Narrare è unʼarte. Saper narrare non è da tutti. Più scrivo e più mi accorgo di quanti errori faccia, senza rendermene conto. O almeno saltano agli occhi dopo e allora giù a correggere.
La narrazione è qualcosa di istintivo, tutti noi siamo abituati a raccontare, lo facciamo fin da quando eravamo bambini. Forse è la prima forma di comunicazione che abbiamo imparato. È impossibile vivere senza mai raccontare qualcosa.
Ma narrare una storia sotto forma di racconto o romanzo è differente. Specialmente se vogliamo vendere o proporre a un editore quella storia. Ecco allora che entrano in gioco regole e tecniche da conoscere, e tutto quel lavoro che ormai sappiamo a memoria, come la creazione dei personaggi, la documentazione, lʼambientazione, i dialoghi, ecc.
Quando si racconta tutto deve filare liscio, non possiamo sbagliare, altrimenti arrivano critiche o incomprensioni del lettore. Oggi parlo di 10 errori che capitano nella narrazione di una storia, nulla però che non si possa sistemare con un editing.
#1 – Infodump
Qual è il confine fra informazione e infodump? A dire la verità non lo so. Anzi, ho paura di rileggere con occhio critico – o di far leggere a un editor – i miei racconti perché potrei trovare parecchi esempi di infodump.
Non so quanto sia presente nelle storie che ho scritto negli ultimi anni, ma sono sicuro al 100% che in quelle scritte 20 e più anni fa lʼinfodump cʼera eccome.
Credo sia un errore frequente, non solo negli autori alle prime armi ma anche in quelli che scrivono già da un poʼ. È facile incorrere nellʼinfodump, tanto che alcune volte mi chiedo: ma dobbiamo davvero considerarlo come un errore?
Le informazioni scientifiche, tecniche, culturali che dava Salgari nei suoi romanzi dʼavventura possono essere considerate infodump? Oggi credo di sì.
#2 – Cambio del punto di vista
Se stiamo raccontando un fatto con gli occhi di un personaggio, in quella stessa scena non possiamo continuare a raccontare quel fatto con gli occhi di un altro.
George Martin nella sua saga fantasy cambia il punto di vista a ogni capitolo. Inizialmente mʼero trovato un poʼ spiazzato, abituato alla consueta numerazione dei capitoli, ma poi quel metodo mi era piaciuto.
In quel modo è sensato, anzi secondo me è anche più efficace. Allontana il narratore dalla storia, in un certo senso, che diventa propria dei personaggi, come se fossero loro a gestirla.
#3 – Cambio del soggetto
Ne ho già parlato altre volte. È un errore che in passato ho commesso spesso. Ma quando abbiamo parlato della narrazione di McCarthy, ho evidenziato il fatto che quellʼautore usi spesso il cambio di soggetto in uno stesso periodo.
Va bene, lui è McCarthy, ma secondo me resta un errore, perché è facile che il lettore non capisca più quale sia il vero soggetto della frase o sia convinto che sia A mentre invece in quel momento è B.
#4 – Intromissione del narratore
Altro errore frequente che ho fatto negli anni passati. Ma forse anche ultimamente, chi lo sa? Che cosa è lʼintromissione del narratore? È quando lo scrittore vuole infilarsi nella sua storia, un poʼ come faceva Hitchcock quando partecipava come attore o comparsa nei suoi film.
In quel caso però è lecito, non è una vera intromissione, ma una partecipazione. In narrativa invece è pericoloso, perché il lettore intuisce che non è il personaggio a portare avanti la storia, non è il pensiero del personaggio quello che sta leggendo, bensì quello dellʼautore.
Io penso che sia un altro errore facile in cui incorrere. Ma nulla che un buon editing non possa trovare e far correggere.
#5 – Andare a capo nei dialoghi
Di questo avevo parlato tempo fa. È un errore che trovo spesso nei romanzi che leggo. In Leviathan – Il risveglio di James S.A. Corey è capitato spesso. Che intendo per andare a capo nei dialoghi? Guardate questo esempio:
Dawes si alzò in piedi. Sembrava amareggiato.
«Sta commettendo un errore» disse.
Lʼazione è quella di Dawes e il dialogo è conseguente all’azione, quindi quella frase va lasciata sulla stessa riga, altrimenti il lettore – o almeno io… – capisce che il dialogo è pronunciato da un altro personaggio.
Solo a me crea problemi questo?
#6 – Poca cura del “world building”
Un errore che ho commesso allʼinizio del mio romanzo P.U. e me lo ha fatto notare unʼamica che ha letto la prima parte. Il bello è che neanche ci avevo fatto caso, a me sembrava tutto a posto.
Non basta creare un mondo ma bisogna anche illustrarlo nei dettagli e mostrarlo al lettore. Questa è una regola che mi sono stampato nella mente. Il lettore non ci legge nel pensiero, ma su carta o schermo. Questo significa che dobbiamo curare il world building attraverso la narrazione, dobbiamo descrivere lʼambiente.
Altrimenti i lettori non capiranno la scena, non riusciranno a immaginare lʼambientazione, specialmente se si tratta di una storia fantasy o fantascientifica.
#7 – Cliché
Quanto sono frequenti? Noi viviamo di cliché, li usiamo tutti i giorni, fanno parte di noi, del nostro linguaggio, della nostra comunicazione. Ci affidiamo ai cliché per farci capire, per rendere facile la comprensione dei nostri messaggi.
Se tutto questo può essere condivisibile nel linguaggio parlato, non lo è invece in quello scritto. Lʼuso dei cliché spersonalizza lo scrittore, perché rende la sua scrittura omologata a altre scritture, lʼautore omologato a altri autori.
Il cliché nella storia sa di già visto, ma non ha lo stesso sapore del deja vu, né la sua stessa aura di mistero. È segno anzi di poca fantasia, poco sforzo creativo. Poco lavoro di revisione.
#8 – Personaggi piatti
Presente! Quando si tratta di sbagliare, di “andare male a scuola”, io sono sempre presente. Alcuni personaggi del mio romanzo sono piatti, molto piatti, sembrano sezioni sottili di roccia per la visione al microscopio elettronico.
Non si tratta dei protagonisti, ma pur sempre di personaggi principali, non di comparse. Una comparsa può essere piatta, basta dargli un nome, un sesso, unʼetà, ma un personaggio non può accontentarsi di un nome, deve essere schedato peggio dei ricercati di FBI e CIA messe insieme.
#9 – Black box
Ci sono cascato solo una volta. Sì, è la scatola nera degli aerei, le è stato dato questo nome proprio per quel motivo. Cadere nella black box significa far morire il protagonista quando è lui a raccontare la storia.
A meno che non sia una storia di fantasmi, un personaggio non può raccontare la sua morte. Non è credibile una scena del genere. Il racconto in prima persona può esser visto in due modi:
- è il diario che ha scritto e noi lo stiamo leggendo
- è il protagonista che ci racconta a voce la storia
In tutti e due i casi non è possibile che ci parli della sua morte, a meno che non abbia la facoltà di risorgere, ma finora cʼè stato un solo personaggio che lʼha avuta.
Ho trovato questo errore in uno degli ultimi romanzi di fantascienza letti, ma non vi dico quale per non fare spoiler.
#10 – Spiegoni
Che brutta parola! Però è così che la chiamano tutti. È il dispregiativo di spiegazione, ma formato sulla prima persona singolare del presente indicativo del verbo spiegare: io spiego= spiegone.
Una sorta di infodump, se vogliamo, però lʼinfodump è lʼinformazione-spazzatura, inutile quindi. Mentre lo spiegone è lʼinformazione utile ma veicolata in modo sbagliato.
Non credo di aver mai fatto questo errore – almeno su uno vorrei salvarmi – però capita a molti. Non sapendo bene come dare unʼinformazione al lettore, la fanno dire al personaggio oppure al narratore. A questo proposito vi invito a leggere i sei dialoghi che è meglio non scrivere nel blog “Inchiostro, fusa e draghi”.
La mia carrellata di errori nella narrazione di una storia è finita. In quanti di questi errori vi siete riconosciuti? Dite la verità
Lisa Agosti
Post molto interessante, ogni punto è una riflessione su cui si potrebbe scrivere un intero post.
I punti 2,3 e 4 non li chiamerei errori, bensì rischi: se scrittori come McCarthy e Hitchcock l’hanno spuntata, non è detto che non possa capitare anche a noi.
I punti 1, 6 e 10 mi toccano da vicino perché sto scrivendo una scena del mio romanzo in cui la protagonista arriva in un nuovo Stato ed è difficile trovare l’equilibrio tra ciò che è necessario dire, ciò che è bello dire, visto che il mio lettore ideale è interessato a viaggi esotici, e ciò che è inutile e di conseguenza noioso.
Il punto 9, ahimé, mi è capitato: non sapevo che si chiamasse black box, ma la mia eroina è morta… di eroina
Daniele Imperi
Grazie.
Sono rischi perché il lettore, nei punti 2 e 3, potrebbe non capire, come a me succede. Le intromisisoni sono invece fastidiose.
LiveALive
L’infodump più che di narrazione è di tecnica. Alcuni anglofoni considerano infodump ogni informazione non rielaborata in forma drammatica. In questo senso, allora è chiaro che in realtà ogni autore lo usa come vuole, perché nessun grande autore (solo qualcuno molto basso) scrive in modo esclusivamente drammatico, ché sarebbe piatto e privo di letterarietà. Se invece lo consideriamo un eccesso di
informazioni, cioè in senso letterale, allora il confine ovviamente non è oggettivo, e varia di epoca in epoca, e in realtà anche di genere in genere.
Il punto di vista hai già detto tu che non è un errore in quel modo.
Il cambio di soggetto è questione di grammatica, come andare a capo nei dialoghi lo è di formattazione.
Per l’intromissione del narratore, che lo vedo anche questo più come problema di tecnica che di narrazione, prova a leggerti l’Orlando Furioso. Anche qui, è un gusto che cambia di epoca in epoca: nell’ottocento era una cosa che piaceva, mentre nel 900 piace di più la narrazione oggettiva. Oggi, un po’ e un po’, invero: non sentiamo più la necessità di oggettività, e ci stiamo accorgendo che il narratore si sente ovunque, anche nelle virgolette, a voler tendere l’orecchio (e su questo vedi l’Officina della Parola).
Occhei il world building.
Il cliché in realtà è stato usato sapientemente da certi autori come Joyce per rendere un tono specifico. Anche l’idea di spersonalizzare la scrittura non è male: a molti attrae questo ideale di neutralità. In genere però anche a me piace la forma marcata, nuova. Comunque non è un problema di narrazione.
Stessa cosa si potrebbe dire dei personaggi piatti. In realtà non è che oggi i personaggi complessi infurino così tanto come in passato, eh. Una delle idee del romanzo postmoderno è anche quello di spostare l’attenzione dalle persone agli oggetti, e per questo usa volontariamente personaggi insignificanti. Anche un’opera d’affresco come l’Orlando Furioso può usare personaggi piatti perché lì l’idea è rappresentare in ogni personaggio un aspetto, e l’animo umano si vede solo nell’affresco globale.
Sul Black box, vedi I Dolori del Giovane Werther, dove costituisce lo stilema più forte. Bisogna saperla usare, insomma. Ci sono anche casi in cui il narratore è uno spirito. Non mi convince invece quando muore un indiretto cardine della trama, come Eddard Stark, ma in fondo il non fartelo aspettare lo rende più intenso.
Lo spiegone è l’infodump. Dipende solo la direzione in cui lo guardi XD
***
In ogni caso, volevo dire, non è possibile determinare l’errore in modo assoluto, assoluto cioè senza relazioni. L’errore di questo tipo può esistere solo a un livello molto basso, al livello di una narrazione piatta, standardizzata, di forma tradizionale. Io mi aspetterei invece un uso nuovo dei vari stilemi. A un livello più alto, è più alta la complessità: tutto è un meccanismo, i vari stilemi devono combinarsi, e così cosa va bene e cosa no può determinarlo solo la poetica, cioè l’intendo espressivo strutturato. A tal proposito, prova a leggerti I Morti di Joyce, un testo breve che alcuni considerano il miglior racconto di tutti i tempi. Lì c’è infodump? Come fai a dirlo se manca il criterio? Come fai a dire cioè cosa serve alla trama se è la trama stessa a sfilacciarsi in quel modo?
Daniele Imperi
Alcuni sono errori di tecnica e altri di scrittura, in generale sono errori nella narrazione, nel modo in cui narri.
In quale modo ho detto che il cambio del pdv non è errore?
Tu fai sempre esempi di testi antichi. L’Orlando Furioso non è un romanzo, tanto per cominciare, ma un poema.
Se il narratore è uno spirito, allora il discorso è diverso.
LiveALive
L’hai detto nelle regole da infrangere.
L’Orlando furioso da alcuni è considerato il primo romanzo (anche se non proprio moderno: quelli sono i testi della LaFayette), o comunque un protoromanzo. In ogni caso, nok conta l’età, conta l’estetica. E un testo antico che è OGGI considerato bello vuol dire che i suoi stilemi sono ancora validi, che ancora rispecchiano il nostro gusto.
Daniele Imperi
Non è errore se cambi pdv in un nuovo capitolo, come Martin, facendo capire fin dall’inizio di quale personaggio è quel pdv. Ma se lo cambi nella stessa scena o nello stesso capitolo per me lo è.
Possono anche considerare quell’opera un romanzo, ma resta un poema.
LiveALive
Se vuoi leggerlo (I Morti), qui il testo completo dei Dubliners. È l’ultimo.
http://www.edisu.piemonte.it/content/download/4959/54019/version/1/file/GentediDublino-JamesJoyce.pdf
massimiliano riccardi
Devo dire che in molti casi sembrava che tu stessi parlando di me, nel tempo ho imparato a rileggere, correggere, riscrivere…ussignur, alla fine mi sono rivolto a un editor.
Daniele Imperi
Ho parlato anche di me
Marina
Praticamente hai parlato di tutti!
ombretta
Credo di ritrovarmi nel n 5 (andare a capo nei dialoghi). Durante la stesura del mio fantasy sono andata a confrontare altri testi, ma non mi è stato di grande aiuto. Molti andavano a capo e altri no e sono entrata in confusione…ho scelto di andare a capo, ora so di aver sbagliato!
Daniele Imperi
Anche io trovo spesso questo andare a capo, quindi confrontare i testi altrui aiuta poco in questo caso.
monia
Qualche esempio in più potevi farlo :P, non ho capito il punto 3
Io non sono certa che il punto 1 sia davvero un errore. Voglio dire, se leggi un classico di un secolo fa, quanti infodump trovi? ma anche in Martins, quante informazioni non utili (ma che potrebbero diventarlo) trovi? boh, forse non ho capito bene neppure questa regola :/
L’unica altra che mi crea problemi è quella dei dialoghi. Mi costa sempre un po’ di fatica decidere se andare a capo o meno. Credo sia questione di inesperienza. Come mi da’ da fare quando ho dialogo+ testo+ dialogo+ testo.
es. “no”, dice “non puoi”, e si siede.
Se il testo e i dialoghi sono più lunghi di quelli dell’esempio, questa alternanza mi pare un errore (e forse lo è davvero). In ogni caso mi pare fastidioso e faccio di tutto per eliminarlo, ma non sempre la variazione è efficace.
Daniele Imperi
Per il cambio di soggetto vedi qui: http://pennablu.it/liberta-scrittore/
Non ricordo infodump nei classici in questo momento, ma in un paio di ebook appena letti, di autori moederni, ne ho trovato.
Renato
Post interessantissimo, bravo Daniele, lo stampo e lo conserverò come riferimento.
Aggiungerei un altro errore: l’eccessiva ricercatezza a fini evocativi. Sto leggendo un racconto che parla di una macchina. L’autore tenta un ardito parallelo tra il motore in affanno della macchina, che descrive come polmone di metallo, e il senso di oppressione del protagonista.
Okei, l’idea è buona, ma scritta così perde tantissimo della sua originalità e spontaneità. Sembra di sentire le rotelle dell’autore che scricchiolano alla ricerca di termini forzatamente ad effetto.
L’originalità, secondo me, non sta nella terminologia ricercata, ma nella capacità di suscitare emozioni usando termini comuni.
Per questo, penso anche che tutti gli errori che hai descritto possono anche essere elementi di forza di un romanzo, se usati bene.
Daniele Imperi
Grazie.
Bisogna dosare bene i termini cosiddetti ricercati, farli proprio, altrimenti credo che risultino fuori posto o eccessivi.
Silvia
Bella questa carrellata di errori frequenti. Condivido le tue ottime osservazioni. Spesso si cade in questi errori senza esserne consapevoli. E questo, a mio parere, è il vero errore.
Nel momento in cui, invece, diventa una scelta consapevole o, meglio, nel momento in cui l’autore utilizza un presunto errore in maniera strumentale per raggiungere un effetto di qualche tipo, allora forse non è più un errore, ma diventa una tecnica.
Il problema è che, appunto, sovente noi autori alle prime armi non se siamo consapevoli e, quindi, commettiamo un errore.
Daniele Imperi
Bisogna saper usare questi errori, hai ragione, in alcuni casi potrebbero non stonare. Ma non credo che si possa fare con tutti.
Danilo Spanu (IlFabbricanteDiSpade)
Riguardo al cambio del punto di vista, l’ho visto fare bene e male. Nel caso di Martin, ma non solo, mi ha addirittura entusiasmato: vedere la storia andare avanti nonostante la narrazione si sposti di personaggio in personaggio mi aiuta a non identificarmi in uno solo e ad amare tutti i pezzi della scacchiera.
Cambio di soggetto bandito e fastidiosissimo anche l’accapo nei dialoghi, completamente d’accordo.
Capitolo a parte: cosa intendi per info spazzatura? O meglio, quali sono le info inutili secondo te?
Daniele Imperi
Martin in realtà non cambia pdv, perché il cambio avviene in un altro capitolo. Ma cambiarlo nello stesso capitolo o, peggio, nella stessa scena, manda in confusione il lettore.
Le info inutili sono quando, per esempio, il narratore si mette a spiegare il funzionamento di qualche strumento in una storia di fantascienza. Ora non mi vengono esempi concreti.
Qui, se leggi in inglese, ce ne sono alcuni: http://io9.com/5481558/20-great-infodumps-from-science-fiction-novels
Alessandro C.
Sarò prolisso. L’infodump è certamente più irritante quando si ritrova nei dialoghi, ma in linea generale diciamo che ci sono dei generi (il fantasy su tutti) in cui è quasi inevitabile. Gli errori del punto di vista sono quelli più facili da commettere, per la gioia degli editor. Diciamo che il lettore medio può anche sorvolare o non notarli affatto, ma errori di questo tipo denotano una scrittura ancora troppo immatura. L’intromissione del narratore è da considerarsi un errore? Qui credo che l’importante sia mantenere costante e coerente il ruolo e lo stile della voce narrante. I cliché sono un’arma a doppio taglio. La saga di Geralt di Rivia, per esempio, ne propone un’accattivante reinterpretazione. Il problema dei personaggi piatti sarebbe risolvibile costruendoli intorno a un difetto (basti pensare a Sherlock Holmes o a Dr. House, riuscitissimi). Per gli “spiegoni” vale lo stesso discorso dell’infodump, con l’aggravante che questi dimostrano scarsa fiducia nelle capacità dei lettori.
LiveALive
Però se c’è intromissione del narratore automaticamente c’è errore nel punto di vista, nel senso che se c’è il narratore non stai usando un punto di vista limitato, quindi neanche un punto vero e proprio. Ma tutto dipende dal tipo di macchina che si sta costruendo. Guerra e Pace ha continui cambi di punto di vista nel senso che sta usando un narratore onnisciente, ma nel modo in cui lo usa, al di là del gusto che cambia coi tempi, va benissimo così.
Daniele Imperi
Nel fantasy sono convinto anche io che non si possa evitare, ma si possono dare quelle info in altro modo.
L’intromissione del narratore si ha quando nulla la giustifica
Tenar
Ottimo elenco, anche se la gravità di questi errori è diversa.
Sui dialoghi, ad esempio, ci sono diverse scuole di pensiero, spesso variano da casa editrice a casa editrice. Si impara un metodo e poi si usa quello, un eventuale errore è comunque facilmente correggibile. Nessuno si sognerebbe di bocciare un romanzo per un a capo di troppo nei dialoghi!
Infodump e spieghino sono fastidiosi, sono quei classici elementi che, se presenti, denotano una scrittura ancora acerba. Si possono risolvere in revisione o con un po’ più di attenzione.
Errori nella gestione dei soggetti in periodi lunghi sono correggibilissimi.
Ma personaggi piatti, mondi solo abbozzati, morti che parlano senza autorizzazione, queste sono cose che affossano un romanzo definitivamente.
Insomma, se uno mi dice che non sa creare personaggi credibili gli consiglio di darsi all’ippica, se il problema è l’infodump ci si può lavorare, se uno mi dice che l’unica annotazione che gli è stata fatta è un a capo in un dialogo gli chiedo di darmi ripetizioni!
Daniele Imperi
Grazie. Sì, la gravità non è la stessa per tutti.
Dici che dipende dalla casa editrice andare a capo o meno nei dialoghi? Quindi potrei ritrovarmi un editore che mi impone quell’a capo?
Sono d’accordo che sugli errori che citi ci si può lavorare in revisione.
Tenar
Guarda i libri dei vari editori: noterai che ogni casa editrice ha le sue regole. Basta studiarle e seguirle. Se poi proprio ti fanno schifo: non inviare a loro il tuo manoscritto!
Daniele Imperi
La prossima volta che trovo un a capo del genere, andrò a controllare se altri libri di quella casa editrice fanno lo stesso. Però mi sembra strano, in fondo un testo straniero dovrebbe essere mantenuto come l’originale, quindi se l’autore non è andato a capo, perché deve farlo l’editore italiano?
Tenar
Adesso magari io ho capito male la questione dell’a capo, ma in genera la notazione del dialogo non è un fatto autoriale, ma redazionale. Due edizioni diverse di uno stesso libro possono avere due notazioni del dialogo diverse.
animadicarta
Il cambio di pdv nel bel mezzo di una scena lo considero un errore, per le altre cose non parlerei proprio di errori, ma di imperfezioni, magari dovute all’inesperienza o alla mancata revisione.
Riguardo all’andare a capo nei dialoghi, invece, non sono d’accordo sul considerarlo un problema. Forse è fastidioso quando se ne abusa, però l’a capo dopo un’azione può avere anche una motivazione ed essere quindi una scelta. Per esempio si può usare per dare enfasi al gesto oppure per far capire che c’è una pausa tra azione e dialogo.
Daniele Imperi
Dovrei vedere degli esempi per l’a capo che citi, ma finora a me ha dato fastidio perché mi sono perso nel dialogo, convinto che fosse un altro personaggio a parlare.
Luciano Dal Pont
1) Infodump: errore mai commesso, anzi, a volte tendo a cadere nell’errore opposto, cosicché, in fase di rilettura e di correzione, devo aggiungere informazioni; l’infodump mi risulta comunque fastidioso, sempre. Oggi sto rileggendo I promessi sposi, che avevo già letto da ragazzo, mi piace molto la storia, ma, accidenti, infodump a palate…
2) Cambio spesso punto di vista, anche all’interno di uno stesso capitolo, mai però nella stessa scena, e cerco sempre di farlo in modo tale che il lettore non ci si perda;
3) no, credo proprio di non aver mai fatto questo errore, ci sto molto attento, fino alla paranoia, specie in fase di correzione;
4) Non credo sia un vero e proprio errore, purché gestito bene; ne I promessi sposi (si, visto che lo sto rileggendo, lo prendo come esempio frequente) l’autore fa sentire spesso la sua voce ma lo fa scientemente e non mi da fastidio; per inciso, sto usando più o meno la stessa tecnica nel mio nuovo romanzo horror, in pratica sto raccontando una vicenda che si basa su alcuni miei ricordi di bambino e su una successiva documentazione acquisita in età ormai adulta su quella stessa vicenda; è un po’ un misto fra la narrazione in prima e in terza persona; mi rendo conto che è una cosa piuttosto fuori dagli schemi, magari sarà considerata un errore, ma è una mia scelta e mi va bene così;
5) Ebbene si, vado spesso a capo nei dialoghi; lo so, sarà anche un errore, ma mi piace di più;
6) Io non scrivo fantasy quindi non creo mondi, però cerco sempre di descrivere i luoghi di ambientazione in modo abbastanza dettagliato, senza però diventare noioso; ne I promessi sposi (a ridaglie!) la descrizione iniziale dei luoghi è semplicemente stucchevole!
7) Li evito come la peste, ma per me è facile, visto che detesto le banalità, le frasi fatte, i luoghi comuni, le omologazioni, e non solo nella scrittura, ma anche e soprattutto nella vita;
8) Era uno dei miei peggiori difetti all’inizio, ma ci ho lavorato su molto e ora credo di meritare almeno la sufficienza;
9) Ah no! Questo proprio no! Troppo intuitivo per cascarci. Mai fatto.
10) Stesso discorso dell’infodump, stesso difetto rilevato ne… si, hai capito, vero? Proprio ne I promessi sposi…
Daniele Imperi
Ne I promessi sposi l’intromisisone del narratore deve esserci, secondo me.
Luciano Dal Pont
Certo, sono d’accordo, infatti non la considero di certo un errore.
Luciano Dal Pont
Vorrei permettermi di aggiungere alla lista un undicesimo errore, che riguarda la tecnica di scrittura propriamente detta e che rilevo di frequente, specie nel caso di autori giovani e non ancora affermati: l’abuso degli avverbi in “mente” che a volte non vengono nemmeno eliminati dagli editor. Pare che una certa tendenza della narrativa moderna sia quella di eliminarli del tutto sostituendoli con altre formule, io non sono d’accordo perché trovo che in alcuni casi essi siano pressoché insostituibili, e che comunque non infastidiscano; rendono invece pesante e poco scorrevole la lettura quando sono ripetuti di frequente, in modo ravvicinato e spesso facendo persino rima tra loro.
Daniele Imperi
Eliminarli del tutto mi pare davvero una scemenza. Se esistono, significa che vanno usati.
Io in revisione uso la funzione Cerca del programma di scrittura e li evidenzio: quindi li elimino in base al numero che trovo in ogni pagina. Qualche volta li sostituisco con sinonimi, altre li reputo inutili e li elimino.
LiveALive
Anche per quelli, vedi il primo racconto dei Dubliners. Si può ben usarli se si fa in quel modo, rendendo cioè una forma infantile.
Considera comunque che in genere gli avverbi sono un modo per guidare l’immaginazione in modo veloce, quando si vuole trasmettere l’idea generica senza necessità di entrare nei dettagli. Spesso una scena troppo dettagliata risulta pesante e pedante, però.
Riguardo l’altro messaggio, il world building c’è anche nella fiction realistica: guarda l’operazione che fa Flaubert in madame Bovary, creando un paese con ogni suo abitante, ogni suo negozietto, ogni abitudine e particolare, come il rumore costante del tornio.
L’introduzione dei promessi sposi oggi risulta pedante, ma perché va letta in altro modo, come fosse poesia. Nello specifico, il modo in cui la forma tortuosa e volontariamente faticosa mima il paesaggio altrettanto tortuoso e difficile da percorrere è senza pari.
Daniele Imperi
Ho visto. Sono troppi e creano rime fastidiose. Quella però è una traduzione, bisogna vedere com’è l’originale.
Il wordl building c’è senz’altro in ogni tipo di storia, perché devi riuscire a far capire dove si svolge la scena al lettore, anche se è ambientata sotto casa mia.
Luciano Dal Pont
Bella e mirata la tua analisi sull’inizio de I promessi sposi, sulla quale concordo. Non l’avevo considerata sotto questo aspetto. Però resta il fatto che, quando leggo un libro, non mi piace molto dover fare “fatica” per arrampicarmi su per paesaggi impervi e tortuosi, piuttosto preferisco magari una fatica più sottile, che derivi dal fatto di dover interpretare nel giusto modo un testo di difficile comprensione, ma di agevole e scorrevole lettura. E tuttavia, a prescindere da ciò, I promessi sposi mi piace molto, nonostante l’incipit pesantissimo e tutto quell’infodump e quegli “spiegoni” (per dirla alla daniele) e quel divagare spesso e in modo prolisso su fatti e personaggi che ben poco hanno a che vedere con la storia. Che dire delle pagine e pagine dedicate a don Ferrante?
LiveALive
Ovviamente c’è a chi piace una “fatica” diversa. È pur vero però che oggi l’arte non cerca più di causare “piacere”, ci sono molte opere che cercano volontariamente di estenuare i fruitori perché così sono più intense. Ma in fondo ogni opera ha un suo pubblico, c’è un po’ per tutti a seconda di quello che si cerca.
Per le informazioni di troppo, questione di gusto del tempo. Ricorderai forse tutto quel lungo pezzo che viene tagliato in favore del solo “la sventurata rispose”. Per dire che comunque Manzoni aveva una idea di dove rallentare con queste storie e dove andare dritto al punto. Ci sono poi casi particolari di “infodump” ben progettato per ossimorico che sembri: per esempio, la lungaggine sulle grida, secondo Eco, è una lista, un pezzo di prosa (di stampo epico: un tempo ogni poema doveva contenere almeno una lista di eroi, o di navi) fatto apposta per essere saltato perché, saltandolo, ti rendi conto della sua grandezza e ampiezza (nel caso, la grandezza della cattiveria dei bravo). All’epoca comunque piaceva variare di più il soggetto, e seguire una sola trama, anche se con tanti personaggi, era considerato noioso. La cosa è ancor più vera se consideri che Manzoni sta mimando una storia del 600: e nel 5-600 (vedi l’Orlando furioso, vedi il Don Chisciotte, vedi l’Adone) era cosa normale inserire nella trama racconti che non c’entravano assolutamente niente perché la varietà era un gran pregio in sé. Inizialmente Manzoni voleva imitare pure lo stile di scrittura barocco seicentesco, ma si è reso subito conto che non era più possibile.
Luciano Dal Pont
Vero, concordo, ed è vero anche che ogni tempo ha la sua arte. Oggi, se un autore sconosciuto o semi sconosciuto, ma dotato di grande talento letterario, dovesse scrivere un romanzo con lo stile e con le caratteristiche simili a quelle de I promessi sposi, ancorché con una trama e con una storia di per se diverse e originali, lo vedrebbe rifiutato da qualsiasi editore, o comunque subirebbe un editing così devastante da uscirne del tutto snaturato.
LiveALive
È questo un po’ il paradosso dell’arte: tutti riconosciamo la superiorità dell’arte antica, eppure fossero fatti oggi non la riconosceremmo. Sì, quell’arte rimane di valore altissimo. Ma non è adatta al tempo. Certe opere sono fortunate anche perché sono apparse nel periodo che meglio poteva goderle.
LiveALive
Per chiarezza, comunque: “tradizionalmente” non si considera il cambio di pov in mezzo a una scena un errore in sé stesso: lo è quando non si dà modo di capire che avviene (e oggi molti usano segnalarlo con un doppio a capo). Questo per dire che esistono testi moderni con parti dove c’è un cambio di pov a ogni paragrafo, scelte estreme ma che esistono.
In secondo luogo bisogna dire che se un pov fisso fosse ontologicamente più bello di quello mobile oggi dovremmo ricordare del passato solo i testi in prima persona, visto che l’idea di mantenere il pov limitato fisso è esclusivamente novecentesca, e tutti i classici, nessuno escluso, lo cambiano a piacere in qualsiasi punto. Ma in realtà anche coi moderni non è proprio diverso. Per esempio, l’incipit di Meridiano di Sangue, “eccolo, il ragazzino” sarebbe già così un errore di pov, in quanto il ragazzino non può pensare a sé stesso come il ragazzino. Stoner invece alterna di continuo il narratore onnisciente con un pov in modo graduale: anche questa è una possibilità interessante.
Ryo
Praticamente è l’elenco di quello che lo scrittore alle prime armi considera “figo”
Daniele Imperi
Ma allora devo cambiare il titolo in “10 elementi che ti renderanno uno scrittore figo”
Ryo
Lascia che le acque si calmino, potrai rigiocarti lo stesso post con titolo “migliorato” fra un paio di mesi
Poli72
Adesso che sto portando avanti un romanzo ,posso dire di aver a che fare con numerosi inciampi narrativi quasi quotidianamente.
Escludo gli errori (7 e (9 che, come direbbero dalle mie parti sono “cappelle galattiche” .Basta veramente un minimo di pianificazione della trama e un po’ di sana lettura per evitare figuracce.
Errore (5.Non mi sono mai posto il problema ,credo che si possa ritenere una questione di puro editing.
Errori ( 6 e ( 8 commessi entrambi.Ma credo sia l’ovvio apprendistato di una persona che ama scrivere e cerca di crescere .Come in tutti gli ambiti lavorativi il mestiere va professato e appreso .Durante questo processo gli errori ci saranno senz’altro e debbono essere colti come insegnamenti preziosi.
Caratterizzare l’ambiente di una scena ,descriverlo con poche parole, efficaci ed originali e’ altrettanto difficile che caratterizzare un personaggio.
I punti (2,(3 e (4 non li definirei errori in senso stretto ,quanto piuttosto regole stilistiche soggettive.Alcuni possono crederle vincolanti ,per altri potrebbero essere soltanto opzioni .I veri vincoli imprescindibili cui dovrebbe tener fede lo scrittore sono ,secondo la mia personale opinione ,la chiarezza espositiva e la facile comprensibilita’ della trama.
(1 Infodump e (10 spiegoni , potrebbero essere argomento piu’ che sufficiente per un trattato di narratologia.Personalmente non li aborrisco ,ma cerco di introdurli nella trama nel modo piu’ correlato possibile al momento narrativo ,evitando lungaggini e paticolari.Rimane comunque ovvio che debbono avere una stesura stilistica piacevole ,originale e scorrevole.
Daniele Imperi
Penso che i vari “inciampi” narrativi siano comuni a tutti. Appunto per questo esistono la revisione prima e l’editing dopo.
Esposizione e chiarezza della trama sono due elementi separati e quindi bisogna lavorarci in sedi separate.
La prima con l’esercizio e la seconda quando si studia il romanzo da scrivere.
Piter57
Negli anni ho elaborato un mio personale “Corso di scrittura creativa” e vorrei esprimere la mia opinione sulle dieci domante riportate sopra.
1 ) Ciò che chiamate “infodump” è quello che in italiano viene definito “un accavallamento di pensieri messi per iscritto in modo confusionario”, niente di più e niente di meno.
La soluzione è molto semplice: basta mettere in modo chiaro ogni pensiero compiuto,
separato da ogni pensiero diverso per significato, e poi dare a ogni pensiero una linea
temporale. Vale a dire : questo pensiero o azione viene prima e quest’altro viene dopo.
Come quando viviamo la realtà e compiamo prima un’azione e poi un’altra e così via.
Inoltre dobbiamo fare attenzione a non inserire cose inutili alla narrazione. Per evita-
re di inserire informazioni poco utili si può usare qualche “trucchetto” del mestiere di
scrittore. Si possono ridurre al minimo le frasi e controllare cosa inserire, in modo da
scartare ciò che è irrilevante o superfluo o adirittura dannoso per la narrazione.
Inoltre l’ordine corretto delle frasi, intendo grammaticalmente, può farci capire cosa
lasciare e cosa togliere nel paragrafo. Facendo il tutto in modo ragionevole e obiettivo.
Mi permetto, se non ti offendi, di applicare quanto detto sopra al brano usato da te.
” Senza preavviso, la baciò sulla bocca. Premendo le labbra su quelle di lei.
A quella pressione, il taglio sulla bocca della donna si riaprì. Le fece molto male.
Si ricordò che se lo era procurato il giorno prima, aprendo coi denti il pappo di una
bottiglia di birra. Con della carta igienica aveva arrestato il flusso del samgue. Che
gìà le aveva macchiato la camicetta bianca.
Maledisse quella ferita. Che ora le impediva di ricambiare quel bacio con la pas-
sione intensa con cui avrebbe voluto. E maledisse il giorno che se l’era procurata.”
Così corretto e ripulito e diviso in mini paragrafi, il testo appare più ordinato e più
logico.
Daniele Imperi
Ciao Pietro, benvenuto nel blog.
L’infodump non è soltanto un accavallamento di pensieri in quel senso, ma proprio un’accozzaglia di informazioni inutili.
Il brano proposto da te ha diversi errori, secondo me. Dopo “preavviso” non ci va la virgola. Il punto dopo “bocca” non serve e rallenta la lettura. Anche dopo “pressione” non va messa una virgola. Dopo “sangue” perché hai messo il punto, visto che c’è la congiunzione “che”? Anche più avanti fai lo stesso. Si spezza il flusso della narrazione. Infine nel mio esempio era lui che aveva stappato con la bocca la bottiglia di birra. Ce la vedi una donna a fare una cosa del genere?
Per me comnunque resta un infodump, a meno che non sia stata mostrata prima la scena della ferita.
Riccardo
Ciao!
Mi ritrovo in un po’ di quei errori, ma non posso fare a meno di dirti che la morte dei personaggi che raccontano, secondo me non è un errore.
Lo è quando si legge una sorta di diario, ma quando si parla al presente, come nel caso di ***SPOILER*** Allegiant e Tris.
Nel momento in cui muore, è al presente e sta pensando raccontando ciò che sente e vede. Non l’ho trovato come errore dato che poi continua la narrazione con Quattro, però un po’ è suonato strano, ma la sua narrazione si è interrotta quando è spirata, non se quindi si possa definire errore.
Piter57
Se il testo, il romanzo o il racconto è scritto in “prima persona” vale a dire che è una persona che ha partecipato a quella storia che lo racconta, in molti casi il personaggio principale, tale personaggio non può morire alla fine della storia e finisce il romanzo. Perché questo sarebbe un errore di scrittura. Mi spiego. Chi vive una storia o un’avventura la vive al tempo presente. Ma poi la storia si racconta solo dopo che è accaduta, vale a dire in un “tempo passato”. Ora se il personaggio narrante muore alla fine della storia, non può avere avuto il tempo materiale per “scrivere” o “narrare” la storia. Noi stiamo parlando di “realtà narrativa” e non di Fantasy, Fiabe o di altri tipi di narrazione dove anche “l’impossibile” viene spacciato per reale. Chiarito questo punto e premesso che noi parliamo di una Narrazione Realistica, è facile notare l’errore di una “morte” del personaggio che racconta la vicenda e la sua morte conclude la storia. Come nella “realtà” tale personaggio non ha avuto nè il tempo materiale per scriverla e nè per raccontare tale storia perché “è morto prima di poterlo fare”. Questo è ciò che succede nella realtà e questo deve succedere anche in un romanzo. Si può evitare questo problema con qualche trucchetto del mestiere di scrittore. Ad esempio specificando che a fine giornata o a fine settimana lui stesso, il personaggio che narra la vicenda, prendeva appunti accurati di tutto quello che lui racconta in prima persona. E che quelli che noi stiamo leggendo in quel romanzo sono proprio questi suoi accurati appunti narrativi. E così la maggior parte della narrazione l’abbiamo già risolta. Ora resta il finale da ordinare. Basta far fermare la narrazio del personaggio al penultimo capitolo, con le sue parole che dicono che non sà se riuscirà a sopravvivere ai pericoli che corre. Se così fosse ha dato lìincarico a un suo amico o scrivano di concluderla lui la storia così come si è conclusa facendo “finta” nella narrazione che sia sempre lui a narrare, ma il lettore sa che non è così e sa dell’accordo preso. Oppure semplicemente l’ultimo capitolo lo narra lo scrivano incaricato. Insomma si deve trovare un modo per ovviare alla morte del narratore, se la narrazione è realistica. Ma si può evitare tutto questo semplicemente cambianto il punto di vista della narrazione e non fare narrare la vicenda al protagonista che alla fine muore. La “narrazione rimane uniforme” e il romanzo ci guadagna. E soprattutto non commettiamo l’errore esaminato. Ricordiamoci sempre che in un romanzo che rispecchia la “realtà anche se romanzata di tutti i giorni” se lo scriviamo col narratore in prima persona che lo racconta e partecipa lui stesso alla vicenda narrata, tale narratore deve sopravvivere alla vicenda narrata, e se non sopravvive abbastanza da potere scrivere la vicenda vissuta, in totale o in parte, la parte che lui non è riuscito a completare a causa della sua morte la deve scrivere un personaggio che al momento della scrittura è ancora vivo e ha visto o ha sentito tale storia da poterla narrare nei minimi dettagli. Buona scrittura!
Daniele Imperi
Il fatto è che quando muori non hai la forza di raccontare. La narrazione in prima persona al presente prevede che tu racconti al presente ciò che succede. Quindi non puoi morire e descrivere la tua morte fino alla fine.
Chiara
Sicuramente l’infodump è l’errore che mi riguarda maggiormente, al punto che ormai non mi allarmo nemmeno più: so che alla prima rilettura su stampa mi accorgerò di ciò che va tagliato, sintetizzato e interverrò senza alcuna pietà. Seguono i cliché, fondamentalmente perché sono una pigra patologica. Ma anche su di loro si può intervenire con una buona revisione. Infine, la tendenza allo spiegone, specialmente quando mi trovo a raccontare le emozioni di un personaggio invece di fargliele vivere…
Daniele Imperi
Penso che l’infodump sia l’errore più facile da fare, ma non è grave, perché in revisione o con editing lo elimini facilmente.
Anche quello di raccontare le emozioni, capita anche a me. E spesso, ho visto nell’ultimo racconto scritto, faccio intervenire il narratore.
Piter57
C’è un modo molto semplice per evitare sia l’infodump, o le frasi inutili o confusionarie, che i vari cliché o per semlpificare “le frasi fatte o ripetitive o quelle banali”, sto parlando semplicemente di “fermarsi un attimo in più del solito prima di iniziare a scrivere ” per potere con calma vedere e valutare obiettivamente quello che si andrà a scrivere” e fare ciò “prima di iniziare a scrivere e farlo soprattutto mentalmente, o al massimo annotando i vari pensieri su un foglio di carta o pc con una o massimo due parole”. Co due parole voglio dire di essere “brevi e sintetizzare” molto nella prima fase di stesura del capitolo. Fatto ciò si andrà poi con calma a valutare se e cosa “espandere” nel capitolo o nel paragrafo. Il principio della “sintesi” e della “brevità” vale per tutte le varie “fasi di ispirazione e poi stesura del romanzo”. La cosa può in un primo momento apparire strana o addirittura fuori luogo. Qualcuno potrebbe obiettare dicendo che quando arriva l’ispirazione mi va di scrivere “di getto” e con “spiegoni” molto articolati per non perdere il senso dei sentimenti o l’atmosfera delle varie situazioni o altro.Tutto ciò è ragionevole e a volte ci fa preoccupare tanto da scrivere centinaia di parole quando ne potremmo scrivere una decina, o decine di parole quando ne potremmo scrivere una soltanto. Noi nella vita di tutti i giorni usiamo automaticamente questo linguaggio breve e sintetico molte volte, faccio un semplice esempio, se il sindaco del nostro paese si chiama Giovanni associando le due parole”il sindaco Giovanni” stiamo sintetizzando un personaggio che in seguito potremo espandere nel racconto a nostro piacimento esecondo le “esigenze della narrazione”. Così, con due parole abbiamo evitato di riempire pagine e pagine lavorando e faticando per non correre il rischio dopo di accorgerci che il sindaco Giovanni in fondo non è importante per la narrazione e poi eliminarlo del tutto. Tanto lavoro sprecato e basta. Se cìò accadesse per uno scrittore non andrebbe bene. Lo stancherebbe soltanto. E renderebbe meno prolifica la sua produttività e a volte potrebbe subentrare una specie di scoraggiamento che potrebbe insinuare nella mente dello scrittore o della scrittrice dei pensieri negativi al punto da pensare che forse scrivere non fa per noi o che non riuciremo mai a concludere un racconto o un romanzo. Invece lo scrittore per esere sereno e anche soddisfatto e felice deve produrre dei testi, e li deve produrre nel più breve tempo possibile e con la sua più alta qualità di scrittura che riesce ad elaborare in quel momento. E dato che sia l’infodump, i clichè e le tendenze allo spiegone sono nemici di questa soddisfacente produttività noi li dobbiamo eliminare . possiamo fare questo con un semplice e facile metodo. In ogni fase della nostra scrittura dobbiamo valutare ed “eliminare” e quindi “non inserire” “tutto ciò che non serve alla narrazione” di quel racconto o di quel capitolo o di quel romanzo. Stiamo pensando che sia troppo difficile? Di certo all’inizio può non essere facile. Tutto quello che pensiamo ci pare possa essere “indispensabile i incancellabile” e “assolutamente da inserire nella storia o nel racconto”. Ma al 90 per cento di solito non è così. Da dimostrare è facile, di quello che abbiamo scritto in un testo quante volte ne eliminiamo di solito molte righe o molti paragrafi o addirittura molti capitoli? Se vi capita sovente vuol dire che “non siete nè brevi e nè sintetici” o che addirittura “vi capita di inserire pezzi di narrazione inutili allo scopo che poi eliminate regolarmente, o abbandonate la narrazione perché è diventata confusa inconcludente e non piacevole a leggersi. Certo se queste problematiche non vi toccano sono felice per voi, ma se in qualche modo si rispecchiano in voi allora. potete correre ai ripari e migliorare la vostra scrittura e la vostra produttività. Quindi ripetiamo di essere brevi e sintetici, cioè usare poche parole per dire “quello che poi andrete ad espandere se valuterete che è indispensabile alla vostra narrazione”. Un’altro esempio pratico. Immaginiamo di voler parlare in un capitolo di due amiche che si incontrano in un bar dopo molto tempo, diciamo due anni. Vediamo la sintesi di questo capitolo. Ecco i possibili appunti: “Incontro di due amiche. Al bar. Non si vedono da due anni. Erano molto unite. Amavano la cioccolata e la coca cola. Erano leali. Schiette. Oneste. Altruiste. Generose. Una veste di rosso. L’altra veste di blu. Hanno 20 anni. Una alta . L’altra più bassa di 20 cm. Una bella. Una meno, ma più simpatica. Non si sarebbero mai tradite. Auna piacevano i biondi. L’altra preferiva i castani.” E mi fermo qui. Nell’esempio ho usato termini quasi “telegrafici” che sono ottimi da imitare. Se non vi riesce si possono usare frasi brevi. Da questa lista si possono scegliere ciò che si andrà a dire e cosa eliminare. E così lo spreco di parole inutile al racconto potrà essere controllato con più facitita. Provare per credere. Poi potete sviluppare un “metodo sintetico” vostro del tutto personale, che va bene lo stesso. Ora passiamo alla “tendenza allo spiegone” che merita qualche parola in più. Ci sono due modi per eliminarlo del tutto. Prima di parlarne vorrei precisare un punto fonfamentale, quando si parla di “sentimenti” parliamo di qualcosa che”nessuno vede” ma che “soltanto chi li prova li sente”. Detto questo ritorniamo ai due modi che si possono usare per far capire al lettore questì sentimenti, che siano odio, amore, gioia, tristezza o altro. Un modo è quello di usare un “narratore universale” vale a dire che il narratore del racconto conosce tutto di tutti e che anche i sentimenti di ogni personaggio li conosce come se capitassero a lui, perchè ogni volta si può immedesimare in colui di cui parla. E quindi il problema è risolto. Un’altro modo è quello del narratore in prima persona, e questi non può conoscere i sentimenti nel’ìntimo dei personaggi, ma può solo “vedere coi suoi occhi” in che modo “esprimono i loro sentimenti i personaggi” ad esempio con gesti, risate, lacrime o varie parole. Da non scordare assolutamente che non può narrare cosa provano intimamente. E può solo narrare ciò che “vede coi propri occhi”. Al limite può solo dire “quelle che sono le sue impressioni sui sentimenti che il personaggio gli senbra di mostrare”. Ma bisogna farlo con molta moderazione e solo superficialmente. In ogni caso e nei due modi di agire dello scrittore che ho elencato prima c’è sempre e solo da preferire “la tecnica di scrittura del mostrare” e mai “la tecnica di scrittura del raccontare” semplicemente perchè la prima tecnica rende più vivida e reale la scena e la scrittura è più viva e la lettura più scorrevole e più espressiva. Ma di questo magari parleremo
Monia
Forse è una tecnica da usare anche nei post!
con simpatia..!
Gas
LiveAlive è stato spodestato dal trono.
nino carmine di rubba
Gentile Daniele,
complimenti per le Sue informazioni: pratiche, chiare, dirette, incisive e soprattutto professionali.
Post scriptum:
sto attraversando un periodo poco piacevole “mentalmente”, l’ultimo romanzo che ho incominciato a scrivere mi crea problemi … prometto, però, di uscire dal guado quanto prima.
Salutissimi e complimenti. ninocardirubba
Piter57
Se mi permetti vorrei dire qualcosa su “Quando un romanzo o un racconto o altro che si sta crivendo crea dei problemi allo scrittore/trice”. Innanzitutto serve conoscere la vera natura del “problema” per affrontarlo e risolverlo. E per far questo è molto utile fare una “breve pausa o stare lontano per breve tempo dal problema” non cercando di risolverlo “forzatamente” perché potrebbe non essere la via giusta e questa “fretta” potrebbe portarci a commettere errori piu grandi tanto da compromettere il romanzo stesso. Specifico che per “stare lontani dal problema” non intendo la lontananza come misura di lunghezza, ma la lontananza intellettuale, cioè quella mentale. Ogni scrittore deve rammentare che lui scrive solo perchè “è il suo cervello che glielo permette” e nenza di esso non esiste nè la scrittura e nè lo scrittore. Stabilitò ciò, è necessario agire di conseguenza. Come l’autista tiene in ottimo stato il motore dell’auto che guida perchè sa che senza il suo funzionamento non potrebbe svolgere il suo lavoro, allo stesso modo lo scrittore deve cercare di avere un cervello in ottimo stato, così da poter svolgere la sua attività di scrittore in modo ottimale. Due elementi sono essenziali affinché il cervello sia operativo al cento per cento, le elenco in ordine di importanza: 1) “il sonno” 2) “la pace o la tranguillità interiore di chi scrive”. Anche se altri fattori possono influire positivamente sul funzionamento del nostro cervello come il cibo, le bevande, a altro, state pur certi che senza una buona dormita e senza la pace e la tranquillità emotiva non si va tanto lontano come scrittore. Quindi cercare di stare in pace con tutti e di dormire abbastanza. Fatto questo lasciate riposare il vostro problema letterario, e dopo una buona mezza giornata in cui non gli rivolgete nemmeno un pensiero o anche un giorno o due, intanto potete scrivere altro, riprendete il problema in mano.E cercate con calma di risolverlo. Ma se vedete che la soluzione continua a non venire dopo un’ora o due di valutazione vuol dire che “dovete abbandonare quella vostra idea o broblema e buttarla via”. E cercare una nuova idea che non vi causi più problemi. Uno scrittore non deve “perdere tempo e pazienza” dietro idee o problemi letterari di qualsiasi tipo, oltre il rischio che la vena narrativa si areni vi è anche il rischio che lo scrittore possa “esaurirsi mentalmente” e parlo sempre di “esaurimento letterario” tanto da stancarsi di scrivere o farsi un’idea errata sulla sua mancata creatività. Tanto da renderlo poco creativo. Detto questo passiamo alla soluzione radicale di “qualsiasi problema letterario inerente la creatività e la scrittura”. La soluzione è molto semplice, su ogni attività che lo scrittore svolge nel suo lavoro, vale a dire “la ricerca della trama” oppure”i personaggi” oppure”i dialoghi” o ancora “un mondo fantastico dove far vivere la vicenda” o altro ancora, lo scrittore “deve darsi un tempo preciso” e parlo di minuti, ore o giorni. E “deve rispettare tale scadenza il più possibile”. Passato questo tempo stabilito, si deve interrompere quella ricerca e orientarsi su un’altra strada. Per meglio capirci farò un esempio. Che può essere applicato a tutte le varie “parti” che compongono la narrazione di uno scrittore. Immaginiamo uno scrittore che voglia scrivere “la trama di un romanzo d’ amore”. Si mette a tavolino o ci pensa mentre fa colazione o mentre passeggia, e dopo un tempo ragionevole o anche per tutto il giorno non è riuscito ancora a capire come farla quella trama e da dove iniziare eccetera. Lo scrittore in questo caso ha perso solo tempo prezioso. se si fosse dato ad esempio due ore di tempo, avrebbe perso solo due ore e non l’intera giornata. E quel tempo perso l’avrebbe potuto dedicare a “una trama poliziesca” cosa che lui sa che gli riesce facilmente. Lostesso principio vale a metà romanzo se un ostacolo ci sbarra la strada e non riusciamo a superarlo dopo “un ragionevole tempo stabilito” forse è il caso di abbandonare quella via e cercarne un’altra e così andare avanti finchè si trova la via giusta, anche a costo di eliminare qualche capitolo o anche di più. Vedete, molti pensano che più scrivono e più sono bravi o lo diventeranno, e altri pensano che meno scrivono e più scriveranno cose importanti, entrambe queste idee sono errate. Uno scrittore che scrive tanto lo fa soltanto perchè riesce a farlo, e uno scrittore che scrive poco lo fa solo perchè quello è il suo limite. Tutto qui. La bravura di entrambi può essere affinata e migliorata allo stesso modo, per chi scrive tanto o per scrive poco. E questo vale per tutte le altre fasi della scrittura. Le cose troppo “complicate” o che creano “problemi” nella scrittura o nella fase creativa di solito sono da eliminare, dopo un ragionevole tempo di tentativi andati a male. Preferite le cose meno complicate e con meno “problematiche letterarie”. Una trama troppo “complessa” può generare confusione e basta se non la si riesce a gestire con “maniacale accuratezza”, cosa che molti non riescono a fare, col rischio di “stressarsi solo la vita e basta”. Spero che possiate in futuro affrontare con più serenità qualsiasi aspetto della narrazione.
Daniele Imperi
È normale che un romanzo crei problemi, anche il mio me li sta creando
Piter57
C’è da capire che “tipi di problemi” il romanzo sta causando allo scrittore. Se sono problemi “che possono risolversi” in breve tempo, in pochi minuti o al masimo qualche ora, oppure sono “problemi che diventano più complicati mentre andiamo avanti nel racconto o addirittura creano altri pproblemi in aggiunta e più grandi di prima”. Mi spiego con un esemlio. Il problema che abbiamo davanti è simile a “una collinetta” facilmente superabile con uno sforzo equilibrato e fattibile, oppure è simile a “una montagna molto elevata” che cerchiamo di superare con solo la speranza di farcela , oppure è simile “a delle sabbie mobili” che una volta caduti dentro e ci agitiamo per superarle ci trascinano sempre più giù rendendo vano ogni nostro tentativo di superarle? Ci tengo a precisare che ogni scrittore può agire “come meglio crede” e tutti devono rispettare compreso io questo suo modo di agire letterario. E se vuole scalare le montagne o attraversare le sabbie mobili credendo di farcela nessuno si permetterà di criticarlo, e quindi faccia pure. Io qui mi riferisco a quegli scrittori che sanno di avere i propri limiti e ragionevolmente pensano che scrivere una storia senza troppi ostacoli davanti al loro cammino faciliterà la narrazione ed esalterà la loro linea creativa. Detto questo continuo dicendo che gli ostacoli di una storia dovrebbero al massimo essere alti come “collinette” facilmente superabili con un piccolo sforzo. Altrimenti faremo troppa fatica ad andare avanti o potremmo perderci nella narrazione. Ma questo a volte non avviene perchè lo scrittore a volte cade in trappole o tranelli banali che poi possono diventare montagne insuperabili. Gli esempi valgono molto più delle parole, facciamone uno. Immaginiamo di scrivere un romanzo fantasy. E che ci sono tre elfi che cavalcano tre unicorni alati, il primo unicorno ha una stella a tre punte sulla fronte e la stella è di colore nero. Una stella identica ce l’anno gli altri due unicorni (o cavalli alati con un corno al centro della fronte) e la stella di uno è rossa e quella dell’altro è verde. E mettiamo che ogni elfo ha il suo unicorno specifico. Dopo cento pagine di narrazione gli unicorni vengono catturati. Dopo altre cento pagine di narrazione gli unicorni si ricongiungono ai tre elfi. A questo punto non ricordiamo quale sia l’elfo abbinato all’unicorno con la stella nera. Ecco un ostacolo banale che può diventare un problema serio. Perchè ci siamo dimenticati di scrivere i nomi esatti con lunicorno esatto tenendoli solo a mente. Presto detto andiamo a rileggerci un centinaio di pagine o meno e troveremo quello che ci serve. Problema risolto. Se ci manca la voglia gettiamo il manoscritto in un cassetto rimandando una lettura che non avverrà mai. Non voglio essere troppo tragico, ma a volte capita che un piccolo ostacolo ci impedisce di proseguire con celerità nella narrazionea volte ci blocca del tutto.Questo non va bene nè se l’ostacolo è piccolo e nè se è grande. Ecco la soluzione a questo Problema. Paragoniamo un romanzo a un palazzo da costruire. Se il costruttore rispetterà determinate regole di costruzione allora il palazzo per quanto grande ed alto possa essere verrà edificato con facilità ,semplicità e nel più breve tempo possibile. Allo stesso modo lo scrittore “deve rispettare determinate regole di costruzione” nel produrre il suo romanzo. E più si atterrà a queste regole di scrittura, meno problemi e ostacoli troverà nel suo cammino narrativo. Quindi la prima cosa che lo scrittore deve fare prima di fare la prima stesura del suo romanzo e “un’attenta e ninuziosa e corretta progettazione della sua opera che si accinge a creare”. Senza questa “progettazione” non si andrà molto lontano. Sono di norma “l’ordine e la semplicità”. Anche in un palazzo la cosa primaria è il suo progetto. Se questo è semplice e bene ordinato renderà molto piacevole e scorrevole sa sua edificazione e nacerà alla fine “un bel palazzo”. Lo stesso vale per un romanzo. I più grandi romanzi della storia della letteratura si possono riassumere in meno di due paginette scritte, sia quelli passati che quelli moderni, questo perchè la loro progettazione è stata sempre “ordinata e semplice”. E la loro stesura è stata sempre molto spedita, in proporzione anche alla lunghezza del romanzo. Quindi “è la progettazione di tutto il romanzo” la prima cosa che dovrebbe essere curata attentamente. Se lo si fa con attenzione e professionalità di solito lo scrittore non trova ostacoli insormontabili nella sua narrazione. E ricordatevi di “non rimandare a più avanti nel racconto” il fatto “di completare la progettazionelì” perchè vi può far cadere in errore e creare ostacoli. Progettate in modo semplice e ordinato il vostro romanzo, la creatività e anche il genio non saranno intaccati, ma non avendo problemi di sorta nello sviluppo della storia essi si potranno esaltare di più e rendere più piacevole da leggere il vostro romanzo. Ricordatevi: “progettazione iniziale con ordine e semplicità”. Ne rimarrete soddisfatti.
Gas
Ho un dejavu. Se non altro perché mi pare di aver commentato la stessa cosa la prima volta che commentai qui.
Alzheimer a parte…
BLACK BOX: qui mugugno e mugugna tanto Lovecraft… ah quanto mugugna. TUTTO quel che ha scritto è in black box. La maschera di Innsmouth, Il Museo delle Cere… IO narrante che finisce morto/uomo pesce deforme, eppure ci ha narrato la storia.
Daniele Imperi
Ho letto tutto Lovecraft, ma non ricordo sensazioni da blackbox. Se però è un horror e chi parla è un fantasma o simile, allora non si tratta di black box. Comunque ho iniziato a rileggere i suoi racconti e ti saprò dire in futuro.
Piter57
Parliamo “del cambio del punto di vista” o per meglio specificare “del cambio della narrazione,sia in senso temporale che della voce narrante”. Molti scrittore preferisco iniziare a scrivere un romanzo in una certa maniera e usano lo “stesso metodo” per tutta la stesura del romanzo. Ciò gli semplifica la vita ed evitano di commettere errori di forma e sbagli grammaticali e altre varie imperfezioni mentre narrano la vicenda. Altri scrittori preferiscono narrare “cambiando il puntodi vista della narrazione” per motivi vari, O perchè quel particolare tipo di romanzo lo richiede o perchè vogliono a loro parere rendere meno noiosa la storia o per altrimotivi personali. Tutto si può fare. E cambiare il punto di vista della narrazione non è sbagliato. Questa è una “tecnica che si è evoluta maggiormente nei tempi moderni” e gli scrittori la usano spesso per vari motivi. Quello che mi preme dire adesso è “se questo genere di narrazione sia consigliabile oppure no”. In senso “generale” non è consigliabile perchè vi sono delle difficoltà tecniche non solo per lo scrittore ma anche per il lettore. Mi spiego con un esempio. E’ come fare un lungo viaggio e ogni tanto si cambia automobile. Così che alla fine del viaggio lo scrittore ha cambiato venti automobili e forse anche più. Fin qui tutto normale, potrebbe obiettare qualcuno. Il viaggio è “vario e così non ci si annoia eccetera”. Ma questo è il punto di vista dello scrittore. E cosa ne penserà il lettore? Nella narrazione lo scrittore ha tenuto conto del lettore o scrive solo per se stesso? I suoi libri li dovrà leggere soltanto lui oppure sono indirizzati ai suoi possibili lettori? Quindi dobbiamo valutare se i lettori gradiranno i cambiamenti menzionati. C’e da dire che un metodo preciso di valutazione statisticamente parlando non c’è. Ma alla soluzione del quesito possiamo arrivarci ragionevolmente. Ritorniamo all’esempio del lungo viaggio in auto, che rappresenta la narrazione dello scrittore. Il cambiamento di auto implica un adattamento alle nuove e sconosciute circostanze. Che per alcuni possono essere “gradevoli” ma per altri “scomode” o addirittura “antipatiche e perfino odiose”. Immaginate quete “circostanze” che cambiano per molte volte e poi riflettete se in fondo non darebbero fastidio pure a voi. Di solito è meglio “non affaticare il lettore” con cambiamenti di narrazione e che questo non diventi per lui un problema. Pensate a un lettore che dopo 10 capitoli e 5 cambiamenti di narrazione all’11° capitoso si chiede in che maniera sarà scritto, distraendosi dalla lettura. Potrebbe stufarsi e buttare via il libro. E uno scrittore alle prime armi non può permettersi di perdere un potenziale futuro lettore. La “narrazione uniforme per tutto il romanzo” farà in modo che il lettore sia legato “non al cambio di narrazione” ma alla trama e al resto del romanzo, non distraendolo. Ogni scrittore può usare il cambio di narrazione come e quando vuole. Ma se non è molto esperto rischia di commettere “errori di narrazione” facilmente. Perchè andarsi a complicare la vita, quando lo stesso risultato lo possiamo ottenere facendo meno fatica e in modo molto più semplice? Ricordatevi che “non esiste un metodo di narrazione in assoluto migliore di un altro metodo”. Chi narra la storia “in prima persona” non ha nessun vantaggio su chi narra la storia “in terza persona” e via dicendo. E’ vero che determinate tecniche di scrittura possono essere più appropriate o più incisive o avere altri meriti presunti o soggettivi, cioè uno pensa che un modo è meglio e un altro modo è peggiore. Ma questo allo scrittore non dovrebbe interessare più di tanto. Lo scrittore “deve decidere quale metodo si scrittura usare nella sua narrazione in base a ciò che gli piace di più, perchè così scrivere gli verrà più facile. Di solito uno scrittore legge anche molto. Basta pensare ai libri letti che gli sono piaciuti di più e poi vedere che tipo di narrazione usava quello scrittore. E la può usare anche lui, o lei. E? molto semplice. poi, quando chi scrive sarà diventato bravo a narrare col punto di vista che si è scelto se vuole può adottare altri punti di vista o mischiarli nello stesso romanzo. Ma ricordo agli scrittori di scegliere sempre la soluzione “più semlpice” per loro. Non bisogna mai “complicarsi la vita letteralmente parlando. Per uno scrittore “non deve essere molto importante lo stile narrativo che usa” anche se una certa importanza ce l’ha, ma la cosa veramente importante è che lo stile di scrittura che usa sia corretto, di semplice comprensione, facile da leggere eccetera. Quando si pesca la canna da pesca ha la sua importanza, ma se non è bravo il pescatore difficilmente farà una buona pesca. Scegliere il punto di vista della narrazione è personale, ma è preferibile inizialmente usarne solo uno e sempre lo stesso per tutto il racconto o romanzo che sia. Se uno scrittore è indeciso, allora scelga lo stesso punto di vista dello scrittore che legge volentieri e che narra con un solo punto di vista. Si semplificherà la vita e scriverà con più piacere.
Deborah Sansalone
L’idea che ci siano errori “oggettivi” da evitare è l’uccisione dell’arte e dell’autentico artista.
Tutta questa è una congerie di sciocchezze.
Inoltre, ogni tempo ha la sua arte è un modo per poter dire: “Bisogna scrivere così o cosà”.
Dunque, ancora, l’uccisione dell’arte.
Non c’è un metodo scientifico per creare un romanzo che sia un grande romanzo. Non c’è un metodo scientifico seguendo il quale ci trasformeremo in artisti, se non lo siamo.
L’idea stessa che si possa imparare a scrivere letteratura seguendo una scuola o alcune direttive che vanno per la maggiore in un determinato periodo (o in un determinato mercato, perchè ormai si tratta di questo) è falsa, oscena, e propria della mediocrità!
Perdona il tono, non ce l’ho con te, che anzi mi sei simpatico non so perchè, ma con la stupidità irredimibile della cultura attuale.
Addio!
Daniele Imperi
Qui non sto parlando di scienza della scrittura, che non esiste. Ma la scrittura, come arte, ha bisogno di regole, altrimenti qualsiasi schifezza può passare per forma d’arte. Le regole servono per far comprendere un testo, per far capire la storia, altrimenti non starà in piedi.
Deborah Sansalone
Ma perchè hai tolto quel bellissimo: “Stupidità irredimibile lo vai a dire a qualcun altro, prima di tutto” che invece è arrivato a me via mail?
Forse ti sei accorto che non era rivolto a te direttamente? Benissimo.
Le schifezze che passano per forma d’arte temo siano quelle che adottano criteri allineati all’ortodossia vigente in ogni epoca storica, cioè (anche se non esaustivamente) quelli elencati nell’articolo che mi sono permessa di commentare.
Alcune regolette mi sembrano pensate per lettori idioti o comunque a digiuno di grandi opere. È vero che l’arte ormai, invece di elevare chi le si avvicina, sembra volersi abbassare al livello della mediocrità che le consente di essere capita da tutti, ma… Ma, semplicemente, ritengo che questo sia un delitto, uno scempio culturale. Tutto qui.
Chi le detta le regole della scrittura al vero scrittore? Un vademecum come questo? Sono certa di no.
Ti ringrazio per l’attenzione. Non volevo rompere le scatole, ho scritto che non ce l’ho personalmente con te che anzi eccetera… Ma ce l’ho, e continuo ad avercela, con la stupidità irredimibile della cultura attuale, in specie “letteraria”, sempre che sia lecito usare ancora questo aggettivo per libri che sono mera narrativa.
Se parliamo di quest’ultima, d’accordo, ci possiamo sciroppare anche le regolette. Forse.
Daniele Imperi
Sì, esatto, rileggendo ho capito che non era rivolto a me.
Per schifezze che passano per opere d’arte non mi riferivo alle regole esposte nell’articolo, ma in generale.
Nessuno detta le regole, sono nate per rendere la storia comprensibile. Anche la grammatica è fatta di regole, ma se la stravolgi, senza conoscerla, produci testi incomprensibili.
Non ho capito l’ultima parte del commento. La narrativa non sarebbe cultura?
Deborah Sansalone
Ma sì, certo, è cultura. Soltanto, non è letteratura. Oggi non si fa quest’opportuna distinzione.
È giusto il discorso sulla grammatica e le regole, ma quello della creatività artistica, per sua natura, è diverso: necessita che tali regole non siano affatto rigide, che siano anche contestate, rifatte, superate, eccetera. Probabilmente io ho sbagliato il piano del discorso, perchè parlavo di arte. Se si parla solo di pubblicare libri di intrattenimento, capisco ci possa essere qualche regola più stringente dettata dal mercato, dai gusti correnti. E tuttavia, in qualsiasi ambito, mi è antipatica l’idea di adeguarsi a ciò che va per la maggiore. Forse, anche in ambito di narrativa, lasciando stare la letteratura, seguendo regole preconfezionate non si fa che distruggere la propria unicità espressiva, se ne abbiamo una.
Ciao! Non rompo più. Qui dove sono sto morendo di freddo e mi tocca abbandonare la postazione non essendo munita di trabiccoli mobili
Daniele Imperi
La narrativa non è letteratura? E cosa sarebbe, allora? E cosa è per te letteratura?
Piter57
Gradirei fare un commento sull’ultimo articolo della “Sansalone”. Perché mi pare molto più sensato ed equilibrato dei primi due. E anche “molto più artistico” . E quello che mi è parso di notare, se sbaglio le chiedo scusa e accetterò una sua eventuale ragionevole correzione, è che lei faccia un pò “di confusione ” quando parla di “Letteratura” e di altri termini legati a questa forma di Arte. Io adesso tratterò solo “la creatività artistica” che ha incluso nel suo commento. Vorrei precisare che la Letteratura come Arte ha molte “ramificazioni” e ognuna di esse non necessita di “paragonarla ” con unn’altra “ramificazione” perché ciò sarebbe errato. Un esempio vale più di mille parole. Paragoniamo L’Arte della Letteratura a “un grande albero molto rigoglioso pieno di splendidi rami e di un fogliame con vividi colori e sfumature piacevoli alla vista”. Già da questa semplice immagine notiamo “la complessità” dell’argomento di cui stiamo parlando. Quindi trattarla con parole semplici e chiare ci aiuterà a comprenderla meglio. Detto questo passiamo al concreto. Questo “grande albero” che altri non è che la nostra Arte Letteraria lo dobbiamo scomporre in varie parti. Questo albero ha “le radici” che sono fondamentali. Senza di esse non ci sarebbe nessun albero. E le radici sono “i semi del genio letterario”. Senza tale “genio” la Letteratura non esisterebbe. E forse tale Genio Artistico è anche in te e in tutti quelli che scrivono per passione o per altre motivazioni , e questo è da valutare. Le radici innanzi tutto producono “il tronco dell’albero” cioè “la creatività artistica” che ora trattiamo. Essa produrrà poi la crescita di ramificazioni varie e multiformi e di innumerevoli variazioni di direzioni e cromatismi difficilmente catalogabili. Se non c’è il tronco tutto il resto non ci potrà essere. Quindi la Creatività Artistica della Letteratura è di primaria importanza. Ma di cosa si tratta? Anche se l’argomento è molto vasto cercheremo di dargli una breve definizione. Stiamo parlando di”fantasia”, parliamo di “inventiva”, parliamo di “creatività soggettiva”, parliamo di “fantasmagorici voli di immaginazione”, parliamo semplicemente di “creare e trasformare qualcosa di unico che nessuno ha mai fatto prima” e molto di più ancora. Ma fermiamoci qui. Tale creatività letteraria non può essere imbrigliata in regole o gabbie che non le permetterebbero di espandersi. Necessita di libertà assoluta e tale libertà la si trova solo “nella propria mente”. E tale Arte “principalmente è solo ed esclusivamente all’interno dello scrittore o della scrittrice e nella sua personalità”. Ora passiamo ad un’altro esempio. Paragoneremo L’Arte Letteraria “a un Diamante grezzo che ogni scrittore potrebbe avere dentro di se”. Sappiamo tutti che un diamante grezzo se rimane in quel suo stato “è privo di valore” pur avendo al suo interno un immenso potenziale di preziosità futura. Quindi lo specialista userà “determinati strumenti” per “ripulire dalle imperfezioni e dalle impurità ” detto diamante grezzo per infine produrre “lo splendore perfetto e puro di un diamante dal valore molto alto. a volte altissimo, a volte inestimabile. Quindi nell’Arte della Letteratura vi sono molte “ramificazioni” che sono “necessarie” da “estrarre” per avere in mano “un valore concreto ” di questa arte. Se stiamo a discutere “il modo o la maniera in cui si possono estrarre questi diamanti” ci stiamo perdendo in un bicchiere di acqua, forse senza rendercene conto.La vera libertà consist “nella creazione di un’opera Letteraria” e tale inventiva non potrà mai essere arginata o ingabbiata, perchè tutti i nostri pensieri ne fanno pure parte, e si sà che nessuna catena mai potrà legarli e non farli librare in volo. E questa è solo “una goccia” dell’immenso oceano che è “la Creatività Artistica e Letteraria” che ogni scrittore o scrittrice può scoprire di avere all’interno di se. Come un diamante grezzo da cercare di estrarre e farlo sfolgorare in tutto il suo splendore. E’ questo che auguro a te e a tutti quelli che si sentono scrittori o che amano la crittura.
Piter57
Vorrei fare qualche commento a quanto scritto da te. Premetto che secondo me ogni scrittore e chiunque si ritiene tale può pensare ed agire come meglio crede, ma sempre nel rispetto di chi non la pensa come lui o come lei, così come sto facendo io adesso. Se manca tale rispetto viene a mancare anche il dialogo e lo scambio di opinioni può divenire “solo una perdita di tempo” e non un modo per confrontarsi positivamente e crescere in maturità. detto questo vado avanti. Inizio col dire che in tutto quello che hai detto “non c’è nulla che sia esatto o che abbia un senso”. E non so , e nemmeno mi interessa sapere, il motivo perché tu la pensi in tal modo. Voglio solo rispondere a una tua obiezione. La prima da te sollevata che parla di “errori” di “arte” e di “Artisti”. Devo dire che il tuo commento in merito è totalmente errato. E ciò mi fa pensare che tu non sia una scrittrice, nel caso in cui mi sbagli ti chiedo anticipatamente scusa. Proseguo dicendo che “qualsiasi arte” e non solo la scrtittura necessitano di “ordine, correzione degli errori, cambio di valutazioni ritenute sbagliate, revisione di quanto già creato ecetera eccetera”. Se tu sei invece “una scrittrice”, e questo me lo auguro di cuore, vuol dire se ti sei fermata e “non stai crescendo in maturità artistica”. E mi auguro vivamente che tu ti sblocchi e faccia esplodere la tua vena creativa e fantasiosa di brava scrittrice in modo che venga fuori tutto il tuo talento nascosto per la gioia dei lettori ela tua grande soddisfazione personale. Gli “errori” si commettono in tutte le “arti”, e anche nell’arte della scrittura avviene questo. La “correzione di tali errori” porta a “un miglioramento del romanzo o del racconto appena corretto” per la gioia di tutti scrittori prima e lettori dopo. In tutto questo non c’è nulla di sbagliato. Nessuno di noi “nasce” “gìà preparato o già perfetto come scrittore o scrittrice” tuttaltro. Per diventare un bravo scrittore ci vuole tempo, studio, costanza, lavoro e quindi molto sudore”. Ma c’è “una qualità che io chiamerei PRIMARIA e che senza la quale nessuno scrittore che sia talentuoso o meno crescerà in maturità”, e se non cresce non completerà mai un libro, sto parlando della “modestia “, vale a dire quello di riconoscere i propri limiti e di aver bisogno dei consigli altrui per crescere e migliorare le nostre qualità di scrittore. Chi si ferma “solo alla critica” o solo allo scontro verbale fa solo del danno a se stesso. E’ come starsene davanti a una tavola imbandita con cento piatti di squisito cibo da prendere e gustare deliziandosi il palato e nutrendosi con gusto e invece di farlo ce ne stiamo fermi e non lo tocchiamo solo perchè “noi pensiamo erroneamente” che chi ha preparato quei piatti non merita la nostra fiducia. Lo stesso vale per la scrittura. I vari consigli dati devono “essere gustati” dal nostro palato di scrittore. Poi se non ci gustano o se non li riteniamo validi possiamo sempre rifiutarli. E bisogna sempre ricordare che anche nella scrittura si possono commettere “molti errori” e lo srittore che vuole diventare grande lo sa. Errori che si dovranno correggere per crescere nella scrittura. Ogni Arte ha le sue regole e anche l’Arte della Scrittura ce l’ha. Se si accettano e quindi si correggono anche “gli errori” vari si può sperare di essere un giorno un grande scrittore o scrittrice. Se non lo si fa si resta fermi e non ci resta “che criticare gli altri per colpe che non hanno”. Una magra consolazione questa. Meglio moltomeglio prendere una penna e iniziare a “correggere gli errori che commettiamo scrivendo” solo così la nostra scrittura acquisterà pian piano la “forma di Arte che gli spetta” e lo farà sempre più pienamente. Rendendoci felici per i miglioramenti fatti nel nostro scrivere. E questo auguro anche a te, che tu possa essere felice pienamente del tuo scrivere caro scrittore o scrittrice, e questo non mi pare sia poco! Buona scruttura a tutti.
Deborah Sansalone
Caro Piter57,
mi rendo conto dal tono che il suo commento parte da buone intenzioni, ma sostanzialmente si tratta di una predica su cosa si debba pensare e, anche, come ci si debba comportare quando si commenta in un blog. Se il padrone di casa ritiene che i miei commenti siano offensivi e dunque impubblicabili, è libero di rifiutarli.
Io ritengo di non essere stata irrispettosa dicendo che le regole per scrivere bene qui elencate siano un mucchio di sciocchezze: non è che la mia ben meditata opinione.
Essendo poi un’opinione parecchio controcorrente, si potrebbe quanto meno degnarla di un minimo di attenzione, invece che liquidarla subito come errata.
Quanto alla modestia da lei benignamente raccomandata, mi permetto di non ritenerla affatto -come la storia dimostra- caratteristica indispensabile del grande scrittore (ma nemmeno del bravo scrittore). Al di là dell’ambito letterario, in ogni caso, la modestia va bene quando è opportuna, cioè quando effettivamente si è scarsamente dotati in un qualche campo: se, per caso, si è dotati, invece è solo una forma di ipocrisia. La modestia non ha nulla a che fare con la capacità e la volontà di apprendere, anche dai propri errori. Ma nessun artista serio ha mai seguito regole e regolette per diventare se stesso: le ha conosciute, le ha metabolizzate, le ha rifiutate o rielaborate. L’artista autentico trova in sè la propria regola. Non si tratta di qualcuno che non corregge, che non ripensa, ma di qualcuno che è diretto da se stesso, dal proprio talento, dal proprio discernimento, dalla propria visione; non da qualcun altro che -qui sì- ha la presunzione di individuare le regole universali per scrivere un “buon libro”.
Chiedo scusa se ho turbato il dibattito: di solito se leggo cose che mi irritano, mi astengo dall’intervenire, questa volta ho fatto un’eccezione. Piaccia o no, ho idee non estemporanee, ma frutto di una vita di riflessione, sulla scrittura e sull’arte, e una di queste è che scrittori non si diventa, se non lo si è.
Ringrazio sinceramente per gli auguri di felicità: li accetto e li ricambio cordialmente.