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Per fortuna, direi! Ma “meno frequenti” non significa che dobbiamo sopportarli. La lettura è prima di tutto un piacere, ma è anche studio: quando mi ritrovo davanti certi errori, impreco davvero a voce alta.
Alcuni, come gli articoli mancanti e gli apostrofi assenti, sono davvero fastidiosi. Altri, come la maiuscole mancanti e le ridondanze, passano quasi inosservate. Le incoerenze geografiche fanno invece sorridere, mentre sulle note a fondo pagina si potrebbe anche sorvolare.
Fin qui avrete capito ben poco, dunque vi lascio alla lettura e aspetto di conoscere la vostra opinione.
Articoli mancanti…
Sono già due volte – e in saggi scritti da persone laureate – che mi capita questo fastidioso errore. Quando si indica un periodo storico, o comunque un periodo che comprenda due date, occorre inserire l’articolo determinativo.
In due libri mi è però capitato di leggere così:
Tra 1905 e 1910
O anche:
Tra anni Venti e anni Trenta
Alle mie orecchie – e spero anche alle vostre – suona male. Si sente che manca qualcosa. Mancano infatti gli articoli determinativi:
Tra il 1905 e il 1910
Tra gli anni Venti e gli anni Trenta
Possibile che soltanto io veda un errore in questa assenza di articoli?
… e maiuscole mancanti
Di nuovo in un paio di saggi mi sono ritrovato davanti alla denominazione di alcuni decenni resa in minuscolo:
anni ottanta
Ma spesso trovo anche scritto “seconda guerra mondiale” o “il novecento”.
Quando si nominano i secoli, i decenni e alcuni particolari eventi storici va usata la lettera maiuscola:
- il Seicento, il Novecento e non il seicento, il novecento
- gli anni Settanta, gli anni Cinquanta e non gli anni settanta, gli anni cinquanta
- la Prima guerra mondiale, il Risorgimento e non la prima guerra mondiale, il risorgimento
Ridondanze…
Una ridondanza indica qualcosa di sovrabbondante, di eccessivo, quindi inutile, perché già chiarito in precedenza. Nel caso specifico di cui sto per parlare mi riferisco alla ridondanza del femminile.
Tempo fa è stata pubblicata la traduzione italiana del romanzo Memoirs of a Spacewoman di Naomi Mitchison, il cui titolo in italiano è diventato Memorie di un’astronauta donna.
Mi sono subito chiesto a cosa servisse specificare che si tratta di una donna, dal momento che c’è un apostrofo a chiarirlo. Sarebbe stato più corretto scrivere Memorie di una donna astronauta.
Non è comunque la prima volta che leggo una ridondanza del genere. È successo nel mondo politico, quando circolavano titoli di notizie quali “La prima sindaca donna” o “La prima ministra donna”: ma se hai già usato quel femminile (che ho sempre contestato), che senso ha specificare “donna”?
“La prima donna sindaco” o “La prima donna ministro” sarebbero stati titoli corretti.
… e apostrofi assenti
Questo è un errore molto frequente, purtroppo. Mi riferisco a frasi del genere:
Siamo chiusi dal 1 agosto
Leggendo questa frase, mi suona così: “Siamo chiusi dal uno agosto”. E ovviamente suona male.
Ho cercato sul sito dell’Accademia della Crusca e ho trovato:
stessa regola vale per le date che iniziano con 1: anche per queste, si considera il modo in cui tali date vengono pronunciate e quindi si scriverà il 1/2/2003 (cioè il primo febbraio duemilatré)
Questa volta non sono d’accordo con la Crusca. Per me 1 è un numerale, non un ordinale. Per rendere l’ordinale si deve usare o il numero romano (I) o l’indicatore ordinale (1°).
Quindi andrà scritto “Siamo chiusi dal 1° agosto” e, per come la vedo io, “il 1°/2/2003”, che sta male letto così, quindi meglio “l’1/2/2003”.
Tornando ai saggi, in una delle mie ultime letture – non ricordo più quale – ho trovato questa chicca:
numeri che vanno dal 11104 al 11126
Quindi, “numeri che vanno dal undicimilacentoquattro al undicimilacentoventisei”. E stona anche questa. Non so perché ci sia in giro questa antipatia verso gli apostrofi. Questa è discriminazione bella e buona.
“Numeri che vanno dall’11.104 all’11.126” è corretto. Da notare il punto per separare le migliaia, che nei numeri dalle 5 cifre in poi li rende più comprensibili.
Incoerenze geografiche
Di recente ho letto una raccolta di racconti di fantascienza, Il fiore della quintessenza, che non m’è piaciuta per niente. Ho dato una stella su cinque. È mancata, secondo me, una buona revisione dei racconti (molti dei quali io neanche avrei accettato nella raccolta).
Ma qui dobbiamo parlare di incoerenze geografiche. Che cosa intendo? Parlo della mancanza di connessione logica. E adesso arrivo al punto.
Uno dei racconti era ambientato in una cittadina delle Langhe. Per chi non lo sapesse, le Langhe si trovano in Piemonte. Come si chiamano i personaggi di questo racconto?
Si chiamano Hetty, nonna Jo, Heini, Sandi, Karola, ecc.
A parte il primo – che comunque con le Langhe non ha nulla a che spartire – gli altri sono di provenienza finlandese, svedese, danese, norvegese, groenlandese. Va bene che in Piemonte non farà caldo, ma neanche un freddo quasi polare.
Quei nomi così nordici – ben più nordici del nordico Piemonte – non sono giustificati. Nel racconto non c’è alcuna spiegazione che giustifichi nomi del genere.
Note a fondo pagina
Quello che segue non è un errore, né un’imprecisione, ma è comunque qualcosa da non fare. Nelle bozze di un romanzo poliziesco che ho corretto giorni fa, l’autore aveva inserito delle note a fondo pagina per spiegare ai lettori alcuni termini citati nel testo.
A prescindere dal fatto che molti sono termini ormai conosciuti (come “ferro” per pistola”, o l’esplosivo C-4 o l’automezzo Humvee), mi sono sembrate fuori luogo quelle note.
Per come la vedo io – e potrei sbagliare – non spetta agli autori inserire le note a fondo pagina. Se l’avesse fatto Cormac McCarthy, avreste trovato nei suoi romanzi parecchie decine di note esplicative, con la proprietà di linguaggio che si ritrovava.
Ma McCarthy non l’ha fatto. Indovinate perché? Perché non l’ha ritenuto opportuno, ovvio. Ma neanche gli è venuto in mente di inserire delle note, perché quello era il suo linguaggio, il suo modo di scrivere.
Le note sarebbe state fuori luogo. Se i lettori non conoscono il significato di una parola, se lo vanno a cercare in un dizionario. Leggere è migliorare la propria cultura, non solo intrattenimento.
E qui finisce questa breve carrellata di errori, stonature e cose da non fare.
paola sposito
Buongiorno Daniele. Devo dire la verità, difficilmente ho trovato gli errori di cui parli nei libri che ho letto. Almeno fino a questo momento. In ogni caso sono errori che non dovrebbero essere fatti perché, si presume, che chi scrive debba avere una buona conoscenza della grammatica italiana e saperla mettere in pratica: l’uso degli articoli, degli apostrofi, delle maiuscole segue regole precise che lascia poco spazio alla fantasia o all’originalità. Così come la citazione di luoghi o anche fatti storici dovrebbe supporre una attenta documentazione da parte dell’autore. Ma leggendo il tuo articolo un altro pensiero mi viene in mente: ma tutti quei programmi di intelligenza artificiale che stanno rendendo superfluo il lavoro del correttore di bozze a che servono che poi sui libri si trovano strafalcioni così gravi?
Daniele Imperi
Buongiorno Paola, è vero che certi errori non dovrebbero essere commessi da chi scrive, ma in quei casi è mancata la revisione e anche la correzione di bozze. Secondo me l’intelligenza artificiale non interviene ancora nella correzione dei libri (per fortuna), perché non potrebbe cogliere certi dettagli. Gemini, per esempio, l’IA di Google, non ha rilevato errori in una frase che le ho sottoposto, riferendomi agli articoli mancanti.
Corrado S. Magro
Oggi gli errori ti avevano fatto girare … ( “sarebbe” con “note” (soggetto) al plurale😇!). Gli errori che hai evidenziato non sono rari e io non ne sono esente. Sarà la fretta, lo stato d’animo, la fiducia smisurata nei programmi di testo inefficienti (penso che l’IA o l’AI migliorerà questo aspetto), l’ignoranza di chi scrive, me compreso. È un segno caratteristico dei tempi, comune a tutte le (non) culture dei paesi “sviluppati”. Sono di diverso parere sulle note a piè pagina, necessarie quando servono a spiegare un termine dialettale o estraneo al linguaggio di base. Penso che sia azzeccato porle alla fine dello scritto. Il formato ePub vi si attiene. Con un grazie per il tuo contributo, mi atterrò con più diligenza alle norme.
Daniele Imperi
Le note a fondo pagina non sono un errore, certo, però a me nei romanzi non piacciono. Prendi i romanzi di Camilleri: sai quante note avrebbe dovuto inserire per tutti i termini siciliani?
Corrado S. Magro
C’è una non piccola differenza: Gli scritti di Camilleri sono centinaia e il suo siciliano (addomesticato) è stato assorbito dai lettori ormai “iniziati” nel genere e nel contesto. Espressioni puramente dialettali o specifiche a scritti singoli, “necessitano” spiegazione. Vedi anche saggistica e/o autori da Premio Nobel. Pensare poi, p.e., che un siciliano conosca oggi un termine dialettale specifico a una parlata locale o dei tempi andati, è un salto nel vuoto.
Daniele Imperi
Leggendo Camilleri, mi sono trovato spaesato al primo libro. Poi ho compreso dal contesto il significato dei termini.
Luciano Cupioli
Tutti gli errori che hai enunciato (e anche altri) mi danno un fastidio enorme. Nel mio lavoro quotidiano (non quello dello scrittore, ma quello che mi fa mangiare, dove comunque scrivo e leggo parecchio), incespico spesso in errori simili, e tutte le volte che mi capita di rivedere la bozza di un atto notarile o di una relazione tecnica perché viene chiesto il mio contributo, non mi limito solo agli aspetti che riguardano le mie specifiche competenze, ma finisco per correggere tutto quello che trovo di sbagliato, sia gli articoli mancanti che le maiuscole omesse, e persino la punteggiatura inadeguata. Pur cercando di non turbare l’eventuale permalosità del redattore del testo, segnalo gli errori perché sono certo che tutti non li sistemerebbe nemmeno nella stesura finale. Ad esempio, quello che quasi tutti commettono: “Roma, lì 18/04/2024” invece di “Roma, li 18/04/2024”: ripeterlo significa inerzia da parte di chi scrive senza sapere cosa, perché quel “li” (non “lì”) non è un avverbio di luogo. In un libro (specialmente in un libro!) non vorrei mai trovare difetti, invece purtroppo ci sono. Non sempre, ma capitano. Peccato, perché a quel punto, anche se un romanzo è bello e ben scritto, trovarci più di un errore (limite massimo per etichettarlo come refuso) me lo fa un po’ decadere.
Daniele Imperi
“Roma, lì” non mi è mai capitato. Questa è ignoranza, davvero. Purtroppo è vero quanto dici, che se anche ti sta piacendo un libro, quando è pieno di errori non lo apprezzi.
Orsa
io invece fino a poco tempo fa scrivevo Prima Guerra Mondiale, con te ho capito che l’iniziale maiuscola va solo su “Prima”. Purtroppo le incoerenze geografiche non sono così poco frequenti. Se da un lato fanno ridere perché ridicole, dall’altro fanno piangere perché sono l’amaro specchio della realtà. Non è mica raro trovare ragazzini che si chiamano Kevin, Josh o Rayan in bassa Padania? Ma questi andavano di moda qualche decennio fa. Ora in un romanzo ambientato in Italia potremmo trovare personaggi come Abdul Amir…
Adesso mi faranno la pellaccia
Daniele Imperi
Anche io per parecchio tempo ho scritto Prima Guerra Mondiale.
Riguardo a Kevin, anni fa in treno ho sentito una ragazza dire all’amica quanto erano “fichi” i nomi di due (italiani) che conoscevano, Kevin e non so chi altro…
Se Abdul Amir ha senso, perché è straniero venuto in Italia, in un romanzo ci può stare. Ma che tutti i personaggi di una storia italiani abbiano nomi stranieri non ha senso, a me che non sia ambientata in una comunità cinese, per esempio. Ma non era il caso del racconto, anche perché non abbiamo comunità nordiche qui.
Orsa
Hai citato le comunità cinesi, ma proprio su quelle il discorso non è applicabile. I cinesi immigrati in Italia battezzano i loro figli con nomi italiani. E non è raro che anche gli adulti si cambino il nome per esempio da “Chen” a “Valentino” (fonte – negozio cinese sotto casa)
Daniele Imperi
Sugli adulti cinesi che si cambiano nome è vero, ma per me sbagliano.
carlo calati (massimolegnani)
a proposito di Langhe e di incoerenze geografiche mi torna in mente “il partigiano Johnny! in cui Fenoglio utilizza un linguaggio infarcito di frasi in inglese e qualcuna in francese che molto stride con la natura contadina e aspra di quelle terre.
massimolegnani
Daniele Imperi
Ciao Massimo, benvenuto nel blog. Conosco quel romanzo solo di nome. Ma hanno almeno un senso quelle frasi in inglese?
Carlo calati (massimolegnani
No, nessuno, non c’erano dialoghi con soldati inglesi (come in primavera di bellezza). L’unica giustificazione era che Johnny, alter ego di Fenoglio, era innamorato della lingua inglese.
Luciano Cupioli
Sugli errori geografici ci sono delle ragioni che risalgono alla nostra cultura generale, con la riduzione delle ore di insegnamento nelle scuole, agli stessi libri scolastici che non di rado contengono cartine non aggiornate. Sicuramente è colpa delle tante guerre e scissioni che non consentono d formare nella mente una situazione certa. Ancora oggi pure io fatico un poco a ricordare tutti i paesi della ex-Jugoskacia e le relative capitali. Chi scrive un libro ha però il dovere di informarsi bene (no IA o testi inaffidabili). Alle volte è però complicato: in un romanzo italiano, due inglesi che parlano di distanze, li facciamo parlare di mglia o di chilometri?
Daniele Imperi
Su quegli specifici errori geografici, anzi incoerenze geografiche, c’è poco da studiare. Non mi spiego proprio il fatto.
In un romanzo italiano, due inglesi che parlano di distanze devo parlare di miglia, perché quelle usano.
Luciano Cupioli
Jugoskacia invece di Jugoslavia, anche se è stato il T9, la colpa è mia…
antonio zoppetti
Non avevo mai notato la soppressione degli articoli con gli anni (tra 1905 e 1910), mentre al nord è molto diffusa in caso delle settimane: ci vediamo settimana porssima, invece di la settimana prossima, costruita sul modello dei giorni (ci vediamo lunedì prossimo, ma ci vediamo il mese prossimo). Sulle incongruenze geografiche segnalo anche l’anglicizzazione del mondo, il caso eclatante in questo momento è Gaza City al posto di città di Gaza, che deriva dal ripetere l’unica fonte da cui si abbeverano i giornalisti: l’inglese, anche se i palestinesi non usano certo questa denominazione, e neanche gli italiani, in teoria. A questo proposito trovo interessante l’esperimento di Fenoglio del Partigano Jhonny che mischia volutamente inglese e italiano ibridandoli, ma perché coglie in maniera esemplare l’ibridazione che avviene tra due lingue quando sono presenti sul territorio (un po’ come nel caso del francese i ragni diventano “aragne” nel mischione che si genera). Un analogo esempio letterario di “itanglese” si trova anche nella poesia di Pascoli Italy, che mescola il linguaggio di una nonna italiana che non sa una parola di inglese con quella della niptina nata negli Usa che a sua volta non conosce l’italiano, e l’interferenza porta a espressioni ibride come Poor Molly, cioè povera Molly, mentre la torta è pai con fleva (pai with flavour), i business sono bìsini… Invece l’odierno itanglese dei giornali non nasce da alcun bilinguismo sul territorio, bensì da un bilinguismo culturale dovuto al fatto che il mondo virtuale parla l’inglese, e questo mondo parallelo è diventato pervasivo anche più di quello reale.
Daniele Imperi
Ho visto spesso la soppressione degli articoli nel caso delle settimane e mi suona sempre strano. È un errore anche quello, per me. Ho visto che l’articolo viene anche soppresso in un altro caso: “questa è camera mia” e non “questa è la camera mia”. Forse una derivazione dell’inglese “this is my room”?
Gaza City mi mancava. Tranquillo, fra poco leggeremo anche Roma City o Milano City, di questo passo.
Quindi c’è un motivo per cui Fenoglio ha mischiato italiano e inglese.
Kukuviza
Non ho mai sentito dire “questa è la camera mia”. Non mi sembra corretto. Casomai, “questa è la mia camera.”
Daniele Imperi
Dipende dal contesto, ma “questa è la camera mia” è corretto. Una persona visita casa mia e io le mostro le stanze: “Questa è la camera mia, questa è dei miei genitori…”. Oppure: “questa è la camera mia e di mio fratello”.