Condanna

Un racconto di 300 parole

Non aveva mai accettato quella condanna. D’altronde, chi mai avrebbe potuto? Dopo due anni trascorsi nel braccio della morte, l’alba del suo ultimo giorno era finalmente giunta.

La sera prima aveva ricevuto il suo ultimo pasto, una cena a base di arrosto e patate, birra e un dolce. Ma non aveva toccato cibo. Quando la guardia carceraria gli aveva portato il vassoio, l’uomo lo aveva scaraventato sul muro, urlando di lasciarlo uscire, urlando la sua innocenza, urlando la sua rabbia.

Che fosse innocente non c’erano dubbi. Non aveva ammazzato quella coppia che si era appartata in auto nella periferia della città. Quel giorno aveva perfino un alibi, una ricevuta fiscale di un acquisto fatto a ben trecento miglia di distanza. Perché il giudice e la corte non avessero voluto tenerne conto, restava un mistero.

La polizia gli aveva trovato in casa alcuni indumenti intimi della donna stuprata e sgozzata nell’auto. Indumenti che l’uomo aveva visto per la prima volta nella sua abitazione, subito dopo la perquisizione degli agenti.

Il processo si era concluso con una sentenza di morte.

E, infine, i due anni erano passati. L’uomo appariva molto più vecchio di quando fosse entrato, come se avesse trascorso parecchi più anni in quel carcere.

Le guardie che lo scortarono al patibolo dovettero faticare non poco. L’uomo non era deciso a arrendersi facilmente. Occorsero quattro persone per mettergli il cappio al collo.

Il suo respiro si fece pesante, sotto il cappuccio nero. Quindi la botola si aprì.

Un salto nel vuoto. Quella repentina sensazione di leggerezza…

La corda si tese in uno strappo finale.

La gola si strinse e sembrò gonfiarsi all’infinito.

Scalciò per qualche minuto, il corpo che dondolava in preda a un tremito febbrile, mentre un rivolo di urina gocciolava sul pavimento bianco della sala.

Nell’indifferenza del pubblico morì.

8 Commenti

  1. Luigi Leonardi
    domenica, 18 Marzo 2012 alle 12:33 Rispondi

    Ciao Daniele,
    questo racconto sembra una specie di “soggetto” che varrebbe la pena sviluppare.
    Ma io penso che lasciato così rappresenti un inno dell’indifferenza umana.

  2. Romina
    lunedì, 19 Marzo 2012 alle 0:29 Rispondi

    A me ha ricordato un po’ un mistro tra il “Miglio verde” (lì però si parlava di sedia elettrica) e una delle scene finali di “Changeling”. Di entrambi ho visto solo i film, ma, dato che sono tra i film più belli che ho visto negli ultimi anni, direi che il tuo racconto mi ha fatto proprio una bella impressione!

  3. Daniele Imperi
    lunedì, 19 Marzo 2012 alle 9:09 Rispondi

    @Luigi: sì, meglio lasciarlo così, anche se qualcuno dei racconti di 300 parole in futuro mi piacerebbe svilupparlo.

    @Romina: non ricordo Changeling. Grazie :)

  4. Romina
    giovedì, 22 Marzo 2012 alle 22:05 Rispondi

    Si tratta di un film recente: è del 2008.

  5. Margherita
    sabato, 24 Marzo 2012 alle 16:49 Rispondi

    Ciao Daniele.
    E’ veramente una scena d’ingiustizia a cui non dai il tempo di prepararci data la brevità. E questa crudeltà verso il lettore pareggia il conto con la crudeltà verso il protagonista.
    Un pugno nello stomaco efficace. Leggerò altri tuoi racconti.

    Ps: io sostituirei con “l’aveva scaraventata sul muro”. Si parla della guardia carceraria, credo si capisca meglio.

  6. Daniele Imperi
    sabato, 24 Marzo 2012 alle 17:09 Rispondi

    Grazie, Margherita. Il detenuto scaraventa sul muro il vassoio, non la guardia :)

  7. Margherita
    sabato, 24 Marzo 2012 alle 17:40 Rispondi

    Daniele Imperi,

    Rileggo e… Pardon. Non so perchè ma l’immagine che mi ero fatta in testa era leggermente più violenta… ;-)

  8. Klesk
    martedì, 10 Dicembre 2013 alle 22:26 Rispondi

    Terribile essere giustiziati pur essendo innocenti!

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