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È normale che un autore riversi nelle sue storie parte della propria vita, delle esperienze vissute e dei ricordi, o anche frammenti e dettagli della vita altrui, di persone che ha conosciuto e frequentato. Sarebbe strano se non fosse così.
Nella nota introduttiva al suo romanzo Warlock Oakley Hall scrive:
Questo libro è un romanzo. Warlock e il territorio nel quale la città è situata sono inventati. Le somiglianze dei personaggi con persone reali, viventi o defunte, non sono però sempre accidentali.
Una formula più onesta del classico “Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale”.
Gli aspetti della vita dell’autore seminati nelle sue storie
In molti romanzi, se non in tutti, ci sono situazioni familiari all’autore, prese da aspetti della sua vita, da eventi a cui ha assistito. Non possono certo essere catalogati come romanzi autobiografici, perché la percentuale di questi tratti propri della vita dell’autore è molto bassa.
Ho sempre pensato, però, che ogni storia contenga almeno una piccola parte dell’autore, nascosta magari in uno o più personaggi, in una scena, in un dialogo, o è ancor più celata, inserita nel tema di fondo della storia, là dove, forse, è più difficile individuarla.
L’esperienza lavorativa dell’autore nei suoi romanzi
Ci sono molti esempi in narrativa di autori che hanno interrotto la propria professione per dedicarsi alla scrittura a tempo pieno, scrivendo romanzi inerenti al loro precedente lavoro.
- Un esempio è John Grisham, avvocato, che nel 1988 pubblicò Il momento di uccidere (Time To Kill). I suoi romanzi sono gialli giudiziari e contengono moltissima dell’esperienza dell’autore.
- Un altro è F. Paul Wilson, laureato in medicina, che scrisse numerosi romanzi, fra cui alcuni thriller medici come Ingraham (The Select) e Innesto mortale (Implant).
- Ma dobbiamo anche ricordare John le Carré, che ha scritto romanzi di spionaggio. Le Carré divenne un funzionario del Ministero degli Esteri britannico e fu poi reclutato dal servizio segreto inglese.
- Patricia Cornwell è stata analista informatico presso un ufficio di Medicina Legale e ha creato il personaggio di Kay Scarpetta, un medico legale, protagonista di numerosi romanzi.
Di certo non posso – e non voglio – scrivere romanzi sul mio lavoro di blogger, che non mi suggerisce nulla di avventuroso o comunque di interessante. Se fossi rimasto nell’Esercito, di sicuro avrei potuto cavarne fuori qualche storia.
Romanzi autobiografici e memoriali
Qual è la differenza fra un romanzo autobiografico e un memoriale?
Un memoriale è un sottogenere dell’autobiografia. Ma un romanzo autobiografico è in pratica un’autobiografia romanzata. In tutti e 2 i casi si narra l’intera vita dell’autore, mentre nel memoriale ce n’è solo una parte.
Ricordo Ragazzo negro (Black boy) di Richard Wright, in cui l’autore racconta la sua adolescenza nel Sud, fino al trasferimento a Chicago, rappresentando le differenze razziali dell’epoca.
Romanzo autobiografico o memoriale, comunque si tratta di scritti in cui l’esperienza dell’autore è fondamentale, funge anzi da trama vera e propria. L’uso o meno di uno pseudonimo dipende dall’autore e dalla sua volontà a essere riconosciuto.
L’esperienza dell’autore nella narrativa di genere
Mi chiedo come usare la propria esperienza di vita scrivendo romanzi di genere.
A meno di non essere un avventuriero e vivere avventure reali nei luoghi più estremi della Terra – e avere soldi a palate per permettersele – soltanto in casi rari è possibile usare la propria esperienza per scrivere narrativa di genere.
Mi vengono in mente 2 esempi nella fantascienza:
- Isaac Asimov: biochimico e divulgatore scientifico. Le sue storie sono credibili e anche rigorose dal punto di vista scientifico.
- Andy Weir: ingegnere informatico e appassionato di fisica relativistica, meccanica orbitale e storia del volo spaziale con equipaggio. Chiunque abbia letto, come me, Sopravvissuto (The Martian) e Artemis – La prima città sulla Luna (Artemis) può confermarlo.
E chi scrive fantasy? Chi scrive horror? Chi scrive western? Chi scrive polizieschi?
Scrivere è comunicare. Già dallo stile di scrittura si vede l’autore, si può riconoscerlo. Dall’uso delle parole, dalla loro mescolanza, dal ritmo, dalla tipologia dei personaggi.
Ma non finisce qui. Come ho scritto prima, in ogni storia c’è un pezzo dell’autore. Anche scrivendo fantasy si può usare una persona conosciuta per descrivere e mostrare il carattere di un personaggio, fosse anche un elfo o uno gnomo. E lo stesso vale per l’horror, il poliziesco e il western.
Il grande romanzo americano
Era il 9 gennaio 1868 quando il romanziere John William DeForest coniò l’espressione “il grande romanzo americano” come titolo di un saggio per «The Nation». Che cosa voleva dire DeForest?
Il grande romanzo americano rappresentava “le emozioni e i modi ordinari dell’esistenza americana”. Sosteneva anche che, all’epoca, non era ancora nato questo tipo di romanzo, anche se La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe ci si avvicinava.
Altre opere considerate nel gruppo del grande romanzo americano sono:
- Il grande Gatsby (The Great Gatsby) di F. Scott Fitzgerald
- Moby-Dick di Herman Melville
- Il buio oltre la siepe (To Kill a Mockingbird) di Harper Lee
- Le avventure di Huckleberry Finn (The Adventures of Huckleberry Finn) di Mark Twain
- Furore (The Grapes of Wrath) di John Steinbeck
- La trilogia U.S.A. di John Dos Passos
Sono storie rappresentative di un’epoca e di una società, che richiamano alla mente un popolo e il suo modo di essere.
E il grande romanzo italiano?
Qualcuno vi annovera I Viceré di Federico De Roberto, ma anche I promessi sposi di Manzoni. C’è comunque stato un dibattito negli anni passati. Oggi questo grande romanzo italiano non esiste.
La vostra esperienza nelle storie che scrivete
Quanti elementi della vostra vita inserite nelle vostre storie? Avete mai scritto storie che contengano la vostra esperienza lavorativa?
Roberta FI Visone
Nel mio romanzo ho inserito diversi riferimenti a esperienze personali, così come esperienze altrui di cui ho documentazioni ufficiali. Tuttavia vi ho aggiunto diversi eventi che non sono mai accaduti o, per esempio, se nella vita reale un fatto X è avvenuto in data Y, ho collocato il fatto X in un evento Z o con un personaggio diverso da quello reale. Insomma, ho falsato un po’ alcuni eventi realmente accaduti oppure li ho collocati in un tempo e in personaggi diversi rispetto a quando è realmente accaduto e rispetto alla persona cui è accaduta quella determinata cosa. Come altro espediente ho fatto succedere cose a personaggi che nella vita reale esistono in altro modo (per esempio il personaggio di Andrea rispecchia delle cose di mio marito, solo che non siamo mai stati in classe insieme e nel tempo in cui si svolge la vicenda non stavamo nemmeno insieme, anzi, lui mi lasciò all’epoca). E, sì, non potevano né dovevano mancare riferimenti al mio mestiere tanto amato. Buona giornata, vado a recuperare gli ultimi tre-quattro articoli che non ho letto ancora, ma di cui avevo messo la spunta alla mail come “da leggere”.
Daniele Imperi
È normale falsare alcuni eventi e date e anche personaggi, fa parte del lavoro di scrittura. Ho leggo varie volte nelle note finali dei romanzi che gli autori hanno preso qui e là quello che serviva loro delle persone e dei fatti reali.
Miriam Donati
Secondo me ogni scrittore quando scrive parla di sé, seminando anche inconsciamente riferimenti del suo vissuto reale ed emozioni provate. Rileggendo a distanza di tempo quanto scritto ogni volta scopro un dettaglio o un’impressione che mi appartengono e di cui, mentre scrivevo, non mi ero resa conto. E questo succede sia in testi mainstream, sia di genere.
Daniele Imperi
Anche secondo me è così. Quasi sempre non ce ne accorgiamo. Non ho mai provato a rileggere dei racconti per scoprire cosa di me ci ho messo dentro. Prima o poi lo farò.
Ferruccio
Io ci scrivo moltissimo della mia persona, in qualsiasi contesto. Anche se mi trasformo in un indiano sono un’indiano con un po’ del mio carattere. Per quanto riguarda il mio lavoro ce n’è tantissimo, nel mio romanzo Wichasa c’è un consulente informatico che fa quello che facevo io, ma tutta le mia narrativa e fortemente influenzata dalle mie esperienze, credo che però sia necessario per dare profondità psicologica: molti romanzi e storie di genere mancano di quest’ultima
Daniele Imperi
Ho pensato che il carattere delle persone che conosciamo torna utile per riversarlo in alcuni personaggi. In effetti anche molti miei protagonisti erano in un certo senso plasmati a mia immagine.
La profondità psicologica può esserci anche nei romanzi di genere, perché no?
Ferruccio
Certo, ma molti romanzi di genere sono carenti sotto questo aspetto, per conto mio
Orsa
Buongiorno Daniele. Io non faccio testo, nel mio caso è sostanziale riportare l’esperienza personale. Non ho competenze e capacità, ma se dovessi scrivere un romanzo (in una dimensione remota e lontana) mi lascerei senza dubbio tentare dalla voglia di disseminarlo di tracce dei miei trascorsi. E per dirla tutta, questo è l’aspetto che più mi intriga quando leggo, soprattutto romanzi scritti in prima persona: a volte luoghi, situazioni e personaggi sono talmente realistici che mi piace fantasticarci sopra …l’avrà veramente incontrata una persona così? C’è stato davvero in quel bosco? Ha dormito realmente nella stanza di quel motel? Era suo quel gatto?
Eppure, secondo me, avrai trovato inconsciamente il modo di riversare il blogging nascosto in qualche capitolo!
Perché, se posso chiedere, ti sei spogliato della divisa?
Orsa
*nascondendolo
Daniele Imperi
Buongiorno Orsa
Non è detto che un romanzo scritto in prima persona rifletta le esperienze dell’autore.
Il blogging in qualche capitolo? No, mi sa di no.
Ho fatto la leva militare come ufficiale di complemento e dopo 15 mesi ti congedano, se non ti accettano la domanda per la ferma biennale. A me non l’hanno accettata
Maria Teresa Steri
Apprezzo molto gli autori che traggono spunti dal loro lavoro per le storie, senz’altro hanno una marcia in più perché attingono da esperienze reali. Però in generale è verissimo che tutti quelli che scrivono mettono una parte di sé nei loro testi, anche se non sempre consapevolmente o in modo riconoscibile. Io ho inserito moltissimo nei miei romanzi di persone conosciute in passato, ovviamente camuffandole, e altrettanto ho fatto con alcune situazioni vissute. Però di solito avviene una specie di trasformazione, ovvero mettendo per iscritto certi aspetti, poi questi prendono una loro strada. Di sicuro non scriverei mai un romanzo autobiografico o un memoriale, non avrei nulla di interessante da raccontare. Meglio usare la fantasia, nel mio caso
Daniele Imperi
La trasformazione è inevitabile, secondo me. E meglio così, anche. Neanche io potrei scrivere un memoriale, perché non ho fatto nulla di narrabile
Emilia Chiodini
Se è vero che quando scriviamo sediamo su una catasta di libri letti, è altrettanto vero, come dici tu, che ogni storia contiene nelle pieghe una parte dell’autore. Un mio conoscente una volta mi disse che gli interessava leggere il romanzetto che avevo scritto perché avrebbe scoperto la mia anima. Del resto Flaubert a proposito di Madame Bovary disse: Emma c’est moi.
Daniele Imperi
Quella della catasta non l’avevo mai sentita, ma non è male. Quella di svelare l’anima con gli scritti mi piace di meno.
Corrado S. Magro
Approvo in pieno il punto di vista di Miriam Donati. Anche il puro prodotto della fantasia non può fare a meno dell’IO presente in quello che scrive conferendogli credibilità. Chi scrive è ciò che scrive. Se estraneo resta lontano anche dal mondo delle fiabe. Nel migliore dei casi sarà un virtuoso sterile.
Daniele Imperi
Sì, siamo ciò che scriviamo, questo è vero. Per quanta fantasia ci puoi mettere, alla fine metti sempre te stesso in quello che scrivi.
MikiMoz
Poni una domanda molto particolare, quando chiedi del lavoro.
Potrei anche dirti di sì: ho scritto spesso storie di ragazzi, e per lavoro ho a che fare con loro. Quindi, non parlo dell’occupazione, ma parlo di quel che vedo.
Ovviamente, in OGNI cosa che scrivo -pure sul blog- c’è sempre qualcosa che mi appartiene. Non per forza me stesso, ma quantomeno vicino.
Moz-
Daniele Imperi
Intendevo esperienza anche in quel senso: non per forza parlare di un lavoro specifico ma di quanto si osserva durante il proprio lavoro. Fa anche quello parte della propria esperienza.
Grazia Gironella
Diversi pezzetti di me finiscono distribuiti nei miei personaggi, senza mai aggregarsi in un personaggio solo. Non mi piace l’idea di essere nella storia, se non sono mimetizzata. Dico così, ma in realtà lo faccio d’istinto, non so se il motivo sia quello. Quanto al mio ex-lavoro, non ne tirerei fuori niente. Anzi, l’ho già dimenticato.
Daniele Imperi
Neanche a me piace finire per intero in una storia, anche perché non sono un personaggio. Secondo me funziona proprio d’istinto a infilare nei personaggi parte di se stessi e degli altri.
Andrea Perin
Ciao Daniele, questione interessante…
attingiamo dal ”nostro” (spero inconsapevolmente) anche quando scriviamo dell’assassino o del pazzo?
come autori, non vi sete mai lasciati scivolare nella tana del Bianconiglio, o meglio, in qualche vero girone infernale per qualche paragrafo, per poi cancellare tutto schifati in preda ai sensi di colpa?
Andrea Perin
P.S. a me i 600 me li hanno dati!
Daniele Imperi
Ciao Andrea, ho scritto di criminali svariate volte, ma è appunto finzione, quindi non ne sono rimasto schifato. Ho attinto dal mio nel senso che ho fatto compiere al protagonista azioni che al suo posto sarei tentato di compiere anche io.
Da parte, quindi, nessun senso di colpa.
Andrea Venturo
Cosa porto del mio vissuto nelle storie che racconto? Guarda, ti faccio leggere in anteprima un frammento del testo per il quale ti ho scritto e chiesto un preventivo.
«Ora parliamo un poco di Dante, così chiudo l’ultima interrogazione del quadrimestre con te… ma visto che sei tanto bravo in italiano scegli pure un canto dell’inferno a piacere e commentalo». Lei mi sorrideva ma con un sorriso che, sovrapposto alla furia che mostrava dietro, era simpatico quanto quello che Achab deve aver rivolto a Moby Dick.
Brutta s******.
Lo so che non dovrei dire “brutta s******” a una persona, ma è quello che pensai all’epoca e penso tutt’ora a ragion veduta. Aveva programmato le interrogazioni e mi ero preparato sul XXXIII e ultimo canto del paradiso, di cui aveva parlato la settimana precedente. Avevo la sua spiegazione e ci avevo ricamato un po’ su. Sarebbe bastato per un sei.
Tra l’arrabbiatura che rischiava di tramutarmi in un essere verde e coi vestiti strappati, e il criceto che avevo in testa e che pretendeva di raggiungere una via di fuga correndo dentro la sua ruota, non riuscivo proprio a trovare una risposta.
«Allora Leoni, non dovrebbe essere molto difficile no? Almeno ti ricordi come comincia l’inferno?»
Con te sulla porta, pensai.
—
Protagonista della vicenda è Prossimo Leoni, studente semi-nullafacente rimasto privo del suo compagno di banco (nonché mentore), e reso vulnerabile e spaventato dall’avvicinarsi degli esami di maturità.
Daniele Imperi
I ricordi di scuola, secondo me, sono utilissimi da riprendere e adattare a qualche situazione.
Kukuviza
E menomale che non ti hanno accettato nell’esercito. Non mi dà l’impressione di essere una cosa in linea con il tuo carattere!
comunque, potresti scrivere un thriller basato sulla tua attività di blogger, avente ad esempio come personaggio uno di quei tizi che ti scrivono per chiederti se gli leggi il manoscritto. Magari quel tizio si offende e poi inizia ad assediare il proprietario del blog… che verrà poi salvato nientemeno che da Zosima!
Secondo me, qualcosa potrebbe venire fuori.
Daniele Imperi
La domanda nell’Esercito non accettata, nel lontano 1993, ha dato il via a una lunga serie di vicissitudine lavorative che, soltanto in parte, si è conclusa lo scorso anno
La storia del blogger richiama un po’ “Misery non deve morire” di Stephen King, ma potrebbe nascerne un racconto. Zosima, invece, entra nella storia di cui ti accennai in privato
Francesca Romana
Grazie, come sempre i tuoi articoli sono chiari e pieni di informazioni utili.
Daniele Imperi
Ben tornata, Francesca
Francesca Romana
Grazie, scusa se commento poco ma seguo con molto interesse ogni tuo articolo.
Barbara
Quanti elementi della vostra vita inserite nelle vostre storie? Zero.
Avete mai scritto storie che contengano la vostra esperienza lavorativa? No, sai che noia…
Non credo nemmeno all’inserire sé stessi per forza di cose dentro quel che si scrive. Anche perché a leggere certi miei racconti sarebbe da preoccuparsi, dalla moglie felice che decide di avvelenare il marito per troppa felicità, alla ragazza rinchiusa in psichiatria perché da bambina ha dato fuoco al padre… Ma soprattutto mi preoccuperei di più per la salute di Stephen King
Forse c’è un po’ del mio “carattere” in alcuni personaggi, ma le azioni sono proprio frutto di fantasia. Il bello è proprio lì.
Daniele Imperi
Inserire se stessi non significa necessariamente essere dei criminali se si scrivono thriller e polizieschi
Ci sono autori ex galeotti che hanno scritto romanzi mettendo parecchio della loro esperienza.
Io intendo che nei personaggi e nei luoghi l’autore può riconoscersi in qualche elemento.
Marco
Ovviamente questo si attua anche al pensiero politico.
Per un fascista o nazista il bulletto della classe o della situazione sarà sempre un comunista/socialista oppure per un comunista quando inventerà una società sarà un’ utopia comunista,se la inventa un commerciante che ha difficoltà a causa dello stato può raccontare le avventure di un mercante contro lo stato corrotto o che parte per il mitico stato ” amico di tutti”.
Daniele Imperi
Mah, mi sembrano scelte molto infantili. Dimostrano solo che non c’è maturità nella scrittura.
Marco
Dipende, esempio nella prima trilogia della fondazione, La “Fondazione” è una “tipica” provincia degli USA imprenditoriali del periodo che si avvia sempre più a diventare una plutocrazia e poi non si evolve più. Il mule, è in realtà Hitler mascherato ma io adoro solo i primi racconti (l’ultimo quello con Salvor Hardin, dove c’è più “azione” per i miei gusti ossia una cosa più alla “gioco di strategia” con tattiche a livello di nazione, per sorgiogare le altre) mentre i successivi è come se fossero una via di mezzo degli “spin-off” e “seguiti” ambientati nell’universo de “la fondazione”
Marco
PS: Era Mallow…la mia memoria -.-
von Moltke
Nella mia esperienza di scrittore, ho avuto modo di introdurre SEMPRE elementi del mio vissuto, e questo nonostante abbia scritto, a volte, in generi in cui apparentemente sarebbe stato difficile farlo. Anche in un romanzo distopico, fantascientifico o storico, infatti, ho preferito ambientare i fatti in luoghi in cui avevo vissuto o ero stato a lungo, e creare personaggi ispirandomi a persone effettivamente conosciute, perché così la descrizione mi sarebbe venuta meglio. In questo modo ho potuto anche trovarmi maggiormente coinvolto (e divertirmi di più).
Daniele Imperi
Noi che scriviamo narrativa di genere forse fatichiamo più degli altri a mettere nelle nostre storie parte del vissuto e delle nostre esperienze.
Sui personaggi hai ragione: lo fanno in molti a ispirarsi a persone conosciute.