Intervista a un editor

Oggi vi propongo un’interessante intervista a un editor, che ogni scrittore alle prime armi dovrebbe leggere, ma anche ogni amante dei libri e della scrittura in generale. Laura Platamone ci porta con sé, guidandoci lungo il processo di creazione del più affascinante dei prodotti: il libro.

Che cosa fa un editor? Puoi spiegare in parole semplici in che cosa consiste il tuo lavoro e perché è così importante per un libro?

Rispondere a questa domanda non è affatto facile, soprattutto perché nell’editoria esistono una confusione di fondo e una sovrapposizione di ruoli che non rendono perfettamente agevole distinguere chi fa cosa. Specie se si parla di piccole realtà. Ma proviamoci lo stesso. L’editor “puro” non si occupa solo di redazione ma anche di acquisizione. Il suo compito principale è quello di “intercettare” i testi validi che da una parte o dall’altra gravitano nella sua orbita, e proporli al comitato editoriale per la pubblicazione. Nel momento in cui la proposta viene accettata, lui diventa una sorta di “tutore” dell’opera e ne segue la crescita in casa editrice dalla prima bozza fino al battesimo in libreria. Il suo non è un lavoro di manovalanza, come quello del redattore che si occupa della correzione, ma è un lavoro di comprensione e organizzazione. L’editor, operando in confronto continuo con l’autore, contribuisce al miglioramento del testo in termini di progetto narrativo, coerenza strutturale, efficacia dell’intreccio e forza dei personaggi. Anche lo scrittore più abile, infatti, non può avere il distacco necessario a intervenire con lucidità su quello che ha scritto. L’editor sarà per lui un preziosissimo occhio esterno. Ovvio che, in piccole realtà, sia poi inevitabile che l’editor si assuma anche l’onere della correzione formale.

Qual è la parte più bella del tuo lavoro e quale la più noiosa?

Per legarmi alla domanda precedente, io opero in realtà molto piccole, lavoro autonomamente e mi occupo soprattutto di valutazione e redazione dei testi. Ho poi contatti con vari editori e propongo loro i testi che ritengo assolutamente validi. In pratica seguo il percorso contrario a quello tradizionale. Mi dedico al testo prima che arrivi all’editore e, se proprio devo essere sincera, non riesco a trovare in questo meccanismo un momento di noia. C’è un entusiasmo particolare che permea tutto il processo. Dalla semplice “caccia al refuso” fino alla riscrittura di interi paragrafi. Quando un periodo che prima stentava, si scioglie, è come se avvenisse una magia. Stesso dicasi per la nuda impaginazione. Dare equilibrio a una pagina dal punto di vista visivo è un lavoro che richiede occhio, pazienza e una precisione millimetrica. Ma nel passaggio dalla versione word a quella finale, il testo cambia completamente. Anche se il contenuto resta lo stesso. Se non è magia questa…

Come si diventa editor? Quali studi vanno fatti e quali conoscenze deve possedere chi vuole intraprendere la carriera dell’editor?

Ormai i corsi di editing fioccano come neve. Ce ne sono tanti, all’università, nei centri di formazione, persino gli editori promuovono corsi a pagamento per compensare i loro bilanci in difetto. La verità è che imparare la tecnica non è che la minima parte della formazione di un editor. Innanzitutto ci vuole l’amore per i libri. Non l’amore di un lettore e nemmeno quello di uno scrittore che, in genere, ama i suoi molto più di quelli degli altri. Ci vuole un amore generico e smisurato. Amore per le parole che racchiudono ma anche per la materia di cui sono fatti. Avete mai accostato il naso alla carta di un libro appena comprato? E a uno tirato fuori dopo anni e anni da una libreria? Ecco se la risposta è sì magari avete già una briciola di editor in voi. Sulla tecnica si può sempre lavorare. Il contrario invece è del tutto impossibile. Passare ore, giorni, settimane a fissare pagine e pagine, sviscerandone ogni singolo difetto e ogni senso recondito può essere frustrante se non lo si fa con passione e dedizione. Ovvio che poi un buon corso aiuta, io ho fatto un master di due anni, optando per una soluzione meno furba di chi se la sbriga in pochi giorni o poche settimane, certa però di poter così aspirare a un grado di preparazione superiore rispetto alla media. Ovvio che è una scelta molto impegnativa sia dal punto di vista personale che economico. Ma mi ha consentito di sentirmi più sicura delle mie capacità nel propormi agli altri.

Ci sono poi delle doti personali che sono imprescindibili quando si sceglie un mestiere del genere. Prime tra tutte pazienza, precisione e lucidità. Una noia mortale penserete voi. E invece no, o almeno, non per me.

Come vedi uno scrittore emergente? Come una sorta di studente che sta imparando e vuole imparare oppure come un tipo pieno di sé che si sente già uno Stephen King affermato?

Ah, io assolutamente lo vedo come qualcuno che sta imparando (e chissà se ci riuscirà mai), ma lui, il più delle volte, si vede come un artista già compiuto. Di più. Un fenomeno. Questo è un vero problema perché per ogni autore di vero talento, almeno cento possono vantarsi solo del loro smisurato ego assolutamente non sostenuto da doti narrative adeguate. In verità, più l’autore si informa e documenta su ciò che davvero succede nel mondo dell’editoria, più questo suo atteggiamento si modera. I più egocentrici sono quelli che coltivano ancora il sogno del primo manoscritto, spesso vagamente autobiografico, inviato per posta in copia conforme a una ventina di editori tra i grandissimi, e presto rifiutati con poche parole. A quel punto non gli restano che le loro invettive. Il fatto di essere “incompresi” non fa altro che acuirne il patetico narcisismo. Quello che mi è capitato di ripetere più di una volta è che un autore, quando scrive, sì lo fa per sé, ma si rivolge a un pubblico. Pubblico che non può prendere in giro, pubblico a cui deve rendere agevole e piacevole l’atto della lettura. Spesso gli esordienti si inventano linguaggi, stili, punteggiature, parole, e in ciò credono di aver trovato la loro peculiarità. Ecco appunto, questo modo di agire è talmente loro da essere spesso incomprensibile a tutti gli altri. E questo genere di “fenomeni”, piuttosto che colpire l’attenzione degli editori, riesce tutt’al più a strappargli un amaro sorriso.

Come cambia davvero un testo dopo l’intervento di un editor?

Può cambiare da un minimo di zero a un massimo di più infinito. Dipende dalla qualità di partenza del testo e dalle motivazioni che ne sono alla base. Quando si parla di qualità il discorso è più o meno chiaro. Il testo che verrà pubblicato deve essere linguisticamente corretto e accattivante. Molte volte un manoscritto non possiede queste caratteristiche a priori. E allora perché un editore ne acquisisce i diritti? Perché magari ritiene la storia molto avvincente. Non dimentichiamo che l’editore è un imprenditore. Non sempre può permettersi di pubblicare quello che gli piace, ma spesso deve fare i conti con ciò che gli viene richiesto dal mercato. Potrebbero fargli schifo i vampiri ma sentire lo stesso l’esigenza di cavalcare l’onda di Twilight. Compra la storia. Compra il fatto che riuscirà a vederla. Se poi la qualità stenta o va migliorata c’è sempre tempo per intervenire. Ovvio che esistono anche casi in cui l’intervento è minimo e si riduce alla ricerca dei refusi o di piccoli errori. Come esiste il caso opposto in cui un libro venga costruito a tavolino, partendo da un’idea, strutturando una cornice o l’intera trama, inserendo personaggi con più o meno spessore dove prima non c’erano. Spesso questi libri “ingegneristici” sono dei successi programmati, proprio perché si basano su un piano di lavoro preciso e vengono spinti molto a livello promozionale. D’altronde non si mette in moto un meccanismo del genere senza la certezza che porterà i suoi frutti.

Un editor lavora dietro le quinte. Il suo nome non compare sulla copertina o sul frontespizio del libro, anche se nei romanzi “anglosassoni” si leggono spesso, nei ringraziamenti finali degli autori, delle menzioni speciali nei confronti dei loro editor, ma non se ne vedono nei libri nostrani. Secondo te questo svilisce un po’ il tuo lavoro?

Io lo trovo meraviglioso. Sarà che non sono mai stata un’amante della ribalta. Mi piace lavorare senza espormi, gioisco dei successi degli altri. Forse per questo motivo mi sono resa conto di non essere tagliata per fare la scrittrice! Ho un animo diverso. Non ho bisogno dell’approvazione altrui o almeno non è necessario che sia esplicita. Sì, forse una nota nei ringraziamenti non dispiace e non è del tutto vero che nel nostro paese non si usa farlo. In verità qui, il più delle volte, si lavora con gli editor delle case editrici e i loro crediti stanno nel colophon. L’editor esterno è una figura ancora poco presente. Il più delle volte l’autore preferisce accontentarsi dei consigli di amici o parenti. Quanto questi possano essere utili è un altro discorso.

Che cosa ti senti di consigliare a un autore esordiente prima di spedire un manoscritto a una casa editrice?

E tu credi davvero che un esordiente con un manoscritto “pronto” sia disposto ad accettare consigli? Il mio comunque sarebbe quello di chiuderlo in un cassetto per almeno sei mesi. Lasciarlo lì a lievitare, fermentare o magari decomporsi. Se dopo questo tempo il testo funziona ancora allora sì, è pronto per essere spedito. In ogni caso, niente invii compulsivi alla conquista del mondo. Bisogna sempre ragionare su cosa si sta inviando e a chi.

Perché editor e non scrittrice? Che cosa spinge un’amante della letteratura a preferire un lavoro forse “tecnico” come quello dell’editor e non uno più “creativo” come quello dello scrittore?

È come chiedere il perché ci si innamora dell’una o dell’altra persona. Io scrivo per passione, ma non ho l’indole per diventare un’autrice. Sento invece profondamente la “missione” di rendere i libri che mi trovo intorno più belli. E di questo desiderio ho fatto un motivo portante della mia attività. Nell’editing riesco a soddisfare tutte le mie piccole manie, da quell’ordine esasperato che vive nella mia mente ma non riesco ad avere nella vita, fino all’esercizio profondo di una disciplina che in realtà non sempre mi appartiene. I testi su cui lavoro sono lo spazio in cui esercito la mia pignoleria, i luoghi di un equilibrio che non è solo ottico. Riuscire in quello che faccio mi fa stare bene. E poi chi l’ha detto che non è un mestiere creativo? È molto più complesso trovare il giusto modo per sciogliere una frase che non funziona piuttosto che costruire di sana pianta una nuova storia. È come avere continuamente dei paletti che derivano dallo stile e dalla natura di chi ha scritto quel testo. in questo senso, l’editor non è UN autore, ma è TUTTI gli autori, tutti quelli con cui lavora. Deve imparare a coordinare la sua voce alle loro voci, un po’ come fa un ventriloquo. Solo che non si occupa del suono delle parole, ma della loro forma.

Una volta hai scritto che “il titolo è appannaggio dell’editore. È lui ad avere l’ultima parola”. È davvero sempre così? I titoli dei libri sono sempre stati riscritti da un editore?

È vero, l’ho detto. La mia è stata senz’altro un’estremizzazione, ma in genere un contratto editoriale prevede che proprio all’editore spetti l’ultima parola su titolo e copertina. La ragione è presto detta. Se ogni libro, per il suo autore è una creatura preziosa, quasi un figlio, per l’editore è un prodotto, una voce nel bilancio della sua azienda. E come tale deve portare un profitto. Il titolo e la copertina diventano gli elementi più visibili di una strategia di vendita che si tradurrà in guadagni. Vengono quindi scelti e costruiti per creare un appeal nel lettore che se li ritroverà davanti in libreria. Ovvio che, dove possibile, si cerca di venire incontro all’autore. Un titolo che funziona non viene cambiato. Ma un titolo nuovo può essere la discriminante per il successo di un intero romanzo.

Un libro perfetto è… finisci la frase con le tue considerazioni su come andrebbe confezionato un libro, dalla copertina all’ultima pagina, passando per il titolo e la storia e finendo coi testi dei risvolti.

Perfezione? non credo che esista. Il rapporto con le parole, sia da scrittore che da lettore, è qualcosa di troppo intimo. Non esiste unanimità su questo. Il libro perfetto dovrebbe poter parlare a tutti. Credi sia possibile? Riguardo all’aspetto formale, esistono una miriade di criteri precisi che riguardano la composizione, il numero dei paragrafi all’interno di una pagina, l’uso di corsivi, grassetti, punteggiatura. Esistono altrettanti casi di persone che, sovvertendo queste regole, hanno dato vita a successi clamorosi. Ma come si fa a sconvolgere una regola se non la si padroneggia alla perfezione? E quindi credo che anche la creatività più sfrontata, in letteratura, debba nascere da una conoscenza profonda dei principi che ne sono alla base. Solo in quel momento si diventa capaci di “giocare” con la materia delle proprie opere.

Io comunque resto una metodista. Per scrivere una storia devo conoscerne l’inizio e la fine. Credo che porsi un punto d’esordio e uno di arrivo sia fondamentale per costruire una buona trama. Quello che c’è in mezzo può anche venir da sé man mano che si procede nella scrittura, ma aver chiaro dove si vuol andare a parare aiuta a non perdersi nell’intreccio.

Riguardo a tutto quello che non fa parte della storia – copertina, titolo e risvolti – vale quello che ho detto nella domanda precedente. Sono gli elementi che fanno l’appeal del libro. Vanno costruiti con una mentalità diversa da quella letteraria. Sono strumenti di promozione e devono rispondere all’esigenza di “prendere all’amo” il lettore, quando nel mare sconfinato della produzione libraria, deve scegliere le sue letture.

Laura Platamone, editor. Una biografia in breve

Laura PlatamoneTrent’anni, siciliana trapiantata a Roma. Laura Platamone è laureata in Tecnica Pubblicitaria e Belle arti. Il suo percorso professionale parte quindi dalla comunicazione e dalla creatività per approdare, poi, alla scrittura e all’editing. Nel 2009 arrivano i primi riconoscimenti letterari e, da lì, le prime esperienze come giurato in diversi concorsi. La valutazione l’appassiona al punto da diventare il suo impegno principale rispetto alla scrittura. Sempre nel 2009 si Iscrive alla Luiss Writing School, un master in cui, apprende i principi dei mestieri editoriali.

Alcuni dei suoi racconti sono presenti nelle antologie Il vino e la sua magia (Estro-verso, 2010), Decamerone 2010 (Edizioni REI, 2011) e in 365 racconti horror per un anno, di prossima uscita sotto il marchio Delos.

Scrive sul suo blog di stampo più tecnico e professionale. Fa inoltre parte del nucleo fondatore di Nero Cafè, portale per il quale cura le interviste e i concorsi.

16 Commenti

  1. Laura
    mercoledì, 23 Marzo 2011 alle 7:27 Rispondi

    Grazie mille Daniele per questa intervista che mi ha dato modo di esprimere il grande amore che provo per la mia professione!

  2. Daniele Imperi
    mercoledì, 23 Marzo 2011 alle 9:15 Rispondi

    Grazie a te per il tempo e le informazioni che ci hai dato :)

  3. Daniela
    mercoledì, 23 Marzo 2011 alle 10:45 Rispondi

    Intervista “grandiosa”! domande e risposte da conservare come un gioiello prezioso. Laura, brava, bella e appassionata. d’ora in poi, ma già lo sa, sarà la mia editor di fiducia (*__*)

  4. Daniele Picciuti
    mercoledì, 23 Marzo 2011 alle 12:39 Rispondi

    Grande Laura! Non l’avevo ancora letta, ma ogni parola ha grande valore e merita di essere ascoltata.
    @Daniela: he he, lei è GIA’ la mia editor di fiducia. Mettiti in fila! :P

  5. Laura Platamone intervistata da Daniele Imperi « Danielepicciuti’s Weblog
    mercoledì, 23 Marzo 2011 alle 12:47 Rispondi

    […] Leggi tutta l’intervista sul Blog Penna Blu […]

  6. Alba Cataleta
    mercoledì, 23 Marzo 2011 alle 12:54 Rispondi

    Aver avuto la fortuna di conoscere Laura è una cosa per la quale non finirò mai di ringraziare Facebook. E’ là che l’ho incontrata per la prima volta in un gruppo sorto per caso di: Donne, amiche, scrittrici, ma d’allora la MIA Laura ha fatto tantissimi passi e io ne sono orgogliosa perchè è una donna dalle mille sfaccettature, sempre interessanti ma è soprattutto una grande professionista nelle cui mani dormire sonni tranquilli.
    Per tutto il resto sono d’accordo con il commento di Daniela.

  7. Michela
    mercoledì, 23 Marzo 2011 alle 14:07 Rispondi

    Interessante davvero.
    Bella l’idea dell’editor che non è un autore, ma tutti gli autori :)
    Intorno al mondo della letteratura ruotano tante figure professionali di cui si sente parlare poco o niente e invece sono motlo importanti…

  8. Gianluca Santini
    mercoledì, 23 Marzo 2011 alle 15:21 Rispondi

    Bella intervista! :)

  9. Intervista a un editor | Parini Tredici
    giovedì, 24 Marzo 2011 alle 4:03 Rispondi

    […] l’intervista a Laura Platamone su Penna blu. Questa voce è stata pubblicata in Web. Contrassegna il permalink. ← Giochi […]

  10. samanta
    sabato, 2 Aprile 2011 alle 22:02 Rispondi

    Complimenti per l’intervista!
    Leggere ogni tanto del mestiere di editor invece che delle varie tecniche del “buon scrittore” fa piacere.

  11. La mia prima intervista! | La Laura che scrive
    lunedì, 11 Aprile 2011 alle 11:03 Rispondi

    […] bando alle ciance. Trovate la mia prima intervista nel blog Pennablu di Daniele Imperi. Dieci domande in cui si chariscono molti aspetti del mestiere di editor ma non […]

  12. Come scegliere una casa editrice: un occhio all’editing
    lunedì, 18 Aprile 2011 alle 5:07 Rispondi

    […] refusi. Con periodi confusi. O l’editing non c’è stato o, se c’è stato, l’editor non conosceva il suo […]

  13. Chi scrive legge meglio
    mercoledì, 11 Maggio 2011 alle 5:06 Rispondi

    […] che per quanto si scriva non si possa diventare un editor, non è questo che intendevo. Intendo che si diventa però più critici, non solo verso se stessi […]

  14. La mia prima intervista!
    lunedì, 15 Agosto 2011 alle 5:22 Rispondi

    […] bando alle ciance. Trovate la mia prima intervista nel blog Pennablu di Daniele Imperi. Dieci domande in cui si chariscono molti aspetti del mestiere di editor ma non […]

  15. Anna Maria
    giovedì, 29 Marzo 2012 alle 16:39 Rispondi

    Se un autore ha tanto bisogno che gli venga così ” corretto il compito”, non sarebbe meglio continuasse a leggere le opere stupende della nostra letteratura anzichè cimentarsi nel tanto ambito quanto spesso assai poco congeniale ruolo di “Scrittore” ?
    Interessante e piacevole leggere l’intervista.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 29 Marzo 2012 alle 16:59 Rispondi

      Da come scrivi, però, nessuno dovrebbe più scrivere libri, non ti pare? :)

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