Ho inviato il mio racconto UDPD, che avevo intenzione di autopubblicare su Amazon e dintorni, all’editor e mi è stato restituito con l’aggiunta, nel nome del file, di “revisionato pesante”.
Tranne alcune pagine su 39 totali, il resto era pieno zeppo di commenti e cancellature. In pratica in questa storia ho dato il peggio di me fra ripetizioni, banalità, incongruenze, frasi fatte, lacune.
Una caciara, insomma, come diciamo a Roma.
La prima sensazione con l’editing
È stata quella di lasciar perdere. E ancora adesso, mentre scrivo il post, non so se pubblicherò mai questo racconto, dopo aver lavorato alla revisione intendo, né se lo pubblicherò qui nel blog. A dire la verità, la sensazione è stata anche quella di lasciar perdere del tutto le fantasie di pubblicare narrativa.
Ripensando a tutte le idee che ho appuntato, al romanzo in scrittura, ad altri che vorrei scrivere, m’è sembrato tutto così distante da me, anni luce, che mi sono veramente chiesto se valga la pena continuare con queste fantasie e non sia meglio invece dedicarsi ad altro.
Come mai ho combinato tutto questo casino con questa storia?
Forse le risposte sono due:
- ho scelto un tipo di storia che non avevo mai scritto
- ho scelto un protagonista molto difficile da usare in una storia
Perché ho fatto queste scelte? Perché, se è vero che non si smette mai di imparare, è altrettanto vero che non si finisce mai di sbagliare.
Battute a parte, ho avuto quest’idea: scrivere un racconto che in un certo senso ricordasse un cartone animato – e infatti sarà illustrato – e l’ho scritto.
L’editing non è un dogma
Non si deve accettare qualsiasi commento, suggerimento, cancellazione. Il mio editor lo ha scritto: “vedi tu se accettare le mie modifiche, ma penso che su alcune cose dovresti tener conto di ciò che ti dico”.
E così ho fatto. Su molte cose aveva effettivamente ragione, mentre su altre, anche se pochissime, non sono stato d’accordo.
Mi chiedo come funzioni con una casa editrice: l’autore è tenuto sempre ad accettare i suggerimenti dell’editor? Chi ha esperienza diretta risponda nei commenti.
E quando un autore non deve tenere contro delle modifiche proposte dall’editor? Leggete qui sotto per saperlo.
Tenere conto dell’editing senza spersonalizzarsi
Faccio degli esempi pratici, ché è più facile spiegarmi.
L’editor mi ha cancellato una frase proponendone una che conteneva la parola “mantra”. Lo dico senza problemi, è una parola che conosco, ma di cui non so appieno il significato. Soprattutto è un termine che non mi piace, non ho mai usato e nemmeno userò.
Non posso quindi accettare quel suggerimento, perché non fa parte di me quella parola. Non l’avrei mai usata in una mia storia.
Più avanti trovo un altro suggerimento: “andava in brodo di giuggiole”. È una frase che ho sentito spesso dire a mia madre, ma, come prima, io non l’ho mai usata. Tutti conosciamo questa frase, ma sfido chiunque di voi, senza usare Google, a dirmi esattamente cosa sono le giuggiole, che forma hanno, di che colore sono e, soprattutto, che sapore hanno, visto che ci si fa il brodo.
L’editor non è l’autore, fa bene a dare suggerimenti, che sono volti, almeno nel mio caso specifico, a evitare ripetizioni di verbi ed espressioni. Ma l’editor non conosce il vocabolario dell’autore e può proporre soluzioni che non fanno parte dello stile di scrittura proprio dello scrittore.
Sì, siamo tutti d’accordo che chi ama scrivere debba arricchire il proprio vocabolario, ma questo non significa che debba usare tutte le parole che esistono. Leggendo Cormac McCarthy ho scoperto tantissimi termini che non avevo mai sentito e alcuni di quelli, che ho trovato bellissimi e funzionali, li ho fatti miei e li uso. Ma il mantra e le giuggiole no.
Una lenta revisione
La revisione del racconto è lenta. Ho letto prima i vari commenti, poi ho deciso di lavorare alle correzioni più facili. E già dopo quella prima revisione il mio racconto si è accorciato di 2304 parole (12.719 caratteri in tutto).
Una bella sforbiciata. Ho tolto in pratica il 16% della storia. Ma dovrò comunque aggiungere qualcosa, quindi forse dovrei rientrare nel 10% da eliminare suggerito da Stephen King.
Alla fine mi sono lasciato un elenco di 6 punti su cui lavorare:
- un incipit da modificare, per dargli più effetto: non credo richiederà molto
- introduzione di un personaggio poco preparata: idem come sopra
- natura del protagonista: questa è ostica
- personalità del protagonista: forse meno ostica della precedente
- un nome da trovare: pochi minuti
- modifiche alla trama: lavoraccio
Allo stato attuale delle cose non so cosa succederà. Finita la revisione, lascerò stare il racconto per 10 giorni almeno, lo stamperò e lo leggerò di nuovo. E poi deciderò il suo destino.
E il vostro primo editing com’è stato? Lo ricordate ancora?
Serena
Fa male, vero? Io non mi sono ancora del tutto ripresa dalla mazzata di ottobre. Ma so anche che quello non era il miglior lavoro che avrei potuto inviare, mancava almeno una rilettura. E poi facciamo che magari torno, perché ho un sacco di cose da dirti e adesso non posso.
Daniele Imperi
Ok,aspetto che torni e vediamo che avrai da dire
Grilloz
Naturalmente sono andato a cercarlo, giuggiole intendo così anche oggi ho imparato qualcosa.
Boh, di editingo di narrativo non ho grossa esperienza, ma in genere i consigli che ricevo sono abbastanza validi, però ho idea di quando un report di calcolo torna indietro dopo la prima revisione, lasciamo stare, va, che un campo di battaglia è meno insanguinato, e di solito sulla metà delle correzioni non sono d’accordo per questioni tecniche
Comunque se dovessi mai decidere di non pubblicarlo, ma forse faresti bene a pubblicarlo, dopo tutta questa fatica, potresti farne un caso di studio (stavo per scrivere case study, ma poi mi sono ricordato la discussione dell’altro giorno :D) mostrando la prima revisione, i commenti, e il testo revisionato, magari anche solo di una pagina, visto che mi pare di capire che il racconto è abbastanza lungo.
Daniele Imperi
Sì, forse si potrebbe fare un caso di studio, ma per ora non so ancora se continuare con l’editing o passare ad altro
Grilloz
Anche passata la notte restano i dubbi?
Daniele Imperi
Sono già passate alcune notti, se è per questo
Chiara
L’espressione “andare in brodo di giuggiole” secondo me è proprio banalissima. Non mi piacciono, in narrativa, i modi di dire e le frasi fatte. A mio avviso puzzano di cliché: nemmeno io avrei accolto questa modifica.
Una domanda: il tuo editor è un professionista?
Come forse avrai letto sul blog, io mi confronto con Marina, a metà beta e a metà editor. Ormai fra noi si è creato un bell’equilibrio perché spesso prima di darmi suggerimenti chiede spiegazioni su questo o quel passaggio, ci lavoriamo insieme e poi troviamo una soluzione. Anche io dovrò modificare diversi punti, ma su un romanzo è inevitabile. Volerlo fare subito (cioè prima di finir la stesura) è stato deleterio.
Daniele Imperi
Sì, ha lavorato come editor in una casa editrice. Secondo me ci deve essere una buona sintonia fra autore e editor.
Chiara
Assolutamente. L’editor inoltre deve essere un po’ psicologo, per entrare nella testa dell’autore e comprendere cosa volesse dire.
Carmen Laterza
Concordo! Prima di fare un editing io parlo a lungo con l’autore, e non solo del suo testo, proprio per assimilare il suo lessico. Per questo non esiste un solo editing o un editing che vada bene per tutti: l’editing è un vestito su misura per ogni autore e per ogni testo.
Concordo anche sulla banalità dell’espressione “brodo di giuggiole”, che conosco bene (sia l’espressione, sia il liquore ;-)) ma che userei solo se attribuita a un personaggio che debba distinguersi proprio per la tendenza a parlare per frasi fatte!
Daniele Imperi
Dovrebbe essere sempre così, una lettura dell’editor e poi una chiacchierata per capire le intenzioni dell’autore.
Salvatore
Il bello di questo tipo di operazioni è che in genere s’impara parecchio. Si è spinti a confrontarsi con se stessi e con i propri limiti. Ad andare oltre la propria dose di pigrizia linguistica e banalità assodate.
Daniele Imperi
Sì, si impara, questo non si può negare.
hesham almolla
Ho un albero di giuggiule nella casa di campagna, fa frutti piccoli color vino e sono gustosi, sono la stessa cosa?
Marco Amato
Confermo. Il primo editing non si scorda mai. Brucia come un ceffone scagliato da Ercole. XD
Però credo che sia salutare. Ti rimette i piedi per terra e ti spinge ad essere migliore.
Daniele Imperi
Su molti punti aveva ragione l’editor, quindi di certo posso migliorare con quei consigli.
Amanda Melling
Rispondo alla domanda. Io faccio la selezione e anche l’editing. Non c’è modo di mantenere qualcosa se ho chiesto di cambiarla, a meno che si tratti veramente di un piccolo dettaglio. Se l’autrice borbotta al primo dialogo dopo la lettura del testo sui primi problemi nel testo rinuncio a proporre la pubblicazione, e non torno indietro. Intendo anche nel caso che una settimana dopo invece si voglia tornare indietro.
Daniele Imperi
In che senso “non c’è modo di mantenere qualcosa se ho chiesto di cambiarla”? Editor e autore devono dialogare, altrimenti diventa imposizione e non si lavora bene.
Carmen Laterza
Editor e autore possono dialogare se l’autore è indipendente, ma, come spiega Amanda, quando si entra in una CE il dialogo ha ben poco spazio. Del resto, mettiamoci nei panni di un editore: chi di noi investirebbe tempo, energie, risorse e denaro per pubblicare un libro (che sarà quindi distribuito con il nostro marchio) senza però avere il pieno controllo sul suo contenuto? Io no.
Daniele Imperi
Il dialogo deve esserci anche in quel caso. Altrimenti diventa un’imposizione che non fa certo bene né all’opera né ai rapporti fra autore e casa editrice.
Amanda Melling
Ma che casino ho scritto? perdonatemi non ho ancora bevuto il caffè
monia74
Riscrivi, che mi interessa, ma in effetti non riesco a capire XD XD
monia74
Il primo impatto è una bella botta, sì. Il primo impulso è quello che descrivi: 1) repulsione, ti senti invaso nel tuo spazio personale (come si permette di cassarmi questa parola, che si abbina perfettamente a questa frase!) 2) umiliazione (come ho potuto scrivere cose così tremende, tutti questi refusi, ripetizioni, frasi confuse) 3) frustrazione (farei meglio a buttare tutto) 4) disperazione (farei meglio a cambiare mestiere /hobby).
Poi ci dormi sopra, inizi a lavorarci, e ti accorgi che l’editor ti sta dando qualche strumento e qualche stampella, ma che di base sei tu che stai aggiustando la tua storia, che quindi hai tutte le capacità per farlo. E quando lo rileggi, di solito trovi che sia meglio di prima.
Io sono prevenuta sulle frasi suggerite dall’editor (tra l’altro, che ti suggerisca un modo di dire trito e ritrito è un po sconcertante!). Cerco di capire il significato, cosa funziona nella sua frase a differenza della mia, e poi mi sforzo di trovare il mio modo per ottenere lo stesso risultato, cercando di non farmi influenzare dal suo suggerimento.
Comunque col tempo migliora, poi diventa pure divertente.
Daniele Imperi
I suggerimenti anche per me devono essere presi come una guida per trovare il proprio modo di riscrivere la frase.
Luciano Dal Pont
Chiedo scusa per la franchezza, spero che nessuno si offenda, ma un editor che suggerisce una frase come quella, mi riferisco ad “andare in brodo di giuggiole” farebbe bene a prendere seriamente in considerazione l’idea di cambiare mestiere.
No, cioè, ma stiamo scherzando o cosa?
Quella frase ricordo che forse la diceva mia nonna, e dico forse, ma già i miei genitori l’avevano eliminata dal loro modo di esprimersi.
E poi, obsolescenza a parte, un vero editor non suggerirebbe mai di inserire una frase fatta, un luogo comune, un cliché usato e abusato, di qualunque genere esso sia, a prescindere da brodi e giuggiole di varia natura.
Per quanto riguarda la mia personale esperienza, il mio primo romanzo, pubblicato con una piccola casa editrice, ha subito un editing molto ridotto, solo pochi particolari marginali su uno dei quali non ero d’accordo e, dopo un breve confronto con la editor, è stato lasciato come volevo io.
Per il secondo romanzo, il mio horror edito in self publishing, mi sono rivolto al miglior editor oggi sulla piazza: Luciano Dal Pont. Qualcuno lo conosce?
Scherzi a parte, non potevo permettermi un editor professionista e così mi sono arrangiato da solo, credo tuttavia con buoni risultati. Del resto, e per pietà non mi uccida chi questo lavoro lo fa per mestiere, ho scoperto strada facendo di avere discrete capacità innate come editor, pur non avendo mai frequentato dei corsi specifici, al punto che ho editato racconti e alcune parti di romanzi di altri autori. Nel mio caso specifico, comunque, non avrei avuto alternative.
Ai miei lettori l’ardua sentenza
Daniele Imperi
Perché hai pubblicato il romanzo senza editing?
Da solo non puoi vedere bene ciò che non va nella storia.
Luciano Dal Pont
Be’, il motivo per cui non mi sono rivolto a un editor l’ho specificato, non mi creo certo problemi a dire che non me lo sono potuto permettere, e tuttavia la scelta del self publishing ormai per me è irrinunciabile se l’alternativa è quella della piccola casa editrice che non ha gli strumenti finanziari e organizzativi per poter promuovere come si conviene i libri dei propri autori, e dunque se devo fare tutto da solo a livello di promozione tanto vale che mi auto pubblichi, almeno i diritti con Amazon sono molto più alti e nelle librerie fisiche non ci sarei in ogni caso. Per il resto, la trama di questo mio ultimo romanzo è molto semplice, senza intrecci, in pratica si potrebbe quasi dire che non c’è una vera e propria trama, in realtà non è altro che una sorta di diario – confessione di uno spietato serial killer, redatto in una situazione per lui molto particolare, tragica, ultimativa. Ho ipotizzato che quanto da lui scritto sia stato il frutto di un fluire di ricordi e di pensieri introspettivi che solo in parte ripercorrono la sua storia, quindi non c’era comunque bisogno di grossi adattamenti.
Daniele Imperi
Neanche io mi posso permettere l’editing di un romanzo, nel post sui costi del self-publishing ho scritto quanto può costare…
Tenar
A me questo intervento sembra un po’ invasivo. In linea di massima un editor non dovrebbe mai riscrivere, ma solo suggerire dove cambiare motivando il perché. Mi rendo conto però dai commenti che altre persone si sono trovate nella tua stessa condizione.
Io non ricordo di aver mai subito un editing del genere, di solito, sopratutto per i racconti, mi vengono segnalate le ripetizioni, le ridondanze o i punti da spiegare meglio e se c’è qualche dubbio su un termine se ne discute. Solo per Sherlockiana c’è l’accordo che se ho usato un termine troppo poco ottocentesco o non in linea con la tradizione delle traduzioni di Doyle possono cambiarmelo con il sinonimo più appropriato. Ma si tratta di un caso particolare e su un racconto di circa 30 pagine accade non più di due o tre volte.
Daniele Imperi
È invasivo, su questo non c’è dubbio
Anche cancellare intere frasi è un intervento invasivo, anche perché nella maggior parte non c’era scritto il motivo della cancellazione.
Anche secondo me un editor NON deve mai riscrivere. Sulla Sherlockiana il discorso è diverso, perché bisogna appunto rispettarte dei canoni.
Pades
Fra l’altro come conciliare l’espressione sulla giuggiole (che potrebbe andare in un dialogo o al massimo un racconto in prima persona ambientati nel ‘600-‘700) e i mantra che hanno senso solo parlando di India o giù di lì? Bisognerebbe conoscere il contesto del racconto, ma si possono trovare espressioni migliori. Tu quali avevei usato?
D’accordo con Grilloz sul farne un caso di studio, in ogni caso. Sarebbe molto interessante.
Daniele Imperi
Mantra è però un termine ormai entrato nella lingua. Come se dovessi dire “quel tipo è un guru nella sua professione”.
Al posto delle giuggiole avevo scritto “e a lui non dispiaceva”.
Libero
Difficile giudicare l’editing senza poter leggere l’originale e le correzioni. Mi soffermo su un paio di cose. Trovo giusto rifiutare l’uso di parole che non si sentono “proprie”, anche se forse vale la pena provarle due o tre volte, rileggersi la frase, sentire come suonano. Magari si scopre che non sono poi così male.
Quanto a “brodo di giuggiole” è sicuramente un’espressione banale, ma non sappiamo in che modo era inserita nel testo. Personalmente non la userei mai in una descrizione, ma in un dialogo potrebbe essere perfetta in bocca al personaggio giusto. Proprio perché è un’espressione un po’ banale e fuori moda, potrebbe caratterizzare alla perfezione un personaggio.
La cosa più difficile per quanto mi riguarda è proprio far parlare i personaggi con la loro voce, non con la mia. Per farlo bene è necessario usare parole, espressioni, modi di dire che l’autore non userebbe mai. Ma i personaggi non sono l’autore con delle maschere e dei nomi diversi.
Daniele Imperi
Ciao Libero, benvenuto nel blog.
Sentire come suonano certe parole nella frase va bene, però dipende sempre dalle parole.
Io avevo scritto “e a lui non dispiaceva” e è stato corretto con “e lui andava in brodo di giuggiole”. Era nella narrazione, non nel dialogo.
Federica
Mi e ti chiedo: passi sottolineare gli errori, specialmente se evidenti, e quello che non va, ma perché, invece, non evidenziare anche (o soprattutto) i passi ben scritti, le potenzialità di un autore? Possibile che, specie perché hai scelto di autopubblicarti, un editor non riesca a intuire le risorse che ti contraddistinguono e “guidarti” in modo che tu le veda chiaramente e possa poi far leva su queste?
Ps: non credo che tu abbia dato il peggio di te! E anche se fosse…in ogni caso adesso puoi solo dare il meglio!
Daniele Imperi
Forse l’editing non serve a mostrare ciò che non va. Per quello c’è l’agente letterario, credo.
Vedremo se riuscirò a dare il meglio
Laura
Il brodo di giuggiole comunque non è un piatto ma un liquore, il che spiega molte cose
Daniele Imperi
Sì, ho saputo che è un liquore poco fa
Cosa dovrebbe spiegare?
sandra
Un editing è come un esame medico fastidioso ma necessario, se troppo invasivo però diventa come una gastroscopia o peggio senza sedazione e allora no grazie. Perchè un editing che chiede troppi interventi sul testo, be’ forse non è in sintonia col testo e quindi con l’autore.
Daniele Imperi
Ho pensato più o meno la stessa cosa: e cioè che l’editor dovrebbe in qualche modo capire l’autore e ciò che vuole raccontare.
Cristina
Ciao, Daniele. intendi dire “editing” fatto o subìto? Come sai sono editor nel campo della scolastica, e quindi mi trovo spesso dall’altro lato della barricata, a seconda.Ti potrei rispondere quindi in questo campo, che è molto specialistico. Certamente, come ho spiegato in una serie di post che ho scritto sul blog di Anima di Carta, gli autori in genere non accettano supinamente le mie proposte di cambiamento, ma ne discutono, specie se sono importanti (le proposte, e anche gli autori!).
Come autrice sono stata sottoposta a un vero e proprio lavoro di editing da parte della mia traduttrice, che mi ha dato mazzate anche pesanti. Il risultato è che aveva ragione, e ho rilavorato il testo riscrivendo alcune parti o integrandone altre. Lo trovo molto migliorato, anche a distanza di anni.
Ho scoperto “il brodo di giuggiole” un anno dove ero andata in vacanza sui Colli Euganei: si tratta di un liquore leggero e buono, fatto con le giuggiole!
Daniele Imperi
Ciao Cristina, in che senso fatto o subito?
Cristina
Ho messo l’accento sulla ‘i’, ma non si vede. Participio passato di “subire”, attività dalla forte connotazione masochistica…
Daniele Imperi
Ah, sì, avevo capito che era da subire
Allora, sì, l’editing è stato subito stavolta.
Barbara
“Ho scoperto “il brodo di giuggiole” un anno dove ero andata in vacanza sui Colli Euganei..”
Mi state dicendo che altrove non ci sono?!
Non siamo in stagione, ma qui fuori dalla finestra c’è proprio un “giuggiolo” potato. I frutti si intravedono ad agosto, maturano nel tardo settembre. Finora non avevo giustificato la sua presenza (se non regalarle ai parenti), ma devo provare col liquore!
Barbara
“Mantra” è una parola di derivazione religiosa (come “guru” deriva dal sanscrito) ed il suo utilizzo dipende molto dal contesto, oltre che dall’autore.
Sostituire poi “e a lui non dispiaceva” con “e lui andava in brodo di giuggiole” mi lascia un po’ basita. Perchè una correzione dovrebbe introdurre una frase banale come un modo di dire? Non è musicale, non è artisticamente superiore, e non è nemmeno così tanto usata nell’epoca contemporanea. Forse il racconto è ambientato negli anni ’60? (dato che è un’espressione più dell’epoca) o il protagonista è un ottuagenario?
Daniele Imperi
Il protagonista è giovane e siamo in anni recenti
Infatti neanche secondo me va bene come suggerimento.
Elisa
o l’editor va cambiato?
Giusto scrivere e riscrivere fino all’esaurimento. Come ho già detto altre volte lo scrittore (professionista) riscrive più che scrivere. La scrittura di getto è il momento dell’estasi, quando lo scrittore conosce Dio. Ma la riscrittura è il momento in cui trasfonde il messaggio al lettore che no conosce l’estasi.
Meglio se di mani invece di 2 ce ne sono 4 o più. E di menti altrettante.
Ma saranno tutte sopraffine?
Di editor (o spacciatori del mestiere) ce ne sono tanti. Tanti quanti sono gli scrittori (o aspiranti tali).
Ad ogni scrittore il suo editor (e viceversa)
Daniele Imperi
Anche per me bisognerebbe trovare un editor con cui sei affine, editor e autore dovrebbero essere quasi un’unica entità per quanto si comprendono.
Salomon Xeno
Anche a me il primo incontro con l’editing (un paio di mesi fa) ha fatto male, ma è stato un male necessario, perché al di là delle singole osservazioni mi ha aiutato a capire che la storia non funzionava e perché. E’ stato un editing strutturale sulla prima parte di un romanzo che probabilmente non finirò, quindi su una storia di un certo respiro che, non avendolo mai fatto, non ero sicuro di riuscire a scrivere. Un’esperienza di cui farò tesoro anche in futuro, che non è stata indolore!
Daniele Imperi
Perché pensi di non finire la storia?
Lisa Agosti
È dura ricevere un editing dal titolo “revisionato pesante”.
Tu volevi dare a questo racconto un effetto “fumetto” e forse seguire i consigli dell’editor lo renderà meno originale, più standard. Stai attento a non snaturarlo.
Non ho mai richiesto un editing, ma il mese scorso ho ricevuto un feedback a dir poco negativo su un mio saggio in inglese e la mia prima reazione è stata quella di smettere di scrivere, del tutto. Non mi sono ancora ripresa dalla batosta. Sicuramente non scriverò più, almeno in inglese, per un bel po’ di tempo. Ci vuole davvero tanta autostima e tanta faccia tosta per superare una bocciatura, io non sono mai stata bocciata all’Università né altrove, nemmeno all’esame per la patente, quindi non sono abituata. L’unico esame che non ho passato è stato al terzo o quarto anno di pianoforte, quando ero adolescente. Avrei dovuto ripetere l’anno ma non sono più andata a lezione, non ho mai più suonato il piano da allora.
Adesso che ci penso, forse sono io che non so accettare le sconfitte! Comunque, tutto questo per dire che ti capisco se sei in dubbio sul che farne del racconto, ma spero che col tempo deciderai di revisionarlo e pubblicarlo, anche solo per poter imparare come si fa ed evitare gli stessi errori in futuro.
Daniele Imperi
Io invece con le bocciature ci ho fatto il callo
Per l’inglese ti conviene magari iniziare con qualcosa di semplice, magari insieme a un insegnante che ti faccia capire dove sbagli.
Monica
Ciao. Ti seguo da un bel po’ ma non sono una gran commentatrice.
Ho pubblicato due romanzi, uno come self e l’altro con una casa editrice digitale che ha fatto un editing talmente delicato da non essere neppure visibile. Penso che sia normale intervenire su una storia per migliorarla ma si dovrebbe tenere a mente che lo stile dell’autore è unico e che non va cambiato. Ho l’impressione che il tuo editor abbia calcato un po’ troppo la mano…
Daniele Imperi
Ciao Monica, benvenuta nel blog, anche se già mi seguivi
Come è avvenuto il tuo editing con la casa editrice?
Monica
Non sono stata interpellata perché hanno apportato cambiamenti appena percettibili. Quando ho firmato il contratto avevano detto che mi avrebbero informata solo in caso di sostanziali modifiche. A dirla tutta, ho visto solo due o tre cose diverse rispetto all’originale. Forse è una casa editrice che preferisce intervenire il minimo indispensabile. Non so…
Daniele Imperi
Be’, comunque sia avrebbero dovuto farti visionare il testo prima della pubblicazione, per correttezza.
Stefania
Tenere conto dell’editing senza spersonalizzarsi. Rigiro la frase: un bravo editor dovrebbe essere capace di mettersi talmente dentro il tuo stile, le tue intenzioni comunicative e artistiche (nonché dentro la tua personalità come autore) che questo problema non si dovrebbe porre.
Del resto, quella è la cosa difficile da saper fare, quando si edita un testo, ed è anche quella che distingue un editor da un semplice correttore.
Stessa cosa per quanto riguarda la repulsione data dall’invasione del tuo spazio personale (come si permette!). Anche lì sta alla bravura dell’editor saper mitigare questo aspetto, che è naturale e in parte connaturato al suo lavoro. Di nuovo, fa parte della sua capacità di non essere un freddo correttore e di mettersi nella pelle dell’autore (oltre che del lettore).
“Umiliazione”, infatti, (un termine che qualcuno cita nei commenti) è una parola che non dovrebbe nemmeno venire in mente.
Finisco con un altro concetto. L’editing non è un dogma, è un “consiglio richiesto”, e come tale è un regalo. Infatti considera che, se il tuo testo non stesse in piedi per niente e non fosse “migliorabile”, non avresti visto nemmeno i commenti e le cancellature. Perché queste richiedono mooooolto tempo, e quindi interesse, impegno e dedizione da parte dell’editor: per te e per il tuo (oltre che per il suo) lavoro.
Io allora non la vedrei così nera, anzi! La reazione, secondo me, non dovrebbe essere “lascio perdere e mi do all’ippica” (anche se capisco che questa frustrazione possa essere naturale, all’inizio), bensì “qualcuno ha creduto di volermi aiutare perché il testo è salvabile, tanto da averci speso chissà quante ore della sua vita.
E poi, se il testo è pieno di commenti (e scusa se torno a insistere sul tema) è un altro bel regalo: lì ci sono le chiavi per migliorare. Quindi, per quanto sforzo richieda prenderli in considerazione e applicare i suggerimenti che ti sono stati dati, vedila come un’inversione a lungo termine.
Mi raccomando, non demordere e, soprattutto, (lo dico senza alcuna ironia) continua a scrivere storie che non avevi mai scritto e con protagonisti difficili
Daniele Imperi
Ciao Stefania, benvenuta nel blog.
Penso anche io che un editor dovrebbe davvero entrare nella mente e nello stile dell’autore, ma questo richiede tempo, ovviamente.
Credo tu abbia ragione che, se appunto ci sono commenti, significa che il testo è migliorabile, altrimenti mi sarebbe stato restituito con l’aggiunta “ritirati” e non “revisionato pesante”
Quindi penso di riprendere in mano il racconto ricominciando da capo. E vediamo che uscirà fuori.
Helgaldo
Forse se quel brodo di giuggiole o il mantra fossero mostrati nella tua versione e in quella rivista dall’editor potremmo giudicare con più cognizione il valore dell’editing. Andare in brodo di giuggiole non me lo riesco neppure a immaginare usato in un racconto.
Daniele Imperi
Io quell’espressione finora non l’ho mai letta da nessuna parte.
Ulisse Di Bartolomei
Daniele non mi ero mai posto il dilemma “ma la giuggiola cos’è”? Sin da bambino la immaginavo in delle piccolissime infiorescenze trasportate dal vento in primavera e quindi presumevo che il detto originasse dacché fare un brodo con le (mie) presunte giuggiole sarebbe complicato. Adesso so e cercherò il liquore. Una buona scusa per tenere una “bottiglia” in casa… L’ultima estinta un mese e mezzo fa. Io odio l’alcool e da me dura poco… ma il dottore dice che devo smettere con la liquoreficina. Comunque è interessante la tua faccenda dell’editor. Purtroppo non è ispirante. Io immagino l’editor perfetto, come un correttore di bozze con un occhio sui difetti marchiani dello scritto. Uno stravolgimento del testo può avere senso se un editore te lo impone come condizione per la pubblicazione. Nel caso che proponi, ti puoi permettere di rifiutare le modifiche senza chiedergliene conto (all’editor), poiché il “brodo di giuggiole” nonostante possa apparire lezioso o sdolcinato, è sicuramente più intrigante per il lettore “passatempo”, mentre per quello esperto sarebbe l’opposto: istigare un sentore di incapacità dello scrittore di delucidare tecnicamente. Insomma dipende con chi vuoi fare i soldi…
Daniele Imperi
L’editor non è perfetto. E un editore può anche imporre le sue condizioni, ma se a me non stanno bene, addio pubblicazione, non c’è problema
alessandro Coppedè
A me “brodo di giuggiole” non sarebbe mai nemmeno lontanamente venuto in mente. “A lui non dispiaceva”, oltretutto, era pure molto più musicale.
Ulisse Di Bartolomei
I significato sono però diversi. Brodo di giuggiole indica massimo entusiasmo, mentre non dispiaceva indica una indefinita disposizione mentale, dal neutrale al leggero gradimento, suscettibile di successiva esplicazione.
Daniele Imperi
Hai ragione perfettamente. Nel mio caso specifico lei chiamava lui “tesoro” e a lui non dispiaceva. Diverso, invece, che ne era enormemente entusiasta.
monia74
In questo contesto, allora, la versione editata mi da un senso maggiore di tenerezza. Il tuo “non dispiaceva” invece non so cosa volesse rendere (forse freddezza? indifferenza? per quale motivo?) avrei bisogno di leggere altre frasi attorno. (questo il mio punto di vista.. )
Daniele Imperi
Il pezzo completo è:
«Stavo pensando a una cosa, tesoro», la sentii dire un mercoledì sera dopo cena. Ultimamente aveva preso questo vizio di chiamarlo “tesoro” e a lui non dispiaceva, a quanto potevo vedere.
Sì, è un po’ un atteggiamento di indifferenza. Ma si riferisce a lui, quindi la tenerezza non c’entra nulla e quel brodo di giuggiole non è indicato.
monia74
Sì, allora è proprio un suggerimento inappropriato. Rigettalo, semplicemente
Daniele Imperi
Sì, concordo, è più leggibile e comprensibile, anche. Essendo un’espressione datata, quanti lettori giovani di oggi la conoscono e ne capiscono il significato?
Ryo
Anche nel mio caso quelli dell’editor sono stati solo suggerimenti e, come te, li ho seguiti quasi tutti facendo grande affidamento alla sua professionalità.
Inoltre conosco benissimo le giuggiole (che sono un frutto, e quindi in brodo devono fare davvero schifo )!
Daniele Imperi
E i suggerimenti che hai rifiutato come sono stati presi dall’editor e dalla casa editrice?
Andrea Cabassi
Avendole motivate hanno accettato la mia scelta, solo in un caso mi ha suggerito di ripensarci… e alla fine aveva ragione lui e ho seguito le sue indicazioni.
Daniele Imperi
Ecco, è così che dovrebbe fare.
Kinsy
Affidarsi a un editor è importante per notare errori che da soli non vediamo, quali refusi e ripetizioni, ma ancora di di più per indicarci cosa non funziona nel testo, dove il testo risulta oscuro o dove la narrazione diventa pedante (in quest’ultimo caso sempre con le dovute precauzioni, perché in certi casi si tratta più di gusto personale). Però non credo che il compito di un editor sia quello di modificare parole e stile dello scrittore. Frasi tipo “Io qui scriverei” o “Usa questo termine al posto di” io personalmente non le accetterei.
Poi mi chiedo come la prenderei davanti a un mio testo con la necessità di tanta revisione… Mi ricordo ancora, la prima volta che ho fatto leggere un testo a mio marito, quanto sono rimasta affranta nello scoprire che lui vedeva un personaggio proprio all’opposto di come lo volevo mostrare io!
Daniele Imperi
Infatti errori e lacune che c’erano non li ho notati, ma per altre cose non sono d’accordo, come appunto farmi usare espressioni non mie.
Dovresti far leggere quel testo ad altre persone per vedere se anche loro vedono male quel personaggio
Ulisse Di Bartolomei
Salve Daniele
Ho usato inappropriatamente “dilemma” sulla prima risposta inerente le giuggiole. Dilemma indica un’incertezza tra più opzioni, mentre in quel caso “interrogativo” è la parola adatta. Me ne sono accorto dopo aver postato e dovrò controllare tutti i “dilemmi” nei miei testi. Si tratta di un errore, che probabilmente viene dal proferito in quanto dilemma si usa spesso scherzosamente e sul significato preciso mi ero mai soffermato. Mi chiedo… un editor me lo avrebbe corretto?
giuse
Ciao Daniele!
Con questo post mi trovi proprio in tema! Ho appena inviato all’editor un mio racconto e ieri sera ci siamo parlate un attimo…
Mi tremano le gambe e ho una paura bestia di quello che riceverò…
Quindi saprò risponderti fra una settimana, quando riceverò lo stampato tutto corretto!
Spero in bene, ma ho lo stesso una paura bestia!
Daniele Imperi
Ciao Giuse,
bene, fammi sapere come sarà andata
monia74
Non diamo agli editor tutto questo potere di spaventarci, o si sentiranno degli Dei! XD XD
Martin Rua
Quando pubblichi con una casa editrice che ha le sue linee guide, c’è poco che puoi fare. Io ho accettato il 99% delle correzioni che mi faceva l’editor del mio primo libro (bravissima, a mio avviso). Poi con i libri successivi non solo c’è stato sempre meno bisogno di un intervento invasivo, ma ho anche avuto modo di dire più volte “no”. La lezione è servita.
Senza editor comunque non si va molto lontano. Io sono un grande fan della categoria.
E sono pronto a cancellare interi capitoli dei miei libri, se questo li rende più vendibili. Non bisogna mai innamorarsi troppo di quel che si è scritto, se non è funzionale alla storia che è la cosa più importante.
“Brodo di giuggiole” però è veramente buffa come espressione, al pari di “per dindirindina”…
Daniele Imperi
L’editore dovrebbe comunicare queste linee guida all’autore prima di procedere con editing e contratto.
Comunque sia, un editor non può né deve riscrivere frasi e periodi a modo suo: quello non è editing, per me.
Martin Rua
Nel contratto si menziona il fatto che tu accetti che il testo venga revisionato insieme a un editor e le linee guida in genere ti vengono comunicate prima che l’editing parta, è ovvio.
L’editor può e deve riscrivere, frasi se le tue non funzionano. Poi va da sé, se proprio non convincono le sue modifiche, motivare il proprio punto di vista e difenderlo è sacrosanto.
Daniele Imperi
Non sono d’accordo. Se le mie frasi non funzionano, l’editor deve spiegarmi perché non funzionano e dirmi come modificarle. Se le riscrive, lo fa a modo suo e con parole sue e non come se fossi io a scriverle.
Martin Rua
…mi è partita male una virgola:
“L’editor può e deve riscrivere frasi, se le tue non funzionano. Poi va da sé, se proprio non convincono le sue modifiche…”
Romina Tamerici
Io ho in mente la situazione dall’altro punto di vista. Quando mando i testi sottoposti a “editing pesanti” allo scrittore, spiego sempre che tutto è oggetto di discussione. Siccome immagino quanto sia terribile veder tornare il proprio testo senza nemmeno una riga lasciata tranquilla, cerco sempre di far capire che il lavoro, per quanto lungo e difficile, serve ad andare nella direzione di un testo migliore.
Insomma, mentre edito sono “spietata”, ma mentre parlo con l’autore no, mai.
Daniele Imperi
Si dovrebbe infatti sempre discutere con l’autore e motivare i suggerimenti.
Enrico Filippucci
Ciao Daniele,
credo che non si posa dire chi ha ragione nella tua discussione con l’editor. Sicuramente per te è stata un occasione per migliorarti e confrontarti.
Una cosa mi è sembrata strana, hai scritto che il termine giuggiole non ti rappresenta e quindi non lo usi. Questo mi sembra un commento da blogger non da scrittore di storie. Uno scrittore deve usare i termini che il personaggio userebbe non quelli che userebbe lui. Se il personaggio fosse tua madre userebbe giuggiole.
Forse non ho capito bene quello che volevi dire?
Daniele Imperi
Ciao Enrico, intendo dire che quell’espressione (andare in brodo di giuggiole) è troppo particolare, io non l’avrei mai usata neanche se stava bene in bocca al personaggio. Ne avrei trovata un’altra adatta. In bocca a un ragazzo moderno quella frase stona.
Uno scrittore ha comunque un suo stile. Nessun autore usa qualsiasi espressione esista.
Stefania Crepaldi
Ho letto con molto interesse il post di Daniele Imperi e i successivi commenti. Io sono una editor freelance. Stephen King nel suo “On writing” dice che “scrivere è umano, editare è divino”. Alcune considerazioni: se vuoi accrescere la tua reputazione e autorevolezza agli occhi dei lettori l’editing a mio avviso è obbligatorio. Il testo scritto ha bisogno di una revisione accurata da parte di un addetto ai lavori. Ciò non significa che lo scrittore di turno debba accettare di sana pianta tutti i suggerimenti dell’editor. A mio parere, mentre le correzioni ortografiche/sintattiche/lessicali vanno fatte a occhi chiusi per una questione di forma e leggibilità, sul resto se ne può discutere.
La cosa bella del mio lavoro è che mi capita di parlare con tanti scrittori. Ognuno ha una sua storia da raccontare e si presenta con un peculiare bagaglio culturale e uno stile unico da coltivare. Di conseguenza taro ogni intervento sulla base delle necessità specifiche di ogni singolo autore.
Come individuare un buon editor che arrivi ad una revisione pienamente soddisfacente?
Un buon editor valuta. Diffidate di quelli che prendono il vostro testo e lo commentano senza aver capito chi siete, che stile volete affinare e che obiettivi volete raggiungere.
Daniele Imperi
Ciao Stefania, benvenuta nel blog. La mia domanda resta sempre la stessa: un editor deve riscrivere al posto dell’autore? Perché resto convinto che deve suggerire come modificare una frase o una parola, ma non può riscrivere pezzi a modo suo.
Stefania Crepaldi
Grazie Daniele, piacere di conoscerti.
Sì, mi trovi d’accordo con te. Un editor non deve riscrivere parti intere del racconto/romanzo.
Io non intervengo direttamente sul testo di nessun autore con cui lavoro. Di solito commento a lato con suggerimenti e migliorie. Ciò mi permette di concentrarmi interamente sul romanzo che ho di fronte, sull’autore che l’ha scritto e sugli obiettivi che fissiamo entrambi per raggiungere un prodotto finale di alta qualità e dallo stile definito.
Però, sulla base della mia esperienza, ti posso dire che spesso sono gli autori a chiedere un intervento diretto sul testo.