La parola “editing” spaventa gran parte degli autori, forse più quelli alle prime armi che temono una totale riscrittura del testo. Quello però non è editing, è qualcos’altro, qualcosa che non ha nome, che possiamo solo chiamare, appunto, “riscrittura non autorizzata”.
Quando l’editore ha accettato il mio libro, ho chiesto tranquillamente se ci sarebbe stato editing e come sarebbe stato svolto. La sua risposta mi è piaciuta, perché ha parlato di “proporre varie modifiche, se e dove necessario” che io avrei dovuto “vagliare e valutare”.
Questo è l’editing.
Ricordo ancora quanto lessi in un vecchio post di Daniele Bonfanti (editor in chief della casa editrice Edizioni XII), che parlava di editing come di una conversazione fra editor e autore. E è proprio quanto avvenuto fra me e la mia editor – che ha dimostrato col sottoscritto una pazienza a prova di bomba atomica.
L’editor è il redattore e l’editing è la redazione
Il direttore editoriale non ha parlato di editor, ma di un “redattore” incaricato del lavoro. E la editor ha parlato della “redazione” del libro, non dell’editing.
Finalmente un po’ di italiano che torna in Italia!
Etimologicamente “redigere” ha significato di “ordinare”, quindi la redazione, l’editing di un libro, è la sua “messa in ordine” dal punto di vista linguistico, sintattico, grammaticale anche, in modo che tutto concordi, che sia comprensibile.
L’editing non uccide la creatività dell’autore
Vorrei sfatare la leggenda urbana secondo cui l’editing influisce sulla creatività e sullo stile dello scrittore. Non è vero assolutamente.
Anzi, in una frase mi era stata proposta una modifica, che la rendeva più scorrevole, ma era corretta anche quella usata da me. La redattrice mi disse che comunque ero io l’autore e che dava la precedenza alla mia “sensibilità linguistica”.
C’è però da dire che esistono delle cosiddette “norme ortoeditoriali” (o ortoredazionali) in una casa editrice, che in un certo senso uniformano le opere pubblicate. A quelle bisogna attenersi – nei limiti della decenza, secondo me.
Faccio un esempio: io qui uso mettere in corsivo i titoli dei libri, dei film e delle riviste, mentre nel mio libro Le 22 (immutabili) leggi del blogging i nomi delle riviste sono stati inseriti fra le caporali. Ho visto altre volte fare così.
Altre due regole che ho trovato sono la “d” eufonica su lettere uguali a contatto – che io tendo a non usare – come nel caso di “e è” cambiato in “ed è” e l’accento in “sé stesso”, che io non uso perché retaggio delle scuole elementari, anche se entrambe le forme sono corrette.
Il mio stile e il mio linguaggio non ne hanno risentito, perché si tratta di dettagli trascurabili.
Prima ho parlato di restare nei limiti della decenza. Ho visto che la Fanucci – come anche altre case editrici – usa mettere accenti in mezzo alle parole, che io considero errori. Trovo quindi “dài”, “subìto” e “àncora” e mi sale la bile ogni volta che leggo quelle parole.
In quel caso, mi dispiace, ma delle regole ortoredazionali della casa editrice me ne frego. Non farei uscire un mio libro con quelle oscenità. Io non scrivo così.
L’editing è un insieme di suggerimenti per migliorare il testo
Non è altro. Sono saltati fuori persino refusi, che ero sicuro al 200% non esserci, con tutte le riletture e i controlli fatti. Inoltre, man mano che apportavo le modifiche al testo, mi accorgevo di ulteriori modifiche per chiarire meglio i concetti.
Come ho detto prima, la mia redattrice è stata molto paziente, avendo a che fare con un maniaco del dettaglio pignolo come me.
L’editing è una stretta collaborazione fra editor e autore
Alla fine è stato un lavoro di squadra, proprio come deve essere. Lei mi dava i suggerimenti, io modificavo, mi veniva qualche dubbio e le chiedevo consiglio, così ci ragionavamo insieme e si andava avanti.
Per un’intera giornata non ho fatto altro e verso le 19 avevo gli occhi stanchissimi a forza di leggere e rileggere. Dopo pochi giorni però il lavoro era finito e sono rimasto soddisfatto.
La mania del dettaglio
È quella che fa la differenza, secondo me. Siate maniaci. È la vostra opera, c’è il vostro nome in copertina, non potete fare un lavoro dozzinale. Tutto quello che non mi tornava lo riferivo all’editor e ne discutevano insieme via email fino a trovare la giusta soluzione.
E infatti mi era venuto un dubbio sulla citazione usata a fine libro. Così ho fatto una ricerca approfondita e non ho trovato fonti certe sulla sua attribuzione a papa Pio II. Il web non è una fonte. C’è un continuo rimbalzare di frasi e citazioni, ma l’unica vera fonte sono i libri.
Ho quindi trovato chi realmente aveva scritto quelle parole, un altro papa vissuto 250 anni prima di Pio II, parole che si possono leggere sulla scansione del suo libro in latino e sulla sua trascrizione online.
Questo è quanto. Io sono uscito indolore dalla mia prima esperienza di editing su un mio libro. E a voi com’è andata?
LiveALive
Secondo me sbagli a non voler mettere gli accenti a centro parola. L’accento è un segno diacritico, serve a distinguere. Quindi lo si usi quando due parole si possono confondere. Anche se il contesto ne accetta solo una, l’accento è comunque utile perché mentre leggi, in velocità, hai il rischio di sbagliare per quanto insensatamente. Ho letto diversi libri di linguistica, fatti quindi da gente che con la lingua lavora tutti i giorni al più alto livello, che hanno ritenuto bene usarli.
Però tu hai fatto l’editing su un testo saggistico, che è un po’ diverso rispetto a quello che si fa su un testo narrativo. Per vedere qualche esempio, dunque, qui trovi un editing di Giulio Mozzi:
http://bottegadinarrazione.com/2014/05/03/simonetta-viterbi-gero-racconto-e-documentazione-dell-editing/
Questo ben più invasivo invece è mio:
convivioamoris.weebly.com/distruggete-israele-vito-introna.html
LiveALive
Mi autocommento dicendo che, sia il mio modello invasivo, sia quello più vado mostrato, in base alla mia filosofia teorica letteraria, mi fanno dubitare sempre della legittimità di quanto si sta facendo. Mi fa dubitare finanche della legittimità di chiedere consigli alla moglie come faceva Tolstoj.
Daniele Imperi
Per quanto mi riguarda gli accenti in mezzo alla parola per me restano errori e li trovo fastidiosissimi. Non mi è mai capitato, in tutti i libri letti, di aver fatto confusione fra una parola e l’altra. Quindi preferisco rinunciare alla pubblicazione piuttosto che pubblicare un mio libro con quelle oscenità.
Ho visto il tuo editing e secondo me è esagerato
In alcuni casi ti sei attaccato a minuzie.
Alcuni suggerimenti di Mozzi (non ho letto tutte e 32 le pagine) sono condivisibili, eccetto quando riscrive il testo.
sandra
3 romanzi e un racconto lungo pubblicati da 4 diversi editori. Come mi sono trovata? A volte bene, a volte malissimo. L’editing è un esame medico necessario, ma se è invasivo diventa parecchio doloroso. Tutto qua.
1) ben fatto ma costoso “Frollini colazione”
2) superba collaborazione, esperienza che ho ripetuto con il libro che sto finendo “Ragione e pentimento” e “Il romanzo di Natallia” (non è il titolo, che è ancora top secret per qualche giorno)
3) pessima, modello colonscopia senza anestesia “Cene tempestose”
4) professionale, niente da dire “La matassa blu di Prussia”
Daniele Imperi
3) Lo hai accettato? Che è successo in realtà?
sandra
Immagino tu intenda il punto 3. Sì, ma non avrei dovuto. I suoi parametri erano diversi dai miei, una continua critica al mio modo di scrivere, tanto da farmi pensare perché diavolo volesse pubblicarmi, perché gli piaceva la storia, ecco, e ha tentato di farla in qualche modo sua, credo. Ora ho un’assistenza legale per riprendermi i diritti.
Daniele Imperi
Sì intendevo il punto 3.
Se riesci a riprenderti i diritti, tanto meglio. Il problema è che l’autore non dovrebbe avere paura di rompere con l’editore. Morto un papa, se ne fa un altro, si dice.
sandra
Ho commesso un errore, capita. mi conforta che il libro in lavorazione è assai migliore.
Tenar
Io non mi capacito dell’esistenza di questa pessima fama sull’editing. Se pubblico un libro o un racconto voglio che sia il migliore possibile (poi, per carità, magari qualcosa scappa ancora). L’editing è uno sguardo esterno e professionale. Un buon editor segnala delle cose, del tipo “quella frase non sembra molto scorrevole”, “il paragrafo tal dei tali è un po’ pesante”, “tra il capitolo A e il capitolo B c’è un cambiamento non giustificato”. Sarei un’idiota, credo, a non tener conto di queste segnalazioni! Le mie esperienze di editing sono sempre state così, delle segnalazioni da parte dell’editor che stava a me accogliere oppure no. Si è sempre trattato di interventi poco invasivi e sono sempre stata soddisfatta della soluzione finale. Una sola volta mi è stato proposto un editing strutturale (mi è stato chiesto se non ci fosse una soluzione alternativa per una scena d’azione) e questo mi ha dato lo spunto per migliorare il capitolo in questione.
Infine, le norme redazionali non le considero editing, si tratta di uniformare il testo allo standard dell’editore, mi sembra una cosa sacrosanta. Ad esempio ci cono vari modi per gestire i dialoghi, ogni casa editrice segue il proprio a prescindere da quello che l’autore trova più comodo in fase di scrittura.
Daniele Imperi
Forse la pessima fama è dovuta a chi fa editing invasivo e si permette di riscrivere dei brani.
Quello fatto con le tue opere, a quanto vedo, è stato invece professionale.
Uniformare il testo agli standard della casa editrice ok, ma proporre oscenità come “dài”, “subìto”, ecc. no.
Chiara
Io non ho mai avuto un editor tradizionale, però mi piacerebbe proprio un lavoro di questo tipo. Anche io sono maniaca del dettaglio e di una pignoleria agghiacciante. L’idea di avere qualcuno disposto ad aiutarmi mi rincuora, oltre a essere un vantaggio per la riuscita del libro.
Daniele Imperi
Noi due saremo la croce degli editor, allora
Chiara
Sono del segno della bilancia: una rompico… ehm!
Al limite, se tutti gli editor ci mandano a quel paese, assumiamoci a vicenda!
Daniele Imperi
Bilancia, presente!
D’accordo per l’assunzione!
Chiara
Due bilance che lavorano insieme: si finisce fra vent’anni! ahahah!
azzurropillin
“Quando l’editore ha accettato il mio libro, ho chiesto tranquillamente se ci fosse stato editing e come sarebbe stato svolto.”
in questa frase manca la concordanza “se ci sarebbe stato” non “se ci fosse stato editing”
Daniele Imperi
Grazie, ho corretto.
LiveALive
Non so dove sia finito il mio messaggio, ma questa è più aderente: http://forum.accademiadellacrusca.it/forum_10/interventi/4604.shtml.html
Salvatore
Magari non è stato invasivo perché il testo era già molto a posto. Io, comunque, non ho esperienza di editing, quindi… ok.
LiveALive
Be’, quel racconto che ti ho commentato… XD
Salvatore
Sssh! Mai svelare i propri assi nella manica. Ammesso di possedere delle maniche, voglio dire. XD
Daniele Imperi
Mi ha detto infatti che era ben messo
Bisogna però vedere cosa accadrà con la narrativa, che è ben diversa.
Salvatore
Loro pubblicano anche narrativa? O solo saggistica?
Daniele Imperi
Anche narrativa.
animadicarta
Ho avuto due esperienze di editor tradizionali e in entrambi i casi l’editing è stato leggerissimo, mentre sono sempre stati più intensi (invasivi mi sembra un termine eccessivo) gli interventi da parte dei beta reader.
Anche a me gli accenti in mezzo alle parole non piacciono, ma in alcuni casi mi sono convinta che sia meglio metterli per evitare ambiguità. “Sé stesso” invece non lo posso proprio vedere….
Daniele Imperi
Noi due proveniamo dalla scuola del “se stesso”
Di solito i beta reader sono eccessivi, me ne sono accorto quando ho partecipato ad alcune gare letterarie.
Chiara
Io sono stata beta di Maria Teresa: non sono pignola solo con i miei testi …
Daniele Imperi
Povera Maria Teresa, allora
animadicarta
ahahahhah No, è stata molto costruttiva e per nulla invasiva! Comunque dei miei beta-reader parlerò in uno dei prossimi post.
Chiara
Sono già preoccupata!
LiveALive
Il primo motivo è che l’editor sente di più il problema etico (il metter mano, il rischio di imporsi, l’essere in posizione di autorità). Il secondo motivo è che il beta Reader parla una volta, l’editor può fare decine di passate (certo quello che ti ho mostrato di Mozzi è leggero. Ma lo ha fatto otto volte). Il terzo motivo è che è più facile farsi ascoltare proponendo un po’ per volta. Il quarto motivo è che i beta Reader tendono a formarsi in luoghi coercitivi, su manuali che esprimono principio per principio tipo “si fa così e non così”. Ma personalmente molti editing professionali mi deludono proprio perché la singola passata, in sé, lascia correre troppo. Preferisco chi dice in un colpo tutto ciò che ha da dire.
animadicarta
Lasciar correre infatti non è una buona cosa. Un editing leggero può farci sentire sollevati, ma una mano più pesante con le correzioni e le osservazioni ha il grosso vantaggio di spingerci a migliorare il testo il più possibile e a crescere come autori. Io apprezzo di più la pignoleria, anche se poi valuto attentamente tutte le modifiche e non sempre seguo ogni suggerimento
E’ comunque interessante la chiave di lettura di Alessio: la formazione di base è spesso diversa da quella di un beta reader. Un editor magari adotta dei criteri diversi nel giudicare un testo.
monia
Vogliamo discutere del “qual è”?
Ai miei tempi era tassativo il qual’è, che per me si legge pure meglio.
Ryo
Leggendo la tua esperirenza ho rivissuto quello che mi è capitato con l’editing del mio romanzo: una collaborazione, uno scambio di idee fra professionisti. Un autore incapace di accettare critiche da chi ha più esperienza di lui è solo un borioso, un egocentrico. Per tutto quello che pubblico (compresi i racconti sul blog) ho diversi lettori di test, dai quali esigo il maggior numero possibile di segnacci a penna rossa sui fogli che affido loro… poi scegliere se la correzione va recepita o no è compito mio, ma credere che dalla propria penna coli oro è quantomeno… ardito
Daniele Imperi
Sono d’accordo, soprattutto sull’ultima parte
Un gruppo di lettori è comodo averlo, anche per i racconti del blog, ovviamente. Come l’hai creato?
Simona C.
Da auto-pubblicata, pago un editor per la revisione. Ho imparato molto dai suoi consigli, ma, continuando a studiare da sola, mi sono accorta che a volte ci andato un po’ troppo leggero e ho scoperto che qualche dettaglio poteva essere curato meglio. Sono diventata più consapevole e più pignola col tempo, una crescita che si nota nei miei libri. Continuo ad affidarmi all’esperienza di chi lo fa per lavoro, ci mancherebbe, ma da “indie” posso fare le mie scelte in libertà, senza il problema dell’editing invasivo.
Riguardo gli accenti in mezzo alle parole, sono orrendi e soprattutto inutili perché è impossibile confondersi. Se il contesto non è chiaro, c’è qualcosa che non va nella frase o nel paragrafo.
Daniele Imperi
E ne pagherò uno anche io quando mi autopubblicherò. Il fatto che sia passato sopra ad alcuni dettagli magari può significare tante cose. Forse sei troppo pignola, come me
Anche io sono convinto che se non capisci una parola, allora c’è un problema nel testo. Non risolvi con l’accento.
LiveALive
“ecco l’ambito disciplinare che ti compete”, “ecco l’ambito premio che ho vinto ieri”. Hai letto giusto? “Hai subito un intervento chirurgico?”, “Hai subito messo tutto a posto?”. E qui? Perché proprio oggi, leggendo un saggio sull’Ariosto, ci sono inciampato due volte così.
Daniele Imperi
Come fai a leggere “sùbito” accanto a “intervento”? L’occhio non ha una visione ristretta, ma abbraccia un campo abbastanza largo. Io ho visto subito “ambito premio” e quindi non ho letto “àmbito”. Idem per il resto.
LiveALive
Io invece ti dico che oggi ci sono inciampato due volte su frasi così. Anche se potresti avere una visione più larga, prova pensare poi al caso in cui tu debba andare a capo proprio su quella parola.
Simona C.
Il contesto in cui sono inserite le frasi non deve lasciarti inciampare. Queste sono già chiare anche da sole. Io leggo una frase, non una parola per volta. Se “Ambito”, tutto solo, fosse il titolo del libro, potrei avere il dubbio, ma l’accento sulla copertina sarebbe bruttissimo.
Grazia Gironella
Forse non posso dire di essermi trovata benissimo, nelle esperienze avute finora, ma mi resta l’impressione che l’editor possa essere un collaboratore utilissimo. E’ il primo contatto critico con il pubblico, in fondo, perciò può far emergere bene la differenza tra quello che vuoi dire (e credi di dire) e quello che recepisce il lettore. Non sento il testo come intoccabile perché “mio”, perciò accetto senza problemi le modifiche che mi trovano favorevole o indifferente, e mi impunto come un mulo sulle cose che mi fanno dire “nessuno deve pensare che io scriva questo”. Lì non mi faccio smuovere facilmente. Devo dire però che le mie esperienze riguardano i saggi (il romanzo ha subito un editing del tutto simbolico). Credo che nella narrativa le modifiche possano essere più sofferte.
Daniele Imperi
L’unica cosa che non accetterei nemmeno io: “nessuno deve pensare che io scriva questo”. Per il resto ok per le modifiche.
Anche per me in narrativa l’editing avviene in modo differente, nel senso che sicuramente ci saranno più consigli da parte dell’editor.
Bottega editoriale
Buongiorno scrittori, leggendo le vostre esperienze di editing abbiamo pensato di riportare il nostro contributo da “addetti ai lavori”. Quotidianamente ci troviamo a trattare testi di vario genere, relativi ad autori con aspettative del tutto differenti. Come dite voi è importante che l’editore non abbia regole “formali” da imporre al vostro testo, non si deve correre il rischio di stravolgere lo stile dell’autore, che deve sempre essere rispettato. Dall’altra parte è fondamentale instaurare un rapporto di collaborazione e di fiducia tra autore ed editore. Stabilita un’intesa si può portare avanti una revisione del testo che sia il più possibile conforme all’intenzione e allo stile dello scrittore, da questo punto di vista ogni suggerimento dell’editore è finalizzato a migliorare il vostro testo, fatene tesoro.
Un in bocca al lupo a tutti!
Daniele Imperi
Ciao, benvenuto nel blog.
Che cosa intendi per “revisione del testo che sia il più possibile conforme all’intenzione e allo stile dello scrittore”? Perché, se davvero si tratta di consigli, le intenzioni e lo stile dello scrittore non vengono toccati.
Bottega editoriale
Noi operiamo così: ogni intervento/correzione/suggerimento lo facciamo con un colore. Quando si tratta di consigli stilistici e/o contenutistici poniamo i nostri suggerimenti all’autore lasciando (ovviamente) a lui l’ultima parola. Quando si tratta di errori tecnici operiamo direttamente, ma sempre segnalando la proposta di correzione.
StefyBlu
Ciao Daniele, non commento da un po’ ma ti seguo sempre.
Non che questo cambi la tua vita, capisco bene eh!
Ho fatto correggere il mio primo romanzo. Mi è stato detto che introdurre personaggi nuovi verso la fine è un errore e che solo Tolstoj lo può fare. Lui mi suggeriva di eliminarli, visto che non mi chiamo Tolstoj.
Punto.
Non ci sono state critiche grammaticali o di trama, correzioni o tutto ciò che mi sarei aspettata e che ero pronta ad affrontare.
A distanza di 4 anni, sto ancora scegliendo se ridere o se essere scocciata. Per sicurezza, opto ogni giorno per entrambe le opzioni. Rido per il commento, e sono scocciata per i soldi spesi per la fantomatica “correzione”.
Daniele Imperi
Conosco quella regola, ma non la condivido pienamente. Mi è capitato anche di recente di leggere un romanzo in cui proprio alla fine apparivano nuovi personaggi, ben 3, anche se il protagonista li ammazza tutti e 3
Dipende quindi, penso, dallo spessore che hanno questi nuovi personaggi.