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Qualche giorno fa, in televisione, un servizio del telegiornale mostrò un evento dedicato alla tecnologia. Non ricordo quale fosse, ma ricordo un paio di risposte di due intervistati.
Il primo, parlando di intelligenza artificiale – forse unita ai nuovi cellulari – disse che era possibile upscalare le immagini. Si scrive così, ma ovviamente disse “apscalare”. Adattò il verbo inglese to upscale (ingrandire), creando un verbo nuovo da una radice inglese.
Ne avevamo davvero bisogno. Grazie.
Il secondo intervistato – sorridendo felice – disse: “Abbiamo creato un prodotto slim per avere un prodotto smart”. A parte la ripetizione, che cosa avesse voluto dire si ignora.
Sillabo: ovvero, come sillabare in inglese
Il sillabo, in generale, è una raccolta di informazioni, un sommario. Il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) ha pubblicato un Sillabo per la scuola secondaria di secondo grado (per l’educazione all’imprenditorialità) e un sillabo per l’Educazione civica digitale.
Entrambi i sillabi sono pieni di anglicismi, specialmente il primo, in cui troviamo inglesismi comuni e altri che, sinceramente, non ho mai visto finora:
Coaching, mission, trend, stakeholder, Innovation & Creativity Camp o Startup bootcamps, case histories, challenge, Hackathon, format di matchmaking, blended, team-building (scritto anche come team building), leadership, design thinking, lean startup, product marketing fit, growth hacking, pitch deck e pitch day.
Mi sono fermato perché rischiavo il mal di stomaco.
Nel secondo, oltre ai diversi anglicismi – quali filter bubble, open government e civic hacking, cloud computing, videomapping, videomaking, mixed reality (come sopra, alcuni mai visti finora) – ci sono anche problemi di leggibilità:
Del Sillabo ho scoperto nell’articolo “Meglio l’italiano o l’itanglese? Un nuovo libro con le linee guida” di Antonio Zoppetti, che nell’ultima sua pubblicazione torna ad attaccare gli anglicismi.
Il linguaggio informatico è sicuramente il settore più colpito dalla mania di ricorrere all’inglese, ma ormai nessun settore è più esente da questa follia.
Neanche quello privato. Possiamo vederlo, sentirlo, ogni giorno.
La lingua italiana ha un problema
E neanche piccolo. Man mano che andiamo avanti, sono sempre più i termini e le espressioni inglesi che compaiono nel nostro linguaggio, sostituendo di fatto i corrispettivi italiani, che esistono.
Dall’archivio di Google libri, per esempio, risulta che l’espressione customer care è più frequente di assistenza clienti
Ho fatto la prova e in effetti la prima dà circa 6.340.000 risultati, contro i 41.100 della seconda. D’accordo che si trovano anche libri in inglese, ma nei primi risultati sono italiani.
La lingua italiana ha un problema e quel problema si chiama inglese. È un problema di cui ben pochi si rendono conto, un problema a cui nessuna istituzione pensa. Anzi, le istituzioni italiane remano contro (in tutti i siti si trova l’incomprensibile whistleblowing, per esempio).
Siamo ogni giorno bombardati da anglicismi: dal linguaggio giornalistico a quello politico, dalle pubblicità (prodotti italiani chiamati in inglese, comunicazione con parole inglesi) al linguaggio su internet (siti, piattaforme sociali).
La massa, purtroppo, acquisisce questo linguaggio. A ben pochi, come me, dà invece fastidio. Senza contare che spesso davvero non capisco ciò che sento o leggo.
In realtà il problema non è uno soltanto. Non è limitato a quello che io amo definire “inquinamento linguistico”, che sta ormai dando vita al cosiddetto itanglese, una lingua ibrida che non è più italiano, né si può certo chiamare inglese.
Il problema non è il suono stesso di questo nuovo linguaggio, che non risulta più linguisticamente omogeneo, ma si deforma con sonorità estranee al nostro Paese.
Il problema sta anche nella comprensione del linguaggio, primo perché non tutti conoscono l’inglese – molti anziani, per esempio, hanno studiato il francese, ma io stesso, che ho studiato l’inglese, non ne conosco tutti i termini – e poi perché la stessa mescolanza di parole italiane e inglesi crea un guazzabuglio linguistico difficile da comprendere.
La mania di ricorrere a termini e espressioni inglesi sta minando il nostro patrimonio linguistico, la nostra stessa cultura. A lungo andare non ne riconosceremmo più le radici.
Plauso alla Cancelleria svizzera che ha pubblicato le “Raccomandazioni sull’uso degli anglicismi”:
far capo in modo irriflessivo a parole straniere disattende la responsabilità dello Stato nei riguardi delle lingue ufficiali e rischia a medio e lungo termine di tarpare o isterilire le risorse lessicali specifiche di ogni lingua ufficiale.
Ecco cosa manca qui in Italia da parte delle istituzioni: la responsabilità nei confronti della lingua italiana, che è la nostra lingua ufficiale, a differenza dell’inglese.
Gli svizzeri sono stati anche lungimiranti, parlando di isterilimento delle risorse lessicali. Ma la Svizzera con l’articolo 70 della Costituzione «sancisce il tedesco, il francese, l’italiano e parzialmente il romancio come lingue ufficiali della Confederazione».
Da noi l’ufficialità della lingua italiana in Costituzione si fa ancora attendere.
Educazione civica all’Italiano
Quando ho parlato dell’imposizione degli anglicismi, ho scritto che bisogna educare gli italiani all’italiano. E quest’iniziativa potrebbe, e dovrebbe, partire dalle scuole, affiancando alla consueta Educazione civica un’Educazione civica alla lingua italiana.
Insegnare la conoscenza e anche il rispetto dell’Italiano, che ha radici storiche. Scoprire fra gli studenti quanti usano abitualmente gli anglicismi e far loro riscoprire i giusti corrispettivi.
Un’utopia?
Corrado S. Magro
Beh caro Daniele, nonstante le dichiarazioni ufficiali, anche la Svizzera si lascia trascinare dalla corrente. Me ne rendo conto quotidianamente. Forse si sforza di resistere ma in analogia con una neutralità “appassita”, gli anglicismi navigano in tutti i settori a grandi vele. A Zurigo se conoscci l’inglese ti puoi quasi sentire a casa tua. L’evoluzione della lingua parlata e scritta cresce su diversi rami. I due più importanti: Istituzionale e socio-economico! Affrancarci dalla predominanza dell’invasione di questi settori? Impossibile direi, perché anche i risultati di ricerca e aplicazioni nei vari campi vengono alla ribalta e resi conosciuti quasi esclusivaamente in inglese. Come vedi, anche i cinesi si adeguano.
Daniele Imperi
Brutta notizia per la Svizzera, allora. I settori istituzionale e socio-economico sono colpiti molto anche qui, purtroppo.
Orsa
Tu caldeggi l’educazione alla coscienza linguistica italiana nelle scuole? Ma se sono arrivati a toccare l’inno nazionale! Io ho recentemente sentito qualcuno che cantava – sangue dalle orecchie – “brò d’Italia”…
Non è un problema. Un dramma, una sciagura.
Daniele Imperi
Spero che sia stato un povero demente qualunque a rovinare l’inno a quel modo, che già qualcuno voleva modificare.
Una sciagura in tutti i sensi.