Il rischio della ripetitività in narrativa

Il rischio della ripetitività in narrativa

In passato ho abusato di alcuni generi letterari: è cosa nota, per chi mi segue da anni, che abbia iniziato a scrivere storie puntando sui racconti dell’orrore e sui romanzi fantasy. Diciamo, anzi, che sono almeno riuscito a scrivere diversi racconti dell’orrore, ma nessun romanzo fantasy finora.

Da cosa dipese questa infatuazione per i due generi narrativi?

La passione per l’orrore – sebbene non dal punto di vista creativo – ha radici addirittura nell’infanzia: io e mie sorelle, anche se eravamo bambini, amavamo vedere in televisione lo sceneggiato (all’epoca così si chiamavano le serie) Il vendicatore di Corbilleres (La Poupée sanglante, 1976) e Belfagor (Belphégor ou Le fantôme du Louvre, 1965).

La passione per il fantastico è nata leggendo La spada di Shannara di Terry Brooks e da quel momento ho iniziato a scrivere diversi romanzi fantasy: nel vero senso della parola, li iniziavo e li abbandonavo al primo capitolo.

Due autori come esempio: King e Brooks

Ho letto molto di questi autori, anche se non tutto ciò che hanno pubblicato. Non mi sembra, almeno finora, che Stephen King sia stato ripetitivo scrivendo del genere dell’orrore: ha sicuramente scritto molto sul genere, ma ha saputo diversificarsi.

Della saga della Torre Nera ho letto i primi 3 romanzi, ma mi hanno annoiato e non ho acquistato gli altri. Non può piacerti tutto ciò che scrive un autore. Anche altri suoi romanzi non mi sono piaciuti granché, ma per la maggior parte sì: e infatti continuo a leggerlo.

Comunque, da quel che posso giudicare, non s’è mai fossilizzato: ha scritto anche romanzi di fantascienza e polizieschi. Insomma, quando pubblica un nuovo libro, c’è sempre attesa e sorpresa.

Terry Brooks, invece, ha scritto almeno 30 romanzi sulla saga fantasy di Shannara e a me sembra un’esagerazione, anche se ne ho letti più di 20. A parte un romanzo di fantascienza, è sempre rimasto confinato in un solo genere letterario. E questa è ripetitività, eccome.

Il rischio della ripetitività

Sono stato così appassionato di romanzi fantasy, che alla fine non ne ho più letti. Da ragazzo ero così appassionato di film dell’orrore, ma adesso mi annoiano perché mi sembra che non dicano più niente di nuovo.

Forse questo si avvicina al mio concetto di ripetitività.

Da ragazzo e in parte da adulto ho progettato non so più quanti romanzi e saghe fantasy – qualcuno ricorderà lo scrittore di elenchi – per poi abbandonare il genere.

Nei miei progetti imminenti ci sono 3 libri totalmente diversi uno dall’altro – anche se due hanno un personaggio in comune. Pensando ai progetti iniziati e a idee appuntate (romanzi, saggi, biografie), che chissà quando gradirei portare a termine, c’è molta diversità. Sono uno che si annoia facilmente – sono anzi altamente sensibile alla noia – ho bisogno di novità sia nella scrittura sia nella lettura.

Forse questa continua necessità di stimoli si innesca proprio per evitare la ripetitività, che genera disinteresse, insoddisfazione, apatia anche.

La scrittura è creatività e io non riuscirei a essere creativo scrivendo sempre le stesse cose. Devo variare, devo passare da un “mondo immaginario” – sono immaginari anche i mondi dell’attualità, perché una storia è pur sempre finzione – all’altro, da un periodo storico all’altro, da un genere all’altro.

Una questione di etichette… e di memoria collettiva

I lettori hanno sempre affibbiato etichette agli autori – talvolta anche in modo dispregiativo. Stephen King è uno scrittore dell’orrore – come Poe, anche se poi, di fatto, ha scritto molto altro – Terry Brooks, Tolkien sono scrittori fantasy, Asimov e Dick di fantascienza, Bernard Cornwell scrive romanzi storici, Patricia Cornwell (non sono parenti) scrive thriller medici.

Agatha Christie e Conan Doyle erano scrittori di polizieschi, pur essendosi anche dedicati ad altro. Dennis Lehane scrive polizieschi e Len Deighton ha scritto romanzi di spionaggio.

Il lato positivo di scrivere sempre qualcosa di nuovo, di diverso è non essere etichettato. Il lato negativo è non essere ricordato affatto, forse.

Chi ama un preciso genere narrativo segue gli autori di quel genere. Ma chi segue gli autori che non restano ancorati a un genere? Che scrivono di tutto?

Evitare il rischio della ripetitività non ci evita il rischio della dimenticanza, di essere ignorati dalla massa.

Ma alla fine ciò che conta è sempre poter scrivere ciò che ci fa sentire bene.

9 Commenti

  1. Corrado S. Magro
    giovedì, 28 Novembre 2024 alle 8:54 Rispondi

    Non riesco a scrivere e nemmeno a leggere serie. Dopo il secondo libro ho la sensazione di averli letti tutti. Scrivo a 360 gradi. Non amo l’orrore ma non lo escludo quale fenomeno ipernaturale. Nei miei scritti la ripetitività è presente nel tragico o nel distopico (La grotta del Cardinale, 48 ore di felicità, racconti lunghi) senza esserne il filo conduttore assoluto. Di conseguenza non posso dirmi “specialista” o esperto di un genere specifico.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 28 Novembre 2024 alle 16:17 Rispondi

      È la stessa sensazione che ho avuto io con il fantasy. Non mi sembrava di leggere qualcosa di nuovo.

  2. carlo calati (massimolegnani)
    giovedì, 28 Novembre 2024 alle 10:19 Rispondi

    nell’articolo ti sei concentrato sulla ripetitività all’interno di un genere letterario, ma secondo me il vero rischio di essere ripetitivi sta in uno stile che non evolve, nell’usare metafore sempre simili, nel restare ingessati nel proprio modo di scrivere, finendo con l’imitare sè stessi, specie quando l’ispirazione cala.
    massimolegnani

    • Daniele Imperi
      giovedì, 28 Novembre 2024 alle 16:19 Rispondi

      Sì, ho accennato a un genere letterario, ma intendevo in generale. La ripetitività sta anche in ciò che dici, verissimo.

  3. Orsa
    giovedì, 28 Novembre 2024 alle 10:57 Rispondi

    Ecco perché mi rifugio nella storia militare, quella di certo non annoia mai! :P
    Vero, si rischia di essere ripetitivi non solo nel genere, ma anche nello stile, nel registro, nelle idee. La tua infatuazione per il fantasy era figlia di quel tempo, ora è il periodo parolibero… chissà, forse quando avrai 70 anni scriverai romance (adesso mi sbrani) 😂

    • Daniele Imperi
      giovedì, 28 Novembre 2024 alle 16:22 Rispondi

      Eh, ma io comunque mi stancherei a leggere sempre di storia.
      Non c’è pericolo che scriva storie d’amore, anche se una, di cui ho accennato per scherzo qui, è in programma 😄

  4. Grazia Gironella
    giovedì, 28 Novembre 2024 alle 11:43 Rispondi

    L’abbuffata di fantasy nel tempo ha creato anche in me un certo allontanamento, tutt’altro che definitivo. Sentirsi liberi di cambiare è vitale. I romanzi che ho autopubblicato, e anche alcuni romanzi rimasti per ora nel cassetto, sono di generi diversi. Qualcuno ha detto che questo modo poco focalizzato di scrivere mi rende meno interessante per gli editori, ma io sono convinta che, tra tutti i possibili motivi dell’invisibilità, questo sia abbastanza irrilevante.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 28 Novembre 2024 alle 16:25 Rispondi

      Anche il mio allontanamento dal fantasy non è definitivo, ma non sarà più come prima.
      È possibile che gli editori non amino questo modo di scrivere, ma per me è fondamentale per creare sempre cose nuove. E per scrivere senza annoiarmi, soprattutto.

    • Corrado S. Magro
      venerdì, 29 Novembre 2024 alle 0:04 Rispondi

      Concordo in assoluto e m’identifico con Grazia.

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