Scrivi di ciò che conosci

Scrivi di ciò che conosci

Conosciamo tutti la frase “scrivi di ciò che conosci”: è uno dei tanti, inutili consigli sulla scrittura creativa che girano da anni e che di solito si danno agli scrittori in erba.

Quanti di voi hanno mai seguito questo consiglio? Io mai.

Se pensiamo alla scrittura come a una forma d’arte, allora non è diversa da altre forme d’arte.

  • Per fare musica occorre conoscere le note musicali e studiare uno o più strumenti musicali.
  • Per dipingere bisogna conoscere le tecniche di pittura (i colori a olio si usano diversamente dagli acquerelli, per esempio).
  • Per scolpire si deve conoscere la materia da usare (il marmo richiede una tecnica diversa dalla creta, per esempio).

Fermiamoci qui. Non notate nulla?

Che cosa occorre per scrivere? Occorre conoscere la propria lingua, la grammatica e le tecniche narrative.

Per la musica, la pittura, la scultura non sono richieste conoscenze e esperienze sui prodotti da creare, ma soltanto la padronanza del mezzo.

Ecco perché la frase “Scrivi di ciò che conosci” è un consiglio inutile. Ma soprattutto è un consiglio che limita enormemente la nostra libertà creativa.

Scrivere di ciò che si conosce è un limite

Se davvero dovessimo scrivere soltanto di ciò che conosciamo, di cui abbiamo diretta esperienza, che cosa mai potremmo scrivere?

Se tutti gli scrittori, dalle origini a oggi, avessero seguito questo consiglio, oggi non esisterebbe la fantascienza: nessuno ha una macchina del tempo per andare nel futuro né un’astronave che possa raggiungere i confini dell’Universo.

Non esisterebbe il genere fantastico, perché gnomi, elfi, sirene, driadi, magia, silfi, troll, giganti, unicorni, draghi, orchi, folletti e tutte le altre creature leggendarie, fantastiche, non esistono.

Non esisterebbe il poliziesco: quanti poliziotti sono diventati scrittori?

Non esisterebbe il romanzo storico: non c’era nessuno a “quei tempi” né nessuno ha la macchina del tempo per andare nel passato.

Non esisterebbero le storie dell’orrore, perché fantasmi, spiriti, demoni, creature del male, zombi, vampiri, lupi mannari, ecc. non esistono.

Non esisterebbe il genere avventura: quanti avventurieri sono diventati scrittori? Chi è tornato indietro nel tempo per scrivere di pirati e bucanieri?

In breve: quanta letteratura avremmo perso? Non avremmo avuto romanzi come Frankenstein, Dracula, opere come l’Iliade e l’Odissea, e poi Zorro, Il mago di Oz, I viaggi di Gulliver, Tarzan, Il nome della rosa, Il Signore degli anelli, It e tanti altri, troppi da poter inserirli tutti.

Per fortuna nessuno di quegli autori si è mai preoccupato di scrivere di ciò che conosceva.

“Scrivi di ciò che conosci”: la parola agli scrittori famosi

Alcuni autori moderni, nomi conosciuti, hanno detto la loro su questo inutile consiglio.

Ursula K. Le Guin era una scrittrice di fantascienza e di fantasy. Ha scritto, parole sue, di “paesi immaginari, società aliene su altri pianeti, draghi, maghi”, perché conosceva quelle cose e meglio di chiunque altro. Li conosceva “attraverso l’immaginazione lavorando sull’osservazione”.

Questo è un grande consiglio di scrittura: osservare il mondo che ci circonda e poi lavorare di immaginazione.

Un consiglio simile viene da Ernest Hemingway: “Inventa partendo da ciò che sai”.

Secondo Raymond Carver, “Scrivere di ciò che sai è pericoloso”. Raccontare di se stessi, dei propri segreti finirà per produrre libri troppo autobiografici. Per Carver gli ingredienti di una buona storia sono “un po’ di autobiografia e molta immaginazione”.

Lee Child dice invece “Scrivi quello che senti” e pensa che sia un pessimo consiglio scrivere di ciò che conosciamo. Sono pochi gli scrittori in grado di creare storie emozionanti basandosi su ciò che conoscono.

Di cosa dobbiamo scrivere, allora?

Di quello che ci pare, mi viene da rispondere. Possiamo prendere alcune parole magiche tratte dai consigli dei su menzionati scrittori:

  • Immaginazione (Le Guin e Carver)
  • Osservazione (Le Guin)
  • Inventare (Hemingway)
  • Autobiografia (Carver)
  • Sentire (Child)

In ogni opera, in ogni romanzo, c’è sempre qualcosa di autobiografico. Ma soprattutto c’è l’osservazione – intesa come osservazione diretta del mondo, ma anche come documentazione e informazione – e c’è tanta immaginazione e anche invenzione.

È stato Lee Child a offrire la parola più magica di tutte: sentire.

E questa parola ha un solo, grande significato: scriviamo di ciò che ci fa sentire bene, di ciò che ci fa sentire davvero scrittori, di ciò che ci fa sentire che stiamo creando una buona storia.

Non dobbiamo scrivere di ciò che conosciamo, ma di ciò che sentiamo nascere dentro di noi.

15 Commenti

  1. Franco Battaglia
    giovedì, 28 Settembre 2023 alle 8:54 Rispondi

    Scrivo praticamente tutto di fantasia.. è quello che mi viene meglio e sento di più, perché sogno molto e immagino altrettanto e, punto da non sottovalutare, ho una pessima memoria, quindi molta difficoltà a rievocare, ricordare, mettere a fuoco interi periodi di vita.. giocoforza, a questo punto, inventare di sana pianta.. ;)

    • Daniele Imperi
      giovedì, 28 Settembre 2023 alle 12:38 Rispondi

      Anche io sogno molto e immagino altrettanto, ma sarebbe strano il contrario per chi scrive. Per scrivere storie non devi per forza “rievocare, ricordare, mettere a fuoco interi periodi di vita”.

  2. Orsa
    giovedì, 28 Settembre 2023 alle 10:16 Rispondi

    Appena ho letto il titolo, intuendo l’argomento, mi è subito venuto in mente Salgari. Lui sì che ha “sentito” ciò di cui scrivere! Pensa che ironia, ho letto da qualche parte che sotto le finestre dell’appartamento in cui viveva ora c’è un’agenzia di viaggi.
    Un giorno citeranno anche te e la tua riflessione finale :)

    • Daniele Imperi
      giovedì, 28 Settembre 2023 alle 12:40 Rispondi

      Salgari è un ottimo esempio sul fatto che si possa scrivere storie senza averne vissuto le vicende.
      L’agenzia di viaggi sotto casa Salgari è una chicca!
      Se mi citeranno, tanto di guadagnato :)

  3. Corrado S. Magro
    giovedì, 28 Settembre 2023 alle 10:19 Rispondi

    La penso un tantino diversamente. Il tocco di magia sta nella capacità di scrivere di mondi e personaggi inverosimili rendendoli verosimili, che lettori e lettrici fanno propri. Indicare dell’indice lo scrivere di ciò che conosci? Senza generalizzare, se ambiento il mio giallo a Los Angeles o Pechino, digiuno di ogni conoscenza di queste metropoli, il rischio di cadere nel ridicolo è tanto. “Il nome della Rosa” p.es. è costruito su qualcosa di concreto. Nessuno, senza riflettere, osa mettere in dubbio la planimetria del convento e i suoi personaggi. Sono immagini ancorate nel nostro IO, nella nostra eredità storica conscia o inconscia. Sono verosimili. E saltando nel mondo di Harry Potter, ecco la sfida guadagnata dall’autrice: il ragazzino in noi ci fa rivivere mondi adolescenziali, lapislazzuli caduti dalle tasche bucate delle brache della fantasia, di un mondo che ci siamo lasciati dietro o in cui, riferito ad altri scrittori, potremmo imbatterci.

    • Silvia
      giovedì, 28 Settembre 2023 alle 12:28 Rispondi

      Sono d’accordo con Corrado. Secondo me, “scrivi di ciò che conosci” non vuol dire che non puoi scrivere di ciò che non conosci, ma prima devi metterti nelle condizioni di conoscere, fosse anche solo con la fantasia. L’errore di molti esordienti è di “immaginare” sulla base di un’idea personale determinati elementi (da come è fatta una città a come si gioca a polo) senza verificare che effettivamente sia così o che possa essere verosimile.
      Puoi scrivere un romanzo che ha per protagonista un giocatore di polo, ma perché sia verosimile dovrai informarti adeguatamente. Altrimenti, se non lo vuoi/puoi fare, fai prima a scegliere come protagonista un giocatore di calcio, se tutte le domeniche vai allo stadio.
      Stessa cosa vale per i mondi immaginari: Tolkien ha inventato il Sindarin, ma si è basato sullo studio del gaelico, non ha messo dei suoni a caso.

      • Daniele Imperi
        giovedì, 28 Settembre 2023 alle 12:47 Rispondi

        La mancanza di documentazione, quando si scrive una storia, è fatale: ma molti, specie alle prime armi, commettono questo errore, come ai tempi lo commisi io. Nell’articolo, infatti, ho scritto che sono necessarie documentazione e informazione.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 28 Settembre 2023 alle 12:43 Rispondi

      D’accordo sulla capacità di rendere verosimile tutto ciò che appare inverosimile in una storia.
      Ambientare gialli all’estero, senza essere stati in quei posti, è difficilissimo, se vuoi creare una storia realistica e soprattutto veritiera.
      Harry Potter è fantasia, ma allo stesso tempo parla di scuola, di rapporti fra insegnati e alunni e fra alunni e alunni.

  4. Fabio Amadei
    giovedì, 28 Settembre 2023 alle 12:31 Rispondi

    Ciao Daniele,
    condivido in pieno quello che hai scritto. Il tuo post mi ricorda quello che disse la mia insegnante di scrittura creativa circa sette anni fa.
    In aula lei aveva letto i nostri racconti brevi. Io parlavo del volontariato che avevo fatto da giovane insieme a un mio amico a Birmingham, in Inghilterra. Io e lui, in questo centro per i senza tetto, avevamo lavato, profumato, e rimesso a nuovo un barbone della zona. Il tizio, immerso nella vasca da bagno, ci sgusciava tra le mani come un’anguilla divertendosi a fare le bolle di sapone con il naso e la bocca. L’insegnante aveva esclamato: «Si è capito subito che hai vissuto quanto descrivi. La storia è più credibile quando conosciamo ciò di cui trattiamo». Forse in quel caso c’entrava anche l’esperienza personale.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 28 Settembre 2023 alle 12:51 Rispondi

      Ciao Fabio,
      per alcune storie l’esperienza personale è una sorta di documentazione: ripeschi dalla memoria, dal tuo passato, alcune vicende che hai vissuto e la storia diviene realistica per chi legge, proprio in virtù di alcuni dettagli come quelli che hai descritto.

  5. Serena
    sabato, 30 Settembre 2023 alle 12:54 Rispondi

    Eccomi qua! Come autrice di due romanzi ambientati in un parco nazionale americano + città universitaria americana, mi sentivo un filino tirata per i capelli nella discussione :) Direi che si può tranquillamente scrivere di qualcosa di cui non si è fatta esperienza diretta, ma non di qualcosa che non si conosce in qualche modo. Fino a Pechino ci sono arrivata, in America mai; ma se parlo dell’odore del bosco, della luce che si colora di verde, dei fruscii, del canto degli uccelli, trattandosi di due foreste dell’emisfero nord il rischio di scrivere ca**ate era abbastanza ridotto. Mi documentai molto, comunque, sulle piante da citare, ancora di più sulle abitudini dei lupi e più ancora sui nativi americani. “Buck” ha 238 tra valutazioni e recensioni e nessuno mi ha scritto “si vede benissimo che non ci sei mai stata”. Anzi, magari il contrario. Invece qualcuno ha scritto “non capirò mai perché un’autrice italiana scrive una storia ambientata in America”, leggere per credere, ma è una considerazione che mi fa sorridere.
    Altra storia è quando il luogo deve essere il vero protagonista della narrazione, e gli altri personaggi/intrecci sono un pretesto. Non mi azzarderei mai a scrivere una storia con una forte connotazione diciamo così ambientale senza aver vissuto sul posto almeno un po’.

    • Daniele Imperi
      lunedì, 2 Ottobre 2023 alle 9:18 Rispondi

      Eccoti qua! D’accordo sulla documentazione, ma c’è un altro problema da risolvere: il modo di parlare e di comportarsi. In quel caso, secondo me, bisogna trovare dei lettori beta di paesi di cui vogliamo scrivere e chiedere di leggere il manoscritto e soprattutto i dialoghi, per capire se sembrano realistici e veritieri.

      • Serena
        lunedì, 9 Ottobre 2023 alle 18:43 Rispondi

        Giusto!!! Santissimi lettori beta, indispensabili in questo caso più che mai

  6. Barbara
    lunedì, 2 Ottobre 2023 alle 12:38 Rispondi

    Concordo con Corrado, Silvia e Serena. “Scrivi di ciò che conosci” non è imperativo sull’avere un’esperienza diretta, però devi conoscere senz’altro la materia. Come dici tu: documentazione e informazione. Anche la fantasia e l’immaginazione nell’Uomo sono relativi: sia nelle creature magiche del fantasy che negli alieni della fantascienza, non arriviamo mai a immaginare qualcosa di completamente diverso dall’Uomo. E ci limitiamo pure nella fantasia, perché quando qualcuno s’è inventato i vampiri “vegetariani”, qualcun altro è insorto che i vampiri “quelli veri” (veri per chi? :D ) non si comportano in quel modo. Peccato che in quei romanzi ci fosse anche la spiegazione dell’assunto preso dall’autrice, che alla fine ha creato un mondo immaginario a sé, avendone tutto il diritto. In quanto agli extraterrestri, o abbiamo umanoidi o qualcosa che si rifà agli animali che conosciamo, per addizione o sottrazione, sia fisica che caratteriale. Semmai avremo davvero un incontro del terzo tipo, probabilmente questo scardinerà ogni previsione fatta. :D
    Allo “Scrivi di ciò che conosci” io preferisco il più ovvio “Scrivi ciò che vorresti leggere”. Nel senso che almeno deve piacere a noi. Sennò che scriviamo a fare?!

    • Daniele Imperi
      lunedì, 2 Ottobre 2023 alle 13:04 Rispondi

      Sì, certo, noi ragioniamo con il metro della nostra natura umana, quindi scrivendo di alieni potremmo sbagliare e prendere abbagli. Oppure, e questo ci mette al sicuro, abbiamo semplicemente descritto alieni diversi dai probabili di un incontro del terzo tipo :)
      Per il romanzo sui vampiri è sbagliato usare vegetariani, perché sempre sangue succhiavano quelli.
      Comunque, quando scrivi di un mondo immaginario – quindi fantastico o fantascienza – hai tutto il diritto di immaginare ciò che vuoi, restano però nella credibilità.
      “Scrivi ciò che vorresti leggere” è imperativo per gli scrittori. Su questo argomento è previsto un prossimo articolo, infatti.

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