Qualsiasi parola che devi cercare in un dizionario dei sinonimi è la parola sbagliata. Non ci sono eccezioni a questa regola.
Stephen King
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Che cosa ne pensate?
Io non sono assolutamente d’accordo con King, questa volta. Quando ho scritto che i sinonimi non esistono, intendevo che per me costituiscono un metodo di ricerca per scovare le parole più adatte.
Talvolta sono utili per scrivere la parola più corretta all’interno di uno specifico contesto:
- “Quando gli ho chiesto un favore, mi ha voltato la faccia”: in questo caso non scriveremmo mai “mi ha voltato il viso (o il volto)”; “volto”, inoltre, è più letterario di “viso”: quale usare? Anche qui la scelta dipende dal contesto.
- “S’è fatto scuro” e “S’è fatto buio”: siamo di fronte a delle sfumature di significato. Etimologicamente, se è scuro c’è meno luce di quando è buio: in latino la prima parola significa tenebroso, nero; la seconda invece rosso scuro.
- “Le mie idee sono contrarie alle tue” e “Il negozio si trova sul lato opposto della via”: come vedete, “contrario” e “opposto” vanno scelti in base al contesto.
L’utilità dei sinonimi è anche un’altra: leggendo i significati dei vari sinonimi proposti dal vocabolario, stimoliamo la creatività, favoriamo il ragionamento, operiamo una scelta. Altro che intelligenza artificiale!
Le ripetizioni: evitarle nella buona scrittura
Sono ossessionato dalle ripetizioni. Finito di scrivere un racconto o un capitolo, uso la funzione “Cerca e sostituisci” per eliminarne il più possibile. Di alcune mi accorgo in fase di stesura, rileggendo il brano appena scritto.
In un romanzo di cui ho corretto le bozze ne ho trovate parecchie, tutte segnate in rosso, affinché il cliente potesse accorgersi subito dell’impatto visivo – e poi sonoro – di tutte quelle ripetizioni.
E lo faccio anche con i miei scritti: cerco una parola in tutto il testo, imposto il grassetto e poi il rosso. Quindi scorro le pagine per avere subito una prima impressione delle ripetizioni usate.
I sinonimi per la ricchezza di parole
- Cercare un sinonimo, quindi leggerne il significato, infine cercare i sinonimi di quel sinonimo e leggerne i significati.
- Leggere un classico italiano – magari un romanzo di d’Annunzio o di Marinetti (che non è considerato un classico, ma va bene lo stesso) – e segnare tutte le parole sconosciute.
Sono i due metodi che uso per imparare parole nuove o riscoprire parole conosciute ma mai usate.
E così trovo innumere, oltrepossente, brulicame, fralezza, fortore, congesto, albasia, velario, inospite, ecc. E non vedo l’ora di poterle usare.
D’Annunzio stupisce per la varietà di parole e l’eleganza dello stile – leggere Il piacere è stato un vero… piacere. Marinetti stupisce per gli accostamenti, le analogie, le invenzioni stilistiche.
Uso i sinonimi per ottenere dai miei scritti una maggiore ricchezza di parole. Spesso mi hanno aiutato a scavare più a fondo nelle mie intenzioni, permettendomi di elaborare meglio una frase, di crearne altre perfino.
Sinonimi o parole adatte?
Torno su questo punto, perché credo sia quello fondamentale, ciò che ci fa capire quanto siano davvero utili i sinonimi.
Talvolta non mi torna in mente una precisa parola, ma ne conosco il significato. E allora cerco sul vocabolario il primo sinonimo che ricordo e da quello passo a un altro ed ecco, infine, trovata per magia la parola che cercavo e che la mente, chissà per quale motivo (forse per l’età o per il surplus di informazioni che ci bombarda), nascondeva.
I sinonimi sono strumenti di ricerca, ecco cosa sono e perché li ritengo utili. Nessuna guerra per quanto mi riguarda, ma un contratto a vita.
Corrado S. Magro
Una questione di “non poco conto” (il sinonimo “quisquilia” ecc. si adatta bene alla forma positiva “poco conto”, e per la negativa?). King può dire ciò che gli pare e piace. La tua esposizione mi rammenta i primi anni di ginnasio (allora inferiore e superiore). I testi che per studio o curiosità leggevo erano saturi di sottolineature con a lato il significato dei termini evidenziati. Tardi, sono caduto nell’effetto contrario abusando del sinonimo per evitare la ripetizione tale e quale. Occhio, diceva Watson! Solo in tal caso potrei dare credito al King.
Daniele Imperi
In che senso hai abusato del sinonimo?
Corrado S. Magro
L’ho forzato nelle frasi per evitare la ripetizione letteraria del termine.
Grazia Gironella
Curiosità e ricerca arricchiscono sempre, quando si scrive. Per quanto riguarda le parole di King, le trovo giuste per stili come il suo, dove la semplicità e la colloquialità, unite al fatto che scrive in inglese, renderebbero inadatto l’uso di termini più di nicchia, se non del tutto obsoleti. Personalmente preferisco cercare di essere fantasiosa nel combinare le parole piuttosto che trovarne di ricercate, ma è una questione personale, come sempre.
Daniele Imperi
Su King concordo, ha una scrittura abbastanza colloquiale e scorrevole, quindi i termini ricercati stonerebbero.
Le combinazioni fantasiose di parole piacciono anche a me e vanno più che bene.
Orsa
Non sono una seguace accanita di King, ma in questo caso sono d’accordo con lui. Per quanto un “sinonimario” sia uno strumento valido per scoprire nuove espressioni, e per evitare ripetizioni inutili, non penso che King volesse sottintendere un divieto assoluto del suo utilizzo. La leggo più come un invito a scegliere parole che facciano parte della propria esperienza linguistica, una esortazione a non complicare il testo inutilmente con parole “ricercate” e non naturalmente in uso all’autore. Un approccio alla scrittura genuina, insomma.
Orsa
Forse ho subito l’influenza della parola “guerra” nel titolo…
L’hai fatto apposta!
Daniele Imperi
A dire la verità ho creato il documento dell’articolo a giugno e neanche ricordo perché ho usato questo titolo, ma l’ho lasciato perché non me ne veniva un altro in mente
Orsa
Sinonimi di guerra da Treccani:

“battaglia, conflitto, contrasto, discordia, disputa, dissidio, lite, lotta, ostilità, scontro”
Daniele Imperi
Forse andava bene “Ostilità ai sinonimi”.
Daniele Imperi
Da una parte posso essere d’accordo, sul fatto di non complicare il testo con parole “ricercate”, ma dall’altra si legge anche per arricchire il proprio vocabolario e quindi quelle parole alla fine diventano in uso all’autore.
antonio zoppetti
La questione dei sinonimi è atavica, e nella lingua di Dante (ma anche di Petrarca) il polimorfismo era accettato senza scandali (madre e matre, vorrei e vorria… utilizzati di volta in volta a seconda delle esigenze poetiche). Anche per i puristi non erano un problema, benché accettassero solo le forme dei classici e fosero ostili a tutta la sinonimia non toscana e dunque dialettale.
Quando l’italiano-toscano letterario si è cominciato ad affermare sugli altri volgari regrediti allo stato dialetti, è spuntato anche l’orrore per i sinonimi da parte di molti autori, soprattutto chi non era toscano e non sapeva quali parole utilizzare in italiano, di fronte al pullulare delle varianti. Il massimo esponente di questa corrente fu Manzoni, ossessionato dai doppioni che erano un male da cui liberarsi facendo piazza pulita di tutte le forme non fiorentine; visto che voleva creare un modello di italiano unitario che ancora non c’era, i sinonimi erano per lui un problema. Negli stessi anni invece Tommaseo pubblicava il primo dizionario dei sinonimi organico, perché li considerava una ricchezza, e i due autori non avevano affatto la stessa visione della lingua. In epoca moderna Gadda — teorico del polimorfismo — li considerava preziosi (“I doppioni li voglio, tutti, per mania di possesso e per cupidigia di ricchezze: e voglio anche i triploni, e i quadruploni”). L’idiosincrasia per i sinonimi è invece tipica di chi ha una concezione della lingua solo come strumento di comunicazione, e dunque un po’ meccanica, e di solito questa linea è diffusa tra gli autori anglofoni. L’idea che il lessico sia da ridurre alla terminologia, una sola parola univoca per ogni cosa/concetto è tuttavia molto lontana dall’italiano, la cui bellezza sta anche nelle varietà. Anche perché la lingua è metafora, e nella letteratura in gioco non c’è solo la comprensibilità, ma l’espressività e il saper evocare. Non mi pare che i consigli di King siano utili esportati dal contesto anglofilo e applicati alla lingua italiana, che è storiamente e strutturalmente molto diversa. Chi segue questa filosofia rischia di produrre testi stereotipati, piatti, privi della creatività personale che si basa anche sulla scelta delle parole e dei sinonimi, con tutte le accezioni che evocano. Le ripetizioni meccaniche della stessa forma è noia, ed è tipica del linguaggio tecnico, del burocatichese e in fin dei conti anche dell’antilinngua, più che della lingua.
Daniele Imperi
Leggendo d’Annunzio ho riscontrato questo polimorfismo e mi ero chiesto perché in una stessa opera fosse presente.
Concordo nel modo più assoluto sulla varietà della nostra lingua.
Riguardo a King anche ti do ragione; qualcuno dovrebbe fare una prova: leggere un romanzo di King e poi uno di d’Annunzio. L’effetto spiazzerà. E a me King piace, sia chiaro.
Franco Battaglia
Adoro King ma resto e rimarrò un ricercatore quasi al limite della compulsività di sinonimi, cerco di creare armonia discorsiva e, a volte, una parola perfettamente adatta per significato e senso comunque stride con quelle attorno. Accade. In quel caso trovo giustidficato la ricerca di un rimpiazzo.
Daniele Imperi
Sono d’accordo, pur piacendomi King – sto cercando di leggere tutte le sue opere – anche io continuerò a cercare fra i sinonimi la parola più adatta. Ma forse il suo discorso vale per la lingua inglese.
vonMoltke
King è scrittore commerciale, si capisce come abbisogni di una lingua “povera”, che renda la lettura il più scorrevole possibile per il più vasto pubblico possibile. Mira a vendere più copie, non a rivoluzionare la lingua. Ci credo che in D’Annunzio la varietà di termini sinonimi colpisca. Anche senza il confronto col Re (ma ‘dde che?)
Daniele Imperi
Vero anche questo: King deve rivolgersi alla massa, quindi non ha interesse a creare un linguaggio “alto”. La sua idea si sposa con quella di Asimov, che disse di preferire una scrittura semplice per poter scrivere più velocemente.
Il Re dell’Orrore