Condanna del diminutivo

Usi e abusi del diminutivo nella scrittura (e nel parlato)

Condanna del diminutivo

I diminutivi, specialmente nella lingua parlata, sono molto frequenti. Quanto sono davvero utili?

Che cos’è un diminutivo e quando e perché dovremmo usarlo?

Oggi si abusa anche del diminutivo: la lingua italiana sta accumulando abusi su abusi di parole, tanto che viene da pensare che si stia perdendo una certa eleganza nella scrittura – e nel parlato – che caratterizza l’italiano.

Il diminutivo, lo dice il termine stesso, diminuisce un sostantivo, un aggettivo e anche un verbo per indicarne una ridotta dimensione o quantità o per assegnargli un valore affettivo.

Ecco che non si canta, ma si canticchia; non si abita in una villa, ma in una villetta o in un villino; non si indossa un abito, ma un abituccio (come lo chiamava sempre mia nonna).

In alcuni casi i diminutivi sono più che necessari: da bambino (ecco un altro diminutivo: da bambo) giocavo con soldatini e macchinette, rappresentazione in miniatura di soldati e automobili.

Come si ottiene il diminutivo?

Grazie a una serie di suffissi, detti appunto diminutivi, trasformiamo un termine ottenendone il diminutivo:

  • -ello: paesello, vinello
  • -etto: vecchietto, casetta
  • -icciolo: muricciolo, porticciolo
  • -iciattolo: fiumiciattolo, vermiciattolo
  • -ino: bruttino, bellino
  • -ottolo: viottolo, nanerottolo
  • -uccio: cantuccio, femminuccia
  • -ucolo: avvocatucolo, dottorucolo
  • -(u)olo: figli(u)olo, absidiola
  • -uzzo: pagliuzza, viuzza

Il paesello indica un piccolo paese, mentre il vinello fa pensare a un vino non di alta qualità; il vecchietto è un anziano simpatico o di piccola corporatura, la casetta è ovviamente piccola, ma anche allo stesso tempo la “dolce casa” in cui si vive.

Il fiumiciattolo dà l’idea di un piccolo corso d’acqua, ma anche non proprio limpida, mentre il vermiciattolo allontana dal piccolo invertebrato la sua natura ripugnante; l’avvocatucolo è senz’altro peggio dell’Azzeccagarbugli manzoniano, mentre femminuccia è spesso usato come dispregiativo sugli uomini.

Anche in altri casi il diminutivo è dispregiativo: “I mezzucci usati dal governo per estorcere denaro al popolo”.

Di certo non possiamo scrivere che “Un vecchietto bruttino sedeva sul muricciolo della viuzza del suo paesello, sorseggiando un vinello da una bottiglietta, cullato dal rumore del fiumiciattolo che scorreva vicino”, incurante della pioggerella che cadeva”.

È facile incorrere nell’abuso di diminutivi.

Vezzeggiativi

Si usano spesso fra innamorati (o fidanzatini) e in ambito familiare e personalmente non li ho mai sopportati:

  • amoruccio
  • boccuccia
  • cucciolotto
  • micino
  • passerotta
  • sorellina
  • tesoruccio

Mi fermo qui, prima di sentirmi male. Non li vedo propri del linguaggio da adulti.

Talvolta i vezzeggiativi vogliono invece attenuare la gravità del termine: “Il posto è lontanuccio”: non lontano, che spaventerebbe. Ma è distante sempre 500 chilometri!

Diminutivi di uso comune (da evitare)

Con il tempo si sono affermati nel linguaggio parlato alcuni diminutivi, che ho sempre trovato fastidiosi.

  • Attimino: “Un attimino e ho finito”. Significa attendere almeno un quarto d’ora.
  • Birretta: “Ci facciamo una birretta?”. Fattela tu, io mi bevo una birra. Birretta in che senso? Una “piccola” (0,2 litri)? O di sottomarca? O per non dare l’idea di essere alcolizzati o birromani?
  • Caffettuccio: “Prendo un caffettuccio e torno”. Cioè un caffè ristretto? Oppure che ci impieghi un minuto? Beviti un caffè e basta!
  • Caruccetta: “È proprio caruccetta quella ragazza”. Non è bella, ma neanche carina. Non è nemmeno brutta. Insomma, com’è?
  • Lavoretto: “Dovresti fare un lavoretto”. Il che significa 2 cose: o si tratta di un lavoraccio, cioè pesante, o di un lavoro sottopagato, se non gratis.
  • Minutino: “Mi aspetti un minutino?”. Come per l’attimino, il minutino non dura 60 secondi, ma sempre di più, mai di meno. Minutino si usa per non dire qualche minuto, che spazientirebbe un maniaco della puntualità come me.
  • Negozietto: “All’angolo c’è un bel negozietto di fiori”. In questo caso è sì piccolo, ma anche ben fornito.
  • Oretta: “Ci vediamo fra un’oretta”. Cioè fra quanto? 50 minuti? 55? 57? Di solito l’oretta supera i 60 minuti.
  • Pochettino: “Devi studiare un pochettino di più”. Anche qui si vuol attenuare la svogliatezza dello studente, esortandolo a studiare meglio. “Studiare di più” l’avrebbe magari mortificato.

In tutti questi casi il diminutivo è soltanto una tendenza, non una necessità. Vi si ricorre perché altri, prima, l’hanno usato. Sono diminutivi entrati a forza nel linguaggio di uso comune, che non trovano alcuna giustificazione.

Insomma: quando e perché usare il diminutivo? Mi viene da rispondere: mai! Anzi, alla prossima ed ennesima rilettura del mio saggio voglio controllare se ne ho usato qualcuno, per sopprimerlo senza pietà.

Condanna del diminutivo, per me: è segno di scrittura pigra, non originale, scrittura e linguaggio di massa, per nulla elegante né professionale.

Quanti di voi, invece, usano il diminutivo e quanto?

8 Commenti

  1. Corrado S. Magro
    giovedì, 9 Dicembre 2021 alle 11:05 Rispondi

    L’Accademia della Crusca non condanna i diminuitivi se non sono artficiosi o melensi: casetta, villino, bambino (beh chiamarlo bambo mi riporta a uno spacchioso elefante volante) sono termini del tutto plausibili e integrati da tempo nell’italiano. Direi che il problema sta nell’uso che ne facciamo e nel contesto. “La casetta in cima al colle” rende l’idea di una costruzione modesta in un luogo solitario da raggiungere magari con fatica. Se invece dico: “il fiumiciattolo sulle cui rive i bimbetti calpestando l’erbetta degli argini bagnano i piedini”, è evidente che il mal di pancia del povero lettore è dietro l’angolo. I vezzeggiativi che fra l’altro, sebbene corretti, hanno marcato alcuni momenti del passato, necessitano il contagocce. La parsimonia, in tutti i sensi, è una virtù. Vale sempre il vecchio detto: In medio stat virtus!

    • Daniele Imperi
      giovedì, 9 Dicembre 2021 alle 14:06 Rispondi

      Quei 3 diminutivi che citi infatti si usano spesso, da evitare invece tutti insieme.

  2. Orsa
    giovedì, 9 Dicembre 2021 alle 13:43 Rispondi

    Nel linguaggio corrente spesso mi scappano vicoletto, ristorantino, borghetto… ma è con i gatti che mi supero con i peggiori vezzeggiativi, roba da neuro :P Nel caso inverso ci sono sostantivi che con l’accrescitivo si sono trasformati in termini definitivi, mi viene in mente maglione (da maglia) o pallone (da palla).
    L’eccessivo miele disgusta anche me, ma nell’intimità di una coppia (anche adulta) non c’è niente da sentirsi male nell’uso di parole alterate soltanto per palesare tenerezza e affetto.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 9 Dicembre 2021 alle 14:08 Rispondi

      Diciamo che con i gatti i vezzeggiativi si concedono :D
      Da palla anche pallina, come pallina da tennis o da ping pong o da golf.
      Nell’intimità di una coppia adulta continuo a bocciarli :)

  3. Franco Battaglia
    venerdì, 10 Dicembre 2021 alle 10:14 Rispondi

    Attimino odiato da sempre. Per altri, che utilizzo, mi appello al carattere poetico (viottolo, porticciolo, viuzza) che sono sopportabili a seconda degli ambiti. Tutto sommato una campagna velleitaria la tua, considerando anche che per la maggior parte, il ricorso a certi diminutivi, è un’abitudine – seppur deprecabile – soprattutto orale.

    • Daniele Imperi
      venerdì, 10 Dicembre 2021 alle 10:23 Rispondi

      Viottolo, porticciolo, viuzza suonano poetici, vero, ma anche propri del linguaggio dei classici.
      Non voleva essere una campagna, ma solo uno stimolo per “diminuire” l’uso dei diminutivi.

  4. Grazia Gironella
    sabato, 11 Dicembre 2021 alle 20:05 Rispondi

    Scrittura pigra credo sia la diagnosi esatta. In un dialogo i diminutivi possono starci, visto che nel parlato esistono, ma senza esagerare; altrove si può fare di meglio, salvo eccezioni.

    • Daniele Imperi
      domenica, 12 Dicembre 2021 alle 7:28 Rispondi

      Sono d’accordo, sui dialoghi li rendono realistici, ma dipende anche dal genere di romanzo. In un romanzo storico, per esempio, attimino e caffettuccio suonano strani…

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