Quanto è opportuno inserire parole dialettali in una storia? È consigliabile scrivere un intero romanzo in dialetto? Quanto seguito potrà avere il libro? Quanti potranno capire quelle parole dialettali?
A domande come queste mi sento di rispondere così:
- L’uso del dialetto dipende dal tipo di storia, dal grado di realismo che vogliamo dare alla nostra storia, per renderla più credibile, dipende anche dalla sua ambientazione e dai personaggi che entrano in gioco.
- Sono stati scritti interi romanzi in dialetto, quindi perché non scrivere ancora?
- Il libro in dialetto potrà avere, probabilmente, lo stesso seguito di uno scritto in italiano. Ma credo dipenda anche dal tipo di dialetto e da come viene reso.
- Alcune parole dialettali saranno ovviamente incomprensibili, altre no. Dipende anche dall’abilità dello scrittore, che dovrà riuscire a far capire quelle parole dal contesto.
La storia e il realismo
Una storia deve essere più realistica e credibile possibile. Se stiamo scrivendo un romanzo ambientato nell’alta società, con personaggi istruiti e laureati, dubito che sia necessario l’uso di parole dialettali, tranne che in particolari e rare occasioni.
Se la nostra storia parla di ragazzini senza istruzione che bazzicano i bassifondi di una città, il discorso cambia. Non potranno parlare in perfetto italiano, perché non saranno credibili.
In quel caso lo scrittore non deve fare uso soltanto del dialetto, ma anche di parole e frasi gergali, così come di un linguaggio sgrammaticato. Ma stiamo parlando di dialoghi, non del narrato, e i dialoghi devono essere naturali.
L’esempio di Andrea Camilleri
Ho già scritto di Camilleri e del fatto che scrive in dialetto siciliano. Per me è comprensibile, anche se ci sono state alcune parole che ho faticato a capire, ma dal contesto non è stato così difficile.
Interi romanzi scritti in dialetto. Romanzi divenuti famosi e che sono stati letti in tutto il territorio nazionale. In questo caso il dialetto diviene anche uno stile. Camilleri diventa inconfondibile. Ha dato un’impronta personale alle sue opere.
Parole dialettali inserite qui e là
Anche in storie scritte in perfetto italiano possiamo incontrare parole in dialetto, magari per rimarcare un concetto o per introdurre un esempio, o ancora per rendere un concetto altrimenti non chiaro nell’italiano corrente.
La parola in dialetto in un certo senso abbellisce il testo, lo rende più vivo e anche più credibile, dà una nota forse poetica alla scrittura e contribuisce a formare lo stile dello scrittore, che si va differenziando dagli altri.
Il gergo
Le parole o frasi gergali hanno le stesse caratteristiche di quelle dialettali: possono essere comprese da chi le conosce per vicinanza geografica e restare incomprensibili per gli altri. Nella scrittura di articoli vanno ovviamente evitate, ma nella scrittura creativa, dove occorrono, posso essere usate.
Come rendere il dialetto nelle storie
Considerando parole dialettali inserite nel testo dove necessario, queste parole andrebbero evidenziate rispetto al resto. L’uso del corsivo ci viene in aiuto ed enfatizza quelle parole, le fa risaltare fra il testo.
È importante, credo, che si riesca anche a rendere comprensibile quella parola semplicemente dal contesto in cui è inserita. In questo modo l’autore non avrà bisogno di chiarirla al lettore, perché sarà riuscito a fargli intendere il suo significato.
Un esempio di parola dialettale nella storia
«Dev’essere accaduto secoli or sono», cominciò lui. «Un tempo, forse proprio quassù, c’era un sovrano. Un reatélo, come diceva la gente: un piccolo re.
In questo esempio, tratto da La corsa selvatica di Riccardo Coltri, il dialetto è reso benissimo, in corsivo innanzitutto, e con la spiegazione che segue, in un periodo perfettamente discorsivo e scorrevole. Ma anche dal semplice contesto – e dalla parola davvero non incomprensibile – si poteva capire chiaramente: “c’era un sovrano”.
Se intere frasi sono invece rese in dialetto credo sia opportuno darne al lettore una traduzione, inserita in una nota a fondo pagina o a fine capitolo.
Avete mai usato parole dialettali nelle vostre storie? Come le avete rese? Risultano comprensibili?
Lucia Donati
Come già detto in un mio post in cui parlavo anche dell’uso del dialetto, a me non piace scrivere in dialetto. Nel caso (raro) in cui dovessi utilizzare una parola o una breve frase, farei come nel tuo esempio in cui, subito, si spiega il significato del termine usato. Oppure (e), nota fondo pagina obbligatoria (per me).
Daniele Imperi
In alcuni casi le note sono d’obbligo. L’idea di un intero romanzo in dialetto mi stuzzica, ma non credo sia facile.
Lucia Donati
A me un intero romanzo in dialetto mi stuzzica solo una sensazione di nervoso…
Romina Tamerici
In un libro che ho scritto recentemente sono stata a lungo indecisa se usare o meno il dialetto in un piccolo dialogo. Data l’ambientazione, la condizione sociale del parlante e l’epoca, sicuramente si sarebbe espresso in dialetto nella realtà, ma, essendo un testo dedicato a bambini/ragazzi, alla fine, ho preferito usare l’italiano.
Sono però d’accordo su tutto ciò che hai detto.
Daniele Imperi
In effetti per bambini e ragazzi forse è meglio usare un linguaggio semplice e non il dialetto.
Michela
Credo che la traduzione sia necessaria, e non solo per chi quel dialetto non lo conosce. Qui in Valtellina ci sono numerosi libri in dialetto (non romanzi ma raccolte di poesie, detti etc.) e quando mi è capitato di sfogliarne qualcuno ho avuto qualche difficoltà nella lettura (non parlo dialetto ma lo capisco bene, tant’è che i miei spesso mi parlano in dialetto e io rispondo in italiano! :))
Credo che alcuni termini dialettali siano perfetti, mentre il loro corrispondente italiano sembra non riuscire a rendere così bene l’idea.
Daniele Imperi
La traduzione è sì necessaria, per le poesie però non saprei, perché viene a perdersi quella spontaneità e quell’atmosfera che ha voluto creare il poeta. In quel caso forse starebbero bene delle note.
Michela
Si, è importante che la spontaneità non vada persa. Gran parte dei libri che ho qui a casa hanno il testo a fronte. Secondo me lo fanno sopratutto perché siamo in zona turistica e un libro senza traduzione scoraggerebbe l’acquisto.
Daniele Imperi
Il testo a fronte, giusto! Ottima soluzione in quel caso.
avstron
Eh, per me è sempre un eterno dilemma. Per esempio stavo scrivendo una scena in cui una vecchietta (che ovviamente parla solo dialetto) spiega ad uno straniero (che sa l’italiano ma non abbastanza da capire il dialetto) che cosa è successo. C’è un’italiana che sa il dialetto e “traduce” per far capire lo straniero, e le alternative sono due: narrare riassuntivamente che cosa è successo, oppure riportare dialetto e interpretazione. Da una parte il dialogo è più immediato ma dialetto e traduzione potrebbe essere ripetitivo (anche perché il nostro dialetto, anche quando è stretto, è abbastanza comprensibile).
Più in generale vorrei inserire parole in dialetto, per dare un effetto più realistico. Per la protagonista ho sopperito facendola parlare in gergo, e ricalcare alcune delle sue costruzioni su quelle dialettali che userei parlando. Vorrei che almeno per i dialoghi parli più o meno come parlo io tra amici, mescolando gergo, dialetto e persino parole più ricercate (perché è pur sempre una laureata), ma ad esempio il dialetto in testi altrui a me dà il nervoso, perché devo rileggerlo più volte oppure mi dà un’impressione di arroganza. Eppure mi rendo conto che è assurdo che vicini di casa, ragazzi, vecchietti parlino italiano. È come strappare via una parte della loro personalità.
Suggerimenti?
Daniele Imperi
Per il primo caso (vecchietta + straniero): la donna che traduce fa parte della scena? O è inserita per semplificare? Potresti dar parlare la vecchietta con un dialetto comprensibile, non stretto (per i lettori) e inserire una serie di battute in cui lo straniero nel suo italiano stentato cerca di capire o dire all’anziana di parlare in italiano.
Negli altri casi io tendo a usare un linguaggio il più possibile colloquiale. Due delinquenti di strada non parlerebbero mai in italiano corretto.
Matteo Girotto
Mio malgrado parlo molto meglio il dialetto dell’italiano. Penso che il dialetto, sia tanto importante quanto pericoloso. Se da un lato rievoca radici storiche e mantiene vive tradizioni, dall’altro indebolisce l’affezione verso quella che dovrebbe essere la nostra madrelingua. Sono cresciuto in un paese di campagna dove il dialetto viene usato comunemente in tutti i momenti della quotidianità. Dalla chiacchierata al bar, al salto in negozio fino ad arrivare all’attesa in coda alle Poste. Questo uso così diffuso e disinvolto aiuta di certo a creare un senso di comunità e di attaccamento al territorio. A questo si contrappone, come effetto collaterale pesante, l’insorgere di gravi carenze linguistiche che pregiudicano la fluidità comunicativa in contesti diversi. Basti pensare a quante volte parole od espressioni dialettali finiscono nei “temi” di italiano. Sembrerebbe un vero e proprio conflitto di interesse: “attaccamento alle tradizioni” contro “padronanza del primo strumento utile ad inserirsi nella società”. Io mi schiero: Preferisco venga difesa, coltivata e valorizzata la lingua italiana, già peraltro bistratta e insidiata da abusi ed infiltrazioni forestiere, a discapito dei dialetti.
Spostandomi poi sull’utilizzo di alcune espressioni dialettali in un racconto, posso esprimere un parere da lettore: quando mi imbatto nell’uso prolungato di queste espressioni provo un senso di lontananza dalla vicenda . Mi sento quasi escluso dall’autore. Ho l’impressione che voglia rivolersi ad una cerchia ristretta della quale io, per ragioni geografiche e culturali non faccio parte. Penso quindi che l’uso del dialetto vada centellinato. Poche parole possono dare un tocco di colore e folklore. Troppe parole possono creare alienazione e insofferenza nel lettore.
Daniele Imperi
Sono d’accordo. Il dialetto va protetto perché fa parte della storia italiana, ma va anche protetta la lingua ufficiale, se vogliamo chiamarla così. Nel parlato e in alcuni contesti va bene l’uso del dialetto, ma per la scrittura serve l’italiano.
Sul dialetto in un racconto dipende, secondo me. Mi sono sentito escluso in un romanzo di Camilleri dove ha inserito pagine e pagine in dialetto genovese, quindi incomprensibile, senza mettere una traduzione. Ho dovuto saltare tutta quella parte.