Chiedersi se siamo o meno veramente scrittori è una questione peregrina, la cui risposta non cambia minimamente la nostra condizione, il nostro futuro, né ci aiuta in qualche modo a superare le difficoltà della scrittura e arrivare a una pubblicazione.
Per essere scrittori dobbiamo vendere le nostre storie: arrivare a farle leggere a un pubblico. Ma per arrivare a questo dobbiamo cominciare dalla fine, non dall’ispirazione né dalla scaletta né da uno straccio di trama.
Per una volta tanto dobbiamo iniziare dalla fine: dalla pubblicazione, quindi. O, meglio, dobbiamo capire cosa significa pubblicare un libro e per farlo dobbiamo cambiare il nostro approccio all’editoria. Voi chiamatela come vi pare: editoria tradizionale o self-publishing. Sempre editoria è, sempre di un mercato editoriale si tratta.
Scrivere una storia non è sufficiente
Più leggo, più vedo cosa pubblicano i grandi autori, gli autori conosciuti, tutti quelli che si ritrovano le proprie opere ben allineate sugli scaffali e più capisco che scrivere non basta, che scrivere è soltanto la prima parte del lavoro che uno scrittore si deve addossare.
C’è ancora chi vede la scrittura come un’arte fine a se stessa. È come il disegno: c’è chi ama disegnare per conto proprio, per regalare i suoi disegni agli amici o per tenerseli appesi a casa da qualche parte.
Ma se decide di vendere quei disegni, se decide di mettere quella sua arte al servizio degli altri, allora il discorso cambia, allora deve ripensare totalmente alla sua arte, perché da quel momento non è più soltanto sua, ma è un’arte condivisa con gli altri.
E gli altri hanno delle esigenze. Hanno delle richieste.
Con la scrittura la musica non cambia: c’è chi decide di scrivere per se stesso, perché in fondo scrivere è anche terapeutico. Ma se decidiamo di scrivere per vendere le nostre storie, allora dobbiamo ripensare a questa nostra arte, capire innanzitutto se quest’arte ha raggiunto un livello sufficientemente buono per essere messa al servizio degli altri, dei lettori.
Questo viene interpretato da molti in modo errato: e cioè trasformare un’arte come la scrittura in un qualcosa di commerciale. Diventare servili. Piegarsi alle esigenze del mercato e altre scemenze del genere.
È troppo difficile per queste persone capire il significato di quel numero stampato in quarta di copertina o in una bandella: quello che si chiama tecnicamente “prezzo”. Cioè la cifra che un lettore deve sborsare per leggere quella storia.
C’è poco da essere poeti e alternativi e romantici: la storia va venduta, deve quindi essere messa in condizione di essere venduta. Questo non è un mondo per poeti, forse non lo è mai stato. Gli alternativi non sopravvivono, perché non hanno un pubblico o quel pubblico è troppo esiguo per giustificarne l’esistenza. Il romanticismo va bene se resta nell’animo, ma non fa vendere, non fa guadagnare lettori.
Per scrivere una storia bisogna essere poeti e artisti, ma per venderla bisogna essere imprenditori.
Prima si accetta questa verità assoluta, prima si potrà pubblicare. Non è un pensiero soggettivo questo, ma una considerazione oggettiva. E l’imprenditoria, si sa, inizia ben prima della messa in vendita del prodotto. Inizia dal progetto. Tiratene fuori le conclusioni più ovvie.
Capire l’editoria
Oggi, forse più di ieri, lo scrittore deve capire l’editoria prima di tuffarcisi, altrimenti rischia di annegare prima di toccarne la superficie.
L’editoria è un’industria: che piaccia o meno, è così. Siamo liberi di accettarlo o no: ma da questo dipende il nostro futuro come scrittori, un futuro che si delinea ancor prima di scrivere il nostro romanzo.
Tutti quelli che sognano di diventare scrittori sanno da dove cominciare? Perché non basta iniziare da un’idea e trasformarla in trama e infine in storia. Oggi bisogna cominciare da un altro punto: dal capire cosa vuol dire pubblicare un libro in quest’epoca. Cosa dobbiamo aspettarci una volta entrati nel mercato editoriale, come riuscire a entrare in questo mercato.
Ma prima dobbiamo accettare che tutto questo – scrivere un romanzo e pubblicarlo – sia quella brutta parola che fa inorridire molti: un mercato.
L’autore è responsabile della promozione del proprio libro
A prescindere che pubblichi con una casa editrice o che decida di autopubblicarsi. L’ho detto altre volte: l’autore oggi non può permettersi di non promuovere il proprio libro.
È quindi responsabile della vendita delle sue opere. Come dicono molti esperti di marketing editoriale, un libro non si vende da solo. Non basta metterlo su uno scaffale, anche perché in molti casi sugli scaffali neanche ci arriva.
“Oltre i ¾ degli autori oggi non crede o non accetta questo discorso come vero e questo è il numero degli autori che fallisce ogni anno”, sostiene Patricia Fry, consulente editoriale che da anni lavora al fianco degli autori.
Ecco perché non pubblicherò il mio racconto UDPD in self-publishing. Non posso rovinarmi una misera possibilità di diventare scrittore pubblicando spazzatura. Il mio approccio all’editoria è questo: o ritengo una mia storia pubblicabile, e allora vado avanti, o quella storia resta come esercizio di scrittura e non vedrà la luce come prodotto editoriale.
E il vostro approccio all’editoria com’è?
grilloz
Tutto giusto quel che scrivi tranne il tuo giudizio sul tuo racconto dai, non è così terribile.
Un consiglio che mi sento di dare a chi si vuole affacciare a questo mondo è di seguire un po’ di case editrici (nel caso di editoria tradizionale) e osservare come promuovono i loro autori, quante presentazioni organizzano, quanto le pubblicizzano, a quante fiere del settore partecipano. È utile per farsi un’idea dell’editore prima di proporre il proprio manoscritto.
Nel caso di self vale un po’ la stessa cosa, seguire altri autori e curiosare tra i metodi che loro usano per promuoversi.
Daniele Imperi
Non è terribile, ma neanche pubblicabile a pagamento
Seguire le case editrice è un buon consiglio, per conoscerle. Sono d’accordo.
monia74
E’ solo un paio di mesi che mi sto guardando intorno, e, come suggerisce Grilloz, sto sbirciando gli altri autori per vedere come si muovono. La cosa utile è che seguendo gli stessi forum, gruppi, amicizie entri pian piano nel giro e capisci qualcosa di più, ti crei *relazioni*, e inizi un po’ a capire cosa funziona e cosa no. Però serve davvero un pacco di tempo (e al momento non sto neppure pubblicizzando, sto solo dando un’occhiata).
Per le case editrici non saprei da dove partire per approfondire.
Daniele Imperi
Sì, tutto questo occupa parecchio tempo. Per le case editrici devi trovare quelle che potrebbero pubblicare il tuo romanzo, che pubblicano i tuoi generi.
Chiara
Il mio approccio all’editoria è uguale al tuo.
Perdonami la concinnitas, ma stavolta non ho nient’altro da aggiungere a ciò che tu hai già scritto, se non che “ragionare in termini editoriali” può anche non corrompere per nulla il romanticismo o il sentirsi poeti, se si riesce a vivere la cosa con serenità.
Daniele Imperi
Non corrompe per niente il romanticismo e l’essere poeti, secondo me.
Luciano Dal Pont
Sono assolutamente e totalmente d’accordo su tutto quanto hai scritto, Daniele, e più vado avanti per la mia strada più mi rendo conto di quanto siano vere e realistiche le considerazioni che hai fatto in questo articolo, me ne rendo conto proprio sulla mia pelle.
Io nella mia ancora breve carriera ho compiuto entrambe le esperienze, ho infatti esordito due anni fa con una piccola casa editrice, poi, quest’anno, ho pubblicato il mio secondo romanzo in self publishing, e ora sono arrivato a una conclusione: per avere successo, quello vero intendo, dando per scontato il talento senza del quale non si va da nessuna parte, non c’è che una strada, una sola, e cioè riuscire a pubblicare con una casa editrice importante. Cosa estremamente difficile, quasi impossibile forse, per uno scrittore ancora sconosciuto, eppure è la sola praticabile.
Le piccole case editrici non hanno gli strumenti finanziari e organizzativi per promuovere in modo efficace i libri dei propri autori, che sugli scaffali delle librerie non ci arriveranno mai, senza contare che spesso quegli editori veleggiano in una situazione economica talmente disperata da non essere nemmeno in grado di pagare agli autori quei pochi esigui diritti guadagnati con le poche copie vendute, il più delle volte per esclusivo merito proprio degli stessi autori, mentre il self publishing richiede non soltanto capacità imprenditoriali, di marketing e organizzative che non tutti possiedono, ma anche la possibilità di investire cifre ingenti per la pubblicità, cifre che non tutti hanno a disposizione, visto che i soli social, il passaparola e le presentazioni pubbliche ti possono far vendere al massimo, se va bene, qualche centinaio di copie, forse mille a voler essere ottimisti al limite dell’incoscienza, ma non è questo il successo, io considero avere successo quando posso parlare di una base di almeno diecimila copie vendute nel primo anno, e queste cifre si possono raggiungere solo se si pubblica con una casa editrice almeno media, se non delle più importanti, non c’è storia.
Come fare per riuscirci? Non lo so, eppure qualcuno c’è riuscito al primo colpo, Mauro Corona ad esempio, o Melissa P. qualche anno fa, e altri ancora. Si può provare a inviare direttamente l’opera e poi sperare, o pregare per chi è credente, oppure si può cercare un agente letterario, figura ancora relativamente poco conosciuta e poco sfruttata in Italia, almeno da parte degli scrittori esordienti o aspiranti, ma è difficile trovarne uno serio, uno che sia disposto a leggere il tuo libro e poi, se ci crede, a impegnarsi chiedendoti solo una percentuale sui diritti una volta che sarà stato pubblicato, quasi tutti ti chiedono invece dei soldi in anticipo e poi, in molti casi, chi si è visto si è visto.
Già, è molto facile abbattersi e lasciar perdere, in una situazione come questa, specie per chi, come me, ha provato entrambe le strade, piccolo editore e self, senza successo. Ma, come dice Alexander Pope, i pazzi osano dove gli angeli temono d’andare. E io sono pazzo.
Buona giornata.
Elisa
D’accordissimo con Luciano. E… sono pazza anch’io.
Ho in ballo 2 romanzi che per ragioni di studio/lavoro ho al momento accantonato. Quando ho iniziato a scrivere il primo mi chiedevo a chi l’avrei dato in pasto: editoria tradizionale o self?
Propendevo per la prima, poi ho cambiato idea e avrei voluto solo il self, poi sono di nuovo tornata sui miei passi. Ciò però che eviterei è proprio la piccola editoria per le ragioni già enunciate da te. O perlomeno mi informerei tramite CCIAA sui loro bilanci e tramite loro autori sulle iniziative di marketing attuate. In ogni caso la lascerei come ultima chance.
E, quando tornerò ad avere tempo per me, tenterò il colpaccio: invare i 2 manoscritti alla grande editoria e poi come andrà andrà…
Una cosa penso sia utile nel frattempo: partecipare con racconti o altri scritti a concorsi letterari (accuratamente selezionati). Perchè penso che sia un’ottima possibilità di mettersi in gioco. Per vedere se la nostra scrittura piace.
Dei perfetti sconosciuti senza “interesse” alcuno leggono parole di perfetti sconosciuti con il solo interesse di essere letti. Mi premiano? Arrivo tra i primi 3? Significa che piaccio. Ed è già un primo pubblico.
Voi cosa ne pensate?
monia74
sicura che il gioco sia così pulito…?
Elisa
si. Almeno quando partecipi, nessuno ti conosce e poi ti danno il secondo premio.
Ho parlato prima di accurata selezione. Io mi regolo così:
– concorso a partecipazione gratuita
– concorso indetto da enti pubblici (es. comuni o biblioteche) o associazioni squisitamente letterarie (es. circoli)
– premio in denaro
Ma sarebbe opportuno aprire un apposito post sui concorsi.
Daniele Imperi
Un post sui concorsi può essere interessante, ma io finora ho una breve esperienza con 2 case editrici che li hanno indetti, tutti con pubblicazione finale.
Daniele Imperi
Io col mio romanzo di fantascienza ero partito per pubblicarlo in self, poi ho cambiato idea. Ora ci penserò quando lo avrò finito. Per quanto riguarda i concorsi, per me sono utili sono quelli finalizzati a una pubblicazione. Io ho partecipato solo a quelli.
Elisa
nella mia provincia c’è un concorso indetto da una piccola casa editrice in cui l’opera che becca il primo premio vien pubblicata. Però si ritorna al discorso delle piccole case editrici…
Consigliavo prima di partecipare a dei concorsi col solo scopo di mettersi alla prova, vedere se la propria scrittura piace. Se partecipi a più concorsi con persone che tra loro non si conoscono e vinci magari significa che piaci…
E questo fa curriculum quando invii il manoscritto alle grand case editrici…
Daniele Imperi
Il problema però è che in quel caso piaci a una giuria, fatta da poche persone. Tu invece devi piacere al pubblico, non a una giuria.
Luciano Dal Pont
Ciao Elisa, complimenti per la tua pazzia, alla grande
Per quanto riguarda i concorsi letterari, ci ho pensato anch’io ma è un po’ lo stesso discorso che ho fatto per gli agenti, ce ne sono di seri e di molto meno seri e non sempre abbiamo gli strumenti per poter giudicare. Non ha torto Monia, come facciamo a essere sicuri che il gioco sia pulito? In particolare, io diffido da tutti i concorsi che hanno una tassa d’iscrizione, ho come il vago e sfumato sospetto (mi attirerò delle querele? E chi se ne frega…) che sia solo un mezzo per tirare su un po’ di soldi che poi i promotori sanno già dove destinare… ma anche quelli che non richiedono tasse d’iscrizione penso non siano tutti così trasparenti, insomma c’è da stare attenti.
In bocca al lupo per i tuoi romanzi, non tenerlo troppo nel cassetto però…
Elisa
ok ok… causa nuovo governo mi tocca studiare come una matta (vera). Quindi ho tralasciato tutto il resto.
Penso che per sapere se il gioco sia pulito o meno sia necessario prima selezionare accuratamente, informarsi laddove si può e poi partecipare e vedere chi vince. Se vinci tu, di certo non era truccato…
Scherzi a parte non è facile stabilire come siano andate le cose. Però se non partecipi e non frequenti l’ambiente dei concorsi non ti smalizierai mai.
Daniele Imperi
Anche io sono convinto che bisognerebbe pubblicare con un importante editore. Come riuscirci? Non ne ho idea, per ora.
Il tuo 2° romanzo è appena uscito, quindi mi pare un po’ presto parlare di insuccesso
Luciano Dal Pont
Mah… 10 copie cartacee e 4 e-book in quasi due mesi e mezzo, alcune delle quali acquistate da miei amici, nonostante una promozione certo non ancora adeguata ma comunque abbastanza mirata e costante, io lo considero un grosso insuccesso. Certo non mi aspettavo di vendere 500 copie al mese, ma nemmeno così poco. Niente, grosse case editrici, fatemi spazio, arrivo…
Gabriele Mercati Editore
L’articolo di Daniele è realistico, le cose stanno proprio così… Solo che la maggior parte degli autori non se ne rende conto. Tranne Daniele (guarda caso), pensano tutti di aver scritto dei best seller (io compreso) e pretendono di essere pubblicati dalle importanti case editrici. Quelli che ci sono arrivati ed erano dei principianti probabilmente avranno usato vie traverse….. Qualche anno addietro se avessi abboccato forse avrei potuto pubblicare il mio primo romanzo con un grosso gruppo editoriale, ma non volli aderire a certe richieste. Questo è accaduto anche ad altri. Il malaffare non è presente solo nel pubblico… esiste in certi rami anche nel privato…. Altrimenti non sarebbero giustificati gli exploit di taluni esordienti a fronte di opere di mediocre qualità. Purtroppo!
Luciano a proposito di PAZZI un altro pazzo sono io.. dopo la pubblicazione di 3 romanzi e stanco di cercare un editore che mi desse e che si desse un spinta, ho deciso io stesso di divenire un microbo di editore. Ho iniziato pubblicando cose mie, però ho già qualcun’altro che desidera pubblicare con me vedremo…..
Avevo deciso di non utilizzare un Distributore e di andare a cercarmi delle Librerie Indipendenti interessate. Poi stranamente, pur avendo un sito in ricostruzione quindi poco visibile ( unica mia visibilità attiva FB) , sono stato contattato da un Distributore abbastanza importante che mi ha proposto di diffondere i libri da me pubblicati. Sto per firmare il contratto ed ho mille dubbi… non solo perché si prenderà il 55% sul prezzo di copertina, ma perché alle mie prime proposte di darmi una mano ad inviare del materiale pubblicitario da me fornito (es. segnalibri che so graditi dalle Librerie), subito ha fatto lo gnorri adducendo scuse.
Comunque costi a parte, l’utilizzo di un Distributore non ci garantisce che libro arrivi a destinazione, perché, se non si mandano messaggi ben decisi al lettore nessuno andrà in libreria a chiedere la tua opera…Infatti se non sei conosciuto la libreria non ti mette neppure sullo scaffale, figuriamo in vetrina (esisto Librerie che affittano a costi proibitivi le loro vetrine….) Quindi come dice Daniele occorre promuoversi in ogni maniera. Occorre investire, organizzare presentazioni, Inviare copie omaggio ai Media, pagare recensioni presso dei blogger (quando va bene si accontentano di appena 30 Euro a recensione). Se pensate che nelle migliore ipotesi un editore non guadagna neppure un euro a copia, i conti sono subito fatti….
Io ho deciso di pubblicare solo quelli che hanno un materiale discreto, siano essi esordienti o non… Ma pretendo che l’autore acquisti almeno 25 copie alle quali applico uno sconto. Ditemi pure che sono un Editore a pagamento, perché non mi offendo di certo. L’editore, piccolo o grande che sia, è un imprenditore, come dice Daniele, e non può rischiare il suo denaro, che a volte neppure ha (falliscono o chiudono in tanti). Chi conosce come stanno le cose non penso debba scandalizzarsi.
Chiedo che l’autore acquisti un po’ di copie perché è importante che anch’egli cerchi di promuoversi, si organizzi delle presentazioni., contatti i Media, vada in TV. Da parte sua anche l’editore, come già detto, dovrà darsi una mossa agendo in parallelo. Occorre mettere in campo sinergie comuni. La gente non legge (preferisce cazzeggiare sui social). Il mercato è saturo oltre 67.000 nel 2014. Il self publishing intasato da troppi titoli, da troppo materiale di dubbia qualità…. Insomma è tutto un caos….
Buona notte a tutti
Gabriele
Daniele Imperi
Io non ho detto però di pagare recensioni ai blogger, perché non pagherei mai per avere una recensione
Non accetterei poi mai di acquistare come obbligo delle copie. Se l’editore non ha denaro da investire, allora non investe, questa è la mia idea, ma non può chiedere all’autore di partecipare alle spese.
Luciano Dal Pont
Ciao Gabriele, quando parlo delle lacune della piccola editoria non intendo muovere critiche né tanto meno innescare polemiche, mi limito soltanto a fare una fotografia di quella che è la realtà, e cioè che i piccoli editori non hanno la possibilità di investire tempo e denaro in una adeguata promozione editoriale, così come non vengono presi in considerazione dalle librerie, che mai accetteranno di esporre su propri scaffali libri di autori sconosciuti pubblicati da un un editore anch’esso sconosciuto o quasi.
Per il resto, non è questione di essere convinti di avere scritto un best seller e di avere quindi il diritto di essere pubblicati da una grossa casa editrice, dico soltanto che, dando per scontato il possesso di almeno un po’ di talento, senza del quale non si va da nessuna parte in nessun caso, per avere successo la sola strada è quella di riuscire a pubblicare con un editore importante. Il fatto di riuscirci o meno è un alto discorso, sappiamo tutti quanto sia difficile, spesso impossibile, ma quella è la sola possibilità che si ha per affermarsi e quella è la direzione verso la quale mi sto muovendo. Non è detto che ci riesca con questo mio secondo romanzo, quello che ho auto pubblicato ma che adesso proverò a proporre ai grossi e medi editori, ma lavorerò per questo, nel frattempo scriverò altre cose, cercherò di promuovermi, di farmi conoscere, mi sbatterò, magari ci vorrà qualche anno, magari non sfonderò mai, ma certo venderò cara la pelle, non mi arrenderò mai e ci proverò sempre, perché, come dice il mio motto, i sogni sono irrealizzabili solo quando noi crediamo siano tali, gli ostacoli più impervi che possiamo incontrare sulla strada della loro realizzazione sono quelli che noi stessi edifichiamo dentro di noi, nella nostra mente.
Sulla questione poi degli editori che chiedono un contributo agli autori, piccolo o grande che sia, in termini di denaro o di acquisto copie, mi spiace ma io la penso come Daniele.
Buona giornata.
Elisa
“Qualche anno addietro se avessi abboccato forse avrei potuto pubblicare il mio primo romanzo con un grosso gruppo editoriale, ma non volli aderire a certe richieste.”
Di grazia, quali?
Pades
Sarò breve anch’io: hai ragione. Soprattutto nel mercato italiano è così. L’ideale sarebbe scrivere e pubblicare per il mercato ma portare avanti anche quello che piace veramente, almeno all’inizio. Una volta famoso, poi… via libera.
Daniele Imperi
Per me guardare al mercato non significa non poter scrivere ciò che piace. Devi sempre scrivere ciò che hai dentro, ma devi farlo nell’ottica della pubblicazione.
Renato
A quanto mi risulta, la stragrande parte dei libri che ingolfano le librerie non supera le 1.000/2.000 copie vendute in totale, a stare larghissimi, e non rimane a vista per più di 10/15 giorni (se va bene). E l’80% dei libri viene regolarmente reso in toto. La qualità c’entra proprio poco, come tutti sappiamo, vengono pubblicate e spinte in continuazione schifezze pazzesche, che però sberluccicano bene dalle vetrine e ammiccano al tema di moda. E non dimentichiamoci mai che i veri margini stanno nella distribuzione. Stampare 1.000 copie di un libro non costa niente e il prezzo di copertina è anche 10-15 volte superiore, vedete voi.
Quindi, se vogliamo avere un minimo di possibilità, dobbiamo accettare questo gioco, sfruttarlo, e semmai rimandare a tempi migliori, speriamo non postumi, il riconoscimento del nostro talento vero. Sempre che ci sia, naturalmente. Mi sono avventurato nella deliberata lettura di almeno 10 esordienti nell’ultimo anno, un po’ di tutti i generi, poi dalla desolazione ho chiuso gli occhi e ho ripreso un McCarthy a caso. Scrivere è una cosa per pochi e costa molta, ma molta fatica.
Scusate la brutalità, non voglio offendere nessuno. Ma parliamoci chiaro.
P.S. – Secondo voi quante copie dell’ultimo Eco saranno vendute nel 2017?
Daniele Imperi
La qualità c’entra poco, è vero, basta vedere a che libri danno spazio in TV.
I 10 esordienti che hai letto erano autopubblicati?
Con McCarthy non sbagli, io purtroppo ho finito di leggere tutto…
Renato
Alcuni autopubblicati, cioè editrici a pagamento, altri pubblicati davvero. Comunque la qualità era veramente desolante.
McCarthy l’ho citato apposta perché so quanto tu lo ami. E comunque è uno che sa scrivere davvero.
Daniele Imperi
Autopubblicati è una cosa, editrici a pagamento un’altra
Renato
Per il lettore comune è lo stesso. La verità, ahimè, è che la stragran parte delle cose pubblicate da esordienti sono solenni schifezze, e quindi se anche hanno la ventura di vendere qualche copia il risultato è che mai riusciranno ad innescare un minimo di passaparola e la cosa finisce lì.
Ripeto, non voglio offendere nessuno, ma scrivere è troppo difficile perché tutti possano pensare di essere o diventare scrittori.
Daniele Imperi
Non credo sia lo stesso. Il lettore comune forse neanche sa cosa sia veramente l’editoria a pagamento.
Gabriele Mercati Editore
Difatti i margini se li prende il distributore che incamera il 55% del prezzo di copertina, per poi riservare al Libraio mediamente il 27% Inoltre carica al Libraio anche le stese di trasporto.
Cosa resta all’Autore e all’Editore le briciole.
Ma occorre andare avanti, scrivere e pubblicare è un sogno, quindi sognano…..
Luciano Dal Pont
Certo che è davvero deprimente e sconcertante constatare come ci sia ancora qualcuno che confonde le case editrici a pagamento (cioè NON – case editrici, cioè tipografie dedite alla truffa) con l’auto pubblicazione. Daniele, ti prego, io non me la sento, spiega tu, per l’ennesima volta, qual’è la differenza…
Elisa
al commento di Daniele sui concorsi: la giuria è già un piccolo pubblico. Si parte da pochi per – eventualmente – arrivare a molti.
Tenar
Non sono del tutto d’accordo con quello che hai scritto. Un autore deve pensare al meglio per la sua opera, in termini di forma, contenuto, accesso al pubblico, ma non snaturarsi per diventare un venditore. Né snaturarsi per scrivere “ciò che vende”. Le opere vere, quelle che rimangono nei secoli, sono state scritte spesso da introversi, hanno avuto poco successo sul momento, hanno faticato a farsi strada, perché erano eccentriche e, a volte, anche poco promosse, eppure sono rimaste. Poi, ognuno, trova la propria strada e si fa i propri calcoli, ma che per essere scrittori si debba per forza essere imprenditori, ecco, non mi sento di sottoscrivere questa affermazione. Ancora oggi ci sono autori che vendono perché qualcuno ha creduto in loro e un sano passaparola li ha sostenuti, al di là del loro spirito imprenditoriale.
Daniele Imperi
Non ho scritto che un autore deve snaturarsi, anzi sostengo l’esatto contrario. Ho anche detto: “Per scrivere una storia bisogna essere poeti e artisti, ma per venderla bisogna essere imprenditori.”
Non volevo far passare il concetto che bisogna scrivere ciò che vende, ma che bisogna scrivere un’opera che si può vendere.
Luisa
Tenar mi piace molto il tuo pensiero, anche se capisco il pensiero più ampio di Daniele
La “molla” che ci porta a scrivere può essere diversa, il risultato in termini di successo sia economico, sia personali è l’obiettivo di alcuni.
Forse bisogna chiedersi perchè voglio scrivere questa cosa? Qual’è il mio vero obiettivo?
Ulisse Di Bartolomei
Salve Daniele
C’è un dettaglio che equipara la questione letteraria odierna con quella della fotografia (produrre foto). Produrre buona scrittura è facile grazie alla videoscrittura e le risorse che l’informatica pone a disposizione. Produrre foto tecnicamente perfette e da concorso è facile grazie alle tecnologie digitali (anzitutto la raffica e il fuoco automatico). Sono caratteristiche operative che soltanto venti anni fa le si sognava. Negli anni ’70 delle foto tecnicamente sbagliate vincevano concorsi importanti. Oggi se la foto non è perfetta, non ha speranze in quanto ve ne sono a milioni di perfette e costano un’inezia. Sino a venti anni fa una buona foto si vendeva almeno a 70/100 euro, oggi un fotografo è fortunato se riesce a prendere un euro. Scrittori oggi è facile e non è detto che siano scadenti, ma semplicemente sono troppi. Se venissero pubblicati tutti da editori classici, tutte le librerie dovrebbero assomigliare a supermercati e la gente dovrebbe passare la maggior parte del tempo a leggere. Qui la questione qualità si perde nell’impossibilità di trovare la sua redola nel folto di una foresta immensa. Dalla mia esperienza in colloqui con editori, i loro programmi di pubblicazione sono saturi e rifiutano molte opere interessanti semplicemente per motivi di spazio e limiti di investimento. Io potrei definirmi scrittore ma la questione non si pone, in quanto senza la videoscrittura non scriverei per una carenza caratteriale di pazienza. Nel ’92 acquistai una macchina da scrivere con display, una meraviglia allora, ma dopo tre giorni per il nervosismo dei troppi errori e correzioni, gli assestai un pugno. Speravo di non fargli male ma allora ero in forma e non vi sopravvisse… Ripresi a scrivere sei anni dopo con l’avvento di windows. Tanto per rincuorarsi mi piace condividere anche una recente esperienza. Un mese fa decisi che le facilitazioni su Amazon, prestito, vendita a pagine e altre facilitazioni per i lettori, effettavano negativamente per gli scaricamenti pagati e quindi ho tolto i libri da questi servizi, determinandomi a fare le promozioni esclusivamente da me. Summa: in un mese vendite zero! Da stasera ho cominciato a ripristinare tutte le risorse che Amazon dispone. Il fatto che tutte le mie vendite siano apparentemente dovute ad Amazon, mi ha “scioccato”…
Daniele Imperi
Ciao Ulisse, la videoscrittura e le risorse dell’informatica non producono buona scrittura. Un autore produce buona scrittura.
Però concordo con quanto dici sull’enorme numero di scrittori e fotografi che c’è ora.
Ulisse Di Bartolomei
Buongiorno Daniele
Concordo che è l’autore a produrre la buona scrittura, ma se dovessimo usare una Lettera 22, gli scrittori si ridurrebbero drasticamente. Non soltanto la praticità all’osso, ma la rumorosità che impedirebbe di scrivere di sera o di notte a meno di vivere in una casa isolata e da soli, o farlo nel proprio ufficio (chi lo ha). Considerato che gran parte degli scrittori, lo fa a tempo perso in tarda sera, avendo una professione o dover badare alla famiglia. Propongo un interrogativo a tutti: negli anni ’70 avreste scritto?
Daniele Imperi
Ho capito che vuoi dire. In quel senso credo anche io che il numero di scrittori si ridurrebbe.
Io ho iniziato a scrivere con la Everest in ghisa di mia madre
Elisa
ho iniziato con la penna, poi con la macchina da scrivere di mia madre.
Ora a penna o, solo se vado di fretta, a PC. Poi trascrivo tutto cmq a PC.
Federica
Ma… insomma… perdona la curiosità… alla fine, il tuo racconto UDPD è un po’ come la moglie del tenente Colombo o la moglie dello sceriffo Metzger di Cabot Cove?
Sempre nominato, ma che nessuno potrà leggere? Nemmeno sul blog? Nemmeno solo in minima, microscopica parte né, magari, sotto mentite spoglie?
Ma sei sicuro che sia di genere umoristico? No, no, per me è un giallo…
Daniele Imperi
Non so chi sia lo sceriffo Metzger di Cabot Cove
No, meglio non pubblicarlo nemmeno qui. Un giorno, chissà, se mi verrà voglia di riscriverlo, vedrà la luce nel blog
Federica
Per UDPD: ricevuto.
Hai mai visto la serie televisiva «La signora in giallo» interpretata da Angela Lansbury, che veste i panni di una famosa scrittrice di gialli che abita a Cabot Cove? Nelle ultime serie, quelle più “moderne” (fine anni ’80, primi anni ’90), lo sceriffo della cittadina è Mort Metzger. Questi ha una moglie, Adele, che non compare mai, ma che viene spesso nominata, proprio come la moglie del tenente Colombo. Uno vede il telefilm, sente parlare del personaggio, lo vorrebbe vedere in scena anche solo per una volta, ma non succede mai!
Ulisse Di Bartolomei
Salve Federica
Anche il tenente Colombo! Quasi in ogni puntata menziona la consorte, che però non appare mai.
Federica
Buongiorno Ulisse!
Sì, sì, l’avevo citato nel commento sopra a questo.
Nella «Signora in giallo», invece, lo sceriffo non compare in tutte le puntate e, per quelle volte che è tra i protagonisti dell’episodio, la moglie è spesso chiamata in causa ma non sempre. Tuttavia, quando ciò avviene, ti rimane la curiosità di vederla, perché si capisce che lo sceriffo è quello che è anche grazie alla presenza nella sua vita della moglie.
Ulisse Di Bartolomei
Scusami non l’avevo letto. Sembra incredibile ma avevo scorso il commento per metà e mi ero convinto di averlo preso tutto. Hai ragione. Una figura spesso menzionata ma che rimane misteriosa è di fatto un catalizzatore “occulto” di attenzione. Gli episodi classici di Colombo li ho visti tutti e ogni volta che menzionava la moglie o di andare a casa a portargli qualcosa, speravo di vederla. Il personaggio occulto funziona.
Daniele Imperi
Sì, conosco la serie, ma non mi piaceva. Come la moglie del tenente Colombo (che vedevo) citato da Ulisse
Federico
@daniele: sono fuori tema ma sono curioso… il romanzo che stai scrivendo di che sotto-genere fantascientifico è? Distopico, hard SF, space opera, sociologico?
Daniele Imperi
Bella domanda, non ne ho idea
Parla comunque di universi paralleli.
Ulisse Di Bartolomei
Salve Daniele
Universi paralleli? Allora la questione ti si è appena complicata e di parecchio. Con le novelle “onde gravitazionali”, dovrai fare i conti con un universo “ondoso” e figurati con due. Però potresti inventale il surf spaziale, quello infra-spazi o interspazi: lo scampolo di spazio tranquillo dove cavalcare onde decenti… La vedo dura. Meglio cappuccetto rosso…
Daniele Imperi
Mi sto infatti documentando
Luisa
Universi paralleli ? Molto interessante
Daniele Imperi
Hai già letto qualcosa sul tema?
Luisa
Non ancora,aspetto il tuo libro però il tema suscità in me una sorta di confronto con esperienze vissute. Tu cosa intendi per- Universi paralleli?
Daniele Imperi
Se aspetti il mio libro, allora dovrai aspettare un bel po’, penso
Per universi paralleli intendo la teoria secondo cui il nostro universo non è l’unico esistente, ma ne esistono anche altri, paralleli appunto al nostro, in cui, per esempio, c’è un’altra Luisa che nella vita fa qualcosa di diverso da ciò che fai tu e in un altro ancora ce n’è un’altra che ha preso altre strade e così via.
Giovanni Nicolazzo
Sottoscrivo in toto il tuo articolo tranne quando dici “non pubblicherò il mio racconto UDPD in self-publishing. Non posso rovinarmi una misera possibilità di diventare scrittore pubblicando spazzatura.”
Conosco tanti autori che sono stati messi sotto contratto da importarti editori dopo aver pubblicato in self publishing. In fondo è un biglietto da visita anche quello. Forse è il più importante biglietto da visita. La prova su strada che sei in grado di vendere delle copie.
Certo, non consiglio di prendere il primo manoscritto che si ha nel cassetto e e sbatterlo in vendita così come sta. Ma c’è tanta gente del mestiere a cui pagare una consulenza per una revisione o altro.
Daniele Imperi
Ciao Giovanni, benvenuto nel blog. Hai ragione, il self-publishing è un biglietto da visita importante e quindi bisogna pensarci bene prima di esporlo.
Ulisse Di Bartolomei
Nel 2006 un editore “grosso” (lesse il mio libro e non me lo rifiutò, ma mi raccomandò di “sfrondarlo” e casomai ritornare) mi disse che pubblicare un libro (cartaceo) era un investimento notevole e ad alto rischio, in quanto tra pubblicità e costi di distribuzione si andava a parecchie migliaia di euro prima ancora che iniziasse la vendita. Il nodo della questione consisteva che i distributori (perlomeno il suo) pretendevano almeno 3000 copie da distribuire in ogni edizione e potevano anche rifiutarsi se reputavano il libro poco vendibile. Considerando che mediamente del prezzo di copertine 30 va all’editore, 30 al distributore e 30 alla libreria, una pubblicazione in tutti i crismi veniva a costare anche ventimila euro di spesa a prescindere. I miei ricordi vanno a “spanne” ma più o meno era così. Per questo motivo non ripongo tanta speranza negli editori. Ambire ai soldi degli altri, l’è una questione delicata. Però si potrebbe fare come Amnesty… da anni stanno raccogliendo 500 mila euro per fare un film su Terzani, dicendo che sono per i diritti umani…
Giovanni Nicolazzo
Diciamo la verità, fare promozione costa. Molto di più che pagare un editor e mettere a catalogo un ebook. Chi garantisce poi il ritorno dell’investimento per un esordiente?
Probabilmente è meglio lasciare l’autore a se stesso e poi come ha detto Elisa se son rose fioriranno.
Il problema principale è che gli autori non sono pronti a fare promozione a se stessi
ULISSE DI BARTOLOMEI
Nel 2006 un editore “grosso” (lesse il mio libro e non me lo rifiutò, ma mi raccomandò di “sfrondarlo” e casomai ritornare) mi disse che pubblicare un libro (cartaceo) era un investimento notevole e ad alto rischio, in quanto tra pubblicità e costi di distribuzione si andava a parecchie migliaia di euro prima ancora che iniziasse la vendita. Il nodo della questione consisteva che i distributori (perlomeno il suo) pretendevano almeno 3000 copie da distribuire in ogni edizione e potevano anche rifiutarsi se reputavano il libro poco vendibile. Considerando che mediamente del prezzo di copertine 30 va all’editore, 30 al distributore e 30 alla libreria, una pubblicazione in tutti i crismi veniva a costare anche ventimila euro di spesa a prescindere. I miei ricordi vanno a “spanne” ma più o meno era così. Per questo motivo non ripongo tanta speranza negli editori. Ambire ai soldi degli altri, l’è una questione delicata. Però si potrebbe fare come Amnesty… da anni stanno raccogliendo 500 mila euro per fare un film su Terzani, dicendo che sono per i diritti umani…
Claudio
Ho pubblicato con i big dell’editoria, quando mi hanno accettato è stato uno dei momenti più belli della mia vita. Sono finito tra coloro che leggevo, come cucciolo in quella grande famiglia che mi avrebbe presentato, motivato, stimolato, corretto, consigliato. Pensavo…
Poi ho visto che c’era un piccolo dettaglio, il libro sarebbe stato solo in formato ebook (5% del loro mercato), poi che il contratto ventennale prevedeva che non avrei potuto pubblicare da solo in nessun altro formato/mercato/lingua. Loro prendono il 75% io il 25% tolte ovviamente le spese (per es percentuale di amazon sulla vendita).
Per i primi mesi li ho lasciati fare, ho detto “vediamo quanto sono BIG”, non hanno fatto niente a parte un twit, un post su fb e un’icona sul loro sito. Risultato 10 copie vendute al mese.
Pian piano ho iniziato a starci male. Ho capito che sei lì a far moneta, che il tuo libro non gli costa se “online” a parte una giornata di lavoro dell’editor che lo sistema… il resto se vende bene sennò pazienza.
Negli ultimi mesi ho capito che il mio desiderio di scrivere avrebbe avuto il suo miglior contenitore nel Blog, quindi ho rifatto il blog, sto iniziando a soffiargli dentro vita e contenuti. Il libro me lo venderò in self publishing, è un pezzo importante di me e non lo abbandono dove non conta nulla per nessuno.
Il fallimento dei sogni “del libro” mi ha portato a riscoprire il Blog e la scrittura in sé, senza l’ossessione del formato o del veicolo.
Scrivere per il blog ovviamente è diverso ma essendo questo dedicato alla crescita personale, alla fotografia e al viaggio che sto facendo da anni, riesco a riempirlo anche con quel gusto (ma senza quell’ansia di prestazione) che avevo quando riempivo le pagine del mio libro.
Rimane il dolore per questa esperienza con i Big ma anche la rinascita dopo la delusione e la rabbia.
grilloz
Ciao Claudio, mi viene da dire un peccato. Forse avresti potuto sfruttare meglio l’occasione, in fondo Fentrinelli (sì, sono andato a cercare ) è un ottimo biglietto da visita. Personalmente non mi sarei aspettato che un grande editore faccia promozione per tutti i suoi libri, probabilmente si impegnano di più alcuni piccoli editori (quelli buoni), però nulla ti avrebbe vietato di farti autopromozione, la stessa che sarai costratto a fare da self, col vantaggio però di presentarrti col nome grosso. E avrebbe anche potuto essere un buon trampolino di lancio per presentarti magari di fronte ad un altro editore o ad un agente.
Una cosa non mi è chiara: “poi che il contratto ventennale prevedeva che non avrei potuto pubblicare da solo in nessun altro formato/mercato/lingua”, cioè ti hanno fatto un contratto di esclusiva anche per i lavori futuri o il contratto è legato solo a questo libro?
Claudio
Su questo dobbiamo parlarci attraverso messaggi privati.
È possibile?
grilloz
Sì, puoi scrivermi via mail: grillo.davide(at)gmail.com
Elisa
Mi spiace. Davvero sconfortante. E ricadiamo nello stesso problema: no pubblicità, no impegno da parte dell’editore, no visibilità, no vendite.
Sia piccole sia che grandi le case editrici che non si impegnano a sponsorizzare un libro non sono serie. Quello che ti è successo dimostra che non credevano e nel tuo libro e forse nella tua scrittura in generale. Per la serie “si abbastanza interessante” “Mhh forse…” Quindi non hanno mosso un dito. Hanno dato il tuo libro in pasto ai lettori forti virtuali e… se son rose fioriranno.
Il fatto che non sia fiorito nulla non è per forza demerito tuo. Penso che la metodologia perseguita dal tuo ex editore sia di fondo sbagliata, ma forse ha dovuto fare di necessità virtù. Ovvero: tenere in azienda un editor & suoi collaboratori con l’intuito e la preparazione necessarie a fare un vero spoglio degli esordienti costa. Quindi assumiamo gente con tanta passione per la lettura poco pagata e poco preparata che non sa scegliere. Oppure l’editor con i fiocchi ce l’abbiamo ma visto che costa gli facciamo impiegare il tempo un po meglio (es. cura degli scrittori famosi).
Claudio
Ciao Elisa, è vero, proprio sconfortante.
Credo che l’editor che mi hanno assegnato sia stato molto in gamba.
Piuttosto suppongo che la strategia dietro tutto questo sia, “w l’ebook che non ci costa niente”.
Il libro è stato scrutinato da 3 lettori, due interni e uno esterno (credo), raccomandato anche da un loro scrittore di professione… eppure una volta accettato l’abbandono è stato totale.
Quindi da un lato espandono il catalogo per aumentare l’offerta e dall’altro si concentrano sui cavalli vincenti. Se gli altri titoli per qualche ragione funzionano fanno soldi senza avere costi.
Credo che il Self Publishing insieme a un Blog collegato in qualche modo al tema che funziona possa essere la chiave. Oppure bisogna capire come funziona la “VIRALITÀ” dei libri… Ci sono fenomeni al riguardo. Presto intervisterò un amico che ha venduto 20.000 copie su amazon.it dopo i vari rimbalzi delle case editoriali.Ciao!
Luisa
Ciao Claudio è sempre la stessa giostra, la vita è un bel gioco che prendiamo a volte troppo seriamente. Di fronte ai “big” ci si sente sempre un pò al di sotto… ma loro salgono grazie a noi,questo si sa, le mie varie esperienze in vari settori lavorativi mi hanno fatto capire che anche se l’ambiente è diverso il “gioco” non cambia, imparare a giocare è importante.
Sarebbe interessante arrivare a contattare i “big” (anche se, secondo me è meglio una casa editrice piccola ma in crescita) qualora dovesse capitare a me rischierei un contratto interessante, altrimenti rifiuterei. Perchè? perchè se dopo che hai rifiutato una loro imposizione si rifanno vivi,vuol dire che credono in quello che fai.
Giovanni Nicolazzo
Diciamo la verità, fare promozione costa. Molto di più che pagare un editor e mettere a catalogo un ebook. Chi garantisce poi il ritorno dell’investimento per un esordiente?
Probabilmente è meglio lasciare l’autore a se stesso e poi come ha detto Elisa se son rose fioriranno.
Il problema principale è che gli autori non sono pronti a fare promozione a se stessi
Elisa
ok, aspettiamo l’intervista dell’amico.
Non è che magari nel caso dell’amico non c’entri la promozione ma il talento?
Cenerò con questo terribile dubbio…
Luisa
Mi sto rendendo conto che ci vuole tempo ,tanto tempo da dedicare alla ricerca,allo scrivere all’avere la mente “libera” per raccontare, al farsi conoscere insomma quest’ arte non si può scegliere, bisogna farsi scegliere, così come quando entrando in una libreria mi faccio scegliere dal libro
Daniele Imperi
Sì, ci vuole parecchio tempo. L’arte sceglie sempre l’artista