Il gatto oltre la finestra

Chi attende fuori al freddo la notte di Natale?
Jolakottur

Quando aprì gli occhi, Vignir seppe di non aver sognato. La notte era fonda, il gelo straziava il paesaggio e il silenzio galleggiava su quel mondo bianco e cristallino. Il bambino tirò su le coperte, tremando, ma non seppe dire se per paura o per il freddo.

Si alitò sulle mani, cercando una posizione comoda che non trovò. Attorno buio pesto. Il grido d’angoscia del vento che spingeva via i sogni verso i confini dell’oscurità. Il lento, costante ronfare dei genitori che non gli diede sicurezza.

Non riuscì a riprendere sonno. Si domandò cosa l’avesse svegliato, perché non poteva esser stata quella consapevolezza così istantanea, così annunciata.

I pensieri vagarono e Vignir ricordò.

Tutte le storie sentite negli ultimi giorni divennero d’un tratto realtà. Una realtà che l’attendeva fuori, dove l’intera valle del Mosfell riposava in quella notte solstiziale sotto strati di neve ghiacciata e terra di zolfo fumante.

E un nome, uno su tutti, apparve nella sua mente, gelido come le tenebre infinite della notte polare, un nome che parlava d’artigli e pelo ispido, di zanne affilate e occhi di spenta luce.

Jolakottur.

Il Gatto del Solstizio.

Quel nome, leggendario quanto mostruoso, non l’aveva più abbandonato dal giorno prima, quando il padre l’aveva rimproverato per la sua pigrizia. Vignir aveva riso, correndo libero sul terreno gelato, mentre gli altri bambini cardavano la lana. Lavorare in quei giorni non faceva per lui.

L’uomo aveva tentato d’acciuffarlo, ma era scivolato sul ghiaccio e Vignir, ora, rintanato nel letto, rivisse la scena, ma non la giudicò più così risibile come il giorno prima.

«Favole», aveva risposto quella mattina, quando il padre sbraitava contro di lui tentando di spaventarlo nominando lo jolakottur.

Eppure adesso, con gli occhi sbarrati nel buio della stanza, faticava a guardare oltre i vetri della finestra.

«Non c’è niente, là fuori», bisbigliò. «Niente.»

Parole che non gli infusero coraggio. Parole che svanirono senza neanche condensarsi in nuvole d’alito. «Non c’è niente, là fuori», ripeté.

È là fuori e aspetta.

La voce provenne da dentro di lui, da un subconscio che sapeva, che credeva, alle storie.

Storie, non leggende.

Vignir se ne convinse. Rivide nella mente i giorni di Jól degli anni passati, quando coppie di genitori lacrimanti chiamavano i nomi dei propri figli invano. Le loro voci che si dissolvevano per quelle lande di bianco accecante senza giungere ai destinatari. E quella volta che Vignir chiese, quella notte, ricordò il bambino, il padre accantonò la domanda con un gesto nervoso. La madre abbassò lo sguardo sul piatto di zuppa che fumava. Continuarono a mangiare in silenzio e il bambino non dormì, ripensando alle voci, ai lamenti nella notte che il vento portava sulle strade del villaggio, alle urla di disperazione.

Alle sedie vuote, che mai più furono riempite.

«Non c’è nessuno, là fuori», si disse. «Stanotte verranno gli jólasveinar e mi porteranno i dolci.»

Che cos’era stato, allora, a svegliarlo? Un rumore. O forse la fine d’un sogno. Eppure…

Non un rumore, ricordò Vignir. Era stato qualcos’altro. Qualcosa che aveva sentito, certo, qualcosa che veniva da fuori.

Un verso.

Tremendo, profondo, bestiale.

Felino.

Il bambino affondò la testa sotto le coperte. Non c’è nessuno, là fuori. Non c’è nessuno, là fuori. Non c’è nessuno, là fuori. Ripeté più volte quella frase sottovoce, nell’illusione che davvero non ci fosse nulla oltre la finestra, eccetto il bianco del Mosfell e le rocce innevate. E il vento malinconico e…

Jolakottur.

Il gatto che attende fuori. Il gatto venuto da chissà dove a divorare i piccoli, pigri e disobbedienti. Quelli come Vignir.

No, erano solo leggende. Favole, che la gente raccontava ai bambini per farli lavorare in quei giorni di festa. E a chi non avesse un abito nuovo, a chi non l’avesse ricevuto per aver cardato la lana, a chi come Vignir se n’era andato a correre, allora…

Un soffio d’aria gelida l’investì.

Vignir si strinse le coperte addosso, domandandosi da dove provenisse quel freddo. Era la paura, disse fra sé. Il terrore per il gatto che aspettava il momento giusto per spiccare il balzo ed entrare.

Fu allora che capì.

Il bambino si voltò d’istinto verso la finestra e…

Era aperta.

Fuori, il buio sembrava solido come le rocce del Dimmuborgir. Chi aveva aperto le imposte? Ricordava d’averle chiuse, come sempre. Il vento, allora. O…

Lentamente, Vignir si alzò, tenendo d’occhio le fauci oscure della notte, le orecchie tese a captare qualsiasi suono, qualsiasi verso.

Di nuovo.

Aveva fatto appena due passi sul pavimento quando lo sentì.

Rauco, sordo come un avvertimento ferino, spezzò il silenzio glaciale.

Una voce selvatica che sembrava chiamarlo. Che attendeva, là fuori nelle tenebre, al freddo. Venuto per lui, soltanto per lui, Vignir senza vestito, Vignir che non aveva lavorato, Vignir che aveva disobbedito.

E quella parola che emergeva ancora nella sua mente.

Jolakottur.

Vignir non riuscì neanche a gridare quando accadde.

 

Era mattina inoltrata quando suo padre andò a svegliarlo e trovò la stanza vuota.

E vide le orme.

Uno zampettare rosso sangue che dal letto si perdeva oltre la finestra spalancata.

25 Commenti

  1. Francesca
    mercoledì, 25 Dicembre 2013 alle 7:45 Rispondi

    Bel racconto :) Quando poi ci sono di mezzo i gatti, non si può sbagliare ;)

  2. Luciano Dal Pont
    mercoledì, 25 Dicembre 2013 alle 12:02 Rispondi

    Inquietante… :-/

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 25 Dicembre 2013 alle 12:11 Rispondi

      Ma è un raccontino natalizio, Luciano :D

      • Luciano Dal Pont
        mercoledì, 25 Dicembre 2013 alle 14:19 Rispondi

        Lo so, lo so, il mio commento era scherzoso, anche se in effetti il racconto mi lascia davvero un sottile anelito di inquietudine, come lascerebbe un racconto noir/fantasy; però è bello e intenso, su questo non c’è dubbio. Complimenti, e di nuovo tanti auguri a te a a tutti :-)

        • Daniele Imperi
          mercoledì, 25 Dicembre 2013 alle 15:29 Rispondi

          Grazie, allora, significa è riuscito se ti ha lasciato inquietudine :)
          Auguri anche a te.

  3. Fabrizio Urdis
    mercoledì, 25 Dicembre 2013 alle 13:07 Rispondi

    Buon
    Natale e grazie di questo bel regalo :)

  4. mariagrazia
    mercoledì, 25 Dicembre 2013 alle 20:02 Rispondi

    Bel racconto d’atmosfera. Concordo con chi ha parlato di sottile inquietudine.
    In questi giorni festeggio un anno di Penna blu, nel senso che ho cominciato a seguire il tuo blog un anno fa, di questi tempi.
    Tanti auguri a te e a tutti noi che ci ritroviamo su questo blog.

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 25 Dicembre 2013 alle 20:14 Rispondi

      Ciao Maria Grazia, grazie per la lettura :)
      E buon compleanno, a questo punto, e buone feste :P

  5. Lucia
    mercoledì, 25 Dicembre 2013 alle 20:35 Rispondi

    Mmmhhhh…avrei detto che in onore della bontà natalizia alla fine della notte ci sarebbe stata una risata. Mi sono dovuta ricredere! :)
    Ad ogni modo l’immagine iniziale era già un bel presagio.
    Auguri!

    • Daniele Imperi
      mercoledì, 25 Dicembre 2013 alle 20:42 Rispondi

      E ti pare che io sia il tipo da bontà natalizia? :D
      Auguri anche a te :)

  6. Laura Tentolini
    mercoledì, 25 Dicembre 2013 alle 22:16 Rispondi

    Che bella sorpresa!
    Auguri di cuore!

  7. valijolie
    giovedì, 26 Dicembre 2013 alle 12:33 Rispondi

    Bellissimo, in perfetta sintonia con il mio spirito del Natale!
    Ne farei una rilettura dove non sono i bimbi scanzonati e bighelloni a sparire, ma gli adulti sopraffatti dal ‘fare’ ;)

    • Daniele Imperi
      giovedì, 26 Dicembre 2013 alle 12:57 Rispondi

      Grazie, Valentina :)
      Magari ci penso il prossimo anno a far sparire gli adulti ;)

  8. Alessandro Paci
    venerdì, 27 Dicembre 2013 alle 14:47 Rispondi

    Veramente inquietante questo racconto, complimenti :)

  9. Romina Tamerici
    venerdì, 27 Dicembre 2013 alle 17:36 Rispondi

    Come ogni tuo racconto natalizio è poco natalizio, però mi è piaciuto. E io, che in una vita precedente e forse anche in questa, sono stata un gatto, vi invito a far sempre attenzione. Ahahah!

    • Daniele Imperi
      venerdì, 27 Dicembre 2013 alle 18:31 Rispondi

      Ma come è poco natalizio? :D

      È uno spirito natalizio un po’ diverso dal solito.

  10. Kinsy
    domenica, 29 Dicembre 2013 alle 23:20 Rispondi

    Inquietante e… poco natalizio!

  11. JaneKleen
    lunedì, 22 Dicembre 2014 alle 23:23 Rispondi

    Bel racconto, man mano che lo si legge sale l’ansia insieme a quella del piccolo vignir, ma allo stesso tempo la voglia di continuare per scoprire come va a finire. molto bello.
    anche io scrivo, ho iniziato da poco, magari passa nel mio blog, commenti critiche e consigli sono ben accetti! ciao :D

    • Daniele Imperi
      martedì, 23 Dicembre 2014 alle 8:05 Rispondi

      Ciao JaneKleen, grazie e benvenuta nel blog. Cercherò di leggere il tuo blog a breve. :)

  12. Orsa
    venerdì, 3 Dicembre 2021 alle 21:08 Rispondi

    Cosa mi hai ricordato! Questa è una delle figure più temute nei racconti popolari dell’Italia meridionale. Solo che da noi non ha un bel nome nordico ed evocativo come Jolakottur, ma un più popolano “gatto Mammone”. Anche lui fa sparire i bambini capricciosi che non vogliono addormentarsi. Io in realtà l’ho scoperto tardi… i miei da piccola non mi minacciavano usando lo spauracchio di creature mostruose, ma a suon di castighi! :D E poi conoscendomi l’avrei avvicinato con la solita vocina ridicola con cui approccio i gatti per strada. Credimi, sarebbe stato lui a fuggire via atterrito! 😂
    Terzo racconto dell’avvento :)

    • Daniele Imperi
      sabato, 4 Dicembre 2021 alle 14:30 Rispondi

      Jolakottur significa semplicemente gatto (kottur) di Natale (Jol, cfr. l’inglese Yule).
      Il gatto Mammone lo conosco da anni, ma non ricordo come.

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