La comodità dei cliché

La comodità dei cliché

Abbiamo sentito tutti parlare dei cliché. Anni fa scrissi un articolo sui cliché del fantasy, ma a pensarci bene non è l’unico genere letterario in cui abbondino. Anzi, sono presenti ovunque, in letteratura e in cinematografia.

Un cliché non è limitato al linguaggio – frasi fatte, espressioni abusate, ecc. – ma investe ogni aspetto della scrittura creativa, dalle scene alla caratterizzazione dei personaggi.

Qualcuno, prima di noi, ha usato quella frase, ha creato quel personaggio, ha risolto in quel modo quella situazione. Successivamente, altri hanno copiato quella frase, quel personaggio, quella risoluzione e altri ancora hanno seguito quell’esempio.

Sono così nati i cliché. E non sono ancora morti.

Esempi di cliché cinematografici

Faccio alcuni esempi di cliché presenti nel cinema americano, che danno comunque un’idea di quanto sia forte la sensazione di guardare qualcosa di già visto e rivisto:

  • Un personaggio dice a un altro di aver perso la moglie o il marito o un figlio e l’altro risponde “Mi dispiace”. D’accordo che la notizia non possa far piacere, ma io ormai da anni indovino quella risposta.
  • Il belloccio del film conosce la belloccia del film e nella scena successiva sono a casa di lei a strapparsi con foga i vestiti di dosso.
  • Il duro della situazione che per curare il mal di testa ingolla una manciata di pillole – gli americani hanno pillole sempre a portata di mano – buttandole giù con mezzo bicchiere di whisky.

Quante volte abbiamo visto queste scene al cinema o in televisione? Tante. Troppe.

I cliché sono una comodità

Nella scrittura creativa, come in quella cinematografica, i cliché sono di fatto una comodità, perché sollevano gli autori da un lungo e pesante lavoro: quello di ricercare e studiare frasi, espressioni, scene, personalità migliori, originali.

La narrativa e la cinematografia dell’orrore, per esempio, sono piene di cliché:

  • Il personaggio che vuole scappare dall’entità malefica in auto, ma l’auto non parte.
  • La ragazza terrorizzata da una presenza maligna che scende in cantina al buio.
  • Il cellulare è scarico proprio quando si deve chiamare aiuto.
  • Scappare a piedi da un’auto che ti insegue restando sulla strada, anziché deviare.

Scene abusate, che continueremo a vedere nei film dell’orrore.

I cliché influenzano la qualità della storia

Un cliché genera nei lettori, come negli spettatori, un déjà-vu, qualcosa di già visto, di già letto, di conosciuto, di fin troppo familiare.

Due sono i grandi aspetti negativi nell’uso dei cliché:

  1. Pigrizia: scrittori che usano cliché nelle loro storie sono visti come scrittori pigri, perché non si sono sforzati a cercare alternative – e le alternative esistono, basta cercarle, studiando a fondo la propria storia e il mondo che abbiamo creato. Chi scrive, soprattutto chi scrive storie, non può essere pigro, ma deve ricercare sempre l’innovazione, invece di affidarsi alle idee altrui.
  2. Superficialità: una storia con cliché – che siano frasi o espressioni, tipologie di personaggi, scene – dà ai lettori la sensazione di una scrittura superficiale, perché l’autore ha preferito ricorrere a qualcosa di già visto – che altrove ha funzionato – anziché andare in profondità e scrivere frasi originali, sviluppare scene non viste, creare personaggi unici. Ha preferito semplificare il proprio lavoro.

Perché evitare i cliché?

Il nostro primo obiettivo è offrire ai lettori storie che riflettano la nostra visione del mondo. Non importa il genere narrativo di cui ci occupiamo: che sia il poliziesco, la fantascienza, l’orrore, la narrativa non di genere, una storia rappresenta il mondo come lo vediamo noi.

Non importa neanche che le nostre siano storie di puro intrattenimento o impegnate: danno comunque ai lettori un’immagine di noi, di come pensiamo, di come ci esprimiamo, di ciò che siamo.

L’uso di cliché spersonalizza gli autori, perché li rende prevedibili. I lettori sanno già cosa aspettarsi e chiudono il libro senza quella piacevole sensazione di aver letto qualcosa di nuovo, di aver conosciuto un autore differente. Una voce differente.

I cliché si possono evitare – e si devono evitare. E per farlo c’è un solo modo: pensare e ripensare, ricercare e studiare finché non abbiamo raggiunto l’originalità, il nuovo, il non visto.

7 Commenti

  1. Orsa
    giovedì, 14 Marzo 2024 alle 11:32 Rispondi

    Ah la mia preferita è: “Dividiamoci”. Hai fatto caso inoltre che la prima a schiattare nei film horror è sempre una donzella bionda e scema? Secondo me sono stereotipi voluti, oggi non è più pigrizia ma mero folklore :P

    • Daniele Imperi
      giovedì, 14 Marzo 2024 alle 11:35 Rispondi

      Nel libro che sto leggendo, “Story”, Robert McKlee ha fatto proprio l’esempio del gruppo che si divide nei film dell’orrore, una cosa assolutamente da non fare :D
      La ragazza scema c’è sempre in quei film: è il personaggio da sacrificare.

  2. Luciano Cupioli
    venerdì, 15 Marzo 2024 alle 20:14 Rispondi

    Un cliché è anche l’uso dello stesso cliché per creare un colpo di scena. Quando ti aspetti che succeda una certa cosa, come da cliché, succede l’esatto contrario. Lo chiamerei “antcliche'”, ma sempre di cliché si tratta, ed è semore una strada comoda da percorrere, che però lascia il lettore insoddisfatto.. per scrivere cose che funzionino occorre impegno, un’attitudine sempre meno presente in chi cerca la strada facile per arrivare in fondo.

    • Daniele Imperi
      lunedì, 18 Marzo 2024 alle 8:08 Rispondi

      Non mi vengono in mente esempi di “antcliché”, ma ho capito che intendi e sono d’accordo.

  3. Marco
    domenica, 24 Marzo 2024 alle 19:30 Rispondi

    Allora ti darò letteralmente la wiki dei clichè, o meglio dei “tropes” https://tvtropes.org/ come dice la stessa wiki “tropes are tools” che possono essere modificati,invertiti, far credere che è quel tropes e invece è un’altro. e come dice la stessa wiki “un tropes ben fatto sarà sempre ben accetto, un tropes mal fatto lo vedrai a km da distanza”

  4. vonMoltke
    sabato, 4 Maggio 2024 alle 22:11 Rispondi

    Sfondi una porta aperta: da appassionato (a periodi) di film dell’orrore, demolisco film su film in cui si abusa dei cliché più lisi come se si facesse conto sulla stupidità dello spettatore.
    Accetto i cliché solo nel caso in cui ci si giochi, o per prenderli volutamente in giro (i primi “Scary Movie” erano geniali proprio per quello), oppure per rovesciarli, servendo allo spettatore l’esatto contrario (o comunque un esito differente e spiazzante). Io stesso ho scritto un romanzo di fantascienza sulla macchina del tempo in cui gioco coi cliché servendo ai miei quattro lettori esiti inattesi. E infatti i miei lettori più convenzionali ci sono rimasti male. Ma io mi ci sono divertito un mondo…

    • Daniele Imperi
      lunedì, 6 Maggio 2024 alle 8:06 Rispondi

      “Scary Movie” non m’è piaciuto, perché non amo i film con quel tipo di comicità, però era una grande presa in giro di certi film.

Lasciami la tua opinione

Nome e email devono essere reali. Se usi un nickname, dall'email o dal sito si deve risalire al nome. Commenti anonimi non saranno approvati.