C’è stato un commento, quando ho parlato di come si costruisce la scrittura ogni giorno, che mi ha fatto pensare a una questione cui non avevo dato peso finora. A dire la verità, non mi ero mai posto quel problema. Quando inizio a scrivere una storia, a me viene naturale scegliere la persona più adatta a raccontarla: la prima o la terza.
Allora, dopo un primo romanzo in prima persona, con un io narrante molto simile a quella che ero, mi sono voluta distruggere come autore interno. Ho scelto la terza persona, mi sono anche triplicata nei personaggi, per depistare qualsiasi identificazione. Deborah Donato in Costruire la scrittura ogni giorno
Quanto è presente l’autore nell’io narrante?
A me non interessa sapere chi sia veramente il narratore in una storia. Si parla di narratore onnisciente, di io narrante, di altro che neanche ricordo. Ignoro la nomenclatura accademica sulla scrittura creativa e va bene così. Mi sento più libero di creare.
Di una cosa però sono certo: quando scrivo in prima persona, non è Daniele che recita la parte del personaggio. Quando leggo storie in prima persona – a meno che non siano autobiografiche – non penso che sia l’autore a impersonare il protagonista.
La prima persona, secondo me, è solo una scelta stilistica funzionale alla storia.
Però credo sia naturale che quando scriviamo inseriamo qualcosa di noi dentro quel personaggio. Forse in tutti i personaggi della storia c’è un pezzo di noi, magari infinitesimo.
Ho scelto la terza persona, mi sono anche triplicata nei personaggi, per depistare qualsiasi identificazione.
Parliamoci chiaro: come è possibile ragionare con la testa degli altri? Per quanto possiamo conoscere bene una persona, non riusciremmo mai a ragionare come lei. Quindi credo sia impossibile creare personaggi totalmente distaccati da noi creatori.
Ma questa è una mia ipotesi e di cui non sono nemmeno sicuro al 100%. Che ne pensate voi?
Dove si nasconde lo scrittore?
C’è un punto nella storia in cui possiamo ritrovare lo scrittore? L’io narrante siamo davvero noi in persona? Siamo così identificati col protagonista da essere un tutt’uno? Si può parlare di massima sincerità nella scrittura quando scriviamo in prima persona?
La voglia di non scoprirmi e creare doppioni di me ha creato una mancanza di sincerità.
Tu sei sempre ciò che scrivi. Lo scrittore è l’opera che ha creato. Lo scrittore si nasconde in tutto il libro. Non è una faccia stampata su un risvolto. È il libro che ha scritto. Quella è la sua sincerità.
Non si perde sincerità se si scrive in terza persona. Posso benissimo scrivere una storia autobiografica in terza persona. Chi me lo proibisce? Ha poco senso? Forse, ma mica è vietato. Magari riesco a scriverla più facilmente, magari ho bisogno di estraniarmi da quella mia vicenda, di allontanarmene quel tanto che basta ad avere più libertà creativa, magari ho bisogno di guardarla dal di fuori, da un altro punto di vista.
I miei “io narranti”
Ho voluto inserire alcuni miei racconti fra quelli scritti in prima persona, spiegandone il perché della scelta.
- I 7 racconti del Survival blog: in quel caso il protagonista ero proprio io, Daniele.
- La lapide: il protagonista di questo racconto horror non sono io, ci mancherebbe Ma avrebbe perso forza se narrato in terza.
- Ultima ora: anche questa storia nichilista andava scritta in prima persona. Fu comunque partorita dal mio stato d’animo del momento.
- Distacco è un racconto horror di 300 parole, una storia che sarebbe stato impossibile scrivere in terza persona. Anzi, a dire la verità, questa storia è scritta nella prima persona plurale. Avrebbe perso totalmente di significato se scritta in terza.
- Il velivolo: questo racconto è scritto parte in prima e parte in terza persona, ma non ricordo il perché di questa scelta. È comunque una storia che ho sognato e il protagonista, D, sono io.
- Leanna ricorda un racconto di Poe, e in realtà fu quello che mi ispirò.
- Lo straniero: questo racconto è scritto in prima persona, ma i protagonisti sono due. Due diari, che hanno un senso nella storia.
- Quel che vedono i gatti è un racconto horror e anche qui per me è più funzionale la prima persona.
- La sposa muta è un racconto horror stile 800, o almeno richiama quelle atmosfere. Non so perché, ma le storie dell’orrore riescono meglio se in prima persona, secondo me.
- L’interrogatorio è un racconto poliziesco in forma di dramma: in pratica c’è solo un dialogo fra un ispettore e l’interrogato. A me piace ancora questa storia e succede di rado
Voi, narranti
Che pensate di quanto ho scritto? Vi sentite svuotati della vostra personalità quando scrivete in terza persona? Credete che uno scrittore sia più sincero scrivendo in prima?
Domani si torna a parlare di prima e terza persona, ma da un altro punto di vista. Da una prospettiva… fantastica.
Michele Scarparo
Finora ho scritto i miei romanzi in prima persona e le storie brevi (per la maggior parte) in terza. L’uso della prima è servito sicuramente a me per essere “completamente dentro” alla storia. Immerso fino al midollo. Che non significa che io sia il protagonista, ma solo che la scrivo esattamente come se la vivessi, mettendomi gli occhiali del protagonista. Penso che questo aiuti anche il lettore ad immedesimarsi, ed è il motivo per cui l’horror viene meglio in prima persona.
La contropartita è che così si hanno molti vincoli. Il narratore non è più onnisciente del personaggio narrante. Quello che succede altrove va raccontato con degli escamotage più o meno facili da scrivere. Dal punto di vista “tecnico” di chi scrive queste sono delle belle rotture, ed obbligano a piroettare per le pagine cercando un modo naturale di far sapere le cose al lettore.
Ma un romanzo è una cosa lunga, complessa. Si fruisce in molto tempo. Le storie, essendo brevi, sono visibili nella loro interezza a colpo d’occhio; non si possono fare voli pindarici perché siamo vincolati dalla prima persona. E allora la terza, generalmente, è ottima. Non a caso le barzellette e le favole, storie brevi per eccellenza, sono tutte così.
Daniele Imperi
Anche io credo di fare così: scrivendo in prima persona ti immedesimi di più, pur non essendo tu quella persona. E hai parecchi vincoli, è vero.
deborah
Ti ringrazio per avere sviluppato il mio commento e anche io avrei voglia di scrivere un commento al tuo commento quasi infinito. È un argomento che mi appassiona a tal punto che in un era geologica fa ci feci la tesi di laurea, proprio sulla differenza tra l’Autore in care ed ossa e l’Autore Modello. È ovvio che non si può tout court identificare il narratore interno con lo scrittore come persona, io stavo solo rendicontando un’esperienza personale, senza alcuna pretesa di fare critica letteraria. Concordo con Jaques Derrida quando parla di “parricidio” dell’opera d’arte nei confronti del suo Autore. L’Autore è dentro il testo, l’A. Modello e mi interessa solo quello, per questo no ho mai amato la critica psicoanalitica Personalmente non penso che conoscere la vita sentimentale di Pirandello aggiunga un’acca alla mia comprensione de Il fu Mattia Pascal e estendo questa mia convinzione anche per autori (es. Proust) in cui i confini tra io narrante ed io anagrafico sono molto labili, forse inesistenti. Concordo on te: è la storia che ci chiede che tipo di narratore essere; io ho scelto la terza persona perché avevo bisogno di narrare eventi in un lungo arco di tempo e in differenti contesti, che travalicavano spazialmente e temporalmente la vicenda della protagonista. Si potrebbe ovviare con il ritrovamento di lettere, manoscritti o narrazioni fatte da altri personaggi, ma ho preferito la terza persona, invocando il sacrosanto rasoio di Ockham. Mi prende questo argomento e forse continuerò a parlarne sul mio blog, per non intasarti il tuo. Intanto ho ritwittato e ho condiviso su facebook questo.
Daniele Imperi
Ah, neanche io mi interesso alla vita degli scrittori che leggo, spesso non so neanche di che nazionalità e razza siano. Conosco solo la vita di Poe
Se narri una storia che si dipana per un arco di tempo che supera la vita umana, allora hai sì bisogno della terza persona. Come hai detto, potresti mettere in campo lettere e altri scritti, ma questo puoi farlo in una sola storia. Se ne scrivi una seconda, sempre espressa in un lungo arco di tempo, quel trucco non puoi più usarlo.
Grazie per le condivisioni
LaBaro
Penso che la sincerità venga fuori sempre. Scrivo principalmente in prima persona. A volte lo faccio in terza e questo non mi trattiene, comunque, dall’inserire dentro i personaggi piccole o grandi parti di me e di ciò che vivo.
La verità viene persino fuori quando creo personaggi che detesto, personaggi che si comportano e parlano come persone che, nella vita di tutti i giorni, non frequenterei mai.
Riverso nel racconto, attraverso di loro, quello che non mi piace di me o quello che voglio esorcizzare magari perché lo temo.
Secondo me, sei onesto con te stesso (o, almeno, ci provi) sarai onesto col lettore.
Daniele Imperi
Anche io qualche volta creo personaggi che non vorrei mai avere vicino
In quel caso, anzi, credo che sia facile renderli bene, perché ci metti tutta la rabbia e il fastidio che provi verso certa gente.
Ivano Landi
Per oltre venti anni ho scritto unicamente in prima persona, forse perché entrambi i miei principali punti di riferimento letterari, Proust e Miller, facevano così. Poi, però, ho avuto voglia di scrivere una storia (Solve et Coagula) con una protagonista di sesso femminile (Luisa) e mi è venuto spontaneo scriverla in terza persona. Con mia sorpresa non ho vissuto per niente il senso di spossessamento che avevo sempre immaginato e temuto, e alla fine Luisa è diventata una particolare versione di me stesso, che reinterpreta al femminile molti elementi di me e della mia biografia.
Daniele Imperi
Anche io quando ho letto autori come Conan Doyle, Poe e Lovecraft, che spesso hanno usato la prima persona, ho iniziato a usarla.
Luca Sempre
Potremmo inserire anche l’uso della seconda persona singolare…
Ad esempio “Le mille luci di New York” è narrato tutto in seconda singolare, e la narrazione risulta davvero efficace
Daniele Imperi
Io invece davvero non riesco a leggerle le storie scritte in seconda persona…
deborah
neanche io, non so perché mi viene voglia di prendere lo scrittore a schiaffi, mi sembra una scelta da furbetto. Unica gloriosa eccezione: Se una notte d’inverno un viaggiatore, quando si rivolge al lettore, ma Calvino è – nel mio cuore da lettrice – fuori concorso.
Daniele Imperi
Vero, in quel romanzo c’è la seconda persona. Ma Calvino è, appunto, Calvino
Laura Tentolini
Ho notato che spesso l’esordiente inizia a scrivere in prima persona, forse trova più facile esprimere emozioni e sentimenti dei personaggi facendoli propri.
Scrivere in prima persona è un ottimo modo per coinvolgere il lettore dalle prime battute.
“Al mondo c’è tanta gente che soffre la fame” è una frase che invoglia a continuare la lettura?
“E se tu avessi fame?” oppure “Ho fame. Una fame che non ragiono. Devo nutrirmi: non riesco a pensare ad altro” hanno un effetto ben diverso!
Daniele Imperi
Non ho notato questa caratteristica degli autori moderni, ma potrebbe avere senso. E su certi temi la prima funziona, anche se non ne sono così sicuro.
Strauss
Gran bel argomento Daniele! Pone una serie di interrogativi insvelabili Nei pochi racconti che ho scritto mi sono posto il problema solamente con il primo, “Livia in 59”, scritto attraverso il flusso di coscienza. Il più faticoso, data la mia scarsa disciplina. Un flusso ininterrotto di poche ore ha portato alla ‘conclusione’ del racconto. (Anche se non c’è mai inizio e fine!) Eppure, apparentemente in prima persona, me ne sono distaccato subito da quel racconto. Proprio per questo lo ritengo un buon racconto. A mio avviso, più è costruito più abbiamo bisogno dell’uso della terza persona. Ma ribadisco, io non sono un prosatore, sono un Poeta…è in quel territorio sconosciuto che c’è la mia casa.
Ti faccio di nuovo i miei complimenti Daniele per la tua capacità di trovare sempre stimoli nuovi.
Daniele Imperi
Grazie
Io devo dire che quando uso la prima persona mi viene naturale, nel senso che non ho mai riflettutto su quale persona usare.
Luciano Dal Pont
Io scrivo indifferentemente sia in prima che in terza persona, dipende dal tipo di storia, da come l’ho pensata, da come intendo costruire la trama, e devo dire che mi trovo a mio agio con entrambe le tecniche. Invece, e mi riferisco al commento di Luca Sempre, detesto l’uso della seconda persona, che per fortuna non è molto diffuso. Come scrittore non lo userei nemmeno sotto tortura, e come lettore, se leggo un incipit in seconda persona, chiudo immediatamente il libro.
Daniele Imperi
Anche a me fa quell’effetto la seconda persona. La trovo innaturale, in fondo la persona che usi riflette la narrazione reale. E questa avviene in prima o in terza. O racconti ciò che ha fatto un altro o ciò che è capitato a te.
Luciano Dal Pont
Infatti, Daniele, sono d’accordo. Se uso la seconda persona come scrittore, è come se raccontassi a un ipotetico unico lettore una vicenda di cui lui stesso è stato (o è, a seconda del tempo verbale usato) protagonista, mentre se sono io a leggere è come se l’autore raccontasse a me qualcosa di cui io sono stato (o sono) protagonista. Ma se il protagonista sono stato o sono io, che bisogno c’è che qualcuno mi racconti ciò che ho fatto? Lo so già, no? Si, è una cosa totalmente innaturale, non la sopporto, dovrebbe essere proibita per legge!!!
MikiMoz
Guarda, io penso che uno scrittore metta sempre un po’ di sé in ognuno dei suoi personaggi.
Anche in quelli totalmente lontani dal suo modo di essere. Perché rappresentano situazioni vissute e gente incontrata.
Non faccio differenza tra la prima e la terza persona… dipende dal racconto, non da cosa devo raccontare.
E’ una questione di “funziona meglio così o cosà?”
Moz-
Daniele Imperi
Concordo
Sì, dipende da come può funzionare, dalla storia in sé, non da cosa devi raccontare. Puoi raccontare quello che vuoi, ma per te magari la narrazione in un caso funziona meglio in prima, in un altro in terza.
Marti C.
Scrivo racconti preferibilmente in terza persona, da sempre. Ma di tanto in tanto utilizzo la prima persona, per lo più perché la vicenda che voglio raccontare richiede questo tipo di narrazione. Ma mi rendo conto di utilizzare la prima persona anche quando voglio entrare completamene in un personaggio, nella sua psicologia, nel modo di percepire le cose. E molto spesso è lo stesso modo in cui le percepisco io, altrettante volte è esattamente l’opposto. Penso quindi che non sia possibile prescindere del tutto dal proprio Io nella creazione di un personaggio, nel bene o nel male compariranno sempre elementi propri dell’autore, sia in negativo che in positivo.
Daniele Imperi
Se così fosse – e in un certo senso lo credo – allora ogni personaggio di uno scrittore riflette una parte di quello scrittore. Non ci sarebbero personaggi al 100% estranei all’autore.
Enzo
“Va dove ti porta… la storia”!
Parafrasando un celebre libro, credo di rispondermi e risponderti.
Certo che io autore resto scrittore di scelte e rinunce (di vie narrative), ma sono così bravo – non io, ovviamente; è che sto scrivendo in 1^ persona! – da annullarmi o star all’ombra.
Mi sono spiegato…boh?
Daniele Imperi
Non tanto
Però forse ho capito: come scrittore puoi essere così bravo da non far trasparire nulla di te nella storia e nei personaggi.
Enzo
Capito! :-/
Tenar
Concordo con quanto scrivi, Daniele. Secondo me, l’autore si rispecchia sempre nella storia, ma i personaggi non sono mai l’autore. O, meglio, deve trovarli tutti dentro di sé, tanto il protagonista quanto quelli secondari o sgradevoli e da tutti deve mantenere un certo distacco.
Tra l’altro, a livello tecnico, trovo la prima persona difficilissima da gestire. Ho provato a spiegarne il perché in un post: http://inchiostrofusaedraghi.blogspot.it/2014/01/scrittevolezze-nellocchio-di-chi-guarda.html
Daniele Imperi
Sì, è difficile da gestire. In che senso deve trovarli dentro di sé?
Tenar
Io non so dove altro andarli a cercare i sentimenti dei miei personaggi. Come faccio a sapere cosa provano se non ho mai provato io stessa le stesse cose? Il problema, appunto, è che questo vale per tutti i personaggi, non solo quelli che mi piacciono…
Daniele Imperi
Ok, ma non potrai mai provare ogni tipo di sentimento che dovrai far provare a un tuo personaggio.
Grazia Gironella
Credo che per creare dei buoni personaggi sia necessario uscire da sé per calarsi in loro, anche quando sono molto diversi da noi. La diversità però è spesso apparente. Ci sono aspetti della nostra personalità, magari presenti solo come potenzialità, che non conosciamo affatto. Esplorare il personaggio è un modo appassionante per scoprirli.
Daniele Imperi
Uscire da sé: dici bene, ma quanto è possibile farlo?
Grazia Gironella
Eh, tasto dolente. Per la mia piccola esperienza direi: più sviluppi i personaggi prima di scrivere, inventando loro una vita dettagliata (anche quando poi nella storia usi un centesimo di ciò che hai inventato), più “diventi” i personaggi. Certo è difficile, e con certi personaggi quasi impossibile. Forse anche questo si impara con l’esperienza.
Daniele Imperi
Io penso che troppi dettagli sia esagerato stabilirli prima.
helenia
Credo che leggere una storia scritta in prima persona sia un modo più semplice per far entrare il lettore nel vivo della storia. Complimenti cm sempre Daniele !
Daniele Imperi
Grazie, Helenia
Sì, coinvolge di più, è vero, anche se non tutte le storie, secondo me, funzionano in prima persona.
franco zoccheddu
Ho letto i tre episodi di Hunger Games, racconto in prima persona: efficace e coinvolgente.
Grazia Gironella
La prima persona è intensa, ma ingombrante e spesso poco pratica. Io uso spesso l’alternanza tra protagonista in prima e il resto in terza, ma non ho ancora capito se è una scelta valida o semplicemente una mia fissa.
Daniele Imperi
Cioè quando agisce il protagonista usi la prima e poi la terza? E come fai a integrare tutto?
Grazia Gironella
Di solito nella storia uso tre-quattro punti di vista, uno dei quali del protagonista. Alterno i capitoli con i diversi punti di vista, e quando capito sul protagonista lo faccio parlare in prima. Secondo me la zoomata sul personaggio è efficace, e mi lascia la possibilità di raccontare il resto della storia con un approccio meno ravvicinato. Tutto sta a vedere se questo approccio piace anche ai lettori.
Daniele Imperi
Questa tecnica del cambio del punto di vista la usa George Martin e anche lui per ogni capitolo ha un PdV diverso. Un giorno provo anche io a trattare il protagonista in prima persona, vediamo che esce fuori. Sembra interessante.
Elena Petrassi
Ciao Daniele, mi viene da risponderti con le solite citazioni dal “Je est un autre” di Rimbaud al “Madame Bovary c’est moi!” di Flaubert, alla poesia di Pessoa
“Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente”.
Per quanto mi riguarda sono la storia e il personaggio che impongono la prima o la terza persona, ho usato sia una che l’altra forma e non ho una preferenza, dipende sempre dalla storia. Penso che la biografia lasci traccia nella narrazione ma anche che ciò che è dichiaratamente autobiografico sia una creazione. Quando ricordiamo non facciamo altro che ricreare e ri-raccontare quello che crediamo sia accaduto. La sfida credo che alla fine sia quella di creare personaggi che non ci assomigliano ma che abbiamo in sé una verità riconoscibile dal lettore. Ma qui mi fermo perché sono temi che necessitano una calma riflessione.
Leggi, se non l’hai fatto l’intervista con la moglie di J.E. Williams autore di Stoner – che è un capolavoro assoluto – su Repubblica di ieri:
http://www.repubblica.it/cultura/2014/02/28/news/mio_marito_stoner_vi_racconto_chi_era_davvero_john_williams-79868462/?ref=search
” Ho solo bei ricordi di lui, davvero. Forse troppi. Riusciva a farmi ridere ogni giorno della mia vita”.
Addirittura? A leggere Stoner, storia di un anonimo e triste professore, non si direbbe.
“E invece sì. Aveva uno humour fulminante. Non ho mai pensato, ma neanche per un istante, che John somigliasse a Stoner. Mio marito era molto più mondano e meno passivo del suo personaggio”.
Difficile da credere.
“Le dico che è così. John non avrebbe mai raccontato se stesso nei suoi libri. Semplicemente perché la sua persona lo annoiava. Certo, come lui, William Stoner era nato in campagna ed era un professore universitario. E sicuramente all’inizio della sua carriera, in un posto sperduto come era Denver, ha sofferto e ha provato una certa solitudine. Ma tutto il resto non converge. Anzi, mi diceva che il suo vero romanzo autobiografico fosse Augustus”.
Daniele Imperi
Interessante. In realtà neanche io racconto di me nelle mie storie, semplicemente perché nella mia vita non c’è nulla fuorché noia, quindi nessuna storia.
Forse i pezzi di noi che mettiamo sono le nostre idee, le speranze, i sogni e anche le illusioni.
Enzo
————————
Daniele, ma stabilire prima troppi dettagli non è esagerato?
Lasciamo scorrere gli eventi, no?
Daniele Imperi
Sì, anche per me è esagerato.
Grazia Gironella
Per me conoscere bene il personaggio prima di scrivere non significa che hai già deciso cosa dirà o cosa farà, ma solo che di lui hai un’idea nitida e non nebulosa. I dettagli sono solo un modo per rendere il personaggio più afferrabile nel momento in cui cerchi di conoscerlo; dopo puoi anche dimenticarli o modificarli, perché a quel punto è improbabile che il personaggio risulti incoerente. Non voglio convincere nessuno della mia idea, ci mancherebbe! Ma avevo l’impressione di non essermi spiegata bene.
Elena Petrassi
Non credo alla noia, né alla mancanza di storie.
Conosci le lettere di Rilke a un giovane poeta?
http://elenapetrassi.blogspot.it/2011/11/dalla-prima-lettera-un-giovane-poeta.html
Daniele Imperi
Di Rilke ho letto Danze macabre. Poi mi leggo quella lettera
La narrazione nel Fantastico
[…] ieri ho parlato dell’uso della prima persona e della possibilità che lo scrittore possa snaturarsi, perdere di sincerità, se usasse la terza. […]
Mila Orlando
è molto sottile la linea che separa lo scrittore dai suoi personaggi a volte, indipendentemente dalla narrazione in prima persona o in terza. io scribacchio racconti sia in prima che in terza e tutto dipende da cosa voglio trasmettere. se l’obiettivo della narrazione è emotivo preferisco utilizzare la prima persona. mentre se voglio far vivere il personaggio tramite le sue azioni preferisco la terza, in questo modo riesco ad astrarmi dal personaggio considerandolo quasi un conoscente per cui mi chiedo: cosa avrebbe fatto, come si comporterebbe in questa situazione. questo, però, non lo mette al riparo dalla mia personalità
Lady H
Io concordo a pieno con Daniele quando dice che la scelta è funzionale alla storia. Prima di iniziare un racconto mi chiedo sempre i pro e i contro dei punti di vista che sarebbe possibile utilizzare e alla fine scelgo quello che mi permette di strutturare il racconto nel modo che ritengo più efficace. Premetto che scrivo gialli e devo avere in testa tutta la trama prima di iniziare a digitare. In prima il lettore si immedesima di più, ma in terza puoi creare aspettative e tensioni più complesse. Cimentandomi anche con lo storico spesso mi capita di scrivere di persone che hanno vita, tratti e caratteri ben definiti, a cui cerco di aggiungere sempre una piccola sfumatura che li renda “visti e presentati da me” al lettore, perché la mia è narrativa e non saggistica. Altri racconti nascono di getto, e nascono già con il loro punto di vista direttamente in testa. Per quel che riguarda i personaggi, tutti sono miei e nessuno lo è, sono miei anche quelli che sono esistiti per davvero o quelli inventati da altri che faccio rivivere in qualche racconto, sono miei i buoni e i cattivi, ma ognuno di loro vive di vita propria. Io lo metto sul set e sto a vedere cosa combinano e spesso mi stupiscono. Accade poi che in uno c’è l’accento del vicino di casa, nell’altro la camminata del fruttivendolo, uno ha i baffi del bigliettaio del treno, l’altro il tic del tizio davanti a me in panetteria. Eppure sono tutti nati, cresciuti e “sfumati” nella mia fantasia. Un pezzo di me è in ciascuno di loro anche se nessuno mi assomiglia, e un pezzo di me è in ciascun racconto che scrivo. Sincerità o menzogna? Sinceramente ho sempre pensato fossero fantasia e creatività!
Daniele Imperi
Ciao Lady H, benvenuta nel blog.
Dici bene, fantasia e creatività: significa prendere tutto quello che ti ha colpito in giro e usarlo, anche inconsapevolmente, nelle storie che scrivi.
Sabrina Guaragno
Ho sempre un po’ di difficoltà quando devo scegliere tra prima persona o terza per scrivere qualcosa. Ci sono quei racconti/libri/storie, che nascono già così, la cui scelta della persona da usare non è propriamente una decisione, ma parte integrante del racconto. A volte, invece, ci sono due strade differenti che si srotolano davanti a te, ed è difficile scegliere quale sia la migliore per rendere il racconto al suo massimo. Stranamente, ho sempre visto la prima persona come un modo più “facile”, le parole escono fuori più fluide, i sentimenti possono essere descritti e sviscerati in modo più spontaneo. Ma ci si perde molto. La prima persona onnisciente non mi è mai piaciuta, non ha senso, quindi ho sempre preferito il punto di vista del personaggio come se sapesse giusto lo stretto necessario, il suo solo punto di vista. Da un un lato è una tecnica buona per far affezionare al personaggio, dall’altro, si perde molto. Con la terza persona puoi dare sfogo a più descrizioni, particolari, cose che il protagonista può non aver notato. Puoi giocare in modi differenti, ma puoi rischiare di cadere nella noia, perché è più difficile coinvolgere il lettore, a mio avviso. La terza persona è per scrittori più abili, la prima è un po’ per tutti. Ma come sempre, non è una regola fissa. Mio pensiero
Daniele Imperi
Ciao Sabrina, benvenuta nel blog.
Vero, non è una regola fissa: o almeno non credo che la terza persona sia solo per scrittori abili, anzi, forse è proprio la prima la più difficile da gestire. Non basta scrivere in prima persona per coinvolgere il lettore.
Sabrina Guaragno
Sarà che ho una visione più “interna” per me esce più facile scrivere di stati d’animo interni, e le letture di questo genere sono quelle che più mi coinvolgono. Beh, parlando proprio di punti di vista diversi…
Daniele Imperi
Attenta, però, che la storia non sia fatta poi solo di visioni interne… ho paura che il rischio sia quello: una storia solo introspettiva che alla fine non dice nulla.
Grazia Gironella
Per me è già un problema, usando sempre la prima persona, poter scrivere solo di ciò che il personaggio vede/pensa. Mi sembra che questo limiti abbastanza le scelte relative alla trama. A meno che non si usi la prima da diversi punti di vista.
Sabrina Guaragno
Buonasera Grazia, penso che sia fantastico scrivere e leggere di un punto di vista, anziché in terza persona, per certi racconti o storie. A volte é bello scoprire le cose pian piano, assieme al personaggio (o ai personaggi), ci si riesce a calare maggiormente nei suoi panni, senza la sensazione di vedere le scene “dall’alto”. E’ un po’ quello che ci capita tutti i i giorni, avendo a ché fare solo con il nostro personale punto di vista.
Grazia Gironella
Hai ragione, Sabrina, la prima persona può essere un fantastico tuffo nel personaggio. Credo che alla fine tutto dipenda dal tipo di storia, oltre che dai gusti dell’autore.
Chiara
Nel romanzo che sto scrivendo l’io narrante è misto. Al momento mi viene naturale alternare le voci di diversi personaggi che parlano in prima persona (perchè di fatto stanno raccontando la loro storia ad un amico) e altri brani in terza persona, guidati da un narratore esterno. So che forse sarebbe meglio adottare in tutto il romanzo un io narrante esterno, ma non credo sia adatto al tipo di storia che ho intenzione di raccontare
Come gestire le storie in prima persona
[…] da credere che usando l’io narrante si debba necessariamente creare una storia lineare e non una trama complessa e più dinamica. Se […]
Cornetta Maria
Mi hai ricordato quand’ ero bambina e la mia maestra elogiava i miei compiti d’italiano perché diceva che erano realistici e molto espliciti. Non era di quest’opinione mia madre, che mi vedeva come una che spiattellava con molta disinvoltura tutti i piccoli e grandi segreti che gl’incauti mi raccontavano. L’insegnante diceva che avrei avuto un’ottima capacità cominicativa, da grande, perché sapevo “fotografare” fedelmente la realtà. Ha avuto ragione. E’ importante essere spontanei, indipendentemente se si parla in prima persona o no. La tecnica deve limitarsi a delineare meglio quello che scriviamo, non dev’essere invasiva. E’ ciò che penso.