occorre iniziare a pubblicare materiale di qualità.

  3. Maura
    martedì, 12 Marzo 2024 alle 11:57 Rispondi

    A mio avviso un “declino della storia” è in atto da quando si è diffusa la stampa, le idee originali non c’erano già più da tempo e le rielaborazioni interessanti e valide sono andate via via in esaurimento un po’ come le melodie. Se si guarda alla letteratura internazionale non si può dire che non ci siano bravi narratori è solo che essendoci tantissimi narratori questi si perdono nel mucchio e molti in Italia neppure arrivano, cosa che succedeva anche in passato ma non così tanto. Il problema vero è che viene dato molto spazio a mediocri narrazioni e poco a quelle davvero valide, perché l’editoria è ormai sol businnes, così come il cinema. Tutto il mainstrean è diventato puro businnes per la sua natura pop e quindi redditizia. Massimo utile, minimo mezzo equivale a storie ripetitive.

    • Daniele Imperi
      martedì, 12 Marzo 2024 alle 12:03 Rispondi

      Seguendo varie case editrici inglesi e americane, ho notato da tempo che tantissimi libri interessanti qui non arrivano.
      Purtroppo, se una casa editrice sa che un certo libro venderà molto, lo pubblica, a prescindere dalla sua reale qualità.

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