1000 parole valgono più di un’immagine

Contro la banalizzazione della comunicazione

1000 parole valgono più di un’immagine

Quanto possiamo dire con un’immagine e quanto con 1000 parole? Una difesa della parola per non banalizzare e impoverire la scrittura e la comunicazione.

“Un’immagine vale più di mille parole” è un detto famoso, che conosciamo tutti, ma possiamo essere d’accordo con quest’affermazione?

Io mi convinco sempre più del contrario: 1000 parole valgono più di un’immagine!

È vero, oggi viviamo nell’era delle immagini: fra televisione, social media come Instagram, Pinterest, Twitter, Linkedin e Facebook siamo ogni giorno sommersi dalle immagini. Da Homo sapiens a Homo spectans il passo è breve.

I libri stessi hanno da tempo ingaggiato una sfida a chi sforna la copertina più sgargiante, più appariscente, più vistosa. Ma in parte è comprensibile, almeno nel contesto editoriale: un tempo, vista la scarsità di libri in rapporto a oggi, l’editoria poteva permettersi libri con copertine poco o per nulla “grafiche”.

Oggi, invece, da più parti si leva il grido “Un’immagine vale più di mille parole”.

Ma chi ha inventato quel detto?

Sulla sua origine ci sono varie fonti, c’è chi dice sia un proverbio cinese (non è vero), chi che appartenga a Frederick R. Barnard, che, nel dicembre 1921, lodando la grafica nelle pubblicità scrisse “One look is worth a thousand words”.

Ma fu davvero lui l’inventore?

Nel 1910 apparve questa frase sul volume 72 di Marketing Communications a cura dell’Università della Pennsylvania:

One Striking Cartoon is worth a thousand columns of solemn editorial in the newspaper

Nello stesso anno ecco una frase simile in Transactions of the … Annual Convocation …:

One noble deed is worth a thousand words

Eppure nel 1865, sempre in Pennsylvania, nel libro Manna-Crumbs for hungry souls si legge:

one kiss of his [Christ] fairest face, is worth ten thousand worlds of such rotten stuff as the foolish sons of men set their hearts upon;

Ma ecco che 30 anni prima, nel 1838, su Tales of the Day. Selected from the Most Distinguished English Authors as They Issue from the Press si trova:

one glance of her eyes is worth a thousand fathers.

Ancora prima, nel 1811, nel volume VIII di Papers & c.:

Paupiah then observed, that one word in writing was better than a thousand spoken

Basta. Meglio fermarsi, prima di tornare indietro fino all’Età della pietra (ma allora le immagini valevano sì più di mille parole, perché le parole, almeno in forma scritta, neanche esistevano).

La mia idea è che nessuno sia il vero inventore, ma che sia una delle tante esagerazioni che l’uomo ha sempre trovato per ribadire un concetto, difendere un’idea.

Una frase vale più di 1000 emoticon

Quell’esagerazione, delle immagini che possano valere ben più delle parole, rischia di divenire un diktat, di banalizzare la comunicazione, già di per sé banalizzata dall’istantaneità della messaggistica moderna, dall’atonalità degli interventi sui social, in cui oggi le emozioni sono sintetizzate dalle emoticon, le “icone delle emozioni”.

Un secolo, una società, una specie – quella umana – che affida le proprie emozioni a icone preimpostate, create e decise da altri e oggi, inconsapevolmente e inconsciamente, accettate da tutti.

“Dillo con un’emoticon” è una tendenza che ci permette una sbrigatività altrimenti non possibile a parole.

Ma una frase vale ben più di un’emoticon. Le parole possono veicolare un calore e una vicinanza partecipativa che i pixel non contemplano nella loro virtualità. Nella loro inesistenza.

Se è vero che internet ha permesso di accorciare le distanze, è anche vero che ha abbreviato il tempo di dedicazione agli altri.

Chi scrive più una lettera? È più facile scrivere un’email: puoi farlo perfino a ridosso di una festività, vista la velocità di recapito. Ma scrivere una lettera a mano richiede tempo e concentrazione, un’immersività nella scrittura e nel pensiero nullificata dalla posta elettronica.

Un fiume di immagini

Un tempo Twitter permetteva 140 caratteri e basta. Possono sembrare pochi – e lo sono – ma quella era la caratteristica e l’originalità di Twitter: era la sua unicità, ciò che lo differenziava dagli altri social media.

Poi introdusse le immagini. Fu una scelta saggia? Secondo me no: adesso Twitter è diventato un caos di immagini e per me non è mai stato facile raccapezzarmi in quel bailamme di colori e figure.

Ultimamente il limite di caratteri è stato raddoppiato: 280.

Ma da anni i social media non fanno altro che copiarsi a vicenda, tanto che un giorno di diverso avranno solo il nome.

La comunicazione per immagini è un fiume in piena che travolge la creatività, disintegra il ragionamento, rallenta lo stimolo.

L’immagine è l’antiscrittura, è l’immediatezza di un concetto che, di fatto, riduce l’arte di esprimersi, disabituando la mente all’approfondimento, alla comprensione, perfino alla critica razionale.

1000 parole valgono più di un’immagine

Che cosa puoi fare con un’immagine? Scatenare rabbia, fastidio, disegnare un sorriso, innescare una risata, o perfino nulla: guardarla e passare oltre, scivolata sui nostri sensi come acqua piovana.

Ma con 1000 parole accompagni i lettori lungo un percorso ragionato, un viaggio fatto di frasi, di concetti, di esposizioni, di commenti. Di parole, ognuna con un suo significato e con suoi sottintesi, ognuna con una sua etimologia e una sua storia.

Stiamo tornando all’Età della pietra, quando con un’immagine si raccontava un evento. Ma all’epoca non avevano altro, noi invece abbiamo le parole, ne abbiamo tantissime, sono tutte a nostra disposizione.

L’abuso e il surplus di immagini tolgono alle parole il futuro, relegando l’Homo sapiens a una subspecie, l’Homo spectans, che si limiterà a osservare, nel suo ebetismo funzionale, le figure, come facevamo da bambini, giustificati però dalla nostra età.

Contro la banalizzazione della comunicazione

Scegliere la straordinarietà della parola.

Un esercizio che non fa male: tradurre in parole le emoticon più diffuse, creando frasi che lascino trasparire le emozioni provate.

Per una comunicazione non banale e una scrittura più ricca.

6 Commenti

  1. Orsa
    giovedì, 25 Novembre 2021 alle 11:52 Rispondi

    Di contro c’è anche la tendenza inversa, quella cioè di scrivere didascalie chilometriche su Instagram, facendo così perdere la finalità dell’immediatezza (insta) di un’immagine.
    Per un po’ l’ho praticato anch’io questo “sport estremo”, perché non tutti gli utenti di un social si prendono il fastidio di andare a leggere le pagine di un blog (allego emoji con occhiolino che ammicca per alleggerire e sfumare l’accusa).
    Sai quante volte ho accarezzato l’dea di scrivere un articolo di viaggio completamente privo di foto? Raccontare e trasmettere emozioni senza mostrare le immagini di un luogo, l’ho sempre trovata una bella sfida. Eppure una volta ci riuscivano benissimo, penso ai taccuini di viaggio di Goethe e agli scritti dei viaggiatori del Grand Tour. Prima delle fotocamere montate sui telefonini capitava d’incontrare viaggiatori in grado di rapirti con i loro racconti di viaggio senza necessariamente annoiarti scorrendo le tremila foto sullo schermo del telefono. Io poi mi annoio da morire… è come quando il parente t’invitava a casa per farti vedere il filmino del matrimonio. Oggi poi basta anche meno: inviare le foto a parenti e amici su whatsapp i quali a loro volta rispondono con un cuore o un pollice in su. La pervasività di social come Instagram dimostra come purtroppo è così, per molti un’immagine vale più di 1000 parole scritte… e anche parlate.
    Scusami se ho applicato il tuo discorso al mio campo, ma gli spunti di riflessione dei tuoi post sono sempre potenti e azzeccati (allego emoji con sorriso timido e grato, e soprattutto beneaugurante di un sereno proseguimento).

    • Daniele Imperi
      giovedì, 25 Novembre 2021 alle 17:29 Rispondi

      Infatti le didascalie così lunghe non sono proprie di un social nato come immediatezza. Ma neanche è un social da immagini precostruite, tanto per fare marketing.
      Per i racconti di viaggio ci sono anche alcune opere di R.L. Stevenson, ma anche “Viaggio di un naturalista intorno al mondo” di Darwin, “Seguendo l’Equatore” di Mark Twain e “Giornale di bordo” di Cristoforo Colombo. Pagine e pagine senza immagini.
      Scrivilo un articolo di viaggio del genere nel tuo blog. Sarà sicuramente apprezzato.

  2. Franco Battaglia
    sabato, 27 Novembre 2021 alle 7:28 Rispondi

    D’accordo con la chiosa: scegliere la straordinarietà delle parole. Che risponde anche al quesito di fondo. C’è immagine e c’è parola. Io fotografo. E’ una mia passione. E posso dirti che determinate immagini possono comunicare più di un intero libro. E non voglio specificare l’autore o l’autrice, del libro ;) Nei miei resoconti di viaggio, illustro con foto ma racconto sempre, le due cose sono legate ma probabilmente perché io mi sento legato ad entrambe le forme espressive, quindi molto dipende su come facciano presa sul fruitore, e ovviamente sulla loro qualità.

    • Daniele Imperi
      domenica, 28 Novembre 2021 alle 9:18 Rispondi

      La comunicazione che può dare un’immagine, però, è immediata e scompare subito. Le parole invece restano, non sbiadiscono nel tempo, ti fanno riflettere più a fondo.

  3. Barbara
    sabato, 27 Novembre 2021 alle 18:28 Rispondi

    Beh, giusto questa settimana nella PA dove lavoro si sono lamentati della mancanza di immagini nel sito istituzionale. La voce News ed eventi, secondo loro, anziché elencare più news possibili a beneficio dell’utente, con circa le ultime 20 righe di news, dovrebbe riportare dei grandi quadratoni di immagini, riducendo le news visibili a 9 (e poi c’è il bottone Tutte le news). Guardando gli altri siti, l’orientamento è proprio quello di usare più immagini che parole, dimenticando poi che quei siti hanno l’obbligo di essere usabili anche per gli ipovedenti e gli strumenti di lettura vocale automatici…
    L’uso delle immagini purtroppo segue la diminuzione del tempo per leggere. Guardano le immagini, meno le parole che le accompagnano. Per noi che scriviamo è un dramma… :(

    • Daniele Imperi
      domenica, 28 Novembre 2021 alle 9:20 Rispondi

      L’immagine a corredo degli articoli o delle notizie va bene, ma non come sostituta del testo. Deve richiamare l’attenzione, poi deve però lasciare il posto al testo. Senza contare, appunto, che non possono essere accessibili al 100%, perché il testo alternativo non contiene tutta la notizia.

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