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Ogni anno, o quasi, escono articoli che lamentano la scarsa attitudine alla lettura di noi italiani. In compenso, però, anche se si legge poco si pubblica moltissimo.
Un controsenso?
In genere, si produce di più quando c’è richiesta. Ma se si legge poco, significa che tutta questa richiesta non c’è, almeno non tale da giustificare un aumento della produzione di libri.
Le case editrici devono vendere libri
Dobbiamo considerare che una casa editrice non può restare senza pubblicare libri: è questa la sua impresa, l’obiettivo dell’azienda editoriale.
Forse questo aumento della produzione di libri risiede nella speranza di attrarre sempre più lettori, di azzeccare il libro da un milione di copie vendute, così da avere un alto guadagno e poter investire in altri libri, magari anch’essi da milioni di copie.
Pubblicando molti libri, si spera di accontentare i gusti di tanti lettori, di dar loro una grande scelta di letture, quando invece siamo sempre gli stessi a leggere.
Per alcuni generi letterari – il fantasy, soprattutto – il trucco per continuare ad avere lettori è pubblicare trilogie e saghe. Leggi un romanzo, che in realtà non finisce, così devi comprare il seguito e così via.
Non mi fregano più.
Tornando al titolo dell’articolo, preso da varie letture dei giorni passati, è in un certo senso sbagliato accostare lo scarso numero di lettori all’alto numero di libri pubblicati ogni anno, proprio perché le case editrici per campare devono pubblicare libri, almeno finché i conti in rosso non siano tali e continuativi da far loro chiudere bottega.
La colpa è di internet?
Se si legge poco, la colpa è dell’uso di internet?
No, è dell’abuso della connessione, dell’abuso di cellulari e altri dispositivi. Il problema delle reti sociali è che finiscono «col cannibalizzare il nostro tempo dedicato alla lettura», per citare la frase di un articolo apparso su «La Stampa» qualche anno fa.
È verissimo. Facebook, TikTok, X, Instagram, LinkedIn creano dipendenza, specialmente negli adolescenti. Attratti dal nulla, dalle scemenze. Tutto tempo sottratto alla lettura e alla vera socializzazione.
La colpa, semmai, è di quei genitori che mettono in mano ai figli piccoli uno smartphone, anziché un libro. Ne vedo in giro: bambini anche di 6 anni con un cellulare dotato di connessione, quindi con un computer tascabile.
Qualcuno sostiene che, comunque, stanno leggendo, anche se brevi frasi sgrammaticate su WhatsApp, se striminziti testi su Facebook, X, Instagram. Ma questo non è leggere, suvvia.
Questo tipo di lettura, frammentaria e rapida, non può essere paragonata alla lettura immersiva, attenta, lenta anche, di un libro.
Incentivi alla lettura
Ho visto alcune case editrici inventare quelli che ho chiamato incentivi alla lettura: sono scatole – che ovviamente nominano box, perché è più elegante – che contengono un libro (forse anche due) insieme a qualche stupidaggine.
Ne comprai una, tempo fa, buttando i miei soldi, perché all’interno l’unica cosa che mi ha interessato era il libro.
Non so se funzionino, ma è triste attirare i lettori non con un libro, ma con i vari oggetti che ti porti a casa insieme al libro: un segnalibro, una cartolina, un racconto, un quaderno, perfino un cappellino o dei calzini.
Leggere costa fatica
La pigrizia forse è alla base del basso numero di lettori. Leggere comporta fatica: solitudine, soprattutto – a ben vedere è la stessa solitudine di internet, ma sembra differente – e attenzione, non richiesta dall’elementare scorrimento del dito sullo schermo del cellulare.
Per leggere occorre immergersi nelle pagine, comprendere l’interezza della storia brano dopo brano. Leggere richiede un legame più intimo e forte con il testo, rispetto a quello fragile e discontinuo del cellulare.
A fine lettura, che sia una sessione di lettura o la fine del libro che stiamo leggendo, resta un pezzo di cultura che prima non avevamo, qualcosa di quel libro ci rimane attaccato addosso, nella memoria e nella personalità, per sempre.
Riposto lo smartphone, quel che resta è nulla.