Una storia deve funzionare o emozionare?

Una storia deve funzionare o emozionare?

Nell’articolo “Susanna Tamaro contro la letteratura insegnata a scuola: l’errore”, apparso su «Virgilio Sapere» qualche giorno fa, la scrittrice contestava – come avrete capito dal titolo – l’insegnamento della letteratura nelle scuole elementari.

Un insegnamento che io non ricordo, se ripenso al mio periodo scolastico: la Tamaro critica infatti che oggi si ricercano “tecnicismi e difetti anche attraverso l’analisi logica”.

Quando andavo a scuola io, si faceva sì l’analisi logica, ma alle medie non alle elementari, e comunque senza ricercare difetti nelle storie: erano brani presi dal libro di grammatica.

Con il senno del poi mi avrebbe fatto molto piacere se mi avessero insegnato “tecnicismi” e a trovare “difetti” in una storia: sarei stato avvantaggiato quando avessi iniziato a scrivere narrativa.

Ho dovuto invece “studiare” da autodidatta, più sul campo che su libri e corsi. E per campo intendo dei forum letterari in cui pubblicavo i racconti o partecipavo a gare letterarie, imponendomi poi di leggere decine di libri l’anno, affrontando qualsiasi genere narrativo e diversificando gli autori.

Far capire ai bambini, già dalle scuole elementari, come funziona una storia permette loro di entrare già nella critica: quando leggeranno un libro o vedranno un film, potranno capirne eventuali lacune o individuarne i punti di forza.

“La letteratura non deve funzionare, deve emozionare”

Chi mi segue da un po’ sa già quanto io non sia affatto d’accordo su questo pensiero. Mi è capitato di leggere storie che non funzionavano e non ne ho ricavato alcuna emozione, soltanto fastidio o noia per il tempo perduto a leggerle.

Insegnare come funziona una storia significa preparare gli studenti, che da grandi sapranno affrontare racconti e romanzi e, là dove necessario (e nei limiti consentiti), potranno sovvertire qualche regola.

La letteratura deve funzionare, soprattutto, non deve necessariamente emozionare. E il motivo è semplice.

Le emozioni sono personali

Chi stabilisce se una storia sia o meno emozionante?

È questo il punto da chiarire: dire che la letteratura deve emozionare significa stabilire una sorta di dogma, esente quindi da ogni critica o opinione contraria, ma soprattutto significa uniformare le personalità dei lettori, come se fossimo tutti uguali e provassimo gli stessi sentimenti.

Ma le emozioni sono personali: ciò che emoziona voi potrebbe non emozionare me, che già sono un tipo che si emoziona molto difficilmente, diciamo pure raramente.

Il piacere della lettura

Non viene insegnato ai bambini di godere della bellezza di una poesia o di un brano, ma viene insegnato a fare l’analisi del testo.

Anche su questo pensiero della scrittrice dissento in pieno. In primo luogo si va a scuola per imparare certe regole, almeno per quanto riguarda la lingua italiana. In secondo luogo non è possibile insegnare la gioia, il piacere della bellezza di una poesia o di un brano.

Gioia, piacere, bellezza sono concetti del tutto personali. Una poesia può lasciarmi indifferente, così come può entusiasmare qualcun altro, e viceversa.

La scrittrice contesta che si preferisca analizzare i testi, anziché “farsi trascinare dal piacere della lettura”. Ma entriamo di nuovo nel personale.

Faccio un esempio: Il processo di Kafka è considerato un capolavoro, eppure io l’ho abbandonato giorni fa dopo qualche pagina. Non sono riuscito a farmi trascinare da quel testo, perché mi stavo annoiando. Anni fa ho abbandonato anche Moby Dick, per lo stesso motivo.

Insegnare il piacere della lettura

Ecco cosa si dovrebbe insegnare a scuola, già dalle elementari: il piacere, e l’utilità, di leggere un libro, di fare della lettura un’abitudine quotidiana, specialmente oggi che come abitudine quotidiana ci sono i dispositivi elettronici, fra videogiochi e cellulari.

Non si può insegnare qualcosa di soggettivo: non solo è sbagliato, ma anche controproducente.

Al liceo ho avuto una professoressa che voleva imporci determinati film da vedere e certi (pseudo)poeti invitati a scuola, perfino alcune idee, con il risultato opposto: non ho visto quei film, ho abbandonato la sala durante la declamazione di quella roba che osavano chiamare poesia e ho continuato ad avere le mie idee, opposte alle sue.

L’insegnante voleva insegnare qualcosa che non le competeva: il giudizio personale, il gusto personale.

Si insegni piuttosto che leggere fa diventare migliori. Che una storia che funziona può benissimo emozionare.

14 Commenti

  1. Carlo Calati (massimolegnani)
    giovedì, 14 Novembre 2024 alle 8:13 Rispondi

    La dicotomia tra funzionare ed emozionare mi sembra artificiosa. Per poter emozionare, cioè coinvolgere il lettore, una storia deve innanzitutto essere strutturata bene. E per bene non intendo dire che deve essere passivamente rispettosa delle regole grammaticali e di sintassi, ma quelle regole vanno conosciute dall’autore per poterle eventualmente trasgredire e puntare a uno stile personale. Anacoluti, discordanze, mancata concordanza dei tempi devono risultare voluti in un determinato contesto e non errori di una scrittura distratta.
    massimolegnani

    • Daniele Imperi
      giovedì, 14 Novembre 2024 alle 13:20 Rispondi

      Anche a me sembra artificiosa. Una storia ben strutturata può emozionare, non vedo cosa c’entrino le emozioni con la funzionalità della storia.

  2. Corrado S. Magro
    giovedì, 14 Novembre 2024 alle 8:54 Rispondi

    L’emozione trova l’identità nel sentimento logico espresso o non.. Da Essere mi rapporto sempre all’esistenziale. Provo emozioni quando la lettura mi permette di riviverle nell’ambito della loro realtà logica anche sott’intesa..

    • Daniele Imperi
      giovedì, 14 Novembre 2024 alle 13:22 Rispondi

      Esatto, le emozioni nascono facilmente quando la storia ti permette di vivere certe scene. A me è successo con alcune scene di Stephen King, eppure le sue storie funzionano.

  3. Orsa
    giovedì, 14 Novembre 2024 alle 11:58 Rispondi

    Purtroppo è l’emozione che lascia il segno e mette in connessione lettore e autore. L’ideale sarebbe trovare quel sacro equilibrio tra funzionare e emozionare, spesso una sfida immane. Io ero convinta che il mercato editoriale spingesse più sul funzionare, invece no, a quanto ho visto. Sono ancora scossa per il successo del Fabbricante di lacrime, una cosa immonda – a mio parere – che invece ha emozionato mezzo milione di lettori, tanto da realizzarci una trasposizione cinematografica (con la quale sono riusciti a fare anche peggio del libro).
    Concordo con la tua chiosa, ma la lezione è: non sottovalutare e non dimenticare la “forza del sentire”.
    Eri un liceale “pasionario” 😂

    • Daniele Imperi
      giovedì, 14 Novembre 2024 alle 13:25 Rispondi

      Sicuramente l’emozione lascia il segno nei lettori più che la semplice funzionalità della storia. Ma sono lo stile, la scrittura stessa, anche il modo di creare le scene e i dialoghi che possono emozionare.
      Non ho letto il Fabbricante di lacrime, non so perché ma non mi attira.
      La “forza del sentire”?
      Ero un liceale svogliato :D

  4. Fabio Amadei
    giovedì, 14 Novembre 2024 alle 12:08 Rispondi

    Caro Daniele, ai miei tempi, alle scuole elementari e medie si predicava di non andare fuori tema. Una sorta di anatema. Chi non rispettava il “comandamento” veniva bacchettato sulle mani. Era forse questa l’unica regola da seguire.

    • Daniele Imperi
      giovedì, 14 Novembre 2024 alle 13:26 Rispondi

      Ciao Fabio, anche ai miei tempi si predicava lo stesso – e io andavo sempre fuori tema.

  5. Luciano Cupioli
    venerdì, 15 Novembre 2024 alle 10:27 Rispondi

    Parlando di scuole superiori, mi avete fatto emozionare e ricordare il mio rapporto con i professori di italiano. Prendevo otto o nove quando scrivevo di Leopardi o D’Annunzio, ma mi sono ritrovato un paio di “bei” quattro per essere andato molto “fuori tema” e per avere utilizzato uno stile “troppo personale”. Eppure ricordo ancora quei due temi più di tutti gli altri. Mi emozionavano, sia mentre li scrivevo che quando li leggevo. Ho capito che per me era l’originalità che contava, scrivere le stesse cose di tutti gli altri, in maniera ligia ma piatta, non mi diceva niente. Prediligo quindi l’emozione che non escludo possa anche funzionare.

    • Daniele Imperi
      venerdì, 15 Novembre 2024 alle 13:23 Rispondi

      Più o meno è capitata anche a me la stessa cosa: la prof di cui parlo ci correggeva le idee nei temi… altro che originalità.

  6. Paolo Branca
    domenica, 17 Novembre 2024 alle 11:04 Rispondi

    Mi viene da declamare ‘De gustibus non est disputandum’ e credo che sia proprio così anche nella lettura. Tra l’altro hai citato un ‘capolavoro’ Moby Dick che non ho abbandonato, come te, solo per una sorta di forma masochistica che mi impone di concludere comunque la lettura di un libro che ho iniziato, ma francamente, forse per non aver soddisfatto le altissime aspettative, non l’ho trovato all’altezza di altri classici, ne cito uno solo come esempio, il Conte di Montecristo.

    • Daniele Imperi
      lunedì, 18 Novembre 2024 alle 8:06 Rispondi

      Anche io volevo impormi di finire il libro iniziato, ma poi ho pensato che il tempo è sacro e non posso perderlo con libri che mi stanno annoiando, vista la mole di libri che ho ancora da leggere.

  7. vincenzo
    martedì, 19 Novembre 2024 alle 13:11 Rispondi

    Trovo tutto questo discorso veramente accademico; la lettura e la sua diffusione sono importantissime, sono la base di ogni vera civiltà ma la dicotomia tra emozione e funzione non esiste. Una storia intesa come libro se emoziona funziona ma il risultato è troppo legato alla sensibilità del lettore. La capacità di scrivere ed emozionare è qualcosa di innato, se ce l’hai dentro puoi tirarla fuori ma se non l’hai qualsiasi scritto è asettico, perfetto magari ma stucchevole.

    • Daniele Imperi
      martedì, 19 Novembre 2024 alle 14:10 Rispondi

      Ciao Vincenzo, benvenuto nel blog. Sono d’accordo che dipenda dalla sensibilità dei lettori, che può anche non esistere in qualcuno. Non siamo tutti sensibili alla stessa maniera né sensibili a tutto.

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