Dialoghi realistici o dialoghi credibili?

Dialoghi realistici o dialoghi credibili?

Ricordo alcuni articoli letti anni fa in cui gli autori consigliavano di scrivere dialoghi realistici in narrativa.

Ma siamo sicuri che sia la scelta giusta? E che cosa si intende per realistici? Alcuni sostengono che i dialoghi debbano riflettere quelli della vita reale: sentire come parlano le persone e usare quindi un linguaggio realistico nei dialoghi delle storie.

Nel saggio di Robert McKee, Dialoghi, si parla invece di tutt’altro. I dialoghi realistici in una storia non funzionano.

  • Se ripenso ai dialoghi giornalieri con i colleghi di un mio vecchio lavoro, capisco subito che trascriverli in una storia avrebbero annoiato i lettori.
  • Se ripenso ai dialoghi di quand’ero militare e al linguaggio scurrile che si adoperava in quell’ambiente, come sarebbe diventata una storia con quei dialoghi?
  • Ripensando ai dialoghi scambiati con gli amici, fra battute, sberleffi, parentesi aperte e mai chiuse, papere, farfugliamenti, giri di parole, salti da un argomento all’altro magari senza tornare a quello principale, davvero potrebbero funzionare in una storia?

I dialoghi realistici sono ripetitivi

In effetti basta ascoltare come parlano le persone – come parliamo noi – per capire che non possiamo riportare in una storia i dialoghi che sentiamo, che facciamo noi stessi.

Quando parliamo, siamo spesso e volentieri ripetitivi. Immaginate un battibecco fra marito e moglie o fra due amici: tolta la prima frase pronunciata da entrambi, difficilmente il resto mostra qualcosa di diverso, di nuovo, di efficace ai fini della risoluzione del problema.

Un dialogo realistico si dilunga in una serie infinita di ripetizioni prima di arrivare al punto o a una svolta. In una storia questo significa occupare pagine e pagine di testi ripetitivi. Di pura noia.

I dialoghi realistici sono spesso inutili

Un esperimento che possiamo fare è registrare un dialogo reale e riportarlo su carta, quindi leggerlo poi ad alta voce. Che cosa ne verrà fuori?

Che la maggior parte delle battute è da tagliare. Quelle che restano, veramente utili ai fini del dialogo e della storia, sono invece da modificare.

Perché quelle battute sono da tagliare? Perché non servono. Non possiamo riportare in una storia papere e salti di argomento, per esempio, perché i dialoghi hanno una sola utilità nella storia: mandare avanti, appunto, la storia.

I dialoghi credibili sono la soluzione

I dialoghi realistici non sono forse credibili? Lo sono certamente, ma nella vita reale, non nelle storie.

In una storia dobbiamo scrivere dialoghi credibili, ossia dialoghi che risultino naturali per quei personaggi: leggendoli, dobbiamo pensare che effettivamente quel personaggio parlerebbe proprio in quel modo.

Ogni personaggio ha i propri tic linguistici, i propri intercalari, il proprio vocabolario, il proprio modo di esprimersi, differenti da quelli degli altri personaggi, come avviene nella vita reale: ognuno di noi parla a modo proprio.

La revisione dei dialoghi credibili

Un consiglio che dà McKee nel suo saggio riguarda la revisione dei dialoghi: non è sufficiente scrivere un dialogo credibile, quel dialogo va poi revisionato. Mentre leggevo quel saggio, ho fatto subito dei tagli e delle modifiche ad alcuni dialoghi del mio romanzo storico.

In alcuni casi ho riportato alcuni dialoghi reali, trovati nelle varie testimonianze, nelle lettere, nei diari, nelle biografie: ma erano appunto dialoghi reali, non narrativi. In revisione dovrò sistemarne parecchi.

Come per le parti narrate, anche i dialoghi devono avere un certo ritmo, suonare naturali, ma soprattutto devono essere davvero utili alla storia, altrimenti sono solo inchiostro sprecato.

L’equazione dei dialoghi credibili

Ho ideato un’equazione che mi è utile per scrivere un dialogo credibile in narrativa:

dialogo credibile = (dialogo realistico – battute inutili e ripetizioni) × revisione

Un esempio di dialogo realistico

Ho scritto un dialogo di getto, quello qui di seguito, e poi l’ho revisionato.

«Devi trovarti un lavoro, non puoi startene tutto il giorno a commiserarti» gli disse la donna.

L’uomo non rispose.

«Mi hai sentito?».

«Scusa, ero soprappensiero» rispose l’uomo, guardandola appena.

«Ho detto che devi trovarti un lavoro e non puoi stare tutto il giorno a commiserarti, a piangerti addosso».

«E ti sembra facile?».

«Lo so che non è facile, ma devi almeno provarci».

«Quante volte ci ho provato? È mai cambiato qualcosa?».

«Devi continuare a provarci».

«Fino a quando? Eh? Fino a quando?».

«Fino a quando ne troverai uno».

«Sono stanco di provarci, di elemosinare un lavoro, di correre da una parte all’altra della città».

«E allora cosa vuoi fare?».

L’uomo non rispose.

«Ti ho chiesto cosa vuoi fare».

«Lasciami in pace!» urlò l’uomo. Poi uscì di casa per non sentirla ancora.

Mi fermo qui, perché è veramente un dialogo noioso e ripetitivo. Mi sono annoiato perfino a scriverlo.

Un esempio di dialogo revisionato

«Devi trovarti un lavoro, non puoi startene tutto il giorno a piangerti addosso» gli disse la donna.

L’uomo parve non sentirla.

«Tu non mi ascolti nemmeno».

«Ti sembra facile?» le rispose, guardandola ora per la prima volta.

«No, ma devi provarci».

«Fino a quando?».

«Fin quando ne troverai uno».

«Sono stanco di correre da una parte all’altra della città».

«E cosa vuoi fare allora?».

«Piantala di starmi addosso!» urlò l’uomo. Poi uscì di casa per non sentirla ancora.

Il mio è soltanto un esempio e a dire la verità non mi soddisfa neanche la revisione, che comunque ha sfoltito alcune ripetizioni. Di buono in questo dialogo è la svolta: tutto parte da un commento tranquillo e giusto e finisce con un’arrabbiatura e una fuga.

McKee, infatti, sostiene, a ragione, che un dialogo debba portare a un cambiamento, altrimenti è inutile alla storia. Un dialogo inutile è un non-evento, troppi non-eventi nella storia annoiano i lettori.

8 Commenti

  1. Grazia Gironella
    giovedì, 20 Febbraio 2025 alle 8:37 Rispondi

    La naturalezza nei dialoghi è una caratteristica davvero importante, cui andrebbe subordinata, secondo me, anche l’utilità ai fini della storia. Esiste davvero un dialogo che non porta avanti la storia? In tal caso, come è venuto in mente all’autore di inserirlo? Secondo me lo scopo c’è sempre, fosse anche soltanto quello di tratteggiare meglio il personaggio. Per riuscirci, però, serve assolutamente un dialogo credibile, non appesantito dagli aspetti realistici più noiosi, se non qua e là per insaporire. I dialoghi sono un elemento così fondamentale per me che, a volte, la storia fa acqua da tutte le parti, ma mi rimane una buona impressione solo per i dialoghi ben scritti.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 20 Febbraio 2025 alle 13:25 Rispondi

      Non mi vengono in mente dialoghi che non abbiano portato avanti la storia, a dire la verità. Ma è vero che servano anche a caratterizzare i personaggi.

  2. Luciano Cupioli
    giovedì, 20 Febbraio 2025 alle 9:18 Rispondi

    I dialoghi sono la parte più complessa di un romanzo in quanto lo scrittore si trova a raccontare e mandare avanti la storia mediante la voce dei suoi personaggi e non con la propria. Che poi è sempre la propria, ma camuffata. Devono essere un po’ realistici, ma soprattutto credibili e identitari di chi pronuncia le frasi. I dialoghi danno ritmo alla storia, ci fanno sentire al suo interno. Prima di scrivere un romanzo, non ne hai mai fatto ricorso, e la prima volta ti vengono male perché li fai troppo perfetti, o impersonali. Fino ad allora li hai solo letti, e a quelli solo ti puoi riferire. Scriverli non è facile come sembra, neppure dal punto di vista tecnico. Vanno dosati e utilizzati con maestria, e se ben scritti rappresentano il valore aggiunto di ogni storia. Trascrivere quelli reali non ha senso: il parlato ha mille difetti che in un romanzo che funzioni non ci possono essere. Anche i dialoghi nei film non sono realistici.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 20 Febbraio 2025 alle 13:27 Rispondi

      Il rischio di scrivere dialoghi impersonali c’è, eccome. Bisognerebbe riuscire a entrare nella mente di ogni personaggio prima di scrivere il suo dialogo.
      Il problema dei dialoghi realistici sono proprio i difetti del parlato.
      Il discorso si estende anche ai film, certamente.

  3. Fabio Amadei
    giovedì, 20 Febbraio 2025 alle 13:55 Rispondi

    Ciao Daniele,
    hai ragione, nei dialoghi va tagliato il superfluo, evitando le ripetizioni, ma anche le frasi fatte e i luoghi comuni.
    Si può anche esagerare quando si dà voce a tic o a certi modi di dire “stravaganti” dei personaggi col rischio di farli diventare macchiette o caricature.
    Va fatto pure un lavoro sul non detto, che è forse l’aspetto più interessante in un dialogo. Sta al lettore immaginare o interpretare il senso profondo nascosto nel racconto.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 20 Febbraio 2025 alle 14:04 Rispondi

      Ciao Fabio, giusto, anche frasi fatte e luoghi comuni, sempre in agguato. Il non detto è difficile, nel saggio Dialoghi infatti McKee lo chiama il sottotesto.

  4. Orsa
    giovedì, 20 Febbraio 2025 alle 15:14 Rispondi

    Sì, sono anch’io per il “tradimento” della realtà in favore di una lettura più scorrevole. Una conversazione realistica è fatta anche di pause, confusioni, divagazioni inutili. Di contro, una conversazione troppo costruita suonerebbe come falsa, l’arte sta nel trovare proprio quel sacro equilibrio :P Hemingway faceva sembrare naturale qualunque dialogo, anche se erano chiaramente “una versione raffinata della realtà”: i suoi sembrano dialoghi semplicissimi, eppure dietro c’è un lavoro di cesello micidiale.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 20 Febbraio 2025 alle 15:26 Rispondi

      Sì, è vero, dialoghi troppo costruiti suonano artefatti. Di Hemingway ho letto solo Il vecchio e il mare tanti anni fa e non ricordo i dialoghi. McKee parla benissimo di quelli di Elmore Leonard.

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