Pioveva a dirotto quando l’uomo uscì dal lavoro per rincasare. Nonostante l’ombrello, si stava inzuppando da capo a piedi, mentre camminava veloce cercando invano di evitare l’acqua che allagava la strada. Le auto sfrecciavano a dispetto del tempo e della scarsa visibilità.
Quando giunse alla fermata dell’autobus, una folla di gente, che aspettava il mezzo pubblico da chissà quanto tempo, gli fece cambiare idea, e decise di farsela a piedi. Oltrepassò la fermata e svoltò per una via secondaria.
Un’auto colpì un’enorme pozzanghera, sollevando un’onda d’acqua che lo investì in pieno. L’uomo gli urlò una serie di improperi, che si persero nel frastuono della città impazzita per il maltempo. Imprecando continuò per la sua strada.
Un’altra vettura, dopo pochi minuti, gli sfrecciò vicino, proprio su una grossa pozzanghera a ridosso del marciapiede, inondandolo nuovamente d’acqua. L’uomo la riconobbe: era la stessa di prima… aveva voluto vendicarsi degli accidenti che gli aveva lanciato?
Scese dal marciapiede, urlandogli a squarciagola tutto il suo repertorio di bestemmie e insulti. Ma l’auto, seppur rallentando, continuò la sua corsa.
Aveva raggiunto una zona non trafficata quando rivide la macchina. Era ferma. L’uomo preferì proseguire, ma l’auto, muovendosi, lo inzuppò ancora, fermandosi poi ad attenderlo poco più avanti. Fuori di sé, l’uomo chiuse l’ombrello e, raggiunta la vettura, con un calcio staccò uno specchietto laterale. Il conducente uscì e fece per saltargli addosso, quando l’uomo lo colpì col manico dell’ombrello. E continuò a colpire senza fermarsi, animato dall’odio, totalmente fuori controllo, con l’ombrello sempre più sporco di sangue, di ciuffi di capelli e pelle, di materia cerebrale, più forte ancora, senza tregua.
Si fermò soltanto dopo parecchi minuti, ansimando, stanco, ma rincuorato. Pioveva ancora. Che giornata maledetta. Senza neanche guardare la testa sfracellata del balordo, che giaceva immobile a terra, aprì l’ombrello e se ne andò.